Sommario
Autotomie non rigenerative
Probabilmente il comportamento è retto da qualche sequenza genica non ancora ben evidenziata, comunque è possibile affermare che l’automutilazione si organizza in funzione di un meccanismo biologico elementare, operato a scopo difensivo da alcuni organismi viventi, consistente nell’ amputazione spontanea di alcune parti del corpo, che vengono in breve tempo rigenerate (per es., l’espulsione spontanea dei visceri di alcune oloturie e ascidie, la perdita di antenne, zampe e appendici boccali nei crostacei e negli insetti, la coda in molti rettili, ecc.). Si tratta dunque di un funzionamento a base filogenetico – ereditaria e come tale se ne dovrebbero ritrovare tracce fin dagli albori dell’ evoluzione Sapiens S.
In effetti, alcuni archeologi del Centro Camuno di Studi Preistorici descrivono vari antropomorfi schematici di fase neo-eneolitica a cui mancano un braccio o parte di una gamba: benché non sia possibile distinguere se si tratti di ferire auto o etero inferte, l’automutilazione non è escludibile a priori e quindi tali pittografie potrebbero esibire amputazioni volontarie subìte a fini iniziatico – propiziatori. Ricordo inoltre numerosi casi di amputazione reale riscontrati nelle impronte di mani, specie nelle pitture paleolitiche (tecnica a spruzzo sulla mano poggiata sulla parete); si conoscono anche casi sud americani, sahariani e australiani, in cui sembra prediletta l’amputazione del mignolo e dell’anulare.
Se dal Calcolitico ci si muove verso il Proto-storico /Storico, le informazioni sull’autolesionismo umano si strutturano e diventano sempre più evidenti e circostanziate: nell’arte rupestre neo-calcolitica mancano spesso una o ambedue le gambe, più raramente altri organi (braccia, mano) mentre è frequente l’acefalia e la non espressione del sesso; in tutti questi casi non si può parlare con certezza di mutilazioni o se si tratti di altra allusione. Ben attestate sono invece le possibili mutilazioni del Ferro, in un caso con sorta di gruccia, ma gli Indoeuropei erano piuttosto bellici e possono essere immagini che illustrano le conseguenze di scontri e lotte armate. In qualsiasi modo, come affermano Corinne Bonnet, Jorg Rupke, Paolo Scarpi: «…Per concludere questa breve esposizione delle più recenti analisi della figura e del culto di Istăr, va evidenziato che la scuola finlandese attribuisce al culto di Istăr una funzione salvifica in una prospettiva escatologica. La figura “messianica” del sovrano serviva da paradigma al comportamento individuale: attraverso il culto di Istăr l’uomo avrebbe raggiunto la salvezza e, dopo morto, sarebbe risorto per ricongiungersi con la perfezione originaria. Il culto aveva dunque come scopo generale quello della ‘purificazione dell’anima’ per ottenere la ricongiunzione con il mondo divino. Questa ricongiunzione si poteva ottenere anche durante l’esistenza terrena, emulando la dea nella sua discesa e risalita dall’oltre tomba, e in particolare attraverso il pianto, lamenti e sofferenze corporali da autoinfliggersi mediante ferite da taglio e frustate, fino all’autocastrazione, che costituiva il massimo livello di perfezione di vita. In sostanza, il devoto doveva trasformarsi nell’immagine vivente della dea: una persona androgina, totalmente lontana dalle passioni della carne. Come suggerisce Parpola, questo culto era diffuso in tutto il Vicino Oriente, anche fuori dalla Mesopotamia e questa diffusione attesterebbe la tremenda potenza esercitata dal culto di Istăr» 1
In sintesi, tramite il di culto del frigio Attis, il paredro di Cibele, servitore eunuco che guida il carro della dea, e i suoi cerimoniali di fecondazione della terra ottenuta attraverso abbondanti spargimenti ematici umani 2, tale liturgia giungerà fino a Roma con Cibele, Grande Madre che si origina in Asia Minore ma in effetti ripropone l’autoevirazione mesopotamica, per estendersi al sacrificio di Odino, che si divelle un occhio per acquisire una suprema conoscenza sovrannaturale, e ai medioevali Disciplini autoflagellanti, che si dedicavano esclusivamente al culto dei morti e all’ espiazione dei propri peccati. È a mio avviso estremamente interessante osservare come l’Epopea di Gilgamesh, almeno nella versione accadica in dodici tavolette, che celebra ed istituisce il culto di Istăr nella sua dinamica di morte-inseminazione-rigenerazione, è situabile nel XIII secolo a.C., ovvero sia grosso modo coeva alla comparsa dei primi segni di organizzazione della civiltà degli Olmechi , un’antica civiltà precolombiana che viveva nell’ area tropicale dell’odierno Messico centro-meridionale, approssimativamente negli stati messicani di Vera Cruz e Tabasco sull’Istmo di Tehuantepec. Il fenomeno olmeco fiorì durante il periodo formativo (pre-classico) mesoamericano, che appunto si estese approssimativamente dal 1.200 a.C. al 400 d.C. Pare che gli Olmechi costituirono la prima civiltà mesoamericana e stabilirono le fondamenta e i precursori organizzativi di culture successive molto più famose e riconosciute, quali Maya, Aztechi, Inca3. Esistono prove certe che gli Olmechi praticassero il sacrificio umano (oltre che un primitivo gioco con la palla): è stata infatti rinvenuta una fossa sacrificale contente interi scheletri di feti e neonati, associati ad offerte in omaggio agli dei. La devozione e cura con cui questi miseri resti furono sepolti, lascia ipotizzare che si trattasse di cadaveri dei propri figli e non di bambini catturati da tribù nemiche o schiavizzate, istituendo pertanto una ritualità di autocastrazione molto più efferata e spietata, non più basata sulla mutilazione dei genitali esterni come quella effettuata dai proseliti di Istăr, ma addirittura estesa al prodotto più prezioso e vitale derivato dall’esercizio della sessualità: la propria prole.
