Nulla ci vieta di considerare la psicoanalisi e la micropsicoanalisi come tecniche specifiche di ricerca all’interno della psicologia che è la disciplina che si occupa dell’ apparato psichico in generale.
Allo stesso modo possiamo considerare il costruttivismo operatorio di J. Piaget e mettere le tre teorizzazioni a confronto. Inizierò con l’ipotesi costruttivistica.
Ogni azione ha una sua forma. L’ insieme di tutti i movimenti necessari per costruire la forma si può definire la struttura dinamica della forma dell’atto. L’atto è la prima tappa della conoscenza e lo strumento dell’intelligenza sensorio – motoria ed è anche la strada di elezione per l’esaurimento della spinta pulsionale.
Per Jean Piaget la differenza tra i vari livelli di sviluppo psicobiologico non consiste nel risultato dell’atto bensì nella struttura dinamica della forma dell’atto. Non il risultato che si ottiene ma la struttura dell’insieme delle procedure che si usano per ottenerlo. Come dire che ciò che conta non è il risultato dell’azione del meccanismo di regolazione quanto il modo di agire del meccanismo. La struttura del modo di agire del meccanismo. Messa in parole povere le procedure con le quali una novità è assimilata agli schemi antecedenti che necessariamente subiscono una modificazione e così via.
Se consideriamo i bisogni organici o quelli derivati dall’istinto (inteso in senso generale), che costituiscono il motore delle condotte elementari, non abbiamo difficoltà a concordare con il punto di vista di questo genio della psicologia cognitivista, e cioè che essi siano periodici e regolati da una struttura di ritmo. Anche i meccanismi che possiamo classificare con il termine di riflessi presentano un funzionamento in cui è evidente la forma ritmica.
Senza parlare del fatto che il ritmo è alla base di tutti i movimenti, compresi quelli che costituiscono l’abitudine motoria.
Il concetto di ritmo richiama quello di omeostasi, cioè della tendenza alla stabilità dei processi di sviluppo. Il tentativo di mantenere costanti le relazioni ed il loro equilibrio, o perlomeno,l’equilibrio nei processi psicobiologici. Per fare un esempio macroscopico, il mantenimento di una certa proporzione di sali nei fluidi del corpo quale che sia la quantità del fluido. Ogni variazione, ogni scompenso del piano di equilibrio mettono in moto attività che tendono a ristabilirlo. Ciò che ci interessa, nella prospettiva che ho enunciato prima, non è quindi la forma del risultato ottenuto che, tra l’altro, dovrebbe essere più o meno costante, ma la forma della struttura dinamica delle attività messe in atto per ottenere il ristabilimento della forma (situazione) iniziale turbata. 1
Lo schema del ritmo richiede sempre l’alternanza, più o meno regolare, di due processi antagonistici.
I movimenti antagonistici propri al ritmo sono regolati da fattori endogeni ed ereditari. Il ritmo ereditario assicura una certa continuità delle condotte e la loro conservazione.
J. Piaget scrive che nella misura in cui ci si ferma ai processi innati questa conservazione degli schemi periodici testimonia una indifferenziazione sistematica tra l’assimilazione degli oggetti all’attività del soggetto, e l’accomodamento di essa alle possibili modificazione alla situazione esterna. Il saper mantenere l’equilibrio fra i propri schemi di assimilazione, sia pur tra gli scossoni che “il mondo” procura all’accomodamento.
In seguito i ritmi elementari sono integrati in sistemi più vasti che non presentano più una periodicità regolare. In altre parole la dinamica dell’assimilazione – accomodazione non è più soggetta alle leggi rigide ed innate del ritmo ma i ritmi elementari sono integrati in sistemi più vasti che pur non presentando più una periodicità regolare spontanea la prolungano in sistemi più complessi. Mi riferisco alle regolazioni: una percezione, per esempio, costituisce sempre un sistema di insieme di rapporti e può essere considerata come la forma momentanea di equilibrio di una moltitudine di ritmi sensoriali elementari, riuniti o interagenti in modi diversi.
