Sarà forse banale affermare che negli ultimi venti-trenta anni si sono verificati rilevanti cambiamenti nel funzionamento e nella struttura della società, delle famiglie e di conseguenza degli individui. Ciascuno può avere un’opinione positiva o negativa a proposito di questi cambiamenti, pensare che fossero necessari ed essere contento che essi siano avvenuti, oppure che la situazione sia peggiorata ed esserne rammaricato.
Nondimeno, nell’esercizio della nostra professione, non dobbiamo giudicare i cambiamenti sociali, familiari o individuali. Noi dobbiamo essere in grado di offrire un modello teorico-clinico adeguato allo stato attuale di questi soggetti. Non è per caso che la psicoanalisi sia fortemente criticata da trenta anni. Penso in particolare alle critiche venute dal movimento cognitivo-comportamentale (2006). La maggior parte degli psicoanalisti hanno guardato a queste critiche dall’alto in basso. In parte a ragione, perché queste critiche si basavano essenzialmente su liti partigiane. Tuttavia non c’è fumo senza arrosto, perché, le critiche alla psicoanalisi non provengono solo da questo movimento e alcune di esse sono fondate. Le basi freudiane del modello teorico-clinico della psicoanalisi hanno ormai cento anni. Lo stesso modello freudiano si è poco evoluto. È quindi legittimo ipotizzare che la psicoanalisi classica non sia più adatta al mondo odierno. Di fatto, mentre la psicoanalisi freudiana dominava l’universo delle terapie e nella cultura, è stata a poco a poco spodestata. Ciò è forse avvenuto per una mancanza di adattamento della psicoanalisi ai mutamenti avvenuti negli ultimi trenta anni, favorendo la nascita di nuove teorie e tecniche? Si può pensarlo, in particolare dal punto di vista della micropsicoanalisi.
La micropsicoanalisi, che si può anche chiamare psicoanalisi in sedute lunghe, è stata fondata da Fanti. Già quarant’anni fa, egli ha sentito la necessità di aggiornare il modello freudiano e la tecnica analitica classica (Fanti, 1981). Io sono convinto che Fanti avesse ragione. Anzi, a mio avviso il percorso di ammodernamento cominciato quarant’anni or sono deve essere ampliato e approfondito: a causa dei cambiamenti sociali, familiari e individuali avvenuti, non si può più esercitare la micropsicoanalisi come negli anni Ottanta, né rappresentare il funzionamento dello psichismo inconscio come allora. Cercherò in questa relazione di delimitare i punti di evoluzione della micropsicoanalisi che mi sembrano importanti.
La micropsicoanalisi attuale è composta da diverse tendenze, tra le quali la psicoanalisi intensiva praticata da Quirino Zangrili, che non mi pare utile elencare in questa sede. Dirò solo che mi pare normale, e addirittura auspicabile, che sia così. In effetti, la micropsicoanalisi è nata dalla constatazione che la canonica seduta di 50 minuti 3 volte la settimana, basata esclusivamente sulla verbalizzazione, escludendo la componente visiva, per Fanti era uno schema di lavoro troppo rigido. È così che ha “inventato” la seduta lunga, e poi introdotto lo studio in seduta di documenti come fotografie o albero genealogico. Questo nuovo setting ha fatto emergere un materiale inedito che ha comportato l’aggiornamento del modello teorico.
Ora, la tecnica micropsicoanalitica è stata concepita sin dall’inizio come un setting flessibile, per adattarsi a numerose situazioni cliniche. Per esempio, con una persona a rischio di suicidio, o tossicodipendente si lavorerà anche sei giorni la settimana. Con un giovane borderline, si faranno due sedute di due ore la settimana.
