Freud ha trattato in molti scritti l’origine della pulsione epistemofilica ed i suoi successivi sviluppi, considerando i fattori stimolanti o inibenti. Tra questi scritti ve n’è uno in cui tenta un’analisi del carattere di Leonardo da Vinci, avvalendosi di alcune notizie bibliografiche e di un ricordo d’infanzia. Freud era interessato a capire quali componenti psichiche, oltre a quelle costituzionali, che non mise mai in discussione, consentono lo sviluppo di uno straordinario interesse per la conoscenza, come quello che si esprime nelle personalità geniali. Lo scritto “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci”, risale al 1910, epoca in cui Freud aveva formulato la prima teoria delle pulsioni e l’uso del termine libido, pur includendo l’aspetto somatico e psichico della pulsione, aveva un’accezione prevalentemente sessuale. Freud sosteneva che l’origine della brama di sapere era da far risalire alle curiosità sessuali dei bambini sul corpo e la riproduzione. Scrive: “Riteniamo probabile che ogni pulsione particolarmente intensa sia già stata attiva nella prima infanzia del soggetto e che la sua supremazia sia stata stabilita da impressioni della vita infantile” (fine della citazione). Sostanzialmente Freud riteneva, a ragione, io credo, che nei primi anni di vita la curiosità dei bambini, che sovente si manifesta con incessanti domande su qualsiasi argomento, riguardi il desiderio di conoscere l’origine della vita stessa, avendo intuito una relazione tra questa e la sessualità degli adulti. Altro punto è il destino della pulsione di conoscere che, secondo Freud, può differire in relazione alle prime impressioni infantili e ai meccanismi difensivi. In caso di potente rimozione della sessualità infantile, può accadere che sia la sessualità adulta che le capacità intellettive risultino particolarmente inibite. Ci si trova di fronte a casi limite in cui qualsiasi azione resta bloccata sul posto; l’unico sollievo può essere ottenuto con il ricorso al misticismo o nell’ideazione delirante.

