Sommario
(dedicato al Prof. Umberto Sansoni)
«L’evidente parallelo esistente tra i sistemi di scrittura mediorientali e quelli mesoamericani (zapotechi attestati intorno al 600 a. c.) testimonia come la creatività umana abbia in sé elementi di universalità …» 1
Inventori e scopritori: i percorsi creativi
Il 3 luglio 1908, gli archeologi che stavano scavando nell’antico palazzo minoico di Festo a Creta, s’imbatterono in uno degli oggetti più sorprendenti nella storia della tecnologia: datato intorno al 1.700 a.C., rappresenta di gran lunga il primo esemplare di documento stampato al mondo. Infatti nel disco di Festo i segni non sono incisi a mano, come in tutti gli altri reperti ritrovati sull’isola, ma impressi nella morbida creta tramite degli stampi a rilievo. Esistono almeno altri 45 di questi stampi, ognuno dei quali fu evidentemente costruito con grande cura ed è ovvio che non furono usati solo per un caso singolo: la civiltà che se ne serviva produceva con tutta probabilità una gran quantità di documenti scritti. Questo sorprendente disco costituisce una vera sfida storica. Perché non fu inventato secoli prima in Mesopotamia, in Messico o in qualche altro centro di scrittura orientale? Ma soprattutto, perché ci vollero migliaia di anni perché l’invenzione fosse ripresa, riadattata ed utilizzata con carta e inchiostro? Se le invenzioni sono totalmente imprevedibili, come sembra dimostrare la sua esistenza, ogni sforzo di tracciare linee generali nello sviluppo della tecnologia e dell’inventività umana è destinato a fallire sul nascere. In realtà, le grandi dinamiche storiche si rivelano costellate di disarmonie ed irregolarità evolutive, uno squilibrio che si riscontra in tutti i campi del progresso umano; ad esempio, mentre in Eurasia nascevano la stampa a caratteri mobili, si diffondevano oggetti in vetro comune e le macchine a vapore, in Nuova Guinea e in Australia si usavano ancora utensili litici abbandonati da svariati millenni in altre parti del mondo, nonostante che queste terre fossero ricchissime di rame e ferro. E come si spiega il fatto che gli aborigeni dell’Australia nordorientale non abbiano mai adottato arco e frecce, che le tribù dello Stretto di Torres, con cui commerciavano abitualmente, usavano da secoli?
Una delle teorie più diffuse è quella che dichiara che l’invenzione si ingeneri all’interno di società altamente critiche o problematiche, sotto la pressione della necessità, per cui l’incremento esponenziale della popolazione dovuta all’agricoltura avrebbe spinto gli abitanti della mezza luna fertile dapprima ad elaborare complessi sistemi di canali e in seguito i metodi di scrittura necessari a registrare i movimenti e i depositi di merci e bestiame. In altri termini, le invenzioni nascerebbero quando esiste un bisogno comune largamente diffuso e fortemente sentito: gli inventori potenziali motivati dal desiderio di gloria e di beni materiali, cercherebbero in tal modo di capire il bisogno collettivo e di soddisfarlo, fino al momento in cui qualcuno riuscirebbe a escogitare una soluzione migliorativa, di cui la società si appropria, sempre che sia compatibile con le regole culturali e morali comuni. Tale teoria ci sospingerebbe a credere che gran parte delle invenzioni avvengano dietro sollecitazioni esterne, esplicite e mirate a uno scopo. Ma numerosi esempi dell’antichità e contemporanei ci dimostrano come in realtà il fenomeno innovativo sia molto più complesso. Il dramma del genio che ideò il disco di Efeso fu quello di aver pensato uno strumento di duplicazione e trascrizione che non poteva, per limiti di fragilità strutturale interna, essere usato su larga scala. I nativi mesoamericani immaginarono una ruota, diversa da quella mesopotamica, che non poteva servire a nulla, in quanto non esistevano animali atti a trainare carri, per cui rimase una semplice decorazione scolpita su stele: non di meno, furono inventati veicoli in miniatura, dotati di ruote e assali, che incredibilmente erano solo giocattoli e forse servivano come offerte votive. Quando gli uomini dell’Era Glaciale si accorsero che la combustione di sabbia e calcare lasciava nei loro focolari strani sedimenti opalescenti, per decine di secoli si divertirono a riprodurli, senza poter prevedere la lunga serie di scoperte, molte completamente fortuite, che avrebbero portato alle poco trasparenti finestre dei Romani (I d.C.) attraverso i primi oggetti vetrificati in superficie (Nubia, 4.000 a.C.), i primi manufatti in vetro (Mesopotamia, 2.500 a.C.) e il primo vaso (Egitto, 1.500 a.C.). Possiamo dunque affermare che molte idee siano state partorite, quasi sempre casualmente, semplicemente grazie alla curiosità o al desiderio di baloccarsi a occhi aperti con attrezzi e manufatti, senza che sussistesse una specifica richiesta esterna e collettiva. Inventato un marchingegno, si sarebbe poi trattato di trovarne un’applicazione operativa e solo dopo molto tempo la società si sarebbe accorta di averne ormai bisogno. Può sorprendere sapere che tra queste invenzioni in cerca di un’utilizzazione pratica si annoverino alcuni oggetti fondamentali per la storia moderna, come l’aeroplano, l’automobile, il motore a scoppio, la lampadina o il transistor. Spesso è l’invenzione la madre della necessità e non viceversa. Dopo aver costruito il prototipo del fonografo, la sua più straordinaria creazione, Edison ne specificò l’utilizzo, indicando esclusivamente scopi didattico – pedagogici: registrare libri da far ascoltare ai ciechi, insegnare a scrivere sotto dettatura, annunciare l’ora esatta e altri ancora. Edison confessò al suo assistente che il fonografo non aveva alcun valore commerciale e solo vent’anni dopo, molto riluttante, ammise che il suo apparecchio serviva soltanto a registrare e ascoltare musica. Quando Otto Niklaus costruì il suo primo motore nel 1866, non si avvertiva minimamente la necessità di un nuovo mezzo di trasporto: i cavalli servivano alla bisogna da più di 6.000 anni, non si scorgevano segnali di crisi nella domanda e offerta, e le ferrovie a vapore funzionavano perfettamente da qualche decennio. Fino alla prima guerra mondiale, quando l’esercito si accorse di aver necessità di camionette a motore. Molto raramente quindi un oggetto si inventa pensando di soddisfare specifici bisogni, ma per esercitare quello che potremmo definire un estro creativo, una funzione autonoma che si manifesta nell’urgenza del produrre, del dare origine a un’entità psicomateriale che si origina spontaneamente all’interno del sistema intrapsichico.