Insomma, l’asse portante della micropsicoanalisi attuale è la seduta lunga arricchita dall’uso di supporti tecnici come lo studio dell’albero genealogico o documenti visivi. Questa pratica offre all’analizzato tutto il tempo necessario per avanzare nella ricerca di se stesso e per esplorare il suo psichismo profondo. Per di più abbiamo la possibilità di adattare il setting alla specificità di svariate situazioni personali e cliniche. Ne consegue un atteggiamento diverso dell’analista, che cercherà non solo di capire e interpretare i sintomi nevrotici della persona, ma anche di attivare le propensioni vitali del soggetto, in particolare le sue potenzialità creative bloccate dai conflitti. Tornerò su questo argomento.
Adesso vorrei affrontare alcune peculiarità delle sedute lunghe. Per iniziare, direi che le sedute lunghe favoriscono l’emersione di un materiale molto arcaico. A volte esso si manifesta con un rivissuto di esperienze precoci, in altre occasioni si può ricostruirlo da diversi elementi verbali ed emotivi che si sono concatenati nel discorso dell’analizzato. Accennavo prima all’atteggiamento del micropsicoanalista: posso ora aggiungere che il suo ascolto non mira solo a scovare nel materiale gli elementi per un’interpretazione. Tuttavia, prima di interpretare, l’analista cercherà di riportare alla coscienza i vissuti rimossi per attenuarne il loro peso. Si deve partire dal rivissuto del passato perché le azioni, le emozioni e i pensieri abbiano un significato. In altre parole, l’interpretazione è più efficace se sostenuta dalla ricostruzione di episodi del passato remoto.
Questo lavoro è facilitato dal fatto che il setting micropsicoanalitico favorisce l’emergere di ampie catene di materiale collegato con lo psichismo profondo attraverso il quale gli anelli si annodano uno all’altro, fino a costituire una catena significante, cioè che svela il senso latente del materiale espresso. È ciò che ho chiamato “anello associativo” (Lysek 2010): un anello associativo è un’ampia connessione di elementi verbalizzati che finiscono per ritornare su se stessi, ma a un livello più profondo, svelando così un dinamismo e/o una struttura dello psichismo profondo. Più precisamente, un anello associativo si forma in questo modo: durante la prima ora di seduta l’analizzato affronta un elemento che lo tocca da vicino; poi parla di altre cose più o meno direttamente collegate all’elemento di partenza, ma l’analista nota che hanno un rapporto associativo in parte collegato con esso; dopo un certo tempo, l’analizzato parla di vicende che si ricongiungono all’elemento iniziale e che permettono di interpretarlo o di ritrovare un vissuto che lo chiarisce. La formazione di tali anelli associativi avviene probabilmente in altri setting, però non saranno spontanei, avranno bisogno di un incentivo dell’analista, col rischio che non siano bene assimilati dallo psichismo dell’analizzato. La formazione di anelli associativi avviene quando la micropsicoanalisi ha raggiunto “la velocità di crociera”; si formeranno allora in modo spontaneo. In queste condizioni le interpretazioni possono appoggiarsi su un materiale venuto naturalmente a galla e che ha avuto un tempo sufficiente per essere elaborato, minimizzando così il rischio di errore, di essere in anticipo o sovrastimare l’insight dell’analizzato. Soprattutto, una seduta che si conclude formando un anello associativo crea un contatto di buona qualità con l’inconscio.
Eccone un esempio. Si tratta di una donnna che cade in una profonda depressione dopo essere stata licenziata dal lavoro. La gravità dello stato depressivo è inspiegabile in questo caso perché la persona non si trova in una situazione economicamente difficile, e la perdita del posto di lavoro non rappresenta una ferita narcisistica importante. Invece, un anello associativo ha permesso di chiarirne l’origine. All’inizio della seduta, l’analizzata lamenta di star male e dettaglia, per l’ennesima volta, i suoi sintomi. Poi parla di vacanze: non si è sentita in grado di partire, quindi il viaggio è stato annullato, causando una grossa perdita di denaro, che l’analizzata rimpiange. Più tardi, nella sessa seduta, parla del rapporto difficile con la madre. Finalmente, in un momento emotivamente intenso della seduta, l’analizzata si ricorda un evento finora rimosso: dopo la nascita del fratellino, avvenuta in piena fase edipica, la madre aveva avuto un importante baby blues, anzi una vera e propria depressione post-partum, che aveva necessitato di una degenza abbastanza lunga, durante la quale la piccola bambina era stata affidata alla nonna. Le è ormai evidente di aver vissuto allora un tremendo senso di abbandono. L’anello associativo ha quindi collegato la perdita del lavoro a un vissuto d’abbandono infantile, finora rimosso; nello stesso tempo, l’anello spiega anche perché la perdita del lavoro ha generato una depressione piuttosto che un’altra patologia: la depressione esprime un’identificazione edipica alla madre colpita dalla depressione post-partum.