Ora, sia che si aderisca alla teoria del Diffusionismo (W. Schmidt, W.J. Perry), che prevede che usi , costumi, tecnologie e credenze che caratterizzano le varie civiltà siano stati trasportati e propagati per contatto e scambio diretto attraverso le varie migrazioni dalle popolazioni primigenie, sia che si sostenga l’ipotesi di un ‘Auto generazione spontanea e autonoma’ dei vari prodotti culturali tramite espressione non mediata di schemi evolutivi endogeni a costituzione ereditaria (U. Sansoni,P. Bolmida), non si può che concludere che i primi gruppi di Sapiens S. Paleolitici – che per primi nel 25.000-20.000 a.C. dalla Siberia meridionale attraversarono Bering , la Beringia, allora istmo e non stretto, per colonizzare (costeggiando i bordi dell’ultima glaciazione) l’intero continente americano-, già avessero formalizzato, sia pur in forme rudimentali, alcune ritualità di automutilazione. Se questa teoria trovasse un riscontro oggettivo, sarebbe dimostrato come il comportamento autolesionista rientri a pieno titolo in quel complesso insieme di rappresentazioni e affetti che compongono l’Immagine Filogenetica. Quindi, la deliberata lacerazione o asportazione di una parte del proprio corpo organizzerebbe da sempre, in occasioni epicritiche di massima tensione, complesse procedure intra-psichiche volte alla conservazione dell’individuo e anche della Specie.
Desidero infine evidenziare il legame strutturale, e quindi indissolubile, che intercorre tra ‘necromanzia’, già praticata da Babilonesi, Antichi Greci -mediante la nèkyia citata da Omero-, Romani e anche dagli Ebrei (pur essendo estranea ai principi sanciti nella Bibbia, che la condanna a varie riprese) e le pratiche autolesionistiche. Questi rituali divinatori, basati sull’esame concreto e diretto dei cadaveri o degli umori della putrefazione, sono storicamente ampiamente attestati da numerosi documenti scritti, ma occorre non dimenticare la miriade di pratiche sciamaniche analoghe, di quasi sicura origine paleolitica (Lewis Williams, Clottes). Nel Calcolitico Cento alpino (cultura di Civate, 1a metà del III millennio) è ben attestata la pratica della sepoltura secondaria con esposizione, recupero, ridisposizione e spesso combustione delle ossa. Una situazione simile si riscontra nella ritualità iranica. Le manipolazioni dei cadaveri, effettuate in ogni parte del mondo, proseguono dall’età neolitica e calcolitica e stabiliscono una relazione tra i crani ed ossa degli antenati e la divinazione, perseguita tramite la catabasi, cioè la discesa agli Inferi, e consequenziali tagli o ferite autoinferte. Anche numerose pratiche magiche o estatiche presenti negli Indoeuropei prevedono un contatto tangibile e corporeo con la salma, e, benché non si possa parlare di sciamanismo ‘stricto senso’, comunque l’idea è che i morti conoscono l’avvenire e lo sciamano deve ricavarne ispirazione diretta, mediante rimaneggiamento ed esplorazione del cadavere, che si rivelerà in sogno ma solo dopo che l’aspirante indovino si sarà inflitto profonde automutilazioni o scarificazioni a scopo purificatorio. Si statuisce pertanto l’equivalenza permanente e irreversibile, tra spoglia mortale – regno sotterraneo – autotomia di parti corporee come misura di acquisizione di procedure salvifiche.
Se è vero che esiste una specifica componente senso-motoria a determinazione filogenetica nel seppellire i cadaveri come l’animale seppellisce le feci, componente che si riattiva e rinforza tramite il concetto di “semenza” derivato dall’esperienza agreste e particolarmente attivo nelle ritualità considerate 4, occorre considerare il legame inconscio fortemente simbiotico con le feci stesse, vissute come segmenti insostituibili dell’Io, per cui la separazione – perdita di entrambi gli oggetti, e le relative procedure di riavvicinamento – ricongiunzione (il trattenere – espellere di E. Jones,) prevedono l’attivazione di dinamiche di restituzione strettamente omologhe e analogiche: ne è esempio paradigmatico la mutilazione compensatoria attuata dal norreno Wōdanaz, divenuto Óðinn nel protogermanico ma imparentato nell’etimo indoeuropeo ai ‘vates’ (veggenti) latini e al sanscrito ‘vat'(inventore). Per acquisire la sapienza, la conoscenza ed anche la magia e la poesia, Odino/Wotan si cava un occhio e lo offre in pegno a Mímir, di cui tiene accanto a sé la testa recisa. In tal modo, egli non solo conosce i misteri dei Nove Mondi e l’ordine delle loro stirpi, ma anche il destino degli uomini e il fato stesso dell’Universo intero. In breve, l’automutilazione serve a restituire al morto ciò che gli si è tolto di più caro: la conoscenza del futuro, tramite una visione che può spingersi ai confini del tempo.