Le materie prime degli antichi erano pietra, legno, ossa, pelli, fibre vegetali, argilla, sabbia, calcare e minerali vari: a partire da questi, l’uomo imparò poco alla volta a combinarli, manipolarli, assemblarli secondo dinamiche di tentativi ed errori, animati dal desiderio di conoscere, un’esigenza impellente e imprescindibile nel Sapiens, che è un derivato filogenetico della curiosità di molti animali. In quest’ottica, è possibile considerare gli istinti epistemofilici come costituenti fondamentali dell’Immagine filogenetica.
La tecnologia ci ha fatto passare dai primi utensili in pietra di due milioni e mezzo di anni fa, al moderno computer col quale ho prodotto il mio scritto. La velocità del progresso fu all’inizio impercettibile, quando passarono centinaia di migliaia di anni senza alcun cambiamento apparente, a parte i mutamenti posturali e anatomici. Forma e impiego dei manufatti e materiali adoperati rimasero gli stessi, sin quando si produsse una sorta di accelerazione, basata su due cambiamenti epocali. Il primo è il passaggio agli utensili in osso e pietra ad uso differenziato e di tipo composto, che risale a un periodo compreso tra 100.000 e 50.000 anni fa, reso possibile da modificazioni genetiche che riguardarono la complessità e la plasticità del sistema nervoso centrale, e che diedero origine al linguaggio e all’ Arte Rupestre, fenomeni intrinsecamente correlati. Il secondo balzo riguardò l’adozione di uno stile di vita sedentario, che avvenne in diversi periodi: in alcune zone al minimo 13.000 anni fa, mentre in altre non si è ancora verificato ai giorni nostri. Sempre questa trasformazione si accompagnò alla nascita delle produzioni alimentari pianificate, che richiedevano una costante presenza accanto ai campi e che permisero l’accumulo di cibo in eccedenza ma soprattutto di elaborare forni e torni. I precursori della ceramica sono considerati alcuni oggetti in creta ritrovati in Cecoslovacchia, databili a 27.000 anni fa e quindi molto più antichi dei primi recipienti in terracotta giapponesi di 14.000 anni fa, i primi cesti appaiono con certezza 13.000 anni fa e i primi tessuti intorno a 9.000 anni fa: l’agricoltura permise anche di mantenere una classe di specialisti non dediti alla produzione di cibo e che poterono così dedicarsi alla formulazione dei primi alfabeti.
Genialità e psicopatologia
A prima vista, l’accostamento tra la psicopatologia e il pensiero creativo può apparire ingiustificato, dato che il processo innovativo non ha nulla di patologico e, come appena evidenziato, merita di essere auspicato e favorito: lo studio della creatività costituisce infatti una parte importante delle scienze umane e può essere condotto in diversi modi. In questo lavoro, servendomi di un’espressione coniata da N. Peluffo in un diverso contesto, col termine di “processo inventivo” designerò una serie di operazioni psichiche, per mezzo della quale l’essere umano tenta di trascendere, in modo soddisfacente, l’ordinario schema dello stimolo-risposta. Benché esista una fondamentale differenza tra l’Animale, che ha limitate possibilità di risposta, tracciate dallo stimolo genotipico, e il Sapiens S., capace di creare simboli e manufatti grazie alla sua plasticità neuronale, ciononostante anche l’uomo tende a reagire con comportamenti inerziali e stereotipati. Il comportamento creativo permette di liberarsi dai vincoli che questa tendenza alla staticità impone, senza tuttavia trascurare le restrizioni imposte dal sistema secondario e dalla rigorosa aderenza al principio di realtà, che in ogni caso viene rispettato durante l’ effettivo processo creativo. È infatti a questo preciso livello che si attua la differenziazione tra la sregolatezza della bizzarria momentanea e l’originale realizzazione artistica ed inventiva, capace di estendere e diffondere stabilmente il dominio dell’esperienza umana, arricchendola di nuovi oggetti, da raggiungere e sperimentare. Se si tengono saldi questi due elementari principi, ossia l’aderenza alla realtà e la costruzione di nuovi oggetti da percepire concretamente e trasmettere all’altrui esperienza, immediatamente ci si accorge che il binomio genio-sregolatezza, a parte pochissime eccezioni ben motivabili, costituisce una semplice annotazione aneddotica, sprovvista di veridicità e costrutto di fantasie malate o perverse (che molto spesso fungono da pretesto per assumere liberamente sostanze psicotrope). Ad esempio, per anni C. Lombroso (1864) tentò di dimostrare che la genialità fosse espressione di una “psicosi degenerativa”, ma l’esistenza stessa di grandi personaggi come Beethoven, Tiziano, Newton ed infiniti altri inficiarono totalmente la sua teoria.
L’unica stramberia caratteriale di J. Piaget (vedi foto ) fu quella di scordarsi costantemente le mollette da bucato con cui era solito pinzarsi i risvolti dei pantaloni perché non si ungessero col grasso di catena della bicicletta, A. Einstein passeggiava con i calzini spaiati e di differenti colori, interpellato dai necrofori sulle modalità di sepoltura dell’adorata consorte scomparsa prematuramente, J. S. Bach rispose: «Non ne ho la minima idea, rivolgetevi a mia moglie». S. Freud adorava i suoi sigari e la carne d’oca, L. Pasteur fu un fervente credente, al limite della santimonia, ma questi fatterelli non possono in alcun modo suffragare una relazione irreversibile tra psicopatologia e creatività, mentre i disturbi caratteriali che affliggevano sia Caravaggio che Mozart , secondo le ultime teorie, sarebbero da includere tra i sintomi di un’oliguria congenita più che agli effetti di una genialità scompensatrice.