Sul piano teorico, il nostro modello attinge da diverse fonti. Com’è ormai noto, si tratta di un modello energetico-pulsionale. Aggiungendo la componente energetica all’aspetto dinamico del modello di Freud, Fanti ha ampliato il modello psicoanalitico. Mi spiego. Freud si è basato sulle conoscenze biologiche del suo tempo. Il modello psicoanalitico classico considera che lo psichismo inconscio funzioni come l’apparato respiratorio dell’organismo, e che la pulsione obbedisce alle stesse leggi del sistema di riflessi neurologici. Se è tuttora possibile pensare lo psichismo così, è anche utile descrivere certi fenomeni psichici tenendo conto delle scienze attuali.
Questo ci ha portati a integrare nella nostra metapsicologia dati elaborati da psicoanalisti classici, dati di cui abbiamo la conferma nella pratica delle sedute lunghe. I più importanti di questi riguardano i primi passi dello sviluppo, e quindi i primi mattoni della costruzione dell’inconscio. Penso in particolare alle scoperte della Klein riguardanti i vissuti del primo anno di vita, o le intuizioni di Jung che riguardano la dimensione filogenetica della psiche. Fra i micropsicoanalisti, è stato Nicola Peluffo (1984) ad avere esplorato questa dimensione, precisando il concetto d’immagine. Come esempio, citerei un suo articolo sull’inesprimibile genealogico (1991). Abbiamo anche integrato dati dalla psicoanalisi classica. Per esempio, la teoria dell’attaccamento di Bowlby (1999) o quella dell’accordatura affettiva di Stern (1987). In fine abbiamo anche cercato di spiegare certi fenomeni con delle metafore neurofisiologiche o fisiche. Il modello del trauma elaborato da Manuela Tartari, o mio modello della risonanza, ne sono esempi.
Se la micropsicoanalisi del 21° secolo è fondata su questi elementi, sarebbe contrario allo spirito micropsicoanalitico racchiudere la nostra pratica in un modello storico degli anni Ottanta. Diversi micropsicoanalisti contemporanei hanno così cercato di adeguare la tecnica ai molti cambiamenti sociali e psicologici avvenuti in questi ultimi decenni. Il risultato è stato quello di fare evolvere la pratica micropsicoanalitica per adattarla al mondo di oggi. Tale evoluzione, se mi è consentita l’espressione, era nei geni della micropsicoanalisi. Lungi dallo snaturarla, al contrario esprime la sua flessibilità e la disposizione a rispondere alla modernità.

Vorrei adesso dire due parole delle modifiche tecniche attuali che mi sembrano particolarmente utili nella pratica. Una micropsicoanalisi efficace dovrebbe prendere in considerazione il soggetto in tutte le sue dimensioni. Questo vuol dire considerare come causa determinante non solo i desideri e i fantasmi che popolano l’inconscio del soggetto, così come la sua relazione d’oggetto pulsionale-difensiva. E’ necessario anche vedere come certi elementi della realtà riecheggiano nello psichismo profondo dell’analizzato. In altre parole, bisogna esaminare le risonanze tra il mondo esterno e il mondo interno del soggetto e considerare che entrambi appartengono alla stessa realtà, una realtà in cui le informazioni circolano, modificando la forma e la dinamica di componenti psichici. Si può vedere subito come, per esempio, l’analisi del transfert e del controtransfert prendano un’altra dimensione: queste dinamiche non vengono più affrontate solo come ripetizioni di vissuti utero-infantili e proiezione di desideri e fantasmi nella situazione analitica, ma anche come interazioni e scambi reali tra i due protagonisti di questa situazione. Un tale modo di procedere permette di gettare dei ponti tra il metodo analitico e certe pratiche sistemiche, in particolare la terapia contestuale (Ducommun-Nagy, 2008).
