1 ) Luigi Pirandello come esempio di realtà molteplice e di autoanalisi spontanea.

Musatti nel 1987 pubblicò un libro, di alto valore didattico, in cui ripercorse la sua carriera di psicologo e psicoanalista.
Il tema principale dell’opera è enunciato nel titolo: “Curare nevrotici con la propria autoanalisi “.
Il maestro di una buona parte degli psicoanalisti italiani, mette in evidenza l’importanza dell’ interazione transfert -controtransfert, e in definitiva insiste sulla constatazione che ciò che noi percepiamo dell‘altro, a meno che non sia una pura descrizione di fatti, lo possiamo cogliere solamente nel riflesso che produce in noi stessi.
Io sono convinto di questo e vorrei parlarne sia in riferimento ad un grande genio italiano, Luigi Pirandello, sia a me stesso (mi si perdoni la supponenza) nella mia pratica di seduta. Non sono un esperto del teatro di Pirandello ma è sufficiente leggere “Così è ( se vi pare)”, per rendersi conto che il punto di vista dell’autore è quello di dimostrare la relatività della verità.
Laudisi (Pirandello ), rivolto alla signora Agazzi si fa guardare e toccare un braccio e le dice : “E’ sicura anche lei di toccarmi come mi vede ?… Ma per carità non dica a suo marito, né a mia sorella né a mia nipote, né alla signora qua, come mi vede, perché tutt’e quattro altrimenti le diranno che lei si inganna. Mentre lei non si inganna affatto ! Perché io sono realmente come mi vede lei – Ma ciò non toglie cara signora mia, che io non sia anche realmente come mi vede suo marito, mia sorella, mia nipote e la signora qua, che anche loro non s’ingannano affatto”.
Musatti scrive : ”ll problema della identità personale ha occupato la mente e la fantasia di Pirandello sotto forme molteplici. Proprio la continua trasformazione della persona rende il quesito del riconoscimento della identità sempre problematico“. ( v. Come tu mi vuoi)
Cioè l’identità è soggettiva e molteplice e questo anche per il soggetto rispetto a se stesso. Un concetto sviluppato a fondo in “Uno, nessuno, centomila” e altrove.
L’impressione che ho ricavato leggendo le opere e le biografie su Pirandello è che egli nella relazione con tutte le persone della sua vita e specialmente con la moglie Antonietta abbia percorso una strada simile a quella che ho appena esposto: studiare l’interazione con gli stati psichici dell’altro e usare le proprie risposte controtransferali (supponendo per comodità che il transfert partisse dall’altro) per scrivere i capolavori letterari (psicoanalitici) che lo hanno portato al Nobel (1934).
Come tutti sanno, Pirandello aveva sposato una giovane donna che in fondo conosceva poco ma alla quale si era legato con grande passione. Il figlio dice “più che altro erano amanti. Camillleri, in una sua descrizione fantastica delle serate della coppia, scrive :”Lui si abbandonava, si lasciava trasportare dentro quel gorgo con ribrezzo. Ma non poteva fare a meno di lasciarvisi trasportare. Ottenuta la “prova d’amore” Antonietta non si placava. Avrebbe voluto farlo nèsciri da casa senza più forza d’omo per essere certa dell’impossibilità fisica del tradimento “.
Pirandello subiva, ma riusciva a “ fare il suo dovere “. Evidentemente l’antica passione non si era spenta.
