La Matematica come Scienza Sperimentale Astratta
Le apparenti contraddizioni del titolo individuano una delle caratteristiche essenziali della pratica Matematica. In effetti, i matematici — al di là degli archetipi filmici che li rappresentano sempre un po’ troppo ‘fuori’ — fanno davvero un mestiere strano: l’unico in cui si ha a che fare solo con oggetti che non esistono nella realtà esterna a noi ma che sono prodotti esclusivi della nostra mente.
Filosofi, teologi, fisici teorici,… pur essendo altrettanto ‘mentali’, fanno sistematico riferimento ad una qualche ipotesi di realtà esterna alle loro idee e tali ‘realtà’ si sforzano di spiegare… I matematici, invece, si basano proprio sull’assunto che qualsiasi forma di realtà esterna alla Matematica sia, al più, allusione o metafora di ciò di cui si stanno realmente occupando.
Il fatto che riescano comunque a lavorare collettivamente su queste realtà soggettive, realizzando strumenti mentali che strutturano tanto la filosofia quanto la tecnologia contemporanea, è un dato che può mettere a fuoco molti problemi relativi al nostro modo di pensare.
Astratti Concreti. Uno di questi problemi riguarda le possibilità di coniugare la più assoluta irrealtà soggettiva con la più sinergica operatività oggettiva. Ovvero la capacità che — a quanto pare — i nostri cervelli hanno di concepire degli astratti concreti.
Dopo aver imparato ad immaginare numeri, figure geometriche o altre ben più surreali ideazioni che la Matematica descrive ad un ritmo che attualmente sfiora il mezzo milione di teoremi l’anno 1, ci si trova, infatti, di fronte ad idee che, pur essendo sconsideratamente strane, sono così nettamente definite da sembrare esistere anche al di fuori della mente di chi le ha concepite. E, pur sapendo che nessun oggetto triangolare sia realmente un triangolo e che nessuna collezione di cinque oggetti sia il numero cinque, se provate ad immaginare l’uno o l’altro, immaginerete, con tutta probabilità, qualcosa di così simile a quello che sto immaginando io, che, se cercate di individuare con me le proprietà di questi oggetti, potremmo correggere reciprocamente i ragionamenti che le giustificano, fino ad individuare quelle ‘giuste’.
La Matematica ha, quindi, la stessa struttura delle scienze sperimentali, in cui ipotesi teoriche sono selezionate da esperimenti oggettivi. In ambito matematico, però, gli esperimenti non sono macchine o procedure che consentono di individuare oggettivamente qualche specifico aspetto della realtà, ma sono particolari prodotti delle nostre capacità mentali. Tuttavia, tali esperimenti mentali hanno storicamente mostrato di essere abbastanza specifici ed oggettivi da permettere di distinguere la ‘parte vera’ delle ipotesi matematiche.
Platonismo e Materialismo. Darwin diceva che «La Matematica sembra dotare una persona di qualcosa come un extrasenso». 2
Ed, in effetti, per chi ‘fa Matematica’, la sensazione di ‘guardare col cervello’ qualcosa di realmente esistente — anche se spesso ben più surreale di un quadro di Dalì — è così intensa da portare alcuni matematici ad ipotizzare la reale esistenza di un ‘mondo delle idee’, o almeno di un ‘mondo della idee matematiche’.
Anche se le caratteristiche di questo mondo parallelo non coincidono con gli assunti di Platone, che vedeva nel Mondo delle Idee la struttura portante dell’universo sensibile, questa concezione è di solito chiamata Platonismo Matematico. È una concezione che ha il vantaggio della semplicità. Nel suo ambito, infatti, il problema dell’oggettività delle allucinazioni matematiche è risolto dal fatto che esse non sono altro che oggetti concreti di un altro universo (che i matematici riescono a sbirciare).
Lo stesso problema è invece più difficile da affrontare se si assume — materialisticamente — che l’universo in cui viviamo è sufficientemente vasto e complesso da contenere non solo quanto è alla portata della nostra immaginazione, ma anche molte, molte cose che non lo sono (ancora?). In questo caso, l’oggettività delle allucinazioni matematiche dovrebbe essere basata su qualche specifica caratteristica dei nostri cervelli, che sembra siano in grado di produrle. Un problema, quindi, del tutto aperto.
Formalismo e Intuizione. Un primo passo verso questo problema può essere il tentativo di ‘dissezionare’ le idee ed i ragionamenti della Matematica, per cercare di individuare almeno degli indizi di questa capacità.
Fortunatamente, in questo senso, l’acceso dibattito culturale sui fondamenti della Matematica, sviluppatosi all’inizio del secolo scorso, ha già messo in risalto due fondamentali modi di fare Matematica: quello formale e quello intuitivo.
- Il modo formale, tipico dell’Algebra, ha delle caratteristiche linguistiche. Così come una frase è corretta quando non viola alcuna regola grammaticale, così un ragionamento formale è corretto quando segue certe regole e solo quelle.
- Il modo intuitivo, tipico della Geometria, ha delle caratteristiche visive, per cui si riescono ad individuare delle immagini mentali, che divengono via via più definite e dettagliate, fino a consentire di lavorare su di esse come si lavora su oggetti concreti.
Compenetrazione degli opposti. Questi due modi di agire sono del tutto opposti.
Il modo formale si basa su regole fissate ed esplicite ed agisce procedendo dal locale al globale attraverso una ordinata successione di passi elementari. Quello intuitivo si basa su capacità mutevoli ed implicite, ed agisce procedendo dal globale al locale attraverso una disordinata collezione di salti significativi.
