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Il primo contatto che l’analizzato esperisce nei confronti della nozione del Tempo nella nuova dimensione cui si sta avvicinando, cioè quella analitica, avviene nel corso della prima seduta. In quella sede, quando lo psicoanalista detta le regole degli incontri dice anche puntualmente: “La invito a togliersi l’orologio e a metterlo in tasca o in altra posizione in cui non le sia visibile. Terrò io il tempo per lei e la invito ad abbandonare, per quanto possibile, qualsiasi preoccupazione rispetto alla percezione del tempo“. Sembra una banalità ma a volte una consegna così semplice va incontro a resistenze solidissime e spesso getta nello scompiglio il paziente. Possiamo allora farci l’idea che il tempo sia una difesa dello psichismo.

L’analista, mentre illustra il procedimento delle libere associazioni, inoltre, invita l’analizzato ad abbandonare i riferimenti della progressione temporale: “Qui, il “ma questo viene prima e quello dopo” non ha alcun senso” – dice.

Freud, come tutti sanno, aveva descritto il processo primario che governa il funzionamento dell’inconscio come governato da leggi diverse da quelle del processo secondario. Nel processo primario spazio e tempo non esistono.
Sembra quasi un artificio mentale a dirla così, ma noi dovremmo invece sapere che il tempo è un arbitrio dell’Io, un’escamotage dell’intelletto che ci consente di vivere la nostra microfinestra di esistenza.

L’assolutezza del tempo è stata definitivamente scossa fin dalle fondamenta a cavallo del secolo da Albert Einstein.
Nel 1905 il giovane Albert già lavorava a questa impresa colossale e metteva a punto le sue riflessioni confrontandosi con un amico italiano, Michele Angelo Besso, che aveva conosciuto al Politecnico di Zurigo. Passeggiando insieme erano partiti da una dirompente osservazione di Galileo Galilei: “Il tempo è come se non fusse” e cercavano una dimostrazione scientifica a quella percezione. All’improvviso Albert esclamò: “…credo di aver capito!… guarda la torre dell’orologio, laggiù, nel centro di Berna. Se avessimo un binocolo, potremmo leggervi l’ora, ma non la nostra ora. Dovremmo sottrarre il tempo che la luce ha impiegato per arrivare dall’orologio fino a noi. Sento che questa idea modificherà la nozione di tempo per un osservatore in moto. Grazie Michele!“. 1

Sei settimane dopo Einstein scrisse uno degli articoli scientifici più importanti del XX secolo costruendo la teoria della relatività, che scardinava, per la prima volta, la nozione di un tempo assoluto. Per Einstein e dopo di lui per tutti i fisici del mondo, il tempo non esiste in modo assoluto ed esiste un legame indissolubile tra tempo e velocità dei segnali. Non sarò certo io che mi avventurerò in parallelismi con la fisica, per ora mi basta questa informazione. Mi fa venire in mente una bella riflessione di Fanti, Codoni e Lysek che recita:

il tempo
è l’intervallo co-pulsionale
tra la carica e la scarica
di una fonte somatica

 

In altre parole, il tempo è un vissuto soggettivo che deriva dall’aumento della tensione che si produce per l’insorgenza di un bisogno o di un desiderio ed il suo azzeramento tramite soddisfazione pulsionale.
Ben lo sanno, d’altronde i drogati, soprattutto quelli da eroina, che dopo l’assunzione della dose idonea perdono qualsiasi percezione del tempo e cominciano a riacquistarla con il degradarsi della dose. E’ molto probabile che se fosse possibile costruire in laboratorio un essere umano capace di totale soddisfazione pulsionale il tempo cesserebbe di essere un suo interesse.

Con la teoria della Relatività il Tempo Assoluto Universale, che sembrava coincidere con la durata psicologica vissuta da tutti gli esseri viventi, veniva buttato giù dal piedistallo della storia dei tempi e sostituito da una molteplicità di Tempi Relativi Individuali discordanti tra di loro. Il matematico Minkowsky, che tra l’altro aveva insegnato ad Einstein al politecnico di Zurigo, nel 1908, a Colonia nel corso di una conferenza intitolata “Lo Spazio ed i Tempo” si incaricò di sparare la bordata: “D’ora innanzi lo Spazio e il Tempo, considerati separatamente, sono destinati a sparire come ombre, perché a conservare una realtà indipendente sarà solo una sorta di unione tra i due concetti“.

Per Minkowsky, ed ovviamente per Einstein, la realtà deve essere pensata in un “blocco quadridimensionale” da cui ogni flusso temporale è bandito. Nel formalismo scientifico della relatività ristretta non vi è nulla che possa corrispondere al concetto di “adesso”, cioè alla raffigurazione di una realtà privilegiata che descriva il presente. E non vi è alcun modo per definire una successione di segmenti orizzontali, di intervalli, che possano dar vita al concetto mentale comune di tempo universale. Con un salto logico, obbligato dalla brevità dello spazio-tempo a disposizione (:-D), potremmo dire che è l’investimento di energia che crea gli eventi reali, che emergono, come per incanto da un blocco spazio-temporale fuori da ogni flusso del tempo.