Tutto questo complicato ragionamento serve a sostenere e delucidare il non semplice legame originario che, per l’intera ominazione, intercorre, all’interno del preconscio profondo, tra i rituali autolesionistici e la necrofilia. Sarebbe opportuno introdurre a questo livello l’interconnessione con le spinte cannibaliche rimosse (che rendono ‘appetibile‘ e ‘appetitoso‘ il manipolamento del cadavere), inserimento che consentirebbe di stabilire l’interazione non mediata con l’energetica dell’Es e il preciso momento costitutivo dell’Immagine, ma ne risulterebbe un discorso troppo complesso e fuorviante.
Clinica dell’autoaggressività
Tutti i manuali di Psichiatria, ivi compreso il DSM V, riconducono le condotte auto lesionistiche e auto mutilanti all’interno di gravi sindromi psichiche, che spaziano dai disturbi borderline alla schizofrenia, dall’autismo fino all’ ebefrenia di Kraeplin.Tuttavia, l’autoaggressività è insita nello sviluppo normale del bambino e s’inscrive nella configurazione di reazioni emotive abituali, come scarica motoria della tensione. In modo molto schematico, possiamo distinguere da una parte le auto mutilazioni evolutive e dall’ altra quelle persistenti e immutabili.
Le automutilazioni evolutive sono state studiate per prime da J.Lezine e M.Stambak, che le suddivisero in comportamenti autolesionistici primari e in condotte automutilanti strutturate e orientate. Nel quadro del comportamento primario, essi annoverano il mordersi, graffiarsi, pizzicarsi, strapparsi pelle e crosticine, grattarsi fino al sanguinamento, sbattere la testa, percuotersi e gettarsi per terra. Gli Autori dimostrano che queste diverse mutilazioni, ad intensità variabile, sono frequenti fino all’età di due anni per scomparire del tutto successivamente. Tali osservazioni li conducono a considerare i comportamenti automutilatori, così come altre forme di scariche psicomotorie non lesionistiche, innanzitutto come costituenti normali della personalità, ossia modelli adattativi volti all’esplorazione e strutturazione dello schema corporeo, e contemporaneamente modalità di soddisfazione autoerotica. Interessante notare come, mano a mano che la curva dell’automutilazione assume un andamento discendente, appare una curva ascendente di comportamento eteroaggressivo, che si abbozza verso i 12 mesi ma assume una frequenza massima dopo i 4 anni. Le condotte lesive autoplastiche sono più frequenti nei bambini ipertonici e nei soggetti maschi rispetto alla popolazione femminile e, secondo il modello piagettiano, si realizzano durante uno stadio di sviluppo precoce, in cui il principio di causalità non è ancora stato acquisito, per cui il bambino non può né prevedere le conseguenze di un gesto né avere la padronanza della scarica pulsionale necessaria a evitare il dolore. È solo a uno stadio molto più evoluto della strutturazione dell’Io che il bambino normale diventa capace di dosare l’intensità del dolore che si auto infligge proporzionalmente al beneficio secondario che ne trae. Questa capacità di regolare la sofferenza, effettuando compromessi con la realtà, si pone come spartiacque evolutivo e anche come criterio di normalità, separando l’autoaggressività primaria e fisiologica dall’installarsi di condotte automutilanti persistenti e tardive, ossia strutturate e orientate, vale a dire inserite nella relazione d’oggetto. Tra questi comportamenti che assumono progressivamente una valenza patologica, i principali e più diffusi statisticamente sono costituiti dall’onicofagia e la tricotillomania, che si organizzano in via definitiva verso i 5 – 6 anni. Viceversa, le automutilazioni persistenti sono state descritte in primis presso popolazioni di lattanti istituzionalizzati deprivati di cure materne, dai celeberrimi studi di A. Spitz e A. Freud, senza per altro che si potessero evidenziare segni di deterioramento neurocerebrale. In seguito, J. de Ajuriaguerra mise in evidenza comportamenti simili in bambini psicotici o con grave ritardo mentale. In tali soggetti si possono osservare azioni automutilatorie talora spettacolari: testate furiose contro muri, radiatori, sbarre del letto, fino a procurarsi profonde ferite ed iperostosi craniche, morsicature della lingua, labbra e dita che spaziano dai semplici tagli fino all’amputazione totale degli organi menzionati. Questi squilibri possono diventare permanenti, scatenandosi in accessi di furia auto distruttiva. Il soggetto pare assistere ai propri atti in modo pressoché impassibile e indifferente, mentre semina un terrore panico nell’ entourage, che resta pietrificato e basito assistendo ad azioni che dovrebbero causare una sofferenza insopportabile. In realtà, è possibile stabilire una relazione tra queste automutilazioni e la sindrome definita nei termini di: “indifferenza congenita al dolore”. Si tratta di soggetti, bambini e adulti, che non manifestano particolari disordini psichici apparenti e che, pur essendo assolutamente capaci di percepire, identificare e localizzare delle punture di spillo in varie parti del corpo, manifestano una tolleranza anomala alla percezione del dolore, senza che si sia potuta evidenziare una qualsiasi patologia neurofisiologica, poiché non risultano quelle lesioni corticali che