Solo con la scuola psicoanalitica si concretizzò un nuovo e più soddisfacente modello teorico per affrontare il problema della creatività. S. Freud considerò l’impulso all’innovazione come un tentativo di risoluzione psichica (sublimazione) del conflitto primario tra le fondamentali pulsioni biologiche, che, come il Sogno, opera una realizzazione mascherata dei profondi desideri inconsci rimossi: «Lo scrittore attenua il carattere egotistico della fantasticheria con spostamenti e mascheramenti e, nella presentazione delle sue fantasie, ci alletta con l’offerta di un piacere puramente formale, cioè estetico». 2 Secondo Freud inoltre, le esperienze sessuali infantili rimosse hanno sempre un’importanza fondamentale riguardo al contenuto della creazione, e si può far risalire la possente ambizione dello scopritore al primigenio desiderio di conoscere l’ignoto che circonda la sfera della sessualità genitoriale, nel corso del normale sviluppo del bambino a partire dal terzo anno di età. Tale operazione di trasformazione dalla curiosità all’esplorazione mentale si attua quando lo sviluppo intellettuale è sufficientemente consolidato e la motivazione inconscia può interagire con i processi razionali. Se i desideri primari veicolati dalle azioni del vedere, toccare, annusare, gustare, udire – vale a dire l’Immagine così come fu definita da Peluffo nel 1984 – che alimentano la spinta a conoscere, costituiscono un aspetto importantissimo del problema, tuttavia non lo esauriscono, perché un quesito molto più importante ed avvincente rimane quello di determinare le ragioni e le modalità per le quali solo pochi individui riescano a trasformare le rappresentazioni e gli affetti rimossi legati alle esperienze arcaiche in prodotti realmente creativi, innovatori ed inventivi. Nell’ambito della scuola freudiana, Ernst Kris fu l’autore di maggior rilievo che abbia studiato la creatività non esclusivamente dal punto di vista della motivazione inconscia, evidenziando l’importanza del processo primario nel meccanismo formale della creatività. Col termine di “processo primario” la teoria freudiana designa una particolare forma di organizzazione che regola i processi inconsci, caratterizzata, dal punto di vista delle rappresentazioni, da fenomeni basici ed elementari quali lo spostamento, la condensazione e la sostituzione, mentre, dal punto di vista degli affetti, il processo primario si distingue dalla facilità e immediatezza della scarica libidica che non incontra ostacoli, e in parallelo, dal libero passaggio della stessa carica libidica da un oggetto all’altro, senza soluzione di continuità o interruzioni. Kris considerò la trasposizione del processo primario all’interno della creatività come una regressione non mediata al servizio dell’Io» 3 , ovvero i processi di condensazione, spostamento e sostituzione si trasferiscono nel preconscio e possono affacciarsi alla Coscienza: l’individuo creativo deve quindi possedere una sufficiente ‘permeabilità’ intrapsichica da permettere il passaggio dei processi primari oltre la barriera della rimozione, e, contemporaneamente, una strutturazione egoica tale da poter elaborare i suddetti processi in modo coerente e sintonico con il principio di realtà. La prima fase può essere facilmente amplificata da una qualsivoglia stimolazione chimica psicotropa, creando in tal modo stati di esaltazione visionaria, normalmente alcool e droghe, ma si annoverano anche gli effetti affini provocati da suoni ritmici, danze ed altri eccitatori fisici, ed è agevolmente e diffusamente esperibile da larghi strati di popolazione ordinaria: è proprio questa prima fase ad ingenerare una fallace identità tra creatività e psicopatologia, dando adito alla confusione. All’opposto, lo sviluppo successivo, che compete l’inserimento di tali sollecitazioni all’interno di schemi codificabili, ripetibili e trasmissibili, ossia riguarda l’integrazione con i funzionamenti propri del sistema secondario, concerne e coinvolge in realtà pochissimi individui, in grado di elaborare veri e propri meccanismi cognitivi di comprensione e gestione diretta dei processi primari.
In altri termini, la regressione trascina la capacità di formulazione logica, che permette di organizzare il primario tramite l’identificazione di nuove classificazioni e categorizzazioni che normalmente vengono inibite nel secondario dove vige il principio di non contraddizione, che statuisce come sia impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo». 4 Molto è stato scritto e delucidato, anche dallo stesso S. Freud, a proposito delle equivalenze simbolico-oniriche che interconnettono armi da taglio, da punta (e poi da fuoco) con le spinte falliche rimosse che vengono riattivate durante l’attività del Sonno-Sogno. Io mi limiterò a segnalare l’innegabile somiglianza che intercorre tra alcune amigdale primarie utilizzate come chopper e la struttura morfologica del glande: non se ne può che evincere che il pensiero analitico, fondato sul principio d’identità e di non contraddizione, si dimostra necessariamente e universalmente vero, descrive con precisione la realtà, la conserva e la trasmette, ma non estende la conoscenza, dato che è possibile mediante esso formulare solo un numero limitato di operazioni logico-deduttive.
Credo che un buon esempio concreto d’inventività ci provenga dal primo “chopper“, strumento immaginato dall’H. Habilis due milioni di anni fa, quasi sicuramente primo anello di una catena infinita di azioni creative che ancora oggi ci sorreggono. Il chopper era al contempo ascia, coltello, raschiatoio, punteruolo, martello, ed altro ancora, tutto rinchiuso entro un’unica scheggia di silice, che si ripete nel contemporaneo “Swiss Tool“, strabiliante attrezzo multiuso elvetico. In entrambi i manufatti, che ridondano ma non si annullano, è sempre il Sistema Primario che rimodula in continuazione, secondo modalità associative stocastiche rette dal principio di piacere,classi di oggetti in sé estranei, inconciliabili e praticamente incompatibili, ma è il Sistema Secondario che ne organizza le reciproche relazioni, armonizzandoli all’ interno di serie omogenee, facendo coesistere un cacciavite, un metro, un compasso, un portachiavi, un seghetto, una lente d’ingrandimento, un coltello, una chiave inglese e cento altre funzioni rinchiuse in un unico manico di plastica e metallo.
