luttoRecentemente ho avuto occasione di riflettere sulle reazioni alla perdita di una persona amata, grazie alla raccolta di materiale clinico e alla concomitante scomparsa di un famigliare.
L’argomento, com’è noto, è stato ampiamente trattato da eminenti studiosi della psiche, primi tra tutti, K. Abraham, 1 S. Freud, 2 M. Klein, 3 J. Bowlby, 4 i quali hanno cercato di chiarire la differenza tra l’elaborazione normale e patologica del lutto.
Dai loro scritti risulta chiaro che, sebbene ognuno abbia aggiunto nuovi ed interessanti apporti alla ricerca, tutti concordino sulla necessità di individuare e distinguere le componenti oggettive e soggettive che influiscono sui tempi e le modalità di elaborazione della perdita.
Freud, in particolare, in Lutto e melanconia, fa una distinzione tra il lutto come reazione alla perdita di un oggetto reale e la melanconia come reazione patologica alla perdita di un oggetto inconscio.
Tra le componenti oggettive possiamo, senza ombra di dubbio, annoverare le perdite che colgono il soggetto impreparato perché causate da eventi imprevedibili: incidenti sul lavoro, incidenti stradali, terremoti, alluvioni, maremoti, infarti e malattie con decorso estremamente rapido. Non cito volutamente le morti per abuso di sostanze stupefacenti perché ritengo che nessuno possa affermare, in tutta onestà, di essere stato all’oscuro del fatto che il congiunto avesse quello stile di vita. Inoltre, quando si riesce ad abbandonare il diniego e la difesa proiettiva, spesso si riconosce anche che l’evento che ha causato la morte improvvisa della persona, è in realtà, l’ultimo anello di una catena di incidenti minori capitati prima di quello con esito fatale. Talvolta si riconosce altresì che quelle “disgrazie”, magari sotto sembianze simili, sono capitate anche ad altri membri della famiglia. Ripetizioni transgenerazionali di eventi traumatici, ampiamente trattati negli scritti micropsicoanalitici di N. Peluffo,5 Q. Zangrilli,6 ecc. e in quelli di Moreno e dei suoi allievi sull’uso del genogramma in psicoterapia. 7
Tra le componenti soggettive che influiscono sul decorso del lavoro del lutto, dobbiamo citare sicuramente l’età del soggetto, la sua situazione psicologica, le circostanze della vita in cui si trova al momento della perdita, il grado di parentela e la qualità del legame affettivo con il defunto, cioè il grado di ambivalenza.
I più vulnerabili sono i bambini e le persone anziane, in maniera direttamente proporzionale alla loro età e al legame di attaccamento con la persona scomparsa. Entrambi presentano difficoltà di adattamento ai cambiamenti e una ridotta capacità di riorganizzazione affettiva e cognitiva.
Altrettanto devastante e dolorosa può essere la perdita di un congiunto per soggetti adulti che si trovano in circostanze di vita particolari; mi riferisco agli eventi che comportano dei cambiamenti e richiedono un cospicuo impegno energetico: matrimoni, gravidanze, climaterio, separazioni, licenziamenti e trasferimenti, oppure nel caso di altri lutti non sufficientemente elaborati.
In ogni caso, dopo la morte del congiunto, inizia per i parenti un lavoro di elaborazione della perdita che segue un decorso divisibile in fasi di durata variabile in funzione delle componenti soggettive sopra esposte.
Essendo di formazione freudiana, trovo a me più affini le enunciazioni del Maestro, ma non ritengo che quelle di Bowlby, solo per citare un altro illustre psicoanalista, siano nella sostanza divergenti.
Di fatto la perdita di una persona amata comporta nel congiunto la necessità di svincolare l’investimento affettivo (libido) dal defunto e spostarlo su un oggetto sostitutivo. Tale lavoro, di difficile e faticosa esecuzione, è intralciato dall’azione di alcuni meccanismi difensivi e transita necessariamente per una fase di ritiro narcisistico, cioè di ritorno della libido sull’Io.
Si osserva che in un primo momento la persona diniega la morte del congiunto, non riesce a prender atto della sua scomparsa e rimane in una sorta di torpore che può durare qualche ora o qualche giorno.
Passa successivamente ad un periodo, abitualmente di durata più lunga, in cui può alternativamente negare i suoi sentimenti penosi, cercare per proiezione un responsabile della perdita in situazioni e/o persone esterne, oppure rivolgere contro se stesso le accuse della morte del congiunto.
Molto frequentemente, in questa fase, detta anche dello struggimento, il soggetto può mostrare ancora grosse difficoltà ad abbandonare l’investimento libidico sull’oggetto.
Può succedere che una parte dell’Io prenda atto della perdita, mentre l’altra la rifiuti e vi sostituisca uno scenario in cui il morto continua ad esistere. In questo modo il soggetto tende ad estraniarsi dalla realtà per rifugiarsi temporaneamente nel soddisfacimento allucinatorio del desiderio. Si tratta di pseudoallucinazioni tutt’altro che rare soprattutto nelle vedovanze. Si calcola che circa il 50% dei vedovi nei dieci anni successivi alla morte del coniuge vadano soggetti a manifestazioni percettive abnormi: hanno l’impressione di vedere il defunto e di continuare a fare con lui le azioni della vita quotidiana.
Il fenomeno può essere spiegato facendo riferimento al suddetto ritiro in senso narcisistico della libido. Si determina, cioè, una regressione alle prime fasi dello sviluppo (vita intrauterina e primi mesi di vita neonatale), quando il soggetto trae soddisfazione dagli oggetti (attributi materni) che percepisce come prolungamento di se stesso. La frustrazione del desiderio, perché l’oggetto non è raggiungibile, induce la ricerca del soddisfacimento per via allucinatoria. Il successivo fallimento anche di questo tentativo di soddisfacimento conduce da un lato alla costruzione di un oggetto idealizzato che conserva le prerogative dell’onnipotenza narcisistica, dall’altro all’esame di realtà e allo spostamento su investimenti sostitutivi.
Scrive N. Peluffo 8 “…il soggetto si stacca faticosamente da un’idea del mondo globale (cioè centrata su se stesso) per costruire il reale come ci appare, vale a dire differenziato e indipendente da noi. Dal punto di vista affettivo è il passaggio dalla relazione narcisistica a quella d’oggetto…” e vorrei aggiungere che spesso nella vita si può essere indotti a regressioni.
Il lutto ne è un esempio: il soggetto con la morte del congiunto, riceve una ferita, gli viene sottratto l’oggetto del suo investimento. Attua un ritiro della libido su se stesso e cerca un appagamento del desiderio allucinando l’immagine del defunto (dispercezioni visive in cui vede il defunto, immagina di stare con lui, parlargli, ecc). L’esame di realtà e la presa d’atto dell’illusione, rinnova la frustrazione. Il soggetto cerca consolazione nell’idealizzazione del defunto che in questa situazione perde magicamente tutti i difetti e le manchevolezze dell’essere umano, per assurgere ad un’immagine di perfezione e bontà irraggiungibile.
Solo il progressivo distacco da questi meccanismi difensivi, porterà all’esame di realtà e alla completa elaborazione della perdita che equivale alla possibilità vitale di spostare la libido su nuovi oggetti. Mi riferisco non solo a nuovi partners, nel caso delle vedovanze, bensì anche a nuovi interessi ed attività.
Scrive N. Peluffo, 9 interpretando il pensiero di Freud 10 sulla Caducità: “ …se gli oggetti non perissero, la libido non sarebbe mai libera, e al mondo, per il soggetto, non esisterebbe mai nulla di nuovo. La scomparsa degli oggetti è necessaria affinchè la libido, libera, ne investa (vorrei dire, ne inventi) altri e crei “altre musiche” (relazioni), le cui risonanze marginali sfuggano ai gorghi della coazione a ripetere. La perdita crea ciò che rende bella la vita; apre le sinapsi in cui si coglie l’atttimo della creazione. Il resto è statico e aspetta di sparire”.