presiedono all’agnosia del dolore, ampiamente studiate in Medicina. Nel bambino automutilante si tratterebbe quindi di un comportamento focalizzato sul corpo, corpo che non solo non reagisce agli stimoli dolorosi tramite i meccanismi di evitamento, ma li ricerca e se li procura attivamente con azioni mirate e ripetute. Il fenomeno non si pone dunque sul piano sensoriale né su quello della configurazione anatomica, ma deve essere inserito nell’organizzazione evolutiva globale nella quale si sviluppa il comportamento autolesionistico. Nel bambino infatti, la sensibilità al dolore si contraddistingue da reazioni precoci a ogni forma di stimolazione nocicettiva, e tali reazioni si manifestano tramite l’allontanamento dalla fonte di eccitazione. Nelle occasioni in cui l’allontanamento non sia possibile, si assiste a reazioni tonico-vegetative molto importanti e dipendono strettamente dalle condizioni dell’organismo del soggetto: ad esempio, il bambino sazio risponde in modo completamente diverso dal bambino in stato di carenza nutrizionale, o il bambino sveglio da quello sonnolento. Le reazioni di evitamento dalle aggressioni nocicettive sembrano essere in stretta relazione con gli istinti di autoconservazione ma è ormai risaputo che in certe situazioni, le eccitazioni nocicettive possono perdere il loro carattere aggressivo, e il dolore può assumere una diretta valenza positiva e diventare in tal modo ‘appetibile’. Si può quindi assistere all’instaurarsi di una forte ambivalenza tra dolore e piacere, come dimostrano gli studi di H. Wallon sulla frequenza con la quale il bambino stesso attiva violente automanipolazioni, il cui unico scopo è appunto quello di procurarsi intense sensazioni dolorose. Nel linguaggio popolare ormai globalmente diffuso, il fenomeno viene definito in termini di masochismo, cioè fenomeno in cui la sofferenza autoinflitta è in grado di produrre spasmi di godimento, ma tale definizione non offre una spiegazione esaustiva e completa di tutta l’attività automutilante e della ferocia veicolata in talune di queste amputazioni volontarie. Le famose ricerche di J. Olds e J. Wasserman hanno ben messo in evidenza come le aree corticali che presiedono alla percezione del piacere e quelle specializzate nel localizzare le stimolazioni dolorose, non solo siano collocate in zone cerebrali limitrofe, ma molto sovente si verifichi una specie di sconfinamento tra le due regioni, per cui il riconoscimento delle varie stimolazioni diventa estremamente difficoltoso e necessita pertanto di un rinforzo esterno condizionante per discernere la qualità delle differenti eccitazioni. In mancanza di tale azione didattica, il dolore può facilmente mutarsi in segnale di piacere, innestando una concatenazione di stimoli nocicettivi progressivamente sempre più intensi, ivi comprese le automutilazioni, fino ad esporsi al pericolo di morte. Se, momentaneamente, postuliamo l’esattezza di questa ipotesi di labilità di posizionamento delle due aree corticali, quelle del piacere e quelle del dolore, facendone la matrice nella quale si sviluppano le tendenze autolesionistiche, avremo soggetti che vivono gravi difficoltà nel superare lo stadio delle auto mutilazioni evolutive e fisiologiche, e svilupperanno una tendenza congenita a riprodurre condotte auto aggressive orientate verso l’ambiente e ben strutturate nel tempo, disordini dello schema corporeo, alterazioni nel processo di costruzione dell’Io, ma soprattutto una difettosa percezione ed integrazione degli stimoli dolorosi, confusi con esperienze di piacere e voluttà. In questi casi, l’atteggiamento generale dell’entourage e quello parentale in particolare, assume un’importanza fondamentale nel prevenire e modificare le modalità auto aggressive del bambino, correggendone le risposte adattative, evitando le situazioni dolorose e potenziando quelle realmente gratificanti. Il vero problema è che l’inconsistenza di delimitazione delle suddette aree corticali si fonda su un’innegabile componente costitutivo-ereditaria, per cui avremo uno o entrambi i genitori che posseggono almeno la predisposizione a sviluppare la medesima caratteristica disfunzionale e risponderanno pertanto al comportamento del figlio in modo totalmente speculare, senza poter intervenire sulla percezione e comprensione degli stimoli dolorosi (vedi nota 6). Si costituiscono pertanto dei precursori adattativi organizzati intorno alla valorizzazione della percezione di sofferenza, che mantengono la funzione di assicurare un equilibrio omeostatico e garantiscono la differenzazione dell’Io e la sua costruzione: l’automutilazione si configura in tal modo come fantasia primaria utilizzata come modalità risolutiva della conflittualità intrapsichica. In altri termini, si otterranno gruppi di persone che, tramite i meccanismi di introiezione-identificazione-proiezione, si attiveranno in cerca di situazioni di contenimento, che si strutturino proprio su specifiche situazioni automutilanti. In questa prospettiva, Istăr e le altre divinità affini diventano dei veri e propri organizzatori morfologici del processo di adattamento e autoconservazione dell’Io, cioè una tipica, inequivocabile e funzionale risposta ‘salvifica’, provvidenziale e risolutrice.