Occorre perciò inserire un altro tipo di organizzazione, quello relativo alla logica del processo primario, suscettibile di enunciare serie diverse di interpretazioni, categorizzazioni e decifrazioni disomogenee, ma che in realtà si riferiscono sempre allo stesso oggetto. In questa dimensione, senza il magico ‘insufflare’ del Primario, il chopper sarebbe rimasto semplice lamina di pietra senz’anima, ma senza il costrutto del Secondario non avrebbe mai potuto essere trasformato in utensile vitale, ripetibile e rinnovabile. Questo semplice esempio è estendibile a ogni invenzione umana.
Per fuoriuscire dalla dimensione magico – operatoria dell’allitterazione, è tuttavia necessario tentare una sia pur rudimentale e approssimativa definizione di quello che ho retoricamente definito nei termini di “insufflare” del sistema Primario, introducendo uno dei principi capisaldi dell’Evoluzionismo darwiniano, che Nicola Peluffo predilesse in modo particolare :«È il movimento che ingenera la forma, ma è la forma a determinare il movimento». In modo succinto, il movimento effettuato da un organismo vivente seleziona una forma specifica la più adatta a compierlo, come “migliore caratteristica” da ripetere, consolidare e trasmettere alla propria discendenza. È così, per esempio didascalico, che l’ala di un pennuto si trasforma praticamente in pinna natatoria, ripetendo per generazioni le azioni del tuffarsi, nuotare e pescare. È quindi l’insieme di movimenti, naturali, riflessi o appresi con l’esercizio, che consentono a un pinguino di possedere ed utilizzare un’appendice propulsiva e stabilizzatrice che è un’ala/pinna: il movimento ha ingenerato una forma caratteristica. D’altra parte, è proprio la struttura ossea corta, robusta e massiccia, adattata al nuoto e non più al volo, ossia la forma, che consente all’animale lo sviluppo di nuovi movimenti di prensione, per esempio quello di afferrare l’uovo e posizionarselo sopra le zampe inferiori, movimenti che risultano totalmente inibiti ad altre speci di uccelli: è quindi la forma che assegna esattamente i confini di movimento alla variabilità dei caratteri che sostengono la motricità dell’ultima trasformazione. Pare fu proprio in questo modo che un primate arboricolo, il Moropithecus bishop vissuto circa 21 milioni di anni fa in Uganda, 5 sviluppò una struttura scheletrica e vertebrale che gli consentì di assumere la posizione eretta e che tale variazione nella deambulazione determinò, 15/18 milioni d’anni dopo, quell’allargamento della scatola cranica e conseguente ampliamento della massa cerebrale, che resero possibile la biforcazione nell’ Australopiteco Ominide, in una concatenazione evolutiva di convergenza tra movimento e forma che ha ingenerato tutta la speciazione stasipratica umana.
Per riassumere, possiamo considerare il fenomeno psichico espresso nell’aforisma del “magico insufflare dell’Es”, ossia la creatività e l’innovazione, nei termini di un’improvvisa ed inaspettata immissione di movimenti, prima inibiti o rimossi, all’interno del Preconscio profondo, che li trasforma elaborandoli in rappresentazioni (quasi sempre visive, meno frequentemente sonore o tattili, molto raramente olfattive o gustative). In ultima analisi, le rappresentazioni altro non sono che forme mentali, conservabili, riconoscibili e trasmissibili.
Desidero specificare tale affermazione utilizzando una simbologia archeologica fondamentale e geodetica, quella connessa con le reiterate riproduzioni dell'”Uroboro”, immagine archetipale interconnessa a una moltitudine di altre raffigurazioni emblematiche, quali la svastica, la croce, il nodo di Salomone o lo Yin e Yang orientale. 6 In estrema sintesi, l’Uroboro rappresenta l’Unità dell’Universo, solidale e conforme all’Uno/Tutto, in una ricapitolazione figurativa senza soluzione di continuità, che forma un sistema circolare globale esente da contraddizione tra gli opposti, e richiama, forse casualmente, anche la forma cosmica della Via Lattea. Immagine d’incredibile dinamicità e fascinazione, l’Uroboro dischiude il proprio
mistero solo inserendo nella plasticità della sua forma prossima alla perfezione le tracce mnestiche di una motricità primigenia rimossa ed inibita: per conservare la precedente serie, stabilita in modo illusivo, tra Moropithecus – Australopitecus – Habilis – Erectus – Neandertal – Sapiens, si può affermare che ogni primate-ominide (ma non solo) è stato uroboro in qualità di embrione che si ripiega avvicinando la coda all’apertura boccale in caso di sollecitazioni perturbanti, ricostruendo in tal modo l’unità placentare interrotta, e poi di feto che succhia dita e mano, e successivamente di lattante che si ricongiunge oralmente al proprio piede in mancanza del capezzolo, in una circolarità senza interruzioni che tenta di annullare la discontinuità traumatica. 7 L’Uroboro riunisce, rappacifica, tranquillizza, seda l’esistenza, è la quiete prima della perturbazione catastrofica. Per parafrasare Kris, il primo Sapiens S. che lo rappresentò, seppe regredire, quasi sicuramente in sogno, fino alle tracce mnestiche motorie più precoci del proprio sviluppo intrauterino, conservando tuttavia la capacità di ricordare e riprodurre le immagini cinestesiche esperite durante l’attività onirica. E a diffonderle nel mondo.