E’ un esperimento drammatico che ogni tanto lo psicoanalista vede comparire davanti ai suoi occhi quando un flusso energetico casuale investe una rappresentazione mentale latente che, se riesce a qualificare un rivissuto affettivo, trasporta nell’arbitrio del presente del sistema secondario, il bambino di 50 anni prima che inizia a frignare o a disperarsi, esattamente con gli strumenti espressivo-cognitivo-comportamentali di un tempo che nel secondario non esiste più. In psicoanalisi intensiva non si tratta di ricordi o fredde comprensioni razionali, il riflettore della mente illumina una porzione di spazio-tempo che continuava ad esistere e magari si manifestava indirettamente turbando le attività dei complessi esistenziali circonvicini.

Nella chiusa finale di un mio precedente lavoro, (“Trauma, memoria e struttura cibernetica della mente”, Scienza e Psicoanalisi, 2002) scrivevo che incessantemente nell’inconscio si formano fluttuazioni di tentativi in cerca di attualizzazione e di vincolamento, un’infinità di oggetti microscopici infiltra in continuazione il preconscio cercando una rappresentabilità nel conscio. Il contatto con quest’ultimo sistema, legato a modalità di funzionamento deterministiche proprie del processo secondario, determina il collasso della funzione d’onda della nuvola di probabilità e fa precipitare un dato osservabile, la rappresentazione conscia, che è, in realtà, l’attrattore di una serie di possibilità di significato che giacciono nel mondo del tutto è possibile dell’inconscio.

Queste riflessioni saranno intuitivamente più chiare rifacendoci al mondo della musica.
La partitura di una sinfonia, ad esempio contiene staticamente, ma in potenza, un intero mondo musicale che può essere apprezzato, durante l’esecuzione, nel fluire del tempo. Sentiamo cosa accadeva invece nella mente di Mozart:

…Ho allora l’opera compiuta in testa, o almeno è come se lo fosse; anche se si tratta di un pezzo lungo, posso afferrarlo tutto in un sol colpo, come un quadro o una statua. Nella mia immaginazione, non odo l’opera svolgersi come se venisse eseguita, ma la afferro tutta in un sol blocco, per così dire.”
A Mozart era ovviamente concessa una singolarità che ai comuni mortali non è concessa: fare a meno del modo speculativo e progressivo con cui gli umani apprendono la musica, per comprenderla “in un sol blocco”, nella sua interezza, a prescindere dal flusso della successione temporale. Ed effettivamente, secondo la teoria della relatività, se potessimo affrancarci dai limiti percettivi del supporto psicobiologico e dalle leggi della termodinamica a cui è assoggettato, potremmo vivere la nostra intera esistenza “in un sol blocco”, come se appartenesse allo spazio-tempo quadridimensionale di Minkowski. Spesso mi chiedo se l’esperienza abbastanza frequente, che si manifesta in coloro che escono da lunghi stati di coma, di vedere l’intera esistenza in un solo momento non sia un’esperienza reale di deconnessione dalla realtà degli oggetti e di accesso al processo primario in una zona magica di passaggio.

Un’altro fenomeno abbastanza inquietante che ci mostra come l’inconscio possa attingere ad avvenimenti al di fuori dell’ordinamento spazio-temporale è quello del cosiddetto genotropismo. Il primo ad utilizzare il termine fu lo psichiatra ungherese Leopold Szondi che costruì una teoria abbastanza singolare per spiegare la mole di sconcertanti osservazioni derivanti dallo studio approfondito di centinaia di alberi genealogici. Szondi studiando la casistica si era reso conto che nel dispiegarsi della fenomenologia longitudinale si ripetevano una serie di accadimenti (scelta del partner, professione, malattie, modalità di morte, etc.) in modo marcato.

Facciamo un solo esempio: “… Un industriale si sposa due volte. La prima moglie lo lascia per sposare un uomo instabile che la rende infelice. Comincia a bere e infine si uccide. L’industriale si risposa con una donna la cui madre si è ugualmente uccisa. Il fatto che anche la sorella dell’industriale si sia uccisa testimonia del carattere genotropico dei due matrimoni…”
nella sua teoria, elaborata per l’arco di un ventennio, dagli anni 50 agli anni 70, Szondi dice che “… la scelta in amore è determinata dall’identità o dalla parentela di certi geni latenti. Gli esseri umani che si cercano, si trovano e si uniscono nell’amore e nel matrimonio, sono degli individui la cui eredità ed i geni sono apparentati, cioè sono degli individui portatori, conduttori di elementi ereditari identici“.

Sorvolando sul fatto che un’enorme mole di lavori di genetica applicata si muove ancor oggi in questa direzione deterministica, io credo che l’indubbio genotropismo che spesso riscontriamo nelle genealogie di molti nostri pazienti derivi dalla possibilità dell’inconscio di attingere al blocco spazio-temporale quadridimensionale di Minkowsky. Percepiamo avvenimenti che per il secondario devono ancora apparire.

