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(estratto della Relazione esposta al Congresso “Il Peso delle Emozioni: Cibo funzionale e cibo disfunzionale” tenutosi a Castro dei Volsci il 17 ottobre 2013)

Introduzione

Con i miei contributi delle precedenti giornate di studio avevo cercato di mettere a fuoco i meccanismi psicodinamici che sono alla base della condotta alimentare umana, la genesi della funzione psicosomatica alimentare ed i processi di maturazione della stessa. Oggi ritengo che possa essere utile illustrare un paio di casi clinici per mostrare come le ipotesi psicodinamiche ci consentano una operatività psicoterapica che spesso può portare ad un risoluzione, o, quanto meno, ad un drastico ridimensionamento della patologia.

Le ipotesi psicodinamiche

Prima di farlo vorrei richiamare a grandi linee le ipotesi teoriche a cui faccio riferimento con dei brevi flash.

Innanzitutto ricordare che chi pratica come me la psicoanalisi intensiva di orientamento freudiano tende ad inquadrare il problema in una prospettiva longitudinale.
Grazie agli studi di Nicola Peluffo oggi sappiamo che lo psichismo umano ha delle determinanti che lo condizionano fin dallo stato fetale e che la vicenda intrauterina lascia delle tracce e dei condizionamenti che avranno un grande peso nel destino psicobiologico dell’essere umano.

Non solo. Attribuiamo una grande importanza a quello che definiamo il “terreno psichico” definito come l’insieme dei fattori costituzionali, ereditari o acquisiti, che intervengono nella comparsa e nell’evoluzione di uno stato sintomatico.

A livello ancor più profondo, il terreno psicobiologico può essere definito come la qualità della relazione psicobiologica che un individuo intrattiene con il suo es, il serbatoio pulsionale dell’essere umano.

Per il discorso che ci interessa in questa sede, possiamo dire che l’esperienza clinica spesso ci mostra, se conduciamo uno studio longitudinale, o come va di moda oggi definirlo, transgenerazionale, la costruzione per più generazioni dello stigma patologico che poi esplode nella generazione di osservazione clinica. Dunque presteremo somma attenzione alla ricostruzione delle condotte alimentari degli ascendenti.

Cibo e spinte incestuose: Primo caso.

Ascoltiamo al riguardo un soggetto affetto da disturbo da alimentazione incontrollata (BED): “Da ieri sento che sto mangiando solo per me e non anche per loro.
Prima ero un tutt’uno con loro, un legame fortissimo. Mangiando siamo sempre uniti non ci lasceremo mai.
Mi vengono in mente dei flash di quando siamo tutti a tavola, devo mangiare come loro: tutti uniti. Una cosa da cui non si può uscire. Tutti legati, per sempre, a vita. Mangio per tutti quelli che mi hanno preceduto, li tengo in vita.
Non voglio più mangiare in quel modo! Mangio per me e gli altri che ho dentro! Mia madre non mi dava affetto, solo da mangiare. Il cibo non è amore: così fa solo male
Ho creduto fino a ieri che più mangiavo e più ero felice. Solo ora mi sono reso conto che rischio solo di morire”

L’analizzato è un giovane uomo che, accanto al disturbo alimentare, presenta una fortissima inibizione amorosa. Non ha una partner fissa e, prima di iniziare la sua analisi, aveva una vita sessuale ridotta al lumicino.
In tarda adolescenza era riuscito a costruire una relazione con una donna marcatamente androgina con cui aveva prevalentemente degli accoppiamenti da tergo che evidentemente da una parte soddisfacevano le sue spinte omosessuali latenti, dall’altra, evitando la vista della vagina, percepita fantasmaticamente come organo amputato, lenivano una intensissima angoscia di castrazione.

così descrive i suoi problemi alimentari: “Non ho potuto avere mia madre dunque ho mia madre solo attraverso il cibo. Io non ho un amore, non ho una donna, non sono innamorato: sono ancora fermo a questa immagine di mia madre e per averla sempre dentro di me trangugio cibo senza sosta”. 

C’è da dire che la madre del giovane si allontanò da lui in piena esplosione dell’Edipo per andare a fare la balia in un altro paese.
Dava il suo seno agognato ad un altro: un tradimento orale incancellabile, ed al contempo il fulcro di un nucleo di fissazione quasi irrisolvibile. In verità quell’allontanamento determinò un’angoscia di annientamento talmente potente che quest’uomo non poteva allontanarsi per troppo tempo dal nido materno senza sperimentare un’angoscia di morte per deprivazione alimentare potentissima.

Da questo punto di vista, dobbiamo tenere in mente che ogni volta che si riattiva una “corrente” orale il rapporto con l’oggetto è un rapporto di sopravvivenza e l’allontanamento di quell’oggetto mette la persona in uno stato di angoscia di morte per mancanza di nutrimento. Di madre ce n’è una sola, la fonte del cibo, e la sua scomparsa è come la scomparsa del sole. Non si spiega altrimenti l’angoscia che nutre sovente i comportamenti suicidari di molti adolescenti che stabiliscono rapporti totalmente simbiotici (orali) con l’oggetto e si sentono letteralmente morire e senza speranza quando vengono abbandonati dall’amato.

L’analizzato giunse dunque in seduta dopo un’astinenza sessuale durata ben 14 anni.
Apparentemente un uomo mite, in realtà era portatore di una struttura di carattere sadica, a volte camuffata da un’ostentata passività di tipo coatto, il cui vero scopo inconscio era quello di profanare, ferire, ledere la donna (madre). Covava fin dall’infanzia un odio inestinguibile ed al tempo stesso un’attrazione morbosa per sua madre. Un’ambivalenza profondissima che lo spingeva all’astinenza. L’enorme spinta libidica frustrata rifluiva verso i nuclei di fissazione orale e masturbazione coatta (spesso avente come oggetto di fantasia la madre) e abbuffate incoercibili si alternavano sistematicamente.

Era fermo ad una sorta di desiderio cannibalico: divorare la madre per fondersi con lei, distruggerla ed assimilarla, in una sorta di coito orale primario.
Durante il lavoro analitico il giovane recuperò una serie di episodi di seduzione infantile in cui la madre si lasciava andare a strofinamenti “casuali” ma non tanto, o episodi di esibizione dei genitali, sovente sul water. Non mancarono intensi rivissuti di scene primarie a cui il bambino aveva assistito anche in età relativamente avanzata (4-5 anni).

Questa continua eccitazione seguita da inevitabile frustrazione aveva causato un accumulo di odio che il bambino aveva incanalato nell’attività sadica orale: “Ho capito perché non mi sono fatto una donna finora, perché non amavo mia madre dunque non potevo amare mia moglie. Mia madre la odiavo. Non so come non sono diventato un cannibale. Avrei voluto cibarmi di lei, come una comunione eucaristica. Mia madre mi faceva capire che mi voleva bene solo facendomi scoppiare di cibo! Quando tornava dopo un mese di assenza mi faceva le ciambelle fritte. Era questo il mio rapporto d’amore con mia madre: ancora oggi, abitando con i miei genitori, devo mangiare per calmarmi”. arriverà a dire lucidamente l’analizzato.

Cibo e spinte incestuose: Secondo caso.

Passiamo ora al polo opposto: la sindrome anoressica, che in altre occasioni ho definito come una sorta di delirio incistato nel soma.

In questo caso i fantasmi e le imago infantili,  invece di imboccare la strada della elaborazione psichica, (mentalizzazione, elaborazione onirica) eleggono il corpo come sede del conflitto: esso diventa l’oggetto privilegiato sia dell’aggressività rimossa, sia degli investimenti narcisistici”.

Il fantasma della madre fusionale

Inoltre si crea, nella mente di queste persone l’attivazione, per iperinvestimento, di una Imago privilegiata: l’immagine della madre fusionale, imago onnipotente e persecutoria che suscita un potente desiderio di fusione che attiva, al tempo stesso, una profonda angoscia di dissolversi nell’altro e di riassorbimento-annientamento. Si tratta di un vissuto onnipotente del lattante grazie al quale il bambino non percepisce l’oggetto (la madre) separato dal sé, bensì egli si vive come un tutto con la madre in una sorta di struttura simbiotica: la distinzione tra sé e l’altro è molto labile ed il bambino vive la madre come un prolungamento di sé stesso, come fosse un arto o un proprio organo.

L’anoressia

Penso al caso di due sorelle, entrambe anoressiche, in cui l’esplosione conclamata della malattia era avvenuta in relativa tarda età: intorno ai venticinque anni.
Prima il conflitto si era manifestato in entrambe nello stabilirsi di una vita sessuo-affettiva estremamente conflittuale in cui si alternavano rapporti masochistici altamente autodistruttivi a condotte di spiccata promiscuità sessuale con l’esercizio di una sessualità superficiale, occasionale, spesso esperita contemporaneamente con più partner.
Per entrambe la soluzione anoressica era giunta come via di espiazione di una condotta sessuale vissuta come peccaminosa e dissoluta.

le due sorelle, molto vicine nell’età, erano state cresciute da una madre che odiava ferocemente gli uomini: era stata abbandonata da suo padre praticamente alla nascita e si era forgiata all’odio che la rispettiva genitrice aveva nutrito per lo sposo fuggitivo per tutta la vita.
Aveva sposato un uomo facoltoso, che rispettava formalmente sul piano sociale, ma che era portatore di una grave nevrosi ossessiva in cui il tabù del toccare impediva letteralmente la congiunzione carnale. Un bell’incontro di patologie.

Credo che i rapporti sessuali, condotti con mille precauzioni volte a contenere al minimo il contatto cutaneo tra i due corpi, siano stati una sorta di inseminazione artificiale ante litteram esperita con mezzi umani. Poi più niente. Continuava a vivere l’inferno della madre: un desiderio ardente per un uomo idealizzato reso impossibile dall’odio distruttivo.

Le due bambine crescono in uno spirito di feroce competizione, alimentata dalla posizione inconscia della madre che operando una scissione sull’oggetto aveva depositato tutto l’odio sulla primogenita, rea di assomigliare al padre, ed investito tutto il suo narcisismo sulla secondogenita, ipervalutata, sostenuta all’inverosimile, pompata.

Il padre delle due ragazze morì durante la loro adolescenza: la primogenita iniziò un processo di totale identificazione allo scomparso, prendendone il posto sul lavoro, l’habitus mascolino, gli hobby.
Ecco come ricostruisce la scomparsa del padre in seduta: “Sei o sette mesi prima che mio padre morisse noi eravamo proprio fidanzati. Eravamo in vacanza insieme. Poi a sera si sentì male e se la fece addosso. Io cercai di pulirlo. Lui mi disse: – Ora sono veramente tranquillo perché vedo che sei ormai grande -. Che responsabilità schiacciante! Mi disse: – Ecco, almeno ora mamma avrà te! Era come un investitura… Dio mio, è troppo! Mi ha spaventato questa cosa, mi batte il cuore all’impazzata. Con il passare del tempo le parole diventano rocce”. Accanto a questo materiale mi limitai a siglare una secca osservazione: “Il padre in quel momento li ha sposati”.

La secondogenita spese tutta la sua prima giovinezza in un rapporto distruttivo con un tossicodipendente da eroina, una specie di immolazione inconscia in un pozzo nero.
Poi, per entrambe, i rapporti sentimentali distruttivi non bastarono più ed iniziò l’espiazione anoressica. Il rapporto con il cibo si era erotizzato: mangiare significava inconsciamente congiungersi carnalmente all’oggetto incestuoso, di qui la necessità di restringere l’apporto alimentare o quantomeno ritualizzarlo in complicate formule sacrificali.

 Inoltre la sostanziale distruzione che avevano intrapreso del loro      corpo e della loro bellezza aveva anche lo scopo di rendersi meno appetibili sessualmente, trovando sollievo e riparo alle richieste sessuali che provenivano dall’es.

Risultati terapeutici

In tutti i casi trattati il recupero in seduta dei nuclei altamente conflittuali legati all’oralità, l’espulsione dell’aggressività ferina cannibalica portò ad una dissoluzione progressiva della sintomatologia alimentare. una difesa ormai inutilmente anacronistica.

Il giovane uomo riprese dopo 14 anni di totale astinenza la sua vita sessuale, prima con delle prostitute (se ti pago non puoi essere mia madre) poi con donne non mercenarie.

La primogenita delle due sorelle riuscì a scindere un matrimonio sado-masochistico e a sposare un uomo affettuoso e normonevrotico ma portatore di uno stigma irrinunciabile: un grave handicap motorio. In fondo la necessità di una grave diminutio dell’immagine maschile non poteva essere abbandonata.

La secondogenita, guarita dalla sindrome anoressica, rinunciò comunque sostanzialmente alla sua vita sessuale agita sviluppando varie forme di sublimazione.

Le analisi focali che avevano intrapreso le avevano salvate dall’anoressia ma ben altro cammino sarebbe stato necessario per sciogliere un nucleo genealogico di tale portata.

© Quirino Zangrilli 

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