[alert type=”green”]A proposito di creatività scientifica e pensiero innovatore, leggo e trasmetto:: (dal “Secolo XIX” DEL 13 APRILE 2014) Roma –
« Non sempre le eredità che si ricevono possono essere positive, specie quelle genetiche, soprattutto se un nostro avo ha subito dei traumi. Queste trasmissioni genetiche studiate sui topi probabilmente hanno effetto anche sull’uomo. Ci possiamo ritrovare quindi a vivere con paure o traumi che hanno avuto i nostri genitori o addirittura i nostri nonni, nel corso della loro vita. Il processo genetico per il quale i traumi possono essere tramandati di generazione in generazione è stato individuato dai ricercatori del Brain Research Institute dell’Università di Zurigo che hanno pubblicato un articolo sulla rivista Nature Neuroscience. I ricercatori, coordinati da Isabelle Mansuy, sono riusciti ad identificare dei componenti chiave di questo processo che sono le piccole frazioni di materiale genetico chiamato micro RNA. Queste brevi sequenze sono i veicoli con cui vengono trasmesse le istruzioni per costruire le proteine ma conservano anche la memoria di eventi traumatici. Per identificare il meccanismo sono stati messi a confronto dei topi adulti che erano stati esposti a condizioni traumatiche nei primi anni di vita con altri topi non traumatizzati. I ricercatori hanno studiato il numero ed il tipo di micro RNA nei topi traumatizzati ed hanno scoperto che lo stress traumatico altera la quantità di diversi micro RNA nel sangue, nel cervello e nello sperma. Avendo ereditato le esperienze traumatiche, i topi si sono comportati in maniera diversa. Hanno perso la loro naturale avversione ad uscire negli spazi aperti e ad esporsi alla luce ed hanno mostrato, inoltre, comportamenti depressivi. Questi sintomi comportamentali sono stati trasferiti tramite sperma, anche se la prole non è stata esposta allo stesso tipo di stress traumatico» * . «L’Homme en micropsychanalyse » di S. Fanti è stato pubblicato nel 1982, la ricerca micropsicoanalitica ha preconizzato i risultati della sperimentazione neurobiologica con almeno 32 anni d’anticipo.
Con tutta evidenza, il Prof. Nicola Peluffo è ben presente e operante in mezzo a noi, continuando a comunicare tramite le pagine del suo amatissimo quotidiano genovese. [/alert]
Relazione tra inventiva e il Test di Rorschach
Un giorno di primavera del terzo ed ultimo anno del corso di specializzazione post-laurea in Tecniche Proiettive, M.me Nina Rausch de Traunbemberg, docente di Psicodiagnosi al Test di Rorschach, si presentò in aula con un grosso fascio di fotocopie, che si mise a distribuire con parsimonia tra i banchi: una copia ogni due allievi, che avrebbero dovuto condividerseli. «Voici les protocoles de deux astronautes, apprenez-les par coueur» (ecco i protocolli di due astronauti, imparateli a memoria) senza aggiungere null’altro. Nessuno seppe mai come Madame avesse potuto ottenere quei preziosi documenti (si mormorava forse tramite la famiglia di S. Beck, ma erano pettegolezzi), fatto sta che la curiosità collettiva schizzò alle stelle, soprattutto per il motivo che sulle sbiadite fotocopie tutte annerite dall’eccessiva esposizione, si potevano indovinare le due iniziali, K.M. sul primo e R.O. sul secondo, o forse era una P.O., la grafia scolorita e tremolante dava adito a fondati dubbi. Chiaramente, all’epoca gli ‘astronauti’ non potevano che essere americani, vista l’impenetrabilità della cortina di ferro che proteggeva, isolandoli, i Russi e soprattutto non esistevano piloti spaziali di altre nazionalità: la sola ipotesi di un Umberto Guidoni, Franco Malerba o Luca Parmitano era da considerarsi pura allucinosi nazional-populista. Nel 1974 il “Net” si chiamava ancora ARPAnet e serviva esclusivamente a collegare i migliori centri universitari di ricerca (MIT di Boston, Santa Barbara Utah, Università della California, e altri) con le principali aziende di armamenti americane, tutte connesse con il ministero della Difesa Nazionale. Per attribuire un corpo, anche solo ipotetico, a quei tremuli segni grafici, si imponeva una ricerca sesquipedale, che ci avrebbe mobilitati per settimane intere nel tempo libero, suddivisi in gruppetti di lavoro, incollandoci le orbite agli oculari dei lettori di microfilm sparsi ovunque, dalle biblioteche nazionali alle redazioni dei principali quotidiani e di riviste specializzate, alla ricerca di mitici piloti dell’US. AirForce, reclutati dalla NASA agli inizi anni 60, i cui cognomi e nomi avessero potuto coincidere con i nostri indizi. Una storia da matti, ma avevamo vent’anni e il desiderio di conoscere era impellente, ed inoltre, al di sopra di ogni altra considerazione, entravano in gioco chiari elementi di prestigio, autorevolezza e carisma della professione: se le potenzialità psichiche di astronauti americani erano stati vagliate anche mediante l’ausilio del Test di Rorschach, analogamente se ne sarebbe potuto postulare l’utilizzo nelle procedure di arruolamento del celebre MI5, nei servizi segreti britannici dove militavano James Bond, Harry Palmer,Andrew Craig e altri loro illustri colleghi! Comunque, il mestiere ne avrebbe ricavato un’importante investitura in rispetto, dignità e virile considerazione (Sally Ride avrebbe volato solo nel 1983, mentre la russa Valentina Vladivirovna, per biechi motivi di propaganda anti sovietica, fu falsamente sospettata di androginia steroide). Alla fine di questo estenuante impegno, si giunse ad individuare due possibili candidati, con iniziali perfettamente coincidenti: Ken Mattingly, destinato alla missione Apollo del 1966, e Robert Overmyer assegnato al Manned Orbiting Laboratory (MOL), progetto che fu in seguito annullato. Che fossero proprio loro gli ipotetici cosmonauti sottoposti al Rorschach non ne avemmo mai certezza assoluta, dato che tutto il piacere risedette nell’avventura della ricerca, nella coordinazione e nello scambio quasi quotidiano delle informazioni, che avvenivano oralmente, prima dell’inizio dei corsi, e poi l’anno accademico volgeva al termine, scemando l’interesse che si orientava ormai verso spiagge e altre amenità vacanziere.