La storia della malattia della moglie è nota. Il peggioramento dei sintomi, è descritto in una lunga lettera di Pirandello all’amico Ugo Ojetti, datata 10 aprile 1914, in cui afferma di vivere in un vero e proprio inferno. La pazzia di Antonietta si acuisce alla morte del padre, e si riversa sulla povera figlia Lietta. Luigi, accusato di intenzioni incestuose verso la figlia, è costretto ad acconsentire all’internamento della moglie che avviene nel 1919. Lo fa a malincuore e con grande rincrescimento.
C’è una frase di Pirandello sulla quale conviene meditare: «La pazzia di mia moglie sono io».
Nel suo bel libro biografico, Andrea Camilleri si pone la domanda che ogni studioso di Pirandello si è posta: perché Luigi volle a tutti i costi convivere con la follia della moglie quando a consigliargli il ricovero in casa di cura erano familiari e medici? Una delle risposte possibili è quella dello studioso Jean-Michel Gardair in “Pirandello e il suo doppio”:
Pirandello, almeno fino all’internamento di Antonietta (nel 1919) ha scelto di lasciarsi alienare, giorno per giorno, dal delirio paranoico di sua moglie. Egli si è sempre rifiutato di considerare la sua follia come uno stato di fatto e ha sempre negato alla malattia il minimo potere di decidere tra ragione e sragionevolezza. E come nei confronti di se stesso, non ha voluto riconoscere alla ‘follia’, secondo un compiacente paradosso, il privilegio della verità. In definitiva, egli ha lasciato in sospeso, per il più lungo tempo possibile, il problema stesso della follia di Antonietta. […] Nel suo rapporto con Antonietta, Pirandello è vittima del discorso infinitamente scaltro della ‘follia’: rifiutare d’internare Antonietta è darle ragione, confessarsi colpevole; ricoverarla, significa consacrare irreversibilmente la verità delle sue parole, nel momento stesso in cui si pretende di considerarle false”.
C. Musatti, nel suo lavoro su L. Pirandello, scriveva :
“ E anch’io, come molti altri, ne rimasi affascinato (dall’Opera di Pirandello). Ma non affascinato soltanto, come può accadere di fronte a qualsiasi opera d’arte; anche turbato per le connessioni che non potevano sfuggirmi con quella che era la mia attività professionale e scientifica. Non potevo infatti non avvertire una certa parentela fra il modo come Pirandello presentava i suoi personaggi, e quegli argomenti specifici che io nel mio lavoro, sopra tutto come psicoanalista, andavo trovando o cercando…Volendo semplificare, posso dire che mentre leggevo o assistevo ai drammi di Pirandello mi pareva di respirare aria di psicoanalisi…»
Io ho la stessa impressione, devo dire che, con il passare degli anni e con l’aumentare dell’esperienza, mi sono chiaramente reso conto che la vita è una immensa “piece” teatrale, al punto che se mi trovo in una dimensione psicoterapeutica, quando un insieme di accadimenti della vita del soggetto diventa veramente teatro, consiglio alla persona di considerare seriamente quella possibilità e di descriverla e scriverla come tale.
E’ molto istruttivo vedere apparire il continuum esistenziale come una specie di pasta composta di sogni, desideri, e tentativi di vita che procedono tra un’infinità di ripetizioni, coazioni, conflitti. Come direbbe il grande Luigi Pirandello, di “personaggi in cerca d’autore”.