Questo sistema tende a conservarsi in quanto totalità, purché le situazioni esterne non si modifichino. Qualora ciò avvenga l’accomodazione al cambiamento porta uno spostamento di equilibrio. Tali cambiamenti non sono illimitati e l’equilibrio che si ristabilisce in funzione dell’assimilazione agli schemi percettivi anteriori, testimonia una tendenza a reagire in senso inverso alla modificazione esteriore.
Esiste dunque un processo che viene definito regolazione che è la testimonianza dell’intervento di processi antagonistici simili a quelli descritti per i ritmi senza tuttavia che la periodicità del processo sia necessaria.
Ho fatto l’esempio della percezione ma lo stesso meccanismo vale anche per le procedure sensorio-motorie. La regolazione tuttavia pur tentando di equilibrare le perturbazione e agendo quindi in senso inverso alle trasformazioni anteriori non ottiene la reversibilità totale per mancanza di un aggiustamento completo tra assimilazione ed accomodazione.
Un altro concetto tra quelli espressi da J. Piaget, che secondo me è di grande interesse, è la sincronizzazione dei movimenti di senso inverso (A->B e B->A) sino all’equilibrazione del sistema. In caso di modificazioni esterne, l’equilibrio si sposta per accentuazione di una delle tendenze in gioco ma questa accentuazione è presto o tardi limitata per l’intervento della tendenza contraria: è questa inversione di senso che definisce la regolazione.
La fase antagonista del ritmo è il punto d’inizio della regolazione. In questo senso la regolazione è il prodotto di un ritmo d’insieme le cui componenti sono diventate simultanee.
Per continuare con l’esempio della percezione, l’inversione di un’illusione percettiva implica che un rapporto vinca su quello inverso a partire da una certa esagerazione di quest’ultimo. 2
La centrazione dell’attenzione domina la scelta ed è la decentrazione che diventa la fonte della regolazione.
Quando la regolazione raggiunge delle compensazioni complete appare l’operazione.
Come è noto per Piaget, le operazioni non sono altro che un sistema di trasformazioni coordinate e diventate reversibili, quali che siano le loro combinazioni. 3
Una situazione importante da considerare nei processi di equilibrazione che derivano dal rovesciamento dei vettori dell’azione, è la variazione della velocità dei processi.
Se si prende in considerazione il ritmo e se si considera il movimento del processo, o meglio le sue alternanze vettoriali, in una situazione perfetta si può considerare tale situazione regolata da fattori endogeni ed ereditari e quindi, in teoria, anche prefigurata nella velocità delle alternanze.
Rispetto alle regolazioni il discorso va meno liscio, e diventa ancora più complicato quando si considerino raggruppamenti che per determinarsi in un’entità equilibrata e riconoscibile non possano prescindere da un meccanismo che regoli la velocità dei vettori.
In parole povere poiché un pensiero, un comportamento, una condotta qualsiasi, si specifichi in modo riconoscibile è necessario che la sua forma derivata dall’equilibratura degli elementi che la compongono diventi, almeno momentaneamente, stabile.
Si presenta così il problema della stabilità delle forme.
Dal punto di vista percettivo, nella teoria della Gestalt, una forma è più o meno stabile a seconda della sua natura costitutiva.
L’idea centrale della teoria della Forma (Gestalt) è che i sistemi mentali non siano costituiti dalla sintesi o dall’associazione di elementi separati ma consistano sempre in totalità organizzate sin dall’inizio, in una forma o struttura d’insieme.