La pratica del Test è, per intrinseche e logiche ragioni, confinata entro i limiti spesso angusti della Psicologia Clinica e Patologica, e rivolta a popolazioni a volte sofferenti, talora gravemente disturbate. Tuttavia rimane pressante in molte persone l’impulso a sapere come si configuri il protocollo di una persona ‘superdotata’, ossia che possegga facoltà intellettuali, artistiche o scientifiche superiori alla media. «Molto deludente», risponderei a tale curiosità, demolendo sul nascere qualsiasi aspettativa di risposte mirabolanti, straordinarie o meravigliose. Tutti gli indici divergenti sono azzerati, non si registrano dunque Sindromi d’Insicurezza o Tipologie Ansiose, il T.R.I. risulta equilibrato, la Formula Interna sovra determinata in risposte FC, che appaiono numerose e ben adattate. Non si evidenziano segnali di angoscia, quali i Clob puri o C’F, anche le risposte sfumatura (E) sono sempre vincolate a solide percezioni formali che ne attenuano l’impatto emozionale. La F% è vicina ai limiti massimi della norma, mentre la F+% è uguale a 100. Ogni risposta Globale è chiosata da almeno due risposte in D, non si registrano segni di Choc di alcun tipo, le risposte cinestesiche Umane, non troppo numerose, derivano direttamente dalla percezione degli elementi oggettivi dello stimolo, mentre quelle Animali scaturiscono spontaneamente in modo molto misurato. Le Banali superiori sono saldamente posizionate nella loro area logica e funzionale, senza possibilità di fluttuazione. La successione si evidenzia come ordinata, senza assumere andamenti troppo rigidi e i tempi di latenza non subiscono particolari variazioni. L’unico elemento specifico ma non patognomonico di tali personalità, è costituito dalla presenza, spesso dalla frequenza statistica sicuramente inabituale, delle risposte G secondarie che si trasformano in Originalità +: queste elaborazioni dello stimolo secondo schemi non stereotipati, costituiscono la vera essenza della personalità creativa, superiore alla media ed esente da disturbi caratteriali.
Protocollo esemplificativo
Soggetto maschio, caucasico, di consolidata origine italica.
Il personaggio è molto famoso e riconosciuto a livello planetario, grazie alla quasi miracolosa capacità innovativa del suo pensiero, che ha modificato, in meglio, la vita di un numero incalcolabile di persone. Il suo protocollo mi è giunto sul desktop per vie traverse. Coinvolto suo malgrado in una diatriba legale per l’affidamento del figlio minorenne, mentre la moglie, grazie alle sue (di lui) risorse, rimbalzava da una sponda all’altra dell’Atlantico, dalla Tavistock Clinic di Marta Harris a Londra, alla Scuola di Palo Alto in California, in cerca di perizie prestigiose che le affidassero il monopolio del pargolo in totale esclusiva, il nostro misterioso luminare, non so bene se per mancanza di tempo, semplice disinteresse o vero e proprio colpo di genio, si recò presso i Servizi Socio Sanitari siti nei paraggi sotto casa, per esporre il proprio caso allo psichiatra di turno, incontrato lì per pura combinazione. Il fatto è che le autorità giudiziarie dei Tribunali dei Minori e delle C.T.U., ormai ragguagliate, danno molto più rilievo e risalto al parere dei consulenti e periti nominati dal Giudice e selezionati presso i professionisti delle Aziende Sanitarie Locali, senza esaltarsi o rivolgere particolare attenzione alle perizie private, sia pur di grande nomea e risonanza internazionale. Fu così che lo psichiatra che lo accolse, amico fraterno del primario capo del servizio in cui abitualmente assolvo le mie mansioni di Formatore, e già precedentemente informato da quest’ultimo sulle mie eccelse e leggendarie (sic!) capacità psicodiagnostiche al test di Rorschach, mi richiese un parere. Siccome fui proprio io a introdurre tale pratica in ambito peritale legale, non potetti esimermi dal supervisionare il caso.
Ora, reso accorto dalla mia pregressa ed indiscreta curiosità sull’identità degli astronauti e ben sapendo che qualcheduno dei miei ventunonarratari (è chiaro che non posso pretendere di avere più Lettori del Manzoni, che ne conteggiava 25) è un vero esperto cibernauta, tento di presentare il caso pur mantenendo il più stretto riserbo professionale, confidando che il misterioso personaggio rimanga ‘sfioccato’ nella nebbia dell’assoluta anonimia.
(Dettaglio chiarificatore: il soggetto è affetto da orecchie prominenti veramente considerevoli).
Tav. I: 12″:
Beh! A prima vista direi una farfalla, nera con grandi ali
(?) In tutta l’immagine per la forma e il colore
G, FC’, A, Ban
Poi qui al centro un insetto, direi un coleottero
(?) Qui in mezzo (D centrale) sempre per la forma di coleottero e il colore scuro
D, FC’, A
> Di lato, due bestiole, come porcelli con orecchie drizzate
(?) I due D laterali visti in posizione ruotata, per la forma e le orecchie un po’ sproporzionate
D, F+, A
Due minuscoli alberelli, con la chioma tonda
(?) Nei Dd di bordura: assomigliano a due meli
Dd, F+, Nat.
Tav. II: 15″:
Questa la riconosco: due ragazzini che giocano a battersi le mani, dammi il “cinque”!
(?) I due D laterali + i D rossi: che sono i cappellini dei ragazzi che giocano
G, K/FC, U
> Due cagnetti neri, come barboncini e le orecchie a punta
(?) I due D laterali ruotati, per la forma delle zampe e il pelo riccio e scuro
D, FC’, A
Una trottola al centro , verniciata di bianco
(?) Nel dettaglio bianco centrale, per la forma e il colore
Dbl, FC’, ogg.
Una farfalla rossa sotto, delicata
(?) Per la forma e il colore delicata perché quasi in trasparenza
D, FC, A
Tav. III: 8″:
Una scena di Cancan in un locale notturno parigino
Allora qui abbiamo due camerieri, riconoscibili per il classico grembiule bianco e la posizione inclinata
G, K, U, Ban/ Ddbi, C’F, ogg.