Il problema economico dell’algia
Se ci si muove nella direzione evolutiva che procede dal Preconscio profondo, che comprende i meccanismi difensivi dell’Io e l’elaborazione delle spinte pulsionali, verso il sistema secondario e la Coscienza, la dinamica del dolore è facilmente comprensibile: la sofferenza costituisce un processo di regolazione volto all’abbassamento della tensione in occasione di particolari avvenimenti destabilizzanti e catastrofici. Tale dinamismo è magistralmente illustrato da quel capolavoro intitolato “A Man Called Horse”, un film del 1970 per la regia di Elliot Silverstein. Il villaggio viene attaccato dagli Shoshones che vogliono impossessarsi dei cavalli e delle donne della tribù, mentre tenta la fuga, Tortora bianca viene barbaramente uccisa. Affranto dal dolore, per non morire di crepacuore per la perdita dell’adorata consorte, John Morgan (Richard Harris) si auto infligge una tremenda ferita all’addome, recisione che gli permetterà di sopravvivere e di non soccombere al trauma. Questo semplice esempio didascalico pare ben illustrare il potere quasi apotropaico esercitato dall’automutilazione. L’intera vicenda tuttavia si svolge nella dimensione del Secondario, ossia della consapevolezza: il trauma è conscio così come è conscia la risposta per neutralizzarlo. Se la dinamica appare semplice ed evidente a livello manifesto e descrittivo, tutto s’ingarbuglia e diventa farraginoso se si tenta una spiegazione teorica, introducendo principi generali, validi come regola universale per tutti i casi. All’interno del sistema difensivo, occorre infatti tentare di stabilire il primariato del sadismo sul masochismo, per cui si viene a definire l’auto lesività come residuo di spinte distruttive non completamente espulse all’esterno e quindi considerare il masochismo come un derivato ‘malato e stagnante’ del sadismo primario, che permane all’interno del sistema somatopsichico, permeandolo progressivamente come tossina perniciosa; oppure, ribaltando completamente l’ottica di osservazione, si giunge a postulare la preminenza del masochismo primario, che tenta di disgregare le funzioni dell’Io nascente senza avere la possibilità di trasformarsi in sadismo originale: in questa prospettiva, il masochismo primario sarebbe la spinta fondamentale ed originaria innata contro cui verrebbero a mobilitarsi le energie del fragile Io in nuce ma se l’Io è troppo fragile, il processo fallisce 5. Tutti questi ragionamenti sono culturalmente molto interessanti, ma non offrono elementi sufficienti alla costruzione di uno schema unico di spiegazione teorica sul significato e soprattutto sull’economia della sofferenza autoinferta. Occorre pertanto modificare il punto di osservazione, spostando l’interesse verso lo strato più profondo e imperscrutabile dello psichismo umano, ossia quello che compete l’Es e il suo dinamismo funzionale e al contempo abbandonare la rigidità della metapsichica freudiana, immobilizzata nella sua storica e sclerotica contrapposizione tra Pulsione di Morte e Libido. Viceversa, è di fondamentale importanza introdurre il dinamismo della Pulsione di morte-vita, concetto mediato direttamente dalla fisica quantistica (soprattutto in relazione alle conseguenze delle alterazioni dei parametri delle simmetrie locali), che prevede che sia la stessa pulsione di morte (ritorno al Vuoto) ad ingenerare tentativi di sopravvivenza come rimbalzo energetico automatico e spontaneo. Si ottiene in tal modo il duplice vantaggio teoretico di comprendere le modalità di funzionamento dell’Es e di sbarazzarsi di preoccupazioni diagnostiche volte a descrivere sintomi nevrotici o perversi: nei casi in cui il sistema sia sottoposto a sollecitazioni troppo intense che lo porterebbero a collassare, l’organizzazione intrapsichica profonda tende a ingenerare risposte di riequilibrio e riparazione, sia pur instabili e deformate rispetto alla condizione originaria, volte a ridurre l’entropia e ristabilire l’omeostasi parziale. Per utilizzare una metafora somatica, un po’ come avviene dopo una frattura ossea, in cui si forma un ispessimento calloso, doloroso da sopportare ma necessario al rinsaldarsi della frattura stessa e quindi sintonico alla sopravvivenza: è chiaro che occorre operarne una sintesi e riduzione per alleviare la sofferenza del soggetto, ma non lo si può considerare come una costruzione maligna fine a se stessa. Se si adotta completamente una tale logica prospettica di ragionamento, tutto ciò che in Clinica viene definito “sintomo”, nevrotico, psicotico o perverso, perde la connotazione di evento patogeno in sé per assumere il carattere di reazione vitale e necessaria, volta al disattivarsi dell’impatto traumatico. È in questa dimensione che va considerata la propensione e l’appetenza alle algie, cioè come modalità riorganizzativa tesa all’autoconservazione. Naturalmente da ridurre e rimodellare, ma senza pretese di eliminarla totalmente, nella consapevolezza che talune ‘fratture’ sono talmente scomposte da alterare irreversibilmente la compagine intrapsichica.