In altre parole, una situazione percettiva si presenta necessariamente come tale perché segue le leggi di campo, paragonabili a quelle di un qualsiasi campo energetico. Per cui in presenza di una molteplicità di oggetti (elementi), il soggetto li percepisce come una forma, che è la più semplice possibile espressa dalla struttura del campo. 4
Secondo la legge della “pregnanza”, la forma che si impone è sempre la migliore, cioè la più equilibrata. Si impone a tutti i livelli e viene percepita sempre identica a prescindere dall’età del soggetto che la percepisce e dal fatto che il percipiente sia un essere umano o un altro vertebrato qualsiasi. In tal senso la percezione delle forme in quanto tali, esclude l’attività del soggetto che è un semplice registratore, ed esistono costanti percettive che diventano i punti di riferimento del pensiero. Piaget critica tale teoria, e dimostra tramite una serie di esperienze sullo sviluppo dei meccanismi percettivi, un classico oramai, che anche il modo di percepire, pur avendo le sue leggi è soggetto ad evoluzione, e dipende dall’attività del soggetto. La qualità di codesta attività varia a seconda dell’età del soggetto stesso.
Tutto questo discorso per arrivare a sostenere che se si considera una situazione qualsiasi composta da entità materiali, o psicobiologiche interagenti, in qualsiasi modo, (sensazioni, movimenti, percezioni, concettualizzazioni, sentimenti ) non è solamente il campo che regola l’equilibrio degli elementi che lo materializzano ma è anche l’attività di tali elementi che può far variare l’equilibrio del campo.
Ecco quindi che una discussione tra un bambino di sei – sette anni ed un adulto su un problema di percezione che tratti la messa a confronto di elementi per ciò che riguarda l’altezza e la profondità di un qualsiasi oggetto o ente geometrico, con nostra grande sorpresa ci farà verificare che il bambino sopravvaluta sistematicamente l’elemento che sceglie come campione, come punto di riferimento o unità di misura.
L’idea di base di Piaget non è che la teoria della Gestalt sia sbagliata e che le forme siano composte da elementi aggiunti; cioè non vi è un ritorno all’associazionismo puro e semplice. Vi è, piuttosto, l’enunciazione del Costruttivismo : viene espressa l’idea che l’attività del soggetto operi per decentrazioni successive una specie di dissoluzione della forma che viene poi ricostruita attraverso le leggi e le procedure della mobilità operatoria.
La conseguenza è che vi è la possibilità di una costruzione, infinita, di nuove strutture percettibili, oppure al di la di ogni percezione reale. 5
Il soggetto non è più un passivo registratore di forme ma diventa un produttore di forme potenziali (anche solo mentali in senso matematico) alle quali può dare un corpo materiale oppure no.
Io penso che codesto concetto non possa essere trascurato quando ci si accinge ad una attività qualsiasi in cui, dati certi elementi, ci si proponga una loro trasformazione.
Devo dire che non è agevole passare dai ragionamenti che ho esposto nelle pagine precedenti a quelli che sto per fare, tuttavia ci voglio provare.
Ricordo, per iniziare, che questo lavoro lo scrivo per Scienza e Psicoanalisi e quindi si inserisce in una dimensione in cui la trasformazione è presente quasi come dovere professionale. Lo psicoanalista, analizza, è neutro ma prende certamente nota delle trasformazione del soggetto in analisi e delle sue. Il lavoro analitico è per eccellenza un luogo di trasformazioni in cui i meccanismi di assimilazione e accomodamento sono continuamente in azione.
S. Fanti, in La Micropsicoanalisi, enuncia una teoria subatomica della vita in cuii comportamenti psicobiologici possano ridursi ad insiemi di microelementi che vengono dall’esterno del sistema percezione-coscienza, e, se fosse possibile attribuire una dimensione spaziale all’inconscio, persino dall’al di là dell’inconscio. Il sistema da cui provengono questi microelementi è anch’esso un insieme di tentativi che creano degli oggetti (anche anatomici) e delle funzioni. Tale sistema è messo in moto da una corrente discontinua di microflussi energetici che si materializzano, (granulano). Essa opera in un campo vuoto, tali flussi permangono discontinui (mentre il campo è continuo e li penetra) e in un ribollire incessante creano campi parziali in cui si accumula l’energia-materia. L’equilibrio generale del campo (la tensione neutra) è rimesso in ordine da un meccanismo di regolazione, che, forse per indicare che è presente in modo necessario, viene definito Ide, cioè Instinct d’Essais (in italiano è stato tradotto Istinto di Tentativo, letteralmente dovrebbe essere Istinto di Tentativi).