Si stanno occupando del tavolino al centro
D, F±, ogg.
E tengono in mano come fiasche di bevande
D, F±, ogg.
Ai lati si intravede il sipario rosso del palco
D, FC, ogg.
Una tipica scena di un locale parigino
G, FC/K, Scena, originalità +
Un papillon rosso
(?) Dettaglio rosso al centro, per la forma e il colore, chiaramente un papillon da smoking
D, FC, ogg, Banale
\/ una ranocchia, bruttina
(?) D nero al rovescio, per il muso appuntito e la forma delle zampe e il colore scuro
D, FC’, A
Due stoccafissi
(?) Le “gambe” degli omini:sembrano pesci lunghi e secchi che ricordano gli stoccafissi appesi
D, F+, cibo
Tav. IV: 12″:
Uhm, difficile questa, direi
Una lumachina
(?) D piccolo su D centrale
Dd, F+, A
Un paio di stivali sfondati
(?) D laterali, le suole si stanno scollando
D, FC’, ogg.
Un tronco d’albero
(?) D mediano inferiore: per la forma frastagliata e il colore nerastro
D, FClob, Nat.
Due teste di piccoli coccodrilli
(?) D laterale superiore, per il muso e i denti
DDbi, FC’, Ad
Due elmetti tedeschi della Iª guerra
(?) Piccoli dettagli superiori di bordura, per l’elmetto chiodato
Dd, F+, arma
Tav. V: 7″:
Un pipistrello
(?) In tutta l’immagine, per la forma e il colore,con le orecchie a punta
G, F+, A, Ban
\/Una farfalla
(?)Vista al rovescio assomiglia più a una farfalla che non a un pipistrello
G, F+, A
La testa di un leprotto
(?) D mediano superiore: per le lunghe orecchie
D. F+, A
Due uncini
(?) Dd centrali per la forma
Dd, F+,ogg.
Tav. VI: 12”:
A prima vista direi la pelliccia distesa di un animale, un felino che funge da tappeto
(?) Il tappeto nel D espanso inferiore
D, FE, ogg, Ban
Il D superiore: testa e collo del felino
D, F±, Ad
E qui una specie di totem come quello dei pellirosse
D, FE, ogg. religioso
Le parti esterne il muso allungato di due strani animali
(?) I Dettagli mediani esterni
Mi ricordano un po’ il tartufo di un cane
D, F+, Ad
Qui due piccoli uncini
(?)Dd inferiori, per la forma
Dd, F+, ogg.
Tav. VII:11”:
Due signore di altri tempi che stanno prendendo il the chiacchierando
(?) D laterali: per la crocchia dei capelli e la postura, hanno le mani sporte all’esterno
G, K, U -> Originalità +
Due coniglietti
(?)D laterali, per il corpo e le orecchie
D, F+,A (perseverazione di tema)
< Due cagnolini
(?) D laterali: girati così assomigliano a due fox terrier
D, F+, A
Tav. VIII: 6”:
Due porcellini che si arrampicano su cespugli
(?) Sembrano quadrupedi che si arrampicano, sono rosa e quindi maialini
D, Kan/FC, A, Ban
La cima di un pino o abete
(?) Per la forma a punta e il colore
D, FC, Nat
Due cacciatori che si riposano sotto il pino illuminati dal riflesso del fuoco
(?) D rosa/arancio inferiore: sono seduti uno contro le spalle dell’altro, incappucciati e
D, K, U, Originalità +
illuminati dal riflesso del fuoco
D, CF, fuoco
Tav. IX: 13”:
Qui abbiamo le teste di due cervi
(?)D laterali, per la forma e il colore rossiccio
D, FC, A
Che spuntano da dei cespugli colorati
D, CF, Nat
La parte rosa mi ricorda dell’ovatta colorata, batuffoli rotondi
D, FC, ogg
Tav. X: 7”:
Un acquario, bellissimo
(?) Allora, qui D grigio sup. abbiamo l’erogatore dell’ossigeno e del cibo
E tutto il resto sono pesci colorati che nuotano, crostacei marini, alghe, conchiglie
G, CF/Kan, Scena Originalità +
Scelta preferenziale +: La II, la VIII e sicuramente la X
Scelta preferenziale – : La IV, la VI perché sono più indistinte e anche un po’ la I, meno bella
Considerazioni riepilogative
La superiorità intellettuale non contempla necessariamente uno sviluppo armonico della personalità, anche se si pone indubbiamente come fattore determinante nei processi di adattamento alla realtà e di strutturazione socio – culturale. Dal punto di vista clinico,molto sovente si osservano dei dislivelli anche importanti tra uno sviluppo sproporzionato delle facoltà logico-superiori e la maturazione delle componenti affettive, squilibrio che quasi regolarmente conduce i soggetti superdotati a manifestare tendenze verso l’instabilità emotiva e comportamenti regressivi, sviluppando fantasie di onnipotenza e autorealizzazione magica. Particolare importanza assumono in questi casi le modalità di controllo delle spinte aggressive, che normalmente vengono introflesse producendo comportamenti di auto-esclusione e isolamento sociale, meno frequentemente, gravi disordini di personalità a sfondo paranoideo.