2 ) Il Bimbo tramite tra scienza e credenza

I sogni sono popolati da questi personaggi vaganti alla ricerca di un’ipotetica quiete assoluta; ciò che trovano è una momentanea ma utilissima distensione. Se qualcuno ha letto il mio articolo sul Bimbo, pubblicato nel Laboratorio dell’Istituto di Micropsicoanalisi potrà trovare le risposte a certi quesiti impossibili che sono un esempio di queste realtà molteplici.
Per me il più intrigante è: come può succedere che eminenti scienziati, fisici, medici, psicoanalisti e anche micropsicoanalisti aderiscano fermamente alle spiegazioni fantasiose delle religioni ? La risposta è: lo fanno tramite il Bimbo che è presente in loro, il quale crede a qualsiasi cosa e a niente e nega ciò che crede, pur continuando a crederlo.
Il Bimbo è il tramite, mediatore e messaggero, vive in noi, è un entità psichica (forse psicobiologica, dato che lo si può intossicare ) come un personaggio pirandelliano: noi siamo il palcoscenico.
Quella parte dell’adulto in cui rimangono incistati i residuati dell’infanzia possiamo definirla: Bimbo. Vive nel riflesso del processo primario. E’ tutto e il contrario di tutto: insieme.
Sono le esteriorizzazioni di questo Bimbo che nel mio lavoro intitolato “Il Bimbo e le sue manifestazioni “ ho presentato al lettore. Tali manifestazioni appaiono sia nelle vesti di ispirazioni creative per l’adulto di cui è una parte, sia nelle sue acquisizioni formali quando è in costruzione, sia nelle interpretazioni della realtà e dei fenomeni in generale, in parziale o completa dissonanza con il livello di intelligenza di chi lo ospita. Vedi per esempio, l’epistemologia fantasiosa dei creazionisti che pur, a volte, essendo scienziati e comunque uomini colti, non riescono a rinunciare all’artificialismo: i fenomeni esistono perché un’entità li crea. Molti scrittori e artisti in generale, hanno recepito l’esistenza di questa entità psichica. Lo stesso Pirandello, in una lettera alla fidanzata Antonietta. scriveva: ”Soglio dire, ch’io consto d’un gran me e d’un piccolo me: questi due signori sono sempre in guerra tra di loro; l’uno è spesso all’altro sommamente antipatico. Il primo è taciturno e assorto continuamente in pensieri, il secondo parla facilmente, scherza e non è alieno dal ridere e dal far ridere. Quando questi ne dice qualcuna un po’ scema, quegli va allo specchio e se lo bacia. Io son perpetuamente diviso tra queste due persone. Ora impera l’una, ora l’altra. Io tengo naturalmente moltissimo di più alla prima, voglio dire al mio gran me; mi adatto e compatisco la seconda, che è in fondo un essere come tutti gli altri, coi suoi pregi comuni e coi comuni difetti. Quale dei due amerai di più, Antonietta mia? In questo consisterà in grande parte il segreto della nostra felicità. “
Questo “piccolo me“ sovente si manifesta in seduta, sia nell’analizzato che nell’analista, in modi non semplici da recepire; può essere un ostacolo per lo psicoanalista ma, a volte, un grande aiuto. Vorrei darne un esempio tratto dalla mia esperienza di lavoro, parafrasando Musatti : Curar nevrotici con la propria auto analisi.
In questa parte cercherò di spiegare ciò che fa l’analista, a sua insaputa, quando in seduta si lascia andare al piacere dello scarabocchio o del disegno più o meno a senso compiuto.