Per Fanti è l’unico istinto, e dato che esso continua a funzionare anche all’interno delle strutture stabili, chiamate Entità psicomateriali (l’essere umano è un entità psicobiologica poiché è materia a strutturazione biologica), è sempre possibile che accada qualche trasformazione spontanea.
Cito (op. cit. pag. 30) quello che egli scrive attribuendolo ad una psicoanalista che ne parla in seduta: “…prendendo, riprendendo e moltiplicando ogni dettaglio della mia vita…stabilendo, poi arretrando al massimo i punti di fuga delle mie libere associazioni…sono arrivata a costruire il mio ritratto – robot micropsicoanalitico…che si presenta come un dossier tomografico di tentativi… quando fraziono ogni tomogramma…invece di un’entità strutturata, mi visualizzo quale sono dall’origine: un precipitato di tentativi…la somma di questi tentativi produce la mia personalità…ma se questi tentativi cambiassero traiettoria, come possono fare ad ogni istante, produrrebbero una persona… o una cosa…di cui non ho la minima idea “.
Il fatto è che questi insiemi di tentativi psicobiologici prendono forme che tendono a mantenersi e che quando tra gli elementi di queste forme si inseriscono degli equilibri patologici, è difficilissimo farli mutare.
Consideriamo l’essere umano (o un mammifero qualsiasi). Sappiamo che è a riproduzione sessuata e cioè che per farne uno nuovo dobbiamo costruire l’ equazione: S + C.U. = Z, dove S sta per spermatozoo, C.U. per cellula uovo e Z per zigote. Di fatto però questa equazione non è proprio una somma algebrica bensì l’espressione matematica di una fusione.
Se fosse una somma sarebbe reversibile, da Z tolgo S e mi porto a casa C.U.; invece non é possibile poiché è una fusione, per cui il totale non è uguale all’insieme delle componenti a meno che non lo si scomponga nelle sue costituenti elementari atomiche. Ma se lo scompongo nelle sue componenti elementari Z non è più Z ed estremamente improbabile che da esse, possa formarsi, a caso, un bambino: il Bambino Gesù forse ?
Nelle trasformazioni psicobiologiche il “tutto“non è uguale all’insieme delle sue parti. Gli insiemi associativi non sono uguali alle singole associazioni, se non per mezzo di un artificio che fa si che una parte stia per il tutto. 6
Forse è meglio tornare ad argomenti più semplici.
La vita di un essere umano si svolge in gran parte nel preconscio – conscio; le matrici sono per lo più inconsce, anche se è possibile ipotizzare tentativi che entrano direttamente nella coscienza senza passare per l’inconscio.
Avere matrici inconsce significa semplicemente che esse fanno parte di una struttura non direttamente percepibile alla coscienza. Quando dico percepibile intendo un tipo di percezione che non è proprio quella di cui parla Piaget nella sua ricerca sullo sviluppo dei meccanismi percettivi. Tuttavia quando egli tratta le funzioni cognitive non trascura la percezione che insieme alla sensazione, alla motricità, alla memoria e alle operazioni è una tra le funzioni cognitive.
Per esempio la percezione interna è la funzione che ci rende coscienti di un desiderio. In altre parole un gruppo di segnali viene investito di una quantità di energia stabile in modo che i vettori che fanno interagire gli elementi specifici del gruppo di segnali, acquisiscano la velocità adatta a funzionare come un insieme significativo che è riconosciuto come il rappresentante del desiderio. Dato che il desiderio esprime un aumento della tensione, per essere coerente è necessario che la velocità di fuga delle sue singole parti venga equilibrata dai vettori che spingono nel senso della coesione. In termini pulsionali possiamo dire che i fattori di coesione sono determinati dalla tendenza alla stasi (pulsione di morte) e quelli di fuga dalla controtendenza al movimento (pulsione di vita).