Dal punto di vista etnico, le famosissime ricerche condotte da L. M. Terman 8 – che seguì in uno studio catamnestico 1.400 bambini dall’età scolare fino alla maturità, per un periodo totale di 30 anni-, misero in evidenza un’importante percentuale di bambini superdotati di origine ebrea rispetto alla popolazione generale, dimostrando in tale popolazione una maturazione più precoce delle facoltà intellettive e una miglior capacità di elaborazione dell’intelligenza, rispetto a gruppi di coetanei appartenenti ad altre etnie e a parità di livello socio-culturale ed economico, rilevando specificamente una significativa superiorità nella curiosità e nelle conoscenze generali, in calcolo, ortografia , storia e capacità logico-astratte, senza rimarcare grandi differenze nei lavori manuali e nello sviluppo psicomotorio. Tuttavia, le performances nelle attività sportive risultarono molto al di sotto della media della popolazione generale. Non bisogna però dimenticare che gli studi di Terman considerarono unicamente soggetti statunitensi, sicuramente molto diversi dai superdotati europei ed asiatici, mentre, ancora attualmente, risulta estremamente difficoltoso identificare bambini intellettivamente super dotati in America centro meridionale e in Africa, vista la ristrettezza dei mezzi d’investigazione e la povertà ambientale. A mio avviso è molto interessante notare come dal punto di vista del carattere e della personalità, sempre secondo queste informazioni, i soggetti intellettualmente superiori siano statisticamente meno inclini a sviluppare disordini o disturbi caratteriopatici, dimostrando una grande stabilità emotiva e una migliore socialità, sollevando l’ipotesi che esista una forte correlazione tra l’intelligenza e l’equilibrio psicoaffettivo. Terman conclude la sua sperimentazione ammettendo che i superdotati conservano per tutta la vita la loro superiorità intellettuale, emotiva e sociale e che tale primato molto frequentemente tende a sfociare, nei casi di predisposizione logico-matematica, sul piano dell’invenzione, mentre nei casi caratterizzati da inclinazioni all’espressività logico-simbolica, nella produzione letteraria, artistica o musicale.
In conclusione, tenendo conto di tutti i dati evidenziati, mi sembra sia possibile affermare che i processi creativi ed innovativi costituiscano di per sé un fattore fondamentale di stabilità ed armonia all’interno dei processi di costruzione dell’Io, in grado di deviare gl’istinti pulsionali in direzioni completamente inaspettate, utili alla collettività e all’ individuo stesso, che in teoria dovrebbe risultare funzionalmente più armonico, adattato e meno conflittuale. Quindi, inventiva e creatività dovrebbero porsi esattamente come processo anti-affabulatorio fisiologico e naturale, in grado di sedare la propensione all’allucinazione primaria e alla costituzione di nuclei complessuali particolarmente virulenti. Tali capacità dovrebbero costituire in tal senso un vero e proprio strumento supplementare messo a disposizione dai processi di ominazione, in grado di demoltiplicare le spinte epistemofiliche generali presenti nel sistema Sapiens S. In pratica (come dimostrerebbe la verifica empirica neurobiologica delle scoperte micropsicoanalitiche compiute in seduta), l’eredità traumatica, molto probabilmente veicolata nel RNA tramite sperma, scompiglia i processi adattativi elaborati dall’Evoluzione, riconducendo molto spesso il Genio all’interno dei disturbi caratteriopatici che affliggono tutti gli esseri umani. Ed è per questo che, a proposito del binomio genialità-apprendimento, S .Freud scrisse: «L’educazione deve cercare il proprio cammino tra gli scogli di una permissività troppo lasca e quelli di una repressione troppo violenta ». 9 Personalmente, penso che l’azione pedagogica agisca tentando di perpetuare l’ordine costituito esistente nel mondo esterno, cioè la Società, mentre la psicoanalisi cerchi di stabilire un profondo equilibrio interno, peculiare a ogni Individuo.
Note:
– 1 J. Marcus «La scrittura zapoteca», “Le Scienze (Scientific American)”, n°140, apr.1980, pag.34-49
– 2 S. Freud «Il Poeta e la fantasia» in: “Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio”, O.S.F. vol. I, Ed. Boringhieri, Torino, 1969
– 3 E. Kris: «Ricerche psicoanalitiche sull’arte», trad. .E. Facchinelli,Einaudi, Torino, 1967
– 4 Aristotele: «Metafisica», Libro Gamma, cap.3
– 5 Aaron G. Filler: «The Upright Ape: A New Origin of the Species», Harvard Ed., 2011
– 6 U. Sansoni: «Il Nodo di Salomone, simbolo e archetipo di Alleanza», Elemond Editori, Milano, 1998
– 7 In realtà, la regressione più profonda allo stadio di sviluppo embrionale viene operata mediante alcune perversioni veramente arcaiche, come quella che affliggeva Gabriele D’Annunzio, che la leggenda vuole si fosse fatto asportare le costole fluttuanti per poter esercitare più liberamente l’auto-fellatio: tuttavia, anche in questo caso non è possibile stabilire l’equivalenza tra genialità e sregolatezza, dato che tale nucleo di fantasie autoerotiche contraddistingue con maggior frequenza soggetti molto meno dotati artisticamente ed intellettualmente del Vate.
– 8 L. M. Terman: «Genetic studies of genius», Stanford University Press, California, 1959
– 9 S. Freud « Cinque conferenze sulla Psicoanalisi», 1909, Ed. Bollati-Boringhieri, Torino, 1975
* I lavori coordinati dal Prof. Dr. Isabelle Mansuy e pubblicati su Nature Neuroscience sono stati molto sarcasticamente criticati da Kevin Mitchell che, più che esprimere una valutazione ponderata ed esprimere un giudizio costruttivo, sembra più interessato a difendere proprie posizioni teoriche senza permettere l’accesso a nuove e più rivoluzionarie investigazioni
Pier Luigi Bolmida, Specialista in Psicologia Clinica e Patologica, Università Paris V, Formatore in Psicodiagnosi presso le A.A/S.S./L.L. della Regione Piemonte
Nel 1976, in occasione del suo Dottorato di ricerca, partecipa come rorschachista all’équipe della Clinica S.Anne de Paris diretta dal Prof.Pichot alla messa a punto dei Sali di Litio per la cura delle Depressioni Unipolari
Viene nominato nel 1984 presso le U.S.L. di Torino come Formatore Responsabile di tutte le Équipes per la diagnosi dei disturbi mentali e tossicodipendenze
Nel 1986 introduce ufficialmente l’uso del Test di Rorschach in Psichiatria forense, dove verrà regolarmente utilizzato nei casi di separazione legale, abusi e violenze su Adulti e Minori, e nella valutazione precoce del pericolo di Tossicomania in soggetti pre-adolescenti e adolescenti.
Il Dott. Bolmida si è spento a Torino nel dicembre 2020