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Coronavirus e Psiche: riflessioni finali

Per alcuni il coronavirus è stata una benedizione: mandando in frantumi gli schermi protettivi narcisistici che li separavano dall’idea della morte, li ha costretti ad elaborarne l’umana presenza, permettendo l’elaborazione di un passaggio diniegato fin dalla prima infanzia. Mi direte che le immagini delle TV erano piene di morte anche prima del coronavirus, ma era sempre la “morte dell’altro”, guerre lontane, emergenze di altri popoli, crimini di nicchia. Nei numerosi racconti dei sopravvissuti all’epidemia, quelli che sono “risorti” dalle rianimazioni emerge una costante: l’angoscia della visione delle morti degli altri: molti imploravano un paravento per non dover vedere quelle scene.

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Coronavirus e terrorismo psicologico

Qui mi preme ricordare che si è creata un’ondata di angoscia di morte degna di un conflitto bellico, anzi a dire il vero di gran lunga superiore, poiché prima dei criminali bombardamenti di massa dei civili posti in essere durante l’ultimo conflitto mondiale, le popolazioni lontane dal fronte facevano una vita più o meno normale. Qui il nemico è ovunque, è nell’aria, è in qualsiasi persona: una rupofobia 2  globale è stata indotta nelle masse. I rituali di lavaggio cominciano a divenire ossessivi in molte persone: certo è difficile produrre una nevrosi fobico-ossessiva artificiale, ma slatentizzarla in migliaia di individui predisposti che prima erano in un accettabile equilibrio questo è ben possibile.

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