Tutto ciò implica un atteggiamento meno distante dell’analista. Egli non esita da intervenire in un modo un po’ attivo, a interessarsi ai comportamenti attuali della persona, ecc. Insomma, questo tipo di micropsicoanalisi non mira solo alla presa di coscienza e alla comprensione dell’inconscio. Mira anche, e forse soprattutto, a indurre un’evoluzione del soggetto e a modificare il suo rapporto con gli altri e con la realtà esterna. Mira a un risultato esistenziale: un percorso verso una vita più aperta, più piena, più creativa, con meno tensioni e angoscia.
Alcuni diranno che una tale tecnica è troppa attiva, che l’analista non è più neutrale e che si tratta di una forma di psicoterapia. Non condivido tali critiche. L’atteggiamento totalmente neutrale, comunemente silenzioso, dell’analista non mi sembra più possibile oggi. Un tale atteggiamento rischierebbe di marginalizzare totalmente la psicoanalisi. Per di più, le psicoterapie mirano direttamente ad attutire i sintomi. Al contrario, questo tipo di analisi mira alla realizzazione personale più profonda. L’attenuazione o la guarigione dei sintomi è un effetto indiretto di un migliore equilibrio interno e relazionale.
Effettivamente, quale è la finalità del lavoro analitico? Nel “Dizionario della psicoanalisi e della micropsicoanalisi” di Fanti e collaboratori, la micropsicoanalisi è definita come uno “studio dello psichismo, che va al di là dell’inconscio” (Fanti, 1983).” Col senno di poi, la parola studio mi pare poco chiara. Si fa un’analisi in primo luogo per vivere in modo migliore; per trovare un accordo con alcuni aspetti della propria psiche che sfuggono alla volontà; per uscire da ripetizioni dolorose; per tentare di risolvere difficoltà relazionali o personali; per sbloccare potenzialità vitali finora bloccate, ecc. Certo, tutto ciò si realizza andando incontro alla parte inconscia del proprio psichismo, e cercando di capirne l’origine e i meccanismi. Questo percorso però non assomiglia minimamente a uno studio scolastico o scientifico. L’efficacia dell’analisi proviene dai collegamenti che si stabiliscono tra presente e passato, tra esterno e interno, tra livelli consci e livelli inconsci della psiche. In altre parole, l’efficacia del lavoro dipende dalle libere associazioni che si sviluppano con il susseguirsi delle sedute.
Prima, ho menzionato che in micropsicoanalisi si formano lunghe catene di libere associazioni. Si tratta di una dinamica specifica alle sedute lunghe. Questa verbalizzazione specifica implica un ascolto particolare dell’analista. Oltre alle abituali espressioni che richiedono la sua attenzione durante la seduta, egli segue anche lo sviluppo delle catene associative, le loro interruzioni o ramificazioni. Sarà particolarmente attento a osservare se un anello associativo si forma e al modo in cui l’anello associativo si chiude. Detto così, forse, il lavoro dell’analista vi pare astratto. In modo più pragmatico, direi che, per condurre l’analisi in un modo consono al 21° secolo, non è più possibile interessarsi solo ai desideri inconsci, alle difese inconsce e ai fantasmi collegati. L’analista deve anche prendere in considerazione l’ambiente e le interazioni del soggetto. Raccomando quindi un ascolto molto umano, bisogna essere attenti alla persona in modo globale, non solo alla sua psicopatologia, e alla diminuzione della sofferenza legata alla sintomatologia. Per quel che mi riguarda, non mi accontento di ricostruire il passato rimosso dell’analizzato e di interpretare le espressioni del suo inconscio. Sono anche (o soprattutto, dovrei dire) attento a favorire le possibilità dell’analizzato di vivere una vita piena e più in armonia con gli altri, attraverso l’auto-realizzazione e all’attuazione di potenzialità creative.