Una mia paziente, gravemente ossessiva, che si era fissata al feticcio dei capelli argento di suo padre mi raccontava sconcertata che si era legata per numerose volte ad uomini diversi, tutti con folte e sane capigliature, che a distanza di poco tempo dall’unione manifestavano una canizie notevolmente precoce. Mettendo a latere la facile battuta che a fargli venire i capelli bianchi fosse lei, completeremo il quadro dicendo che intorno ai 35 anni la donna diventò completamente canuta portando, stranamente con orgoglio, un segno distintivo che per la quasi totalità delle donne è un problema estetico notevole.

Un’altra giovane donna proveniva da una famiglia tormentata da un grave avvenimento che aveva assunto le stigmate della mitologia familiare. Il nonno materno era disperso in guerra: posto a guardia di una enorme santabarbara che era esplosa era praticamente evaporato nell’aere ma la famiglia, in preda ad un fenomeno collettivo di diniego, sperava ancora di rivederlo prima o poi. Il defunto non aveva nemmeno un simulacro funebre ed il suo fantasma aleggiava nello psichismo dei coevi e poi dei discendenti. La paziente si era identificata totalmente al destino della nonna che ha il marito che non torna. Sta per sposare un uomo brillante, in piena salute, ma a pochi giorni dal matrimonio una sera lui la saluta ed esce di casa dandole appuntamento all’indomani. Lei in preda ad un irrazionale terrore lo prega di restare a dormire presso di lei, lui sorride ed esce.
dopo un’ora i carabinieri le telefonano per dirle che il fidanzato è morto in un incidente stradale. La paziente devastata dal dolore, impietrita in una difesa anaffettiva, inizia una psicoanalisi intensiva nel corso della quale prende coscienza del suo tentativo inconscio di diventare “l’uomo della nonna” (fattore che a dispetto della sua indubbia bellezza le dava un aspetto notevolmente androgino), conquista la posizione femminile e si lega ad un giovane uomo che sposa. Il marito possedeva, ahimè, la particolarità che suo nonno fosse anch’egli morto durante un incidente stradale di altri tempi, schiacciato nottetempo sotto un carro che si era ribaltato durante il guado di un torrente. Ovviamente durante il fidanzamento lei nulla sapeva a livello conscio di questa particolarità. La psicoanalisi intensiva, che ingloba in sé la Psicologia del Destino di Szondi, per usare le parole di quest’ultimo, risulta essere l’unica speranza di “tracciare un piano individuale di guarigione, cercando di sostituire alle possibilità di esistenza pericolose che agiscono attualmente in primo piano in modo importante, una forma di esistenza meno pericolosa che attendeva dietro le quinte l’occasione di manifestarsi” 2

La presa di coscienza della Signora è ben chiara: “Quella era una scelta dovuta al desiderio di mia madre e mia nonna che quell’uomo che era morto tornasse, rivivesse. Ho raccolto i loro desideri inconsci e mi ci sono assoggettata. Si fanno dei giri per ritornare ad un punto. Quella sera ero certa che il mio fidanzato sarebbe morto uscito di casa. Una cosa assurda, folle. Si sarebbe chiuso il cerchio di una storia già fatta“.

In uno dei suoi più importanti lavori, “La situazione”, pubblicato in prima stesura nel 1987 e poi riveduto ed ampliato nel 2001 sulla rivista “Scienza e Psicoanalisi”, il nostro amatissimo maestro Nicola Peluffo scriveva: “E’ inutile che richiami l’informazione che dove c’è trauma esiste coazione a ripetere. Il tentativo è quello di rendere reversibile l’accadimento.
In tal modo la forma della ripetizione si propaga dal passato filo-ontogenetico al presente, servendosi della retroazione (feed-back). L’energia del trauma dà origine a forme psicomateriali che tendono a conservarsi in situazioni anche cronologicamente lontane. Tali forme diventano palesi quando un numero sufficiente di elementi forniscono la materia per la quale esse diventano percepibili nella loro elaborazione secondaria, anche a livello della coscienza
.”
Credo che oggi sarebbe lieto di come le sue pionieristiche idee, come semi gettati in un terreno fertile, continuino a germogliare.

Note:

1 Albert Einstein – La rivoluzione della fisica contemporanea, Thibault Damour, Einaudi, 2009. 
2 Leopold Szondi, Introduzione all’Analisi del Destino, Astrolabio, Roma, 1975. 

Written by: Quirino Zangrilli © Copyright

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Parole chiave

tempo
tempo relativo
processo primario
Psicoanalisi del destino

Riassunto

Nel processo primario dell’inconscio il tempo non viene percepito. La nozione di un Tempo assoluto venne scardinata nel 1905 da A. Einstein con la formulazione della Teoria della Relatività. Si interpreta il genotropismo della Psicoanalisi del Destino di Szondi come la capacità inconscia di cogliere lo spazio-tempo quadridimensionale di Minkowski.