Istăr al tempo del Web e la sua diagnosi al test di Rorschach
Archeologi e antropologi ben sanno che il culto di Istăr non è scomparso con l’eclissarsi della mezza luna mesopotamica, anzi, la sua liturgia si è diffusa su tutto il pianeta, in special modo assumendo le terribili sembianze della circoncisione e dell’infibulazione, pratiche di mutilazione residuali dei rituali di castrazione completa, ma non per questo meno atroci e dolorose 6. Ma questi studiosi rimangono sorpresi e stupefatti nel prendere atto della sua ostinata permanenza nell’attualità, anche alle nostre latitudini, nonostante lo sbarco dei marines, con le loro tavolette di cioccolata e la coca cola 7: Istăr ha solo operato un mimetismo lessicale, rivestendosi di denominazioni disgustosamente anglofone,quali ‘tattoo extremes’,‘piercing extremes’,‘cutting’,‘Human branding’,’Human burning’,’scarifying’ ed altre amenità e piacevolezze che si possono apprendere su Internet, qualora la fantasia degli automutilanti si affievolisse, permettendo così all’angoscia di affacciarsi sulla soglia della coscienza. Per i penitenti più pertinaci e perseveranti, anche il nuovo lessico francofono contribuisce con il recentissimo ‘Ultimate Parkour’ a offrire modalità di frantumazione ossea quasi istantanea e prodigiosa: ogni anno centinaia di giovani al di sotto dei sedici anni si schiantano cadendo rovinosamente da tetti e balconi o si sfracellano contro muri e trombe d’ascensore, omaggiando inconsciamente la grandezza della Dea tramite profferta dei loro organi di sostegno, così come gli osservanti del ‘Bungee jumping’, del ‘Wingsuiting’, o dell‘ ‘Extreme skiing’, ove la mutilazione è praticamente assicurata. Poi ci sono i centauri che si decapitano a folle velocità contro garde-rally che municipalità oziose e incompetenti pongono troppo vicino al ciglio della strada, quasi volendo costringerli a rallentare, senza scordare i cultori del ‘ Street Race’, ma questi sono proporzionalmente meno numerosi, dato che bisogna essere auto-dotati prima che auto-mutilati. Ed infine, la sconfinata schiera dei tossicodipendenti, che invece che con appendici articolate o corpi cavernosi, feconda le ubertose profondità della terra con bioccoli di propri neuroni necrotizzati (cfr.: G. Marzi. «Le sostanze psicotrope nelle dinamiche adolescenziali: dati di esperienza clinica» qui pubblicato).
Le tendenze autolesionistiche, così come la tossicodipendenza e la ludopatia, si situano all’intersezione tra la Nevrosi d’Angoscia e il Disturbo di Personalità Borderline, che può assumere in certi casi un andamento schizoide e in altri una strutturazione depressiva o bipolare. Il compito del Test sarà in questi casi alquanto delicato e complesso, perché si tratterà di stabilire, più che una diagnosi, in sé abbastanza evidente, una valutazione predittiva, dato che la popolazione da esaminare sarà praticamente solo composta da soggetti in età pre-adolescenziale adolescenziale. Dato per assodato che le condotte autumutilanti costituiscano in sé un complesso processo difensivo, che molto sovente riunisce e organizza svariate abitudini divergenti, quali tossicomania, dipsomania, agiti sessuali perversi, impulsi suicidari o gravissime nevrosi abbandoniche, tutte finalizzate a contenere un’angoscia massiva e intollerabile, è quindi di primaria importanza poter stabilire le linee di involuzione di tali condotte, se si muovono cioè in direzione di una strutturazione pre-psicotica o rimarranno confinate nell’ambito della nevrosi d’angoscia o altre sindromi.
Purtroppo per il momento la casistica rorschrchistica a riguardo è ancora abbastanza limitata per stabilire una lista sindromica tipica del disturbo automutilante, per cui il testista dovrà utilizzare al contempo diversi quadri sindromici, per evidenziare quali segni particolari appaiano, sia dal punto di vista quantitativo che quello qualitativo, come specifici e connotativi della struttura di base delle personalità esaminate.
Protocollo esemplificativo
Silvia (nome d’Arte) l’hanno portata che faceva freddo e umido, imbacuccata in uno spesso giubbotto di piumino nero, guanti neri, fuseaux neri, t-shirt nera, golfino nero. Persino i lacci delle sue ‘All Stars’, di color del lutto, erano stati tinti, forse col pennarello, di nero. Una ragazzina di 15 anni, con un musino pallido ed emaciato, con dentro annegati due occhi scuri brillanti e curiosi. Gl’insegnanti hanno richiesto un consulto per difficoltà scolastiche e problemi di socializzazione, segue con molta difficoltà le lezioni e non comunica con nessuno, anzi, è spesso spersa nei suoi pensieri,per il resto è una ragazzina tranquilla, che non disturba in classe. L’ambiente è surriscaldato da due grossi radiatori, per cui mi chiede se può togliersi il cardigan di lana, scoprendo in tal modo il braccio sinistro, tutto arabescato, a partire dallo scafoide fino all’incavo dell’ascella, da piccole e grosse cicatrici, crosticine spellate e tagli, grumi e coaguli vari, nell’incavo dell’avambraccio mi pare persino di scorgere un pentagramma, fatto di pelle incisa e sangue rappreso, e poi paraffi, fregi e svolazzi quasi armonici: nessuno ha fatto cenno a questa predisposizione artistica alla rilegatura in cute naturale, né gli insegnanti né i genitori e mi coglie il dubbio che il suo denudarsi del morbido golf in realtà non sia stata una risposta omeoterma quanto piuttosto una muta e disperata richiesta d’aiuto. Con l’avviarsi della somministrazione, inizia a tormentarsi i capelli, inanellandoli, arricciandoli, stiracchiandoli, coprendosene il volto.
Tav. I: Tl: 8″:
La morte
(?) per l’ angelo della morte (dett.centrale nero) per la forma e il colore
D,(M)/C’,(U) -> Choc iniziale
L’amicizia
(?) amicizia per le due persone (D laterale + D centrale), per la forma delle teste e delle mani, è come se si stessero
salutando
Dd, M,U
Lontananza
(?) perché dopo il saluto si separeranno, ognuno per la sua strada
Dd, M, U, Complex
Fallimento
(?) l’amicizia non dura mai
è Astrazione
Tav. II: Tl: 7″:
Dispersione
(?) per la macchia bianca in mezzo al nero, come se tutto intorno fosse un mondo a parte, un mondo diverso
D, C’, macchia -> Astrazione, Complex
Solitudine
(?) (D nero) Tutto questo buio che avvolge la luce del bianco, ti fa sentire solo
D, C’, Astrazione, Choc al vuoto
e poi l’amarezza
(?) Il contrasto tra il bianco e il nero, la contrapposizione tra interno e esterno
Gbi, C’, Astrazione, Complex
Tav. III: immediato:
Sconvolgimento,questa cosa non mi piace
(?) Tutta, è come guardare la stessa cosa contemporaneamente da due punti di vista differenti (capovolge la tavola)
Astrazione
Inadeguatezza e sensazione di estraneità (in posizione ortogonale, corretta e usuale)
E’ come ci fossero due persone che guardano la stessa cosa ma non si capiscono, non riescono a comunicare
G, M, U, Ban -> Astrazione, Complex.
Tav. IV: Tl. 7″:
Paura
(?) (D centrale) perché è una forma che mi ricorda un teschio, la morte
D, C’F, astrazione, complex
Buio
(?) In tutta l’immagine. Perché quando sto male mi chiudo in camera e vedo questi teschi che mi fanno paura
G, C?, astrazione riferimento personale
Tav. V: Tl: 4″:
Una farfalla nera, ma di solito le farfalle sono colorate …
(?) In tutta l’immagine, per la forma e il colore
G, F+, A, Ban
e allora dico una piccola cosa nera, nera e vulnerabile
(?) Tutta l’immagine, è vulnerabile perché è sottile, la si può spezzare facilmente
G, C’,Ogg. Deterioramento
Tav. VI: Tl 16″:
La farfalla di prima …
(?) Nel D superiore, per le ali e il corpo
D, F+, A
Poi è esplosa per qualche motivo, lasciando questa macchia come un rimorso
(?) Nel D inferiore, mi dà l’impressione di qualcosa di informe e di sporco, per questo colore
D, EF-, macchia -> astrazione -> Choc sex.