Un esempio di posturogramma

Sovente, durante le sedute lunghe di micropsicoanalisi, l’analista disegna. Per anni io ho disegnato i così detti posturogrammi degli analizzati, o semplicemente ho tracciato qualche disegnino.
Un giorno, un medico in micropsicoanalisi,che ascoltava il rumore della matita sul foglio (allora non facevo attenzione), mi chiese per quale ragioni facessi quella attività. Dovetti pensarci e la risposta fu che tentavo di vincolare il desiderio di muovermi e sottrarmi così all’immobilità della seduta lunga. Avevo fatto una serie di uccelli, quasi tutti in volo, ed il desiderio di volare via era palese. Il Bimbo se ne voleva andare.
Un’attività ludica come questa, si può pensare sia priva di significato; io credo invece sia un utile strumento per indagare l’interazione dinamica tra il transfert e il controtransfert.
Tra operatori della psiche, specialmente tra quelli che occupano di affettività, si parla sovente di empatia o di comunicazione empatica.
Ne vengono date varie definizioni, in generale si intende un tipo di messaggio che si trasmette da soggetto a soggetto in modo involontario e inavvertito, se non a posteriori. Nelle sedute di psicoanalisi, e specialmente in quelle lunghe di micropsicoanalisi capita sovente che l’analista abbia un pensiero, una riflessione, un’idea, e che l’analizzato dopo pochi istanti esteriorizzi un pensiero, una riflessione, un’idea identica o quasi. Non è certo telepatia e mi infastidisce chiamarla empatia anche se, nel senso di identificazione temporanea, ( Fenichel) non siamo lontani dal descrivere la situazione che intendo. Un modo, secondo me pienamente psicoanalitico, di descrivere il fenomeno è la formulazione: contemporaneità del desiderio.
Faccio un esempio che traggo dal materiale di un collega in supervisione. Parla di un suo paziente e del fatto che non registrava una seduta da molto tempo; aveva deciso di registrare un paio d’ore per farmele ascoltare, aveva messo in azione un piccolo computer, (riposto in una scatoletta ), che ha funzioni di registratore ed é totalmente silenzioso ed invisibile. Il paziente era andato ad espletare un bisogno corporale ed al ritorno sul divano aveva detto, “eppure ho l’impressione di essere registrato”.
Anche a me, come analista, era successo lo stesso fenomeno ma avevo evitato di meditare su esso, spiegandolo con il solito discorso della comunicazione da inconscio ad inconscio; oggi però mi sono chiesto cosa intendevo con tale giustificazione e mi sono reso conto di un fenomeno importante che, del resto, avevo già verificato, quando introducevo in seduta lo studio delle fotografie, quello del lavoro sulla visita dei luoghi, sulle piantine delle case, o sul materiale genealogico.
Ogni nuova attività introdotta in seduta, nello spazio virtuale del dinamismo transfert – controtransfert è simbolo. Simbolo che esprime ll desiderio. Voglio dire che l’idea dell’analista di registrare e l’impressione dell’analizzato di essere registrato esprimono un desiderio inconscio che si rappresenta in quel modo. Quando la contemporaneità del desiderio si realizza accadono quei fenomeni ai quali diamo la spiegazione di una comunicazione non conscia.
Vorrei fare un altro esempio servendomi di una parte del materiale di seduta che compete essenzialmente una mia interazione controtransferale durante l’analisi di una signora.
Il materiale dell’analizzata, dopo un periodo di lavoro con sedute lunghe, tre volte alla settimana, era pervenuto ad un momento in cui la dinamica transferale era buona e i risultati, in termini di scomparsa della sofferenza e maturazione personale, ottimi. La signora desiderava terminare, almeno per un periodo, le sedute, al fine di confrontarsi con una realtà che aveva assunto connotazioni obiettive. La fantasmatica che ingigantiva le difficoltà di rapporto era stata analizzata e anch’io pensavo che sarebbe stato utile un periodo in cui la sua energia fosse dedicata alla soluzione di problemi di vita familiare quotidiana.
Come mi succede a volte, quella mattina avevo fatto un paio di disegnini sul quaderno di seduta e, in pensiero, mi ero divertito ad analizzarli come manifestazione di controtransfert.
Presento per il lettore i disegni con qualche commento.

Dis. n° 1: una lumachina
tiene ferma una gallina

E’ raffigurata una lumachina che con uno spaghetto tiene ferma una gallina; in basso, al centro, avevo disegnato una bicicletta, direi, da bambino. Il Bimbo si era divertito e a suo modo mi dava informazioni sull’analisi che stavo conducendo.
La bicicletta, secondo me esprime il verbo, e indica il desiderio di movimento. L’insieme è un ideogramma.
L’ idea che esprimo, ricavata per associazione, è che mia zia Rosetta (un sostituto materno, la lumachina ) mi tiene fermo. Io ( gallina ) desidero muovermi. Nel prato di fronte alla casa dove abitavo da piccolo avevo osservato con grande interesse la vita personale e sociale delle “Titte” (le galline); mia zia teneva fermo me piccolo che cercavo di rincorrere le galline che scappano a destra e a manca. Mi teneva per la cintura del grembiulino e, in questo momento che scrivo, vedo me stesso da piccolo che cerco di scappare e la cintura diventa una cordicella.
E’ la stessa situazione che accade in seduta. Io sono con la signora che mi fa stare in seduta, mi tiene fermo.

L’altro disegno è più o meno lo stesso di prima ma la gallina insegue un gatto. Cioè ho cambiato oggetto.