Per fare un esempio su me stesso, ora che ho scritto queste frasi mi sento appagato, la tensione è scomparsa (ho appagato un desiderio) e sono entrato in una fase in cui la spinta creativa, in quella direzione, si è fermata. Mi sta succedendo ciò che spesso osservo in seduta nelle persone che si affidano alle cure micropsicoanalitiche.
Sovente, durante le sedute di più ore, mi accorgo di star seguendo l’andamento delle associazioni in rapporto al loro movimento di allontanamento o avvicinamento rispetto al nucleo rimosso che tenta di emergere alla coscienza. Le associazioni sono convergenti o divergenti e a volte l’allontanamento dal nucleo rimosso o dal segreto isolato, è tale che si ha l’impressione che le connessioni tra alcune di loro vengano catturate da un altro nucleo più lontano e nascosto, che disfa il lavoro di rievocazione o semplicemente ne fa un altro che intralcia il primo. Si intuisce che nel cono d’ombra del primo nucleo ne esistono altri, nascosti, un poco quello che succede ai così detti corpi celesti dalle cui deviazioni dalle orbite osservate o calcolate si può dedurre l’esistenza di altri corpi di cui i primi subiscono l’attrazione, senza tuttavia poterli osservare direttamente.
Sembra che uno degli agenti in moto verso il completamento della rievocazione e il passaggio alla coscienza del materiale rimosso, dimenticato oppure isolato, cambi velocità ed entri nell’orbita di un’altra istanza che sta facendo il lavoro opposto, cioé invece di costruire il puzzle ne elimini delle parti e lo renda irriconoscibile.
Questo fenomeno è la verifica delle attività di un meccanismo di regolazione che cerca di stabilire un equilibrio tra i vettori convergenti e quelli divergenti; sovente il risultato è un compromesso.
Io, per esempio ora sto assimilando e sono entrato in una fase di accomodamento. Da un punto di vista pratico posso dire che l’associazione è diventata divergente e il punto di centrazione è ora il concetto di pulsione di morte. Ed ecco il compromesso.
A me non sembra che tale concetto (la pulsione di morte) si possa descrivere solamente con quella serie di aggettivi riassunti nella parola “disgregazione” ma piuttosto con la nozione micropsicoanalitica, espressione del movimento, di vibrazione sul posto. Mi domando se non è proprio la vibrazione sul posto che, dal soggetto, viene percepita come ansia, angoscia, agitazione. E’ chiaro che la continuazione della vibrazione sul posto è un terremoto sussultorio che termina, se non viene assimilata dalla struttura, e se la nuova struttura non si accomoda al cambiamento, con la disgregazione. La percezione della vibrazione sul posto anticipa la disgregazione che è una conseguenza della vibrazione stessa; l’affetto di angoscia è un segnale di richiesta di intervento.
Quando il soggetto percepisce il segnale di pericolo può decidere di andare da un “idraulico” della psiche che metaforicamente “sturi i tubi della psiche” e permetta alla pressione di diminuire. Messa in questi termini, se consideriamo l’energia pulsionale come un liquido, ci confrontiamo con un problema di idraulica e, a volte, non dei più semplici, specialmente quando l’energia pulsionale è tutta (o quasi) rinchiusa in un guscio egoico che la trattiene e rende impossibile la dinamica evolutiva dell’assimilazione -accomodamento.
Spero che la lettura di questo lavoro trasmetta il messaggio che desidero far pervenire ai miei lettori.
Prima di tutto un cambiamento spontaneo nella corrente dei tentativi è realmente possibile; lo dimostra l’esistenza di ciò che Fanti definisce in “nastro psichico”. Vale a dire la fluttuazione, per uno stesso soggetto dalla normalità alla nevrosi ed alla psicosi. Evidentemente nessuna di tali strutture (per certi soggetti) riesce ad assumere una forma stabile però l’ambiente che li contiene deve per forza assimilare tali fluttuazioni ed accomodarsi ad esse. Se non riesce il soggetto viene espulso, se riesce, il soggetto ha una vita tollerabile, se riesce troppo, cioè se il contenitore si accomoda troppo, il soggetto non esce più, rimane in trappola.
Lo stesso succede nel rapporto tra analizzato e analista; sta all’analista saper regolare le fluttuazione dell’assimilazione-accomodamento, specialmente se frequenta socialmente l’analizzato.
Io su questo argomento ho già espresso il mio parere in tre lavori che ho scritto per i membri dell’Istituto italiano di micropsicoanalisi .
La frequenza sociale può essere utile nei casi in cui i nuclei di narcisismo primario ( specialmente uterino) permeano l’io ad un punto tale da renderlo mutilato ed incapace di una vita di relazione qualsiasi. In casi di normo-nevrotici o di nevrotici può costituire un ostacolo alla gestione della dinamica della nevrosi da transfert e renderla difficilmente risolvibile (eccesso di accomodamento).
Nel Dizionario di Psicoanalisi e Micropsicoanalisi (S. Fanti etc, ed. Borla, pag. 15, 1984, Roma) si legge: “Il fatto è che fuori seduta il micropsicoanalista si mostra quale è”, come se in seduta fosse possibile fingere. Evidentemente Fanti, in questo caso, ha dimenticato l’esistenza dell’inconscio.
Il transfert ed il controtransfert continuano ad esistere anche fuori seduta. Ora se come afferma Nacht arriva il momento in cui l’analista deve cessare di fare da specchio e rendere più evidente la sua presenza come entità reale, non è il caso di attribuirgli tale posizione sin dall’inizio dell’analisi poiché la fantasmatica transferale è indispensabile per svelare il rimosso.
Come avevo già scritto in altra sede l’elemento suggestivo derivato dalla presenza dell’analista nella vita quotidiana dell’analizzato, anche se come é affermato nel Dizionario che ho testé citato può arricchire il materiale di seduta crea un’ interferenza eccessiva nella vita dell’analizzato stesso.
In fondo è la testimonianza di un punto di vista piuttosto psichiatrico che psicoanalitico, in cui l’atmosfera da “casa di cura” alla Grodeck o alla Binswanger prevale. Non si può certo negare l’effetto terapeutico del metodo (che in fondo nelle intenzioni iniziali di Fanti era nato per questo), dato però che il transfert continua a sussistere anche fuori seduta, fa si che il comportamento dell’analista diventi modello per incorporazioni – introiezioni – identificazioni dell’analizzato, inducendo profondi conflitti con le identificazioni di base che possono essere risolti momentaneamente con l’adesione imitativa al modo di essere – fare dell’analista stesso.
Più tardi tale adesione imitativa sarà un grave ostacolo alla soluzione della nevrosi da transfert. Senza contare che nella dinamica dell’assimilazione – accomodamento, qualora la micropsicoanalisi sia svolta per periodi è possibile che il contenitore familiare dell’analizzato non sia compatibile con le modalità dell’essere – fare dell’analista e del suo ambiente e che si crei un conflitto insanabile. L’interruzione periodica bloccherà l’analizzato sui rivissuti transferali del periodo che sta analizzando e sulle abitudini del contenitore analitico in cui vive l’analista che lo ospita (sia pur saltuariamente). Saranno le persone con le quali l’analizzato vive e lavora a dover gestire il problema e non dimentichiamo che sovente, loro, l’analisi non l’hanno fatta e che quindi i meccanismi di regolazione delle interazioni del gruppo a volte non saranno in grado di reggere.
Questa è una delle ragioni per cui non si può considerare l’analisi senza studiare le variabili di trasformazione costruttivista che possano aiutare l’analizzato ad adattarsi alle situazioni che gli si presentano dopo il lavoro analitico. Non dico di entrare in una situazione psicagogica ma almeno di tener conto che la trasformazione della velocità delle regolazioni richiede una plasticità di addattamento che sovente l’ambiente non permette.
