Nel marzo 2008, la rivista Le Scienze ha pubblicato un ampio articolo di di J. Lee Nelsen sul microchimerismo, ovvero sulla presenza di cellule con patrimonio genetico diverso da quelle del resto dell’organismo che le ospita. Ciascuno di noi è provvisto, oltre che di migliaia di miliardi di cellule che discendono dall’originario uovo fertilizzato, anche di un quantum di cellule geneticamente diverse.
Come ho scritto in un lavoro presentato a capo d’Orlando nel 2008 (Microchimerismo e vita prenatale, in corso di pubblicazione), i biologi moderni hanno voluto scegliere un termine di radice classica e di vasto impiego letterario per definire questo fenomeno biologico.
Viene infatti, immediato il riferimento alla chimera in senso classico e figurato. Per quest’ultimo, cito il romanzo di S. Vassalli, “La chimera”, in cui il baluginare illusorio del ghiacciaio del Monte Rosa, a volte intravisto dalla bassa padana alla fine del giorno, è l’illusione, una fantasia tra la percezione e le proiezioni del nostro immaginario.
In senso classico, il concetto mitologico di chimera si riferisce a un essere fantastico, composto di parti di altri esseri, definito con un termine che deriva etimologicamente da ceira: capra giovane.
La psicoanalisi ci insegna che spesso i miti antichi contengono, per spostamento e condensazione, le angosce reali o fantasmatiche dell’uomo, stretto fra la fragilità del suo corpo, le forze preponderanti della natura e la spinta totipotente che avverte in sè.
Ma che rapporto può esserci tra concetti apparentemente così distanti, come quello di chimera, e la sua radice etimologica?
E come mai gli antichi avevano usato la parola “capra” per indicare la fantasia di un essere morfologicamente assemblato?
Quando i nostri progenitori raccoglitori divennero allevatori, data la loro fragilità strutturale rispetto ai grandi animali, dei quali erano spesso vittime, addomesticarono dapprima quelli di taglia più piccola: caprini e ovini, tuttora allevati in tutto il mondo per ricavare lana, carne e latte. L’allevamento della capra è iniziato nel secondo neolitico, a partire dal 10.000 AC, nel Levante e in Asia. Ma c’è un altro aspetto importante legato alla capra: il suo latte è molto simile a quello umano. Nutrire un neonato con latte caprino, in mancanza di latte materno, è stata una soluzione diffusa fino a pochi decenni fa (prima della produzione industriale di latti artificiali). Questa considerazione potrebbe far pensare a una maggiore affinità inter-species che, nell’immaginario mitologico, potrebbe aver alimentato la costruzione del concetto di chimera a partire da questo piccolo e utile animale familiare. Un concetto che comprende, allo stesso tempo, vicinanza e paura: l’identità degli opposti propria dell’inconscio. Una situazione di ambivalenza che ritroviamo, allo stato attuale delle nostre conoscenze, anche nel fenomeno del microchimerismo.
Dapprima questo termine era stato impiegato per indicare la sopravvivenza e la proliferazione di cellule fetali allogeniche nella circolazione materna, senza l’induzione di una malattia da trapianto verso l’ospite.
Che alcune cellule attraversassero la barriera placentare e passassero nel feto era cosa nota, ma la loro persistenza sembrava possibile solo in bambini affetti da immunodeficienza, il che faceva pensare che un sistema immunitario sano rapidamente eliminasse le cellule aliene.
Successivamente, però, sono state trovate cellule materne in individui adulti in buona salute e cellule con DNA maschile in donne che avevano avuto figli maschi a decenni di distanza dal parto: il microchimerismo a lungo temine si può spiegare con il passaggio di cellule staminali le quali, conservando la capacità di differenziarsi e di riprodursi indefinitamente, possono migrare durante la gestazione e integrarsi nell’organismo del ricevente.
La più comune fonte del microchimerismo è la gravidanza; fonti alternative nell’uomo e nella donna che non ha mai avuto una gravidanza, possono derivare da trasfusioni di sangue, da un gemello o dalla madre.
La grande attenzione dei biologi nei confronti del microchimerismo è dettata dalle implicazioni che esso può avere sulla salute, sia nella direzione di possibili sviluppi terapeutici, in corso di studi, sia in relazione con forme patologiche e, in particolare, nelle malattie autoimmuni.
In questi casi il microchimerismo è di più frequente riscontro.
Ad esempio: nel polmone di donne morte con sclerodermia sono state trovate fino a 760 cellule materne e 3.750 fetali su ogni milione di cellule. Il fenomeno del microchimerismo è indicato fra i fattori eziologici della sclerodermia sistemica e della sclerodermia localizzata giovanile, forma più comune nei bambini, e nella quale le lesioni fibrotiche sono limitate alla pelle e ai tessuti sottocutