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Il Mal d'Amore (estratto della Conversazione tenuta da Alberto Scerrati  e Quirino Zangrilli al XXXI Convivium “AmorevolMente: il Mal d’Amore” tenutosi a Fiuggi il 12 ottobre 2013)

[Suo piacer predominante è saggiarle tutte quante …]

Dopo aver ucciso in duello il Commendatore (futuro “convitato di pietra”), Don Giovanni è in fuga.
Ma, per strada con il servo Leporello, presto torna a parlare di nuove conquiste, e di una dama che gli ha rubato il cuore.
“Sappi chi’io sono innamorato d’una / bella dama, e son certo che m’ama. / La vidi, le parlai; meco al casino / questa notte verrà (…)”. Mentre parla, scorge da lontano una donna tutta sola, in preda a sconforto e rabbia verso l’uomo che l’ha ingannata e piantata in asso.
“Ah, chi mi dice mai / Quel barbaro dov’è, / Che per mio scorno amai, / Che mi mancò di fe? / Ah, se ritrovo l’empio / E a me non torna ancor, / Vo’ farne orrendo scempio, / Gli vo’ cavare il cor”                
Parole forti, minacce ripetute più volte (“Gli vo’ cavare il cor”, mica fa i complimenti!)
Pensando che si tratti della dama da lui attesa (la donna è coperta dal velo, siamo all’imbrunire), le si avvicina con modi galanti, da consolatore (“Così ne consolò mille e ottocento”, sussurra Leporello). Ma quando Don Giovanni scopre, scoperto a sua volta, che quella dama è Donna Elvira, da lui già sedotta ed abbandonata pochi giorni prima e che ora lo cerca disperata d’amore, se la dà a gambe, lasciando il servo in grande imbarazzo, a sbrigarsela con la donna, tentando di placare la sua ira funesta.
Leporello, che nell’opera rappresenta una sorta di buona coscienza “borghese”, di debole super-io (un po’ come il Grillo Parlante di “Pinocchio”), aveva poco prima, timidamente, criticato il libertinaggio del padrone

Leporello
Giurate di non andar in collera.

Don Giovanni
Lo giuro sul mio onore,
purché non parli del Commendatore.

Leporello
Siamo soli.

Don Giovanni
Lo vedo.

Leporello
Nessun ci sente.

Don Giovanni
Via!

Leporello
Vi posso dire tutto liberamente?

Don Giovanni
Sì.

Leporello
Dunque quando è così,
caro signor padrone,
la vita che menate (all’orecchio, ma forte) è da briccone.

Don Giovanni
Temerario, in tal guisa…

 Lo stesso Don Giovanni, allontanandosi dalla scena, aveva pregato il servo di dire a Donna Elvira la verità (“Sì, sì, dille pur tutto”).Viste le circostanze, Leporello non può far altro che rivelarle la vera natura del padrone e l’infinita serie delle sue conquiste femminili in tutto il mondo (una sorta di lista referenze): 640 in Italia, 231 in Germania, 100 in Francia, 91 in Turchia e in Spagna 1003 (in totale 2065!).

 LEPORELLO (servo di Don Giovanni; rivolto a Donna Elvira, ultima donna tradita dal padrone)

(Cava di tasca una lista)

Guardate:
questo non picciol libro è tutto pieno
dei nomi di sue belle ogni villa, ogni borgo, ogni paese
è testimon di sue donnesche imprese.

ARIA

Madamina, il catalogo è questo

Delle belle che amò il padron mio;
un catalogo egli è che ho fatt’io;
Osservate, leggete con me.
In Italia seicento e quaranta;

In Almagna duecento e trentuna;
Cento in Francia, in Turchia novantuna;
Ma in Ispagna son già mille e tre.

V’han fra queste contadine,
Cameriere, cittadine,
V’han contesse, baronesse,
Marchesine, principesse.
E v’han donne d’ogni grado,
D’ogni forma, d’ogni età.

Nella bionda egli ha l’usanza
Di lodar la gentilezza,
Nella bruna la costanza,
Nella bianca la dolcezza.
Vuol d’inverno la grassotta,
Vuol d’estate la magrotta;
È la grande maestosa,
La piccina è ognor vezzosa.
Delle vecchie fa conquista
Pel piacer di porle in lista;
Sua passion predominante
È la giovin principiante.
Non si picca – se sia ricca,
Se sia brutta, se sia bella;
Purché porti la gonnella,
Voi sapete quel che fa.

Ascolto del brano:

 

Lettura. Da un racconto in cerca d’autore:

“Non riesco a non pensare ad altre donne, nemmeno quando sono nel pieno della stretta amorosa.
L’ossessione di grande collezionista riesce a sovrastare persino l’impulso erotico ed a bloccarlo nella conta delle pollastrelle passate e future, e nella smania di possederle un giorno, tutte quante viventi sull’orbe terracqueo, e forse più.
Il collezionista più grande e completo della storia: forse un giorno troneggiante sui cataloghi Bolaffi o di qualche casa d’asta, o magari soltanto nel Guinness dei primati.
Provo piacere solo durante il corteggiamento e la seduzione: e tanto più lei mi resiste, tanto più godo all’idea che prima o poi cederà. La preda è tanto più appetitosa e saporita quanto più la caccia è sofferta, e quanto più la cattura è frutto di sottile e raffinato inganno.
Ma, a proposto di inganno, non ingannatevi, signore: io mi innamoro sinceramente.
Sento il cuore accelerare i battiti, le mani trepidare, le membra sciogliersi. Come tutti e più di tutti. In quei momenti sono l’amante più languido che esista sulla faccia della Terra. E’ solo più tardi che scatta il raptus dell’inganno, quando il gioco si avvicina alla sua conclusione.
Ricordo che, da bambino, ero seduto in una saletta di attesa del parrucchiere: la mia mamma era andata a sistemarsi i capelli e mi aveva portato con sé. A quei tempi non c’erano … come le chiamate adesso? … le baby sitter, giusto? E nemmeno zie o cugine, quel giorno.
Ero in preda alla noia, quando vidi una porta-finestra che dava sul giardinetto. Uscii e vidi una bambina, sola, molto più piccola di me, che giocava con la terra: capelli ricci, vezzosa e vestita come una bambola, incluso il gonnellino succinto. Le chiesi di giocare insieme, le mi sorrise e acconsentì, felice e fiduciosa. Era come se la compagnia di un bambino più grande le schiudesse chissà quali orizzonti di giochi e fantasie, oltre che di protezione. Anche la sua mamma, che ci vedeva giocare, era felice e rassicurata dalle mie apparenze gentili.
Eh sì, caro signore, perché io, ribadisco, sono un gentiluomo e non fingo: lo sono veramente.
E anche in quell’occasione ero gentil-fanciullo, almeno fin quando il mio stato d’animo non virò, di colpo, verso quello del cinico traditore. Non potevo continuare a vedere quella faccina ingenua e felice, ad un tratto non la sopportavo più, e sentii in me montare la rivolta, la volontà di distruggere tutto questo.
Volevo vendicarmi della tenerezza, perché qualcuno, nella notte della ancor beve memoria, me l’aveva distrutta. Dovevo ripetere quel rituale di distruzione, punendo me stesso ancor prima dell’indifesa compagna di giochi. “La tenerezza è un inganno – sentii dire dentro di me – e va vendicata con l’inganno”. Cominciai a godere al pensiero di quello che avrei fatto di lì a poco. Giocammo a rincorrerci ed ecco, nel momento più opportuno … zac! un perfido sgambetto e, come se non bastasse, una spinta
Volevo vederla piangere, ma soprattutto attendevo il momento in cui avrei potuto leggere nel suo sguardo lo stupore e lo sgomento di essere stata ingannata, anche lei, dalla tenerezza.
E così, adesso, il mio inferno è qui, sulla Terra, ogni giorno e persino ogni momento che manda Iddio.
Non c’era bisogno di scomodare il Convitato di Pietra, per farmi portare l’Inferno a domicilio, come gentile omaggio per la cena. Come il dolce o la classica bottiglia di vino. Davvero generoso e magnanimo, da parte sua. Ma superfluo.
Purtroppo il mio inferno è continuo, ed è nell’impossibilità di provare piacere compiuto, nel bisogno compulsivo di distruggerlo con l’attesa di un nuovo piacere, che di nuovo non si compirà. Come un bambino insaziabile che gode solo nella lunga attesa del giocattolo, di cui poi si stufa in pochi attimi e si libera in men che non si dica, distruggendolo rabbiosamente, spinto dal desiderio di averne subito un altro.
Non provo emozione se non nell’attesa, e solo noia e dolore nel momento in cui essa si realizza.
Non godo la donna, se non nel corteggiamento a cui, in eterno, sono condannato.
Nel momento stesso in cui cessa la sua resistenza, cessa insieme la mia eccitazione.
Nel momento stesso in cui il suo corpo mi cede, comincio a pensare alla prossima.
Il mio piacere sfrenato si sposta di colpo sull’idea di averla ingannata, lei come tante, e ciò mi nega di raggiungere il culmine della soddisfazione, quello in cui tutto, anche il respiro, si ferma, anche se per un solo attimo.
La mia è una libidine irrequieta, e senza speranza di acquietamento.
Perché, per acquietarsi, ci vuole l’”altra”: ed io non vedo “altre”, ma solo me stesso in ciascuna donna che corteggio e “amo”. Tante me stesso.
Quel me stesso onnipotente e soggiogatore, quel me stesso che mi tiene prigioniero del tradimento compulsivo e continuato.
Parodiando un vecchio motto, peraltro piuttosto volgare per i miei gusti: “tradire è meglio che fottere”.
E non potrà che finir male, come d’altronde voglio con tutte le mie forze.
Ma non sarà come nel romanzo: la realtà sarà molto diversa.
Sarà il marito di una delle tante traditrici e tradite a togliermi la vita. Questo mi han detto le carte.
Peccato, perché l’inferno sarebbe stata una fine eroica, degna di essere eternata nell’arte.
Invece, mi verrà negata persino la mano vendicatrice di una donna.
E per l’autodistruzione, pur così ardentemente bramata, mi manca il coraggio.
Il resto è romanzo, ovvero idealizzazione dionisiaca di un povero folle. Anzi, no: di un vano narcisetto”             

 

Provo piacere solo durante il corteggiamento e la seduzione”               
In questo passaggio c’è tutta la genesi del Dongiovannismo. Il Don Giovanni, contrariamente a quel che si pensa è un impotente orgasmico, nel senso che per le ragioni che vi dirò è incapace di godere profondamente del rapporto sessuo-affettivo, dunque un insoddisfatto perenne in cui la libido è rifluita sulle fasi precedenti di sviluppo, soprattutto sadico-anali in cui conta soprattutto il possesso ed il dominio dell’oggetto, così come fa l’avaro per il denaro ed il bambino per le feci. Un possesso sadico, più soddisfacente se intriso della sofferenza dell’oggetto (quanto più la cattura è frutto di sottile e raffinato inganno)
L’impressione di ipersessualità può essere dovuta agli stessi fattori che producono l’iposessualità. Privati di una reale soddisfazione in ragione delle numerose inibizioni o repressioni inconsce, molti nevrotici si sforzano ripetutamente ma invano di scaricare attraverso l’attività genitale quella sessualità che sono incapaci di sod­disfare. Essi così danno l’impressione di essere genitalmente molto vi­gorosi ma in realtà soffrono di una pseudoorgasmia che non scarica minimamente l’accumulo libidico. Se i nevrotici usano vantarsi del numero di volte che possono eseguire l’atto sessuale non sarà tanto difficile rendersi conto che il plus apparente è in realtà un minus. Bisogna ricordare una cosa basilare ed apparente ovvia: una persona normale perde il suo desiderio quando è soddisfatta. Se ho mangiato bene, sono soddisfatto ed ho esaurito la spinta al mangiare. Il nevro­tico soffre di incapacità di soddisfarsi; egli è « orgasticamente impo­tente » e può dunque illudersi di poter tentare di raggiungere la soddisfa­zione, persistendo nel ripetere l’atto sessuale. La incapacità di raggiungere un genuino piacere finale, spinge molti nevrotici ad accentuare i meccanismi del piacere preliminare proprio in ragione della insufficienza della loro funzione orgastica. (Di solito un insistere esagerato sul piacere prelimi­nare è determinato da una fissazione erotico-anale, poiché la dilazione del piacere della scarica è una caratteristica della ritenzione anale: alcuni bambini trattengono volutamente le feci tanto da farci parlare di masturbazione anale).
E’ dovuto alla natura arcaica del complesso edipico del tipico Don Giovanni, se questi è così poco interessato alla personalità dei suoi og­getti. Egli non ha superato le fasi preliminari arcaiche dell’amore. Le sue attività sessuali sono caratterizzate da un intimo sentimento di inferiorità, che si tenta di combattere portando le prove dei propri « successi » erotici: un vero e proprio investimento contro-fobico.
Così come alcuni che hanno paura del vuoto si danno al paracadutismo o altri che sono claustrofobici praticano la speleologia, così il Don Giovanni cerca di esorcizzare l’enorme paura inconscia che nutre per la donna-madre che ama ed odia in una ambivalenza paralizzante. Dopo aver posseduto una donna, egli non ha più nessun interesse per lei, primo perchè anch’ella non è riuscita ad of­frirgli quella distensione che egli tanto desidera, e secondo perchè il suo bisogno narcisistico richiede una prova della sua abilità nell’ecci­tare le donne. La ninfomania, che è la pseudo-ipersessualità femminile, si basa su un’analoga struttura psicologica. Spesso le donne ninfomani sono totalmente frigide, o per lo meno non hanno orgasmi regolarmente o prontamente. Il fatto che il rapporto possa eccitarle, ma non possa soddisfarle, crea il desiderio di giungere alla soddisfazione irraggiungibile rinnovando ed aumentando i tentativi, o con esperimenti con differenti uomini, o in diverse circo­stanze. Come per il Don Giovanni maschile, l’analisi mostra che la condizione dipende da un marcato atteggiamento narcisistito da un’intensa paura di perder l’amore e da una corrispondente colorazione pregenitale e sadica di tutta la vita sessuale.
L’atteggiamento nei confronti dell’oggetto è tipicamente am­bivalente perchè, in modo conscio o inconscio, esso è considerato il responsabile della mancata soddisfazione. L’atteggiamento sadico è ma­nifesto nel tentativo di costringere il compagno mediante la violenza a dare completa soddisfazione sessuale, e quindi la possibilità di ri­stabilire l’autostima. Questo può combinarsi col tipo di vendetta fem­minile dovuto al complesso di castrazione femminile: la passione ninfomane spesso tende a soddi­sfare il desiderio fantasticato di privare l’uomo del suo pene.

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