© Nicola Peluffo
Note:
1Che non sarà mai identica
2 Lo stesso meccanismo vale per l’ambivalenza. L’oscillazione ambivalente viene vinta per mezzo di un meccanismo difensivo di regolazione che gonfia uno dei poli dell’oscillazione a scapito dell’altro. Uno dei vettori viene esagerato e si afferma. Il movimento oscillatorio può anche non essere di fuga (decisione) ma testimonia l’uscita dalla stasi.
3 La coazione a ripetere implica la ricerca e l’impossibilità di raggiungere la reversibilità.
4 Basta fare una prova in una giornata di vento e vedere dove vanno a finire le foglie.
5 Molte figure delle geometria frattale possono essere descritte matematicamente ma fin che non si usa un computer non possono essere visualizzate. Nulla ci vieta di pensarne altre che vanno oltre le possibilità grafiche degli odierni computer quindi esistenti matematicamente ma non percepibili fisicamente.
6 Si entra così nei meccanismi dell’inconscio: spostamento, condensazione, identità di percezione.
Il Prof. Nicola Peluffo è nato a Genova-Sampierdarena il 14 giugno 1930. Dopo essersi laureato a Genova nel 1955 in Scienze politiche con una tesi in Storia, completa la formazione psicologica e psicoanalitica iniziata a Milano, in Svizzera a Ginevra, quella micropsicoanalitica a Couvet (Neuchâtel). Libero docente e poi professore incaricato stabilizzato di Psicologia Sociale diventa professore associato confermato di Psicologia Dinamica presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Torino. Autore di due volumi (Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione, Torino, Book’s Store, 1976 e Immagine e fotografia, Borla, Roma, 1984) e di oltre cinquanta pubblicazioni scientifiche. E’ stato collaboratore al laboratorio di ricerche in psicologia genetica del Institut des Sciences del’education dell’Università di Ginevra (direttore Jean Piaget), ricercatore e docente di psicologia sociale presso l’Istituto di Scienze sociali di Genova (direttore Luciano Cavalli) collaboratore alle ricerche dell’Istituto di Psicologia Sperimentale e Sociale di Torino (direttore Angiola Masucco Costa), collaboratore alle ricerche del Centro di Psicologia dell’Olivetti SpA di Ivrea (Coordinatore ricerche Francesco Novara, direttore Cesare Musatti). Fondatore e Capo Scuola della micropsicoanalisi in Italia, membro didatta della Società internazionale di micropsicoanalisi (presidente onorario Silvio Fanti). Già Direttore dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, fin dalla sua costituzione nel 1984, e responsabile scientifico della sua rivista teorica, il Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi.
Il Prof. Peluffo si è spento a Genova il 7 febbraio 2012
Никола Пелуффо
Профессор Никола Пелуффо родился в Генуе-Сампьедарене 14 июня 1930 года. Окончил факультет политологии в Генуе (1955) с диссертацией по истории.
Психологическое и психоаналитическое обучение, начатое в Милане, он продолжал в Швейцарии в Женеве, а микропсихоаналитическое в Кюве (Невшатель).
Он был преподавателем, а затем профессором социальной психологии, доцентом динамической психологии на факультете психологии Туринского университета. Является автором книг «Микропсихоанализ трансформационных процессов» (1976) и «Изображение и фотография» (1984) и более пятидесяти научных публикаций.
Сотрудник исследовательской лаборатории генетической психологии Института педагогических наук Женевского университета (руководитель Жан Пиаже), исследователь и преподаватель социальной психологии Института социальных наук в Генуе (руководитель Лучано Кавалли), научный сотрудник Института экспериментальной и социальной психологии в Турине (руководитель Анджиола Масукко Коста), научный сотрудник Центра психологии Olivetti SpA в Иврее (координатор исследований Франческо Новара, руководитель Чезаре Мусатти). Основатель и руководитель школы микропсихоанализа в Италии, преподаватель Международного общества микропсихоанализа (президент Сильвио Фанти). Директор Итальянского института микропсихоанализа с момента его основания в 1984 г. и научный руководитель теоретического журнала, Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi.
Профессор Николо Пелуффо скончался в Генуе 7 февраля 2012 года.