A tal fine, è necessario prendere anche in considerazione l’influenza della realtà circostante, in particolare di eventi del presente, che riattivano qualche cosa nello psichismo inconscio. Nel libro Le parole del corpo. Nuovi orizzonti della psicosomatica (Lysek, 2016) ho introdotto nella nostra teoria la nozione di risonanza per spiegare certe riattivazioni indotte dall’esterno.
Coniata per creare un modello della somatizzazione utile nella pratica, la nozione di risonanza può essere generalizzata, perché spiega bene come un sintomo si formi in reazione a uno stimolo esterno. La risonanza è un concetto della fisica, che uso ovviamente in modo metaforico. Ne ho già parlato 2 anni fa, però mi pare utile ribadire rapidamente di cosa si tratti.
Cominciamo con il vedere cosa significa il concetto in fisica, con una definizione che ho adattato da Wikipedia (2017): in un fenomeno di risonanza, un sistema interagisce con una forza periodica esterna, cioè risponde a oscillazioni che provengono da un altro sistema; questa forza esterna trasmette una certa quantità di energia al primo sistema. Per provocare una risonanza, i due sistemi devono muoversi con moto armonico; in altre parole, i due sistemi devono avere certe corrispondenze, così da poter oscillare alla stessa frequenza.
Un esempio è quello dei due diapason: se si percuote un diapason e si pone vicino a un secondo diapason “silenzioso”, dopo un breve intervallo quest’ultimo comincia anch’esso a vibrare (YouTube, 2012).
Uso metaforicamente il concetto fisico di risonanza per spiegare come un elemento esterno trova un’eco in un sistema psichico e ne riattiva certi contenuti. In seguito questa riattivazione si trasmette ad altri contenuti, situati in altri sistemi. La risonanza porta a un’amplificazione della carica energetica del contenuto psichico sollecitato. Di conseguenza la tensione aumenta e deve essere abbassata. La scarica può avvenire attraverso qualsiasi espressione esistenziale o sintomatica. Si comprende subito che il modello dell’attivazione di formazioni psichiche per risonanza vale per tutti gli scambi d’informazione tra l’esterno e l’interno del soggetto, a tutti livelli. Pertanto si tratta di uno strumento molto utile nella pratica. Torniamo all’esempio della persona che cade in una profonda depressione dopo essere stata licenziata dal lavoro. Richiamo che un anello associativo ha collegato la perdita del lavoro a un vissuto d’abbandono infantile finora rimosso. La depressione è stata causata, non dalla perdita del lavoro in se stessa, ma dalla messa in risonanza del vissuto attuale di perdita con il vissuto infantile d’abbandono. Un vissuto attuale deve suscitare una eco nello psichismo profondo, cioè una risonanza, per formare un sintomo. In pratica, l’analisi della risonanza permetterà di disattivare il nucleo abbandonico riattivato e di uscire dallo stato depressivo.
Vediamo un altro esempio dell’utilità pratica del concetto di risonanza nella micropsicoanalisi contemporanea. Questo concetto permette di affrontare diversamente la dinamica del transfert-controtransfert. Ho detto prima che, oggi, non si può più considerarla solo come una ripetizione di un passato rimosso, dovuta a una riattivazione di entità inconsce. La dinamica del transfert-controtransfert è anche da affrontare come risultato della situazione analitica reale. I movimenti psichici del transfert e del controtransfert risultano dall’attivazione di vissuti seppelliti nella memoria inconscia di entrambi i protagonisti, vissuti messi in risonanza dalla dimensione umana del rapporto analitico.