© Bruna Marzi

Note:

1 S. Freud, Lutto e melanconia, in Opere Vol VIII, ed. Boringhieri, Torino 1976. 
2 K. Abraham, Note sull’indagine e il trattamento psicoanalitico della follia maniaco-depressiva e degli stati affini, in Opere, Vol. I, ed. Boringhieri, Torino 1975. 
3 M. Klein, Psicogenesi degli stati maniaco-depressivi, in Scritti, ed. Boringhieri, Torino 1978. 
4  J. Bowlby, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina editore, Milano 1982. 
5 N. Peluffo, Il comportamento incomprensibile dell’adolescente come manifestazione attuale dell’immagine filogenetica, in Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi n. 10, Tirrenia Stampatori, Torino 1991. 
6 Q. Zangrilli, La vita involucro vuoto, Borla, Roma 1993. 
7 A. A. Schutzenberger, La sindrome degli antenati, Di Renzo editore, Roma 2004. 
8 N. Peluffo, Conoscere l’oggetto, in Editoriale di Scienza e Psicoanalisi, giugno 2005. 
9 N. Peluffo, Libido e Caducità, in Editoriale di Scienza e Psicoanalisi, 4 novembre 2001. 
10 S. Freud, Caducità, in Opere Vol VIII, ed. Boringhieri, Torino 1976.