Dis. n° 2: una lumachina
tiene ferma una gallina
che insegue un gatto

Ecco che cosa è il controtransfert. Il mio desiderio di libertà, che corrisponde al suo (dell’analizzata), viene in superficie tramite il mezzo zoomorfo tipico dell’infanzia.
Dopo questa prima semplice riflessione lascio che le associazioni affluiscano alla mente.
Alla mia coscienza affiora una filastrocca in dialetto genovese che sentivo recitare da bambino :
“ Lumaça,lumaçin tia feua ou teu cournin dounque tê massou; tê façou mangià dau gattou “, (trad. – Lumaca, lumachina, tira fuori la tua cornina se no t’ammazzo, ti faccio mangiare dal gatto ). Il gatto è il terzo personaggio, quello che fa paura e dice “ae poule dou gattou“ (trad. – Le parole del gatto = le parolacce).
Il gatto è il terzo, l’adulto,la paura e la tentazione. Può fare ciò che tu non puoi fare, e la sua presenza implica la tentazione di infrangere i divieti. E’ il diavolo che ti spinge a mangiare il frutto proibito dell’albero della conoscenza.
Ecco l’espressione semplice della vita: il desiderio di libertà (movimento = bicicletta), il desiderio di azione, è contrastato dalla paura totemica di muoversi. Il gatto si muove come vuole, dice le parolacce, e può anche mangiarti. Io, vorrei essere il gatto, cioè la cattiveria, ma non posso (il tabù).
Si crea l’equazione: libertà = cattiveria.
Penso ancora alla lumaca che come “la bissia strissia“ (la biscia striscia), come un pene bavoso.
Ho molte associazioni sulla Tetta (il nome infantile che attribuivo a mia zia Rosetta con un chiaro riferimento latente) e “sulla marina”, dove “ti porto a vedere il pesce senza spina“. Una canzone popolare che mi poneva qualche problema perché ne intuivo l’atmosfera sessuale ma non riuscivo a capire che cosa fosse “il pesce senza spina”, forse, pensavo, un polipo. Avevo analizzato questi argomenti durante la mia analisi personale, ma come linguaggio del Bimbo erano ancora presenti.
E’ chiaro che il desiderio che affiorava alla mia coscienza era quello di portare “la gallina a vedere il pesce senza spina“.
In definitiva portare la bella analizzata alla marina a veder il pesce senza spina.
Bisogna sapere che durante una delle più intense sedute l’analizzata aveva rievocato un episodio di quando aveva circa tre anni e giocava con un coetaneo, in spiaggia, vicino ad una barca, ad un’esibizione reciproca degli organi genitali. Sul più bello, il gioco era stato interrotto dall’intervento traumatico degli adulti. L’avvenimento aveva causato un’attivazione della coazione a ripetere in cui il “gioco“ sessuale veniva ricostruito e non concluso.
Ora tale gioco si riversava (simbolicamente) nel transfert di analisi e dava luogo ad un controtransfert (inconscio sino a che non ebbi interpretato i disegni) in cui si attivava in me il desiderio di continuare la sua avventura infantile e giocare con lei. Cioè continuare con lei, oggi, i giochi sessuali dell’infanzia.
La psicoanalisi aveva preso il posto del gioco, quando me ne accorsi era troppo presto, come tempo di analisi, e quindi non ebbi la possibilità di interpretare la dinamica: l’analisi, come il gioco, venne interrotta in apparenza di comune accordo, in realtà poiché la coazione a ripetere era troppo carica per fallire.
Ho dato per acquisito, il fatto che coloro che ascoltano si rendano facilmente conto dei legami associativi tra gli elementi grafici e le spiegazioni verbali. Cioè il passaggio interpretativo dall’elemento figurale a quello verbale. Non è così semplice poiché gli elementi figurali (i disegni) sono stati costruiti per primi e la spiegazione verbale un poco più tardi. Ciò che sto cercando di dire è che quando ho fatto i disegni non mi rendevo conto di ciò che significassero anche se sapevo che erano collegati alla seduta.

Nell’articolo il Bimbo e le sue manifestazioni mi occupo anche di questo argomento e sarò ben lieto di dare le spiegazioni che posso a chi si interessa dell’argomento.

© Nicola Peluffo

Bibliografia:

– C. Musatti, Curar nevrotici con la propria autoanalisi, A. Mondadori ed. 1987, Milano.
– L. Pirandello, Maschere Nude, Fratelli Treves Editori, 1918, Milano.
– L Pirandello, Lettera ad Antonietta, 05 gennaio 1894, Internet: http://www.aaa-agrigento.it/html/pirandello/13.htm.
– C. Musatti, La struttura della persona in Pirandello e la Psicoanalisi, Ubaldini,1982, Roma
– A. Camilleri, Biografia del figlio cambiato, Rizzoli,2000, Milano