Rosalind Franklin“Tu consideri la scienza (o per lo meno così ne parli) come una sorta di invenzione umana lesiva della morale ed estranea alla vita reale, un’invenzione che va tenuta sotto controllo e collocata fuori della vita quotidiana. Ma la scienza e la vita quotidiana non possono e non dovrebbero essere separate. Per me la scienza fornisce una parziale spiegazione della vita. Per quanto è possibile, la scienza è basata sui fatti, sull’esperienza e la sperimentazione… Sono d’accordo che la fede sia essenziale per riuscire nella vita… Dal mio punto di vista, la fede sta nella convinzione che, facendo del nostro meglio, ci avvicineremo di più all’obiettivo e che l’obiettivo (il miglioramento di tutto il genere umano, presente e futuro) sia un bene degno di essere perseguito.”

Queste sono le parole che Rosalind Franklin, allora studentessa a Cambridge, scriveva al proprio padre. La Franklin nacque nel 1920 da una ricca e colta famiglia ebraica; dotata di un carattere forte e molto determinato, già all’età di 15 anni decise che sarebbe diventata una scienziata. Sapeva bene che non le sarebbe stato facile, sia perché era una donna, sia perché era ben consapevole dei limiti che avrebbe rappresentato l’ambiente da cui proveniva. Si laureò in chimica fisica e incentrò la sua carriera sugli studi del carbonio e in quelli di biofisica, essendo dotata di un’incredibile abilità nella fotografia a raggi X. Non le fu d’aiuto nell’ambiente estremamente maschilista della scienza di allora, essere una donna ebrea, indiscutibilmente molto intelligente, dotata di una robusta coscienza politica e per di più ricca.

La Franklin lavorò per 27 mesi nel dipartimento di biofisica del King’s college di Londra, dipartimento che era diretto da Maurice Wilkins. In quel periodo Watson e Crick erano in gara con altri gruppi di ricerca, tra cui quello di Wilkins, nello studio del DNA. Wilkins frequentemente si lamentava della sua collaboratrice con Watson e Crick, in quanto sosteneva che la Franklin intralciasse il suo lavoro; i tre arrivarono a chiamarla tra di loro la “dark lady”; tale soprannome ben poco lusinghiero viene fuori dai carteggi privati che i tre si scambiarono nel corso degli anni.
Ma oggi non tutti sanno che fu proprio grazie al contributo di questa “dark lady”, che Watson, Crick e Wilkins arrivarono alla scoperta che avrebbe rivoluzionato la scienza del XX secolo.
“Non è sfuggito alla nostra attenzione che l’appaiamento specifico che abbiamo postulato suggerisce immediatamente un possibile meccanismo di replicazione del materiale genetico
Con queste parole, il 25 aprile 1953 James Watson e Francis Crick, attraverso un articolo pubblicato sulla rivista Nature, annunciarono al mondo la scoperta della doppia elica del DNA.
Non esiste persona al mondo che non conosca oggi la doppia elica; ben pochi sono quelli che invece sono a conoscenza del contributo fondamentale che la Franklin apportò alla scoperta. Come ho già detto, la ricercatrice era particolarmente abile nella fotografia a raggi X. E fu proprio grazie ad una fotografia che Watson e Crick ebbero la spinta finale per intuire che il DNA avesse una forma a doppia elica.

crisyallografiaLa radiografia della forma B del DNA (la numero 51) e l’elaborazione matematica dell’immagine, risultati ottenuti dalla Franklin, arrivarono ai due futuri premi Nobel grazie a Wilkins, che mostrò loro l’immagine dopo averla prelevata dal laboratorio della scienziata senza il consenso della stessa e senza che lei venisse a saperlo. Parlare di “furto” potrebbe sembrare eccessivo, in realtà le cose andarono proprio così. Grazie alle informazioni ottenute e alle conoscenze in loro possesso, aiutati anche dalla lettura del volume di Max Perutz che riassumeva il lavoro dei principali ricercatori del centro tra cui quello della Franklin, Watson e Crick arrivarono alla scoperta che sarebbe valsa loro il premio Nobel, scoperta a cui probabilmente la scienziata sarebbe arrivata da sola in breve tempo.
Nel febbraio del 1953 sul suo taccuino la Franklin scrisse che “Il DNA è composto da due catene distinte”. Nel marzo dello stesso anno, benché fosse circondata da collaboratori e colleghi che la stimavano profondamente e ne riconoscevano il valore intellettuale, poiché soffriva troppo l’ambiente scientifico in cui viveva, lasciò il King’s College di Londra per trasferirsi a Birkbeck, un’altra università londinese, dove venne diretta, per cinque anni molto produttivi, dall’illustre fisico John Desmond Bernal.
La “dark lady” abbandonò quindi i laboratori di Cambridge poche settimane prima che Watson e Crick facessero il loro annuncio. Purtroppo la scienziata non venne mai a sapere che quella scoperta a cui anch’ella aveva contribuito sarebbe valsa il premio Nobel a Watson, Crick e Wilkins; morì, infatti, a soli 38 anni stroncata da un cancro alle ovaie.
In tutti gli scritti della Franklin non trapela mai neppure un moto di dispiacere o di amarezza per questa mancata scoperta fatta dai sui colleghi grazie anche al frutto del suo lavoro; si dedicò per il resto della sua vita agli studi del virus del mosaico del tabacco, producendo eccellenti lavori e rimase anche in ottimi rapporti con Crick e sua moglie, trascorrendo con loro molto tempo in particolare durante i periodi di convalescenza della sua malattia.
Il nome della Franklin ha iniziato ad essere noto dopo la pubblicazione del libro di Watson, “La doppia elica” nel 1968; nel libro, Watson fa una descrizione molto poco lusinghiera della scienziata, definendola come la terribile Rosy, un ‘intellettualoide molto irascibile e poco femminile. A partire dalla pubblicazione di quel libro, la Franklin è diventata un simbolo femminista, la donna che ha visto negato il riconoscimento del suo talento per dare maggiore gloria ai suoi colleghi uomini.
In realtà questa sorta di mitizzazione non le rende giustizia in quanto la Franklin sarà sempre ricordata come una delle scienziate a cui venne negato il Nobel in quanto donna, e questo rischia di far perdere di vista i brillanti risultati che raggiunse nella sua feconda seppur breve vita.
Forse, se la Franklin fosse vissuta più a lungo, si sarebbe battuta affinché le venisse riconosciuto il merito del suo lavoro, forse la storia avrebbe rivisto e corretto il suo giudizio includendola tra i nomi del Nobel insieme ai suoi colleghi. Purtroppo con i se e i forse non si riscrive di certo la storia.
Concludo con le malinconiche parole con cui il professor Bernal descrisse la Franklin dopo al sua morte:
“Come scienziata, la signorina Franklin si è distinta per l’estrema chiarezza e per l’eccellenza con cui ha svolto il suo lavoro in ogni campo in cui si è dedicata. Le sue fotografie sono fra le più belle immagini ai raggi X mai ottenute di una sostanza.”

© Maria Cristina Onorati

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Fonti bibliografiche:

Brenda Maddox, Rosalind Franklin: The Dark Lady of DNA, HarperCollins, 2003