In casi meno severi la rimozione riguarda solo le fantasie sessuali infantili, lasciando libero lo sviluppo intellettuale. Ciò nonostante, con la pubertà il ritorno del rimosso invade anche altri ambiti dell’agire dando ad essi una coloritura sessuale. In questo modo lo studio e più in generale il sapere, acquisisce una valenza sessuale e pertanto pericolosa che richiede laboriose operazioni mentali di scissione ed isolamento dei concetti dalle componenti affettive. Le nozioni acquisite, i successi scolastici come qualsiasi processo intellettuale non hanno mai il sapore del piacere e della conquista.
Il soggetto è assillato dal dubbio e dal rimuginamento.
Freud inquadra Leonardo in una terza tipologia che sfugge all’inibizione intellettuale e non è neppure soggetto all’ideazione compulsiva. Si tratterebbe di uno dei rari casi in cui la libido sfugge alla rimozione e, in virtù di una precoce sublimazione, si esprime come pulsione epistemofilica. “Dopo un periodo infantile di curiosità al servizio di interessi sessuali, Leonardo sarebbe riuscito a sublimare la maggior parte della sua libido in una spinta alla ricerca.”( Per approfondimenti sul tema della sublimazione rimando ad uno scritto di L. Lysek comparso sul Bollettino dell’IIM N. 22).
Fino a questo momento il Maestro, sebbene non abbia negato che anche l’aggressività possa essere soggetta a cambiamenti sostitutivi, di fatto ha continuato ad attribuire un ruolo prevalente alla sessualità.
Una svolta importante si ha con l’introduzione del concetto di narcisismo, la formulazione della seconda teoria delle pulsioni e l’introduzione della pulsione di morte. Per capire questa svolta nel pensiero freudiano bisognerebbe anche tenere presente il contesto storico e sociale in cui essa s’inserisce: a cavallo tra due conflitti bellici mondiali che comportarono perdite umane e distruzioni colossali. Come non essere colpiti dall’aggressività, dalla violenza fine a se stessa, dal disprezzo della natura, delle vite umane e di quanto edificato dall’uomo? Freud comprese che per sopravvivere a tutto ciò e trovare la spinta vitale per ricostruire, bisognava necessariamente che esistesse nell’uomo una capacità di elaborare il lutto, di accettare la perdita degli oggetti e superarla. Il concetto di libido, originariamente sovrapponibile alla pulsione sessuale, acquisisce la valenza di spinta vitale, passibile di spostamenti e concentrazioni e può materializzarsi in un atto sessuale come in qualsiasi altro atto creativo. La vischiosità della libido, al contrario, rappresenta la tendenza alla stasi della pulsione di morte che si manifesta attraverso l’attaccamento all’oggetto anche quando esso non esiste più o è diventato privo di valore e facilmente sostituibile. L’oggetto può essere qualsiasi cosa: una casa, un capo d’abbigliamento, una persona, una parte del corpo o un’immagine del corpo. A proposito del corpo, si pensi ad esempio ai cambiamenti che avvengono nel corso della vita e che richiedono un adattamento e pertanto la capacità di abbandonare l’immagine precedente: mi riferisco alla difficile fase di passaggio della pubertà/adolescenza in cui si rende necessario rinunciare alle fattezze del corpo infantile; si pensi alle gravidanze, alla menopausa e alle trasformazioni della vecchiaia che mettono a dura prova i desideri narcisistici di eterna gioventù. L’oggetto può essere anche un’idea, un concetto o un ideale; in alcuni casi può essere anche un sintomo o una malattia. Il soggetto, pur soffrendo terribilmente, pur desiderando liberarsi di quella dipendenza, di quel pensiero assillante, trascorre ore, giorni, talvolta un’intera vita a pensarlo e a parlare di esso. Supponiamo che quella persona, esausta, dopo aver consultato specialisti di ogni disciplina ed aver tentato tutte le possibili strade per guarire, giunga in analisi. Inizierà a parlare dei sintomi e dell’oggetto agognato. Molto spesso, come già detto, si tratta di un’immagine ideale di sé stesso che non riesce a realizzare a causa della malattia. Dopo un po’ di tempo, trascorso a lamentarsi di tutte le disavventure, le delusioni ed i tradimenti ricevuti da parenti, amici e conoscenti, nei quali aveva inizialmente riposto la sua fiducia, inizierà ad esprimere il dubbio anche sull’analisi e la sua efficacia. Alternativamente il dubbio e l’ambivalenza si esprimerà ora in termini auto-svalutativi, ora verso l’analista considerato incapace. A questo punto, possiamo dire che si è instaurata la nevrosi di transfert; il passaggio obbligato di ogni analisi che deve essere superato per evitare lo stallo o il fallimento. Un passaggio che comporta l’elaborazione di reiterate perdite e, in ultima istanza, della perdita di un’immagine ideale onnipotente del genitore/sé stesso, proiettata sull’analista. Si tratta di un processo in cui, è bene ricordarlo, con l’adesione alla regola fondamentale, è richiesta la rinuncia al soddisfacimento pulsionale diretto, aggressivo e/o sessuale e pertanto la sublimazione del desiderio in piacere investigativo. L’analisi, pur avendo un risvolto terapeutico, è innanzitutto un’indagine dello psichismo, quindi uno strumento di conoscenza. La vera difficoltà di questo processo conoscitivo non è tanto da attribuirsi alle difese e alle resistenze, bensì alla struttura stessa della psiche che, come scrive N. Peluffo, è un organo di conservazione, per esempio degli oggetti anche vecchi spazio-temporalmente ed inutili, che però continuano ad essere attivati dall’investimento energetico (libido) ed in tal modo continuano ad esistere e a manifestarsi come immagini oniriche e di veglia. Possiamo dire che la possibilità di proseguire l’indagine analitica oltre il risultato terapeutico, per esempio oltre l’eliminazione dei sintomi e delle inibizioni più fastidiose, dipende dal grado di “congelamento” della persona, dalla possibilità che ha di rinunciare a quote di narcisismo primario. Nel dinamismo pulsionale della pulsione di morte-vita, se prevale la componente di morte, l’energia psichica rimarrà vincolata prevalentemente su sé stesso, sugli oggetti dell’infanzia e le idealizzazioni. Viceversa, se prevale la componente di vita, la libido potrà rivolgersi verso l’esterno ed investire gli oggetti-meta che il soggetto troverà interessanti, in forma diretta o sublimata.