Eppure — o forse proprio per questo — la Matematica si è sviluppata come un indistricabile intreccio dei due modi opposti di pensare.
A volte è l’intuizione che forza lo sviluppo di nuovi formalismi, i quali, poi, la spingono verso precisione ed oggettività. L’intuizione geometrica degli infinitesimi (segmenti che, pur essendo più piccoli di ogni segmento finito, non si contraggono ad un punto, per cui, ad esempio, il cerchio può essere immaginato come un poliedro con infiniti lati infinitesimi) ha scatenato difficilissimi problemi formali, i quali a loro volta hanno determinato il plurisecolare sviluppo dell’Analisi Infinitesimale…
A volte è il formalismo che forza l’intuizione. Nel formalismo della Geometria Analitica, alcune formule che potevano essere adattate per descrivere le caratteristiche degli spazi ad una, due e tre dimensioni, potevano nello stesso modo descrivere ‘analoghe’ caratteristiche di spazi a quattro, cinque, sei,… infinite dimensioni. Spazi che nessuno aveva mai provato ad immaginare. L’intuizione matematica è stata quindi forzata ad esplorare queste nuove entità… e si sta sforzando ancora di farlo.
In effetti, la Matematica si sviluppa in un incessante contrappunto tra intuizione e formalismo, in cui l’apparentemente insuperabile opposizione di questi modi di pensare, anziché bloccarli, li porta a fertilizzarsi reciprocamente.
Analogia Linguistica. La compenetrazione di tali opposti, ricorda — estremizzandola con nettezza tipica del ragionamento matematico — la distinzione tra struttura di superficie e struttura profonda che Wittgenstein e Chomsky hanno ipotizzato per le lingue naturali, ammettendo che
- la struttura di superficie riguarda la forma delle espressioni linguistiche,
- la struttura profonda riguarda le abilità e le competenze che determinano, generano e a cui si riferiscono le espressioni linguistiche.
In ambito matematico, dove si tende ad estremizzare i concetti, la struttura formale non si limita solo a considerare la forma delle espressioni linguistiche, ma cerca anche di isolare delle situazioni formali, in cui la forma può fare a meno dei contenuti.
D’altra parte, il fatto che anche le abilità e gli oggetti che determinano lo sviluppo del discorso matematico siano astratte costruzioni mentali, fa sì che la struttura profonda della Matematica riguardi gli strumenti concettuali alla base di queste ideazioni. Strumenti che, nel Mondo Classico e Rinascimentale, potevano essere la riga e il compasso della Geometria Euclidea e che oggi sono i più rarefatti — ma per i matematici ben più definiti — strumenti della Teoria degli Insiemi.
Pensieri Estremali. Il fatto che i nostri cervelli siano in grado di sviluppare, almeno potenzialmente, i ragionamenti che si aggrovigliano nella Matematica, pone quindi una serie di problemi sulle caratteristiche e sulle potenzialità dei cervelli stessi.
Problemi che, pur rientrando nella ben più vasta area delle caratteristiche del nostro pensiero, hanno il vantaggio di presentarsi in una forma così specializzata e netta da apparire come dei ‘distillati’ delle nostre capacità mentali, così ‘puri’, nelle loro caratteristiche, da poter rappresentare dei test preliminari per ogni ‘teoria del pensiero’.
Pare che il Dalai Lama (a cui la perdita del potere ha dato il dono della libertà) dopo aver assistito ad una conferenza sull’Intelligenza Artificiale abbia osservato: ‘Molto interessante, anche se non capisco perché cercate di studiare la mente nelle macchine, nei morti e in quelli che l’hanno perduta…’.
Il pensiero dei matematici (quando fanno Matematica) può essere, invece, un ottimo ambito per lo studio delle caratteristiche della mente umana. Il ‘pensiero matematico’, infatti, pur avendo caratteristiche altrettanto estremali delle tre categorie citate dal Dalai Lama, al contrario di quanto accada in quei casi, fa certamente parte della nostra mente.
Antonio Vincenzi ©
Vai alla seconda parteNote:
1 – Anche se il capire come una scimmia carnivora sia riuscita ad imparare a risolvere equazioni differenziali o a concepire geometrie non–Euclidee è uno dei problema più difficili che questa stessa scimmia carnivora sta cercando di risolvere…
2 – In realtà questa osservazione (scritta nella sua autobiografia nel capitolo dedicato al periodo di Cambridge) è anche più interessante, perché riguarda le sue difficoltà relative alla Matematica: «The work was repugnant to me, chiefly from my not being able to see any meaning in the early steps in algebra. This impatience was very foolish, and in after years I have deeply regretted that I did not proceed far enough at least to understand something of the great leading principles of mathematics, for men thus endowed seem to have an extra sense.»
Antonio Vincenzi, logico matematico, ha iniziato i suoi studi come ‘logico puro’, dedicandosi ai problemi relativi fondazione della matematica e — in collaborazione col Technion di Haifa — ai rapporti tra le logiche astratte e computabilità.
Nel ventennio successivo ha lavorato come ‘logico applicato’, collaborando con varie industrie, istituti di ricerca ed università italiane nell’ambito degli studi sull’intelligenza artificiale, il riconoscimento delle immagini e la computazione quantistica.
La sostanziale scomparsa dell’industria scientifica in Italia lo ha, recentemente, riportato alla ‘purezza’. Negli ultimi anni si è infatti dedicato — in collaborazione con la fondazione ASFPG di Amburgo — alla trattazione matematica della logica dialettica di Hegel.
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