Tav. VII: Tl. 11″:
La luce, luce che illumina
(?) Tutto il bianco interno, è abbagliante
Dbi, C’, impressione visiva
Il resto qui intorno è lo sporco che si divora la luce
(?) Il timore, è il colore e la forma strisciante
G, EF-, Astrazione -> Complex, Choc sex- proseguito
Tav. VIII: Tl. 8″:
Questa mi lascia un po’ perplessa, perché vedo due parti, una dove c’è calore e felicità (D rosa e arancio),l’altra
dove c’è freddo e paura
CN -> Astrazione
Tav. IX: Tl. 3″
Solitudine
(?) Ci sono parti brutte che circondano parti belle, colorate
CN -> Astrazione
Tav. X : Tl 5″:
Il vuoto, tutto lo spazio bianco è il vuoto, quelle altre piccole parti colorate cercano di colmare il vuoto ma non ci
riescono
CN -> Astrazione Perseverazione
Inchiesta dei limiti Tav.III: due persone che ragionano in modo diverso, senza potersi mettere d’accordo
Rottura simmetria
Inchiesta dei limiti Tav. VIII: non vede la Banale superiore
Scelta + : Non ce n’è nessuna che mi sia piaciuta, sono tutte spaventose, tristi, buie
Interpretazione dei dati
Si tratta di un protocollo fortemente anomalo, essenzialmente costituito da ‘Risposte Astrazione’al limite della perseverazione oligofrenica, che testimoniano di uno scarso controllo dei processi percettivi, una ridotta capacità di coordinazione tra l’attività ideativa e l’attenzione e un’assoluta labilità affettiva, che molto raramente risulta contenuta da meccanismi di difesa efficienti ed adattati alla situazione. Ne deriva un insufficiente contatto con la realtà e un’ipervalorizzazione della fantasia, che obbliga il soggetto all’isolamento e al ritiro dell’interesse dalla stimolazione esterna. In parallelo, si evidenziano elementi specifici di un’angoscia soggiacente particolarmente intensa e difficile da sopportare, che si manifesta in comportamenti autoagressivi e stereotipati, amplificati da grandi difficoltà di identificazione. Nel quadro delle psicosi precoci, molti autori hanno messo in evidenza forme di apparizione tardiva di autismo secondario, corrispondente a delle forme regressiva, ossia di una sintomatologia che si manifesta dopo un lungo periodo di normalità, soprattutto in concomitanza col periodo critico adolescenziale.L’insorgenza di tale disturbo è improvviso e si accompagna da disturbi di comportamento, molto spesso auto mutilatori, crisi d’angoscia acuta e distorsioni dell’umore in direzione depressiva e autosvalutativa. Se non adeguatamente trattati, tali soggetti involvono molto frequentemente in forme molto più gravi, che possono giungere fino al distrurbo schizotimico.
Note:
1 – Corinne Bonnet, Jorg Rupke, Paolo Scarpi Corinne Bonnet, Jörg : Religioni Orientali – misterici culti: Neue Perspektiven – Nouvelles prospettive – Nuove Prospettive. Im Rahmen des trilateralen Projektes “Les religions orientales dans le monde greco-romain”; unter Mitarbeit von Nicole Hartmann und Franca Fabricius, Potsdamer Altertumswissenschaftliche Beiträge 16 . Stoccarda: Steiner, 2006. Pp. 269.
2 – J. Plessis, « Étude sur les textes concernant Ištar-Astarté, recherches sur sa nature et son culte dans le monde sémitique et dans la Bible», Parigi 1921.
3 – J. Diamond : «Armi, Acciaio e malattie», Einaudi, Torino,1997
4 – Il legame originario tra feci e cibo è ben messo in evidenza da J. Diamond, che illustra come sia stato proprio rivisitando le loro rudimentali latrine, durante le cicliche migrazioni, che i Cacciatori –Raccoglitori nomadi della Mezza Luna Fertile iniziarono a percepire la funzione della semenza : ben concimati dal processo digestivo e deposti in modo raccolto e concentrato, i semi davano origine a piccole coltivazioni spontanee di cereali, che venivano riscoperti al ritorno. Le latrine preistoriche furono dunque i primi protolaboratori per gli ignari futuri coltivatori: I primi campi ’seminati’ a orzo, segale e farro pare che nacquero in tal modo.
5 – In realtà il discorso andrebbe ricondotto all’interno dello psichismo fetale.
6 – Secondo la teoria di J.Piaget, circoncisione e infibulazione costituiscono un esempio concreto di “reazione circolare primaria riflessa” tra l’atteggiamento parentale e la risposta dei figli, essendo essenzialmente le madri a sospingere attivamente i bambini verso tali pratiche automutilatorie.
7 – A proposito di autolesionismo, ci dimentichiamo troppo spesso che migliaia di anni fa, Asia Minore e Mezza Luna fertile donarono al Sapiens S. europeo L’Agricoltura (XII millennio), la Ruota e la Scrittura (IV Millennio): tutto quanto si ingenerò dopo fu per opera di conquiste armate, bottino di guerra, compra-vendite esacerbate e malattie, quindi inserito in una dinamica di automutilazioni continue.
Pier Luigi Bolmida, Specialista in Psicologia Clinica e Patologica, Università Paris V, Formatore in Psicodiagnosi presso le A.A/S.S./L.L. della Regione Piemonte
Nel 1976, in occasione del suo Dottorato di ricerca, partecipa come rorschachista all’équipe della Clinica S.Anne de Paris diretta dal Prof.Pichot alla messa a punto dei Sali di Litio per la cura delle Depressioni Unipolari
Viene nominato nel 1984 presso le U.S.L. di Torino come Formatore Responsabile di tutte le Équipes per la diagnosi dei disturbi mentali e tossicodipendenze
Nel 1986 introduce ufficialmente l’uso del Test di Rorschach in Psichiatria forense, dove verrà regolarmente utilizzato nei casi di separazione legale, abusi e violenze su Adulti e Minori, e nella valutazione precoce del pericolo di Tossicomania in soggetti pre-adolescenti e adolescenti.
Il Dott. Bolmida si è spento a Torino nel dicembre 2020