Un caso

A titolo esemplificativo vorrei illustrare un caso che chiamerò convenzionalmente Mario; un giovane con un terreno ossessivo che aveva fatto richiesta di aiuto per una sofferenza provocata da una delusione amorosa (Nelle componenti familiari più prossime era già presente il terreno ossessivo che si era manifestato con alcuni sintomi tipici come la balbuzie ed il mancinismo. Quest’ultimo, pur non essendo da considerarsi un sintomo, è pur sempre un tratto del carattere oppositivo). Parlò per molte ore dell’amata con la quale non aveva avuto una vera relazione sentimentale, essendo lei già legata ad un altro uomo e non avendo mai manifestato amore nei suoi confronti. Mario stesso non sembrava essere stato davvero innamorato della partner: gli piacevano alcuni tratti fisici ed era invidioso della sua esuberanza. Si era sentito attratto da aspetti maschili dell’amata che con l’analisi delle fotografie, si rivelarono essere presenti nel nonno e nel padre di Mario. Una scelta d’oggetto narcisistica che diede alla perdita un connotato di ferita irreparabile. Mario era assillato di giorno e di notte dal pensiero dell’amata e del suo rivale: di giorno metteva in atto tutti gli stratagemmi possibili per spiarla e conoscere i dettagli della sua vita (con gli strumenti telematici attuali non è più necessario essere dei segugi per fare gli appostamenti), di notte l’idea ossessiva s’inseriva nei sogni. L’altro tema fisso era quello autosvalutativo. Confrontandosi con il rivale vincente, Mario si considerava brutto e cattivo, immeritevole di amore e successo e, ovviamente, nei suoi insuccessi includeva anche l’analisi. Ma ciò che rendeva la situazione particolarmente penosa per Mario era IL DUBBIO: non era sicuro che le cose stessero realmente così. Accettare il fallimento, la realtà dell’esclusione gli avrebbe dato la libertà di sganciarsi dal legame e quindi dalla frustrazione, ma questo avrebbe comportato, in prima istanza la ri-attualizzazione della ferita narcisistica. Sotto sotto c’era un altro pensiero conscio, ma impronunciabile, che lo manteneva statico, che suona più o meno così: “sono io il migliore, il più bello, gli altri, quelli che non mi vogliono, non capiscono niente”.
La carriera scolastica di Mario poteva essere considerata brillante, sebbene il mantenimento della concentrazione gli costasse una fatica enorme ed avesse completamente rinunciato alla vita sociale: non aveva né amici, né fidanzate. Al momento della scelta universitaria non aveva avuto indugi: voleva diventare medico ortopedico. Laureato e specializzato con lode iniziò ad avere incarichi di responsabilità anche in sala operatoria e qui iniziarono i dubbi sulle sue capacità chirurgiche. Fu necessario ricostruire gli eventi traumatici infantili per alleviare Mario dall’ossessione e permettergli di avere una vita professionale e sentimentale sufficientemente soddisfacente. Da bambino aveva amato moltissimo il nonno paterno che, a seguito di un incidente stradale, subì l’amputazione di una gamba. Il padre di Mario, anch’egli medico, se ne prendeva cura, senza, tuttavia, riuscire a realizzare il desiderio che Mario provava: riparare il danno e restituire al nonno l’arto mancante. La paura della castrazione conseguente ai desideri edipici, aveva trovato rinforzo nella perdita subita dal nonno, privato della capacità di deambulare. Identificatosi nel nonno, Mario avrebbe voluto riparare quella ferita che immaginava fosse stata inferta dal padre (medico),al nonno/ sé stesso. Diventando egli stesso medico-ortopedico, immaginava di poter realizzare delle protesi che avrebbero restituito al nonno l’arto amputato e la capacità camminare. Un desiderio destinato a restare irrealizzato e che, in assenza di un buon lavoro analitico, avrebbe condannato il giovane ad una catena di insuccessi autopunitivi.

Bibliografia:

S. Freud: Introduzione al narcisismo in Opere Vol. 7
S. Freud: Tre saggi sulla sessualità in Opere Vol. 4
S. Freud: Lutto e melanconia in Opere Vol. 8

© Bruna Marzi