Ci sono numerosi altri punti salienti di quella che dovrebbe essere una micropsicoanalisi del 21° secolo. Alcuni sono già condivisi da una gran parte dei colleghi (almeno nell’istituto svizzero). Ad esempio i vissuti di benessere che consideriamo far parte dell’inconscio (Gariglio & Lysek, 2008). Come già detto, non potrei più, oggi, condurre un’analisi senza cercare di far emergere tali vissuti di benessere utero-infantili o filogenetici, in modo da sbloccarli e permettere che si manifestino, in particolare attraverso un’attività creativa. Per maggiori dettagli, rinvio al libro Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi di Gariglio & Lysek.
Non posso qui, per ragioni di spazio, menzionare tutti i nuovi elementi tecnici della micropsicoanalisi attuale. Vanno da un modo diverso di utilizzare documenti come le foto e video in seduta e studiare la genealogia, a un modo originale di affrontare i problemi psicosomatici, passando attraverso la possibilità di compiere sedute a distanza, via Skype. Questa modifica del setting è stata sperimentata durante la pandemia, per necessità. Ciò ha permesso una continuità del lavoro in questo periodo difficile, però, in condizioni sociali abituali, sedute in presenza danno risultati molto migliori.
In conclusione, la micropsicoanalisi ha subito un’apprezzabile evoluzione in questi ultimi anni. Questa evoluzione ha prodotto una tecnica micropsicoanalitica più attiva di quella classica, attenendosi però allo spirito freudiano. Poiché prende in considerazione la trasmissione all’inconscio d’informazioni dall’ambiente e dalle situazioni reali, ha permesso di costruire ponti tra la nostra tecnica e altre pratiche, in particolare quella sistemica. Sarebbe controproducente chiudersi in una posizione passatista, nostalgica dell’epoca d’oro della psicoanalisi. Viviamo in un’epoca in cui l’efficacia è necessaria se vogliamo consolidare la micropsicoanalisi. Voglio dire che il micropsicoanalista di oggi, con interventi stimolanti, può indurre nello psichismo dell’analizzato una dinamica efficace di cambiamento e di evoluzione. Ne consegue una micropsicoanalisi adatta al mondo di oggi e, speriamo, a quello di domani.

© Daniel Lysek

Bibliografia

  • Bowlby J., Attaccamento e perdita. 1-2-3: L’attaccamento alla madre, Collana Programma di Psicologia Psichiatria Psicoterapia, Torino, Boringhieri, 1999.
  • Ducommun-Nagy C., Le lealtà che ci fanno esistere, Antigone, Torino, 2008.
  • Fanti S., La micropsicoanalisi, Borla, Roma, 1982. (Ed. originale : L’homme en micropsychanalyse, Denoël, Paris, 1981.)
  • Fanti S. e coll., Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi, Borla, Roma, 1983.
  • Lysek D., Le sedute lunghe, in AA.VV. (a cura di Codoni P.), Una psicoanalisi al microscopio. Micropsicoanalisi, Torino: Edizioni Libreria Cortina, 2010, pp. 23-58. (Ed. originale : Micropsychanalyse, Paris: L’Esprit du temps, 2007).
  • Lysek D., Interazione psiche-corpo. Dall’isteria a una psicosomatica della vita quotidiana, in Le parole del corpo. Nuovi orizzonti della psicosomatica. L’Harmattan Italia, Torino, 2016. (Ed. originale: Les maux du corps sur le divan. Perspective psychosomatique. L’Harmattan, Paris, 2015).
  • Meyer C. (a cura di), Il libro nero della psicoanalisi, Fazi ed., 2006 (Ed. originale : Le livre noir de la psychanalyse, Paris: Les Arènes, 2005).
  • Peluffo N., Immagine e fotografia, Borla, Roma, 1984.
  • Peluffo N., Il comportamento incomprensibile dell’adolescente come manifestazione attuale dell’immagine filogenetica, Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, N° 10/1991
  • Stern D. N., Il mondo interpersonale del bambino, Boringhieri, Torino, 1987.
  • Zangrili Q., Psicoanalisi: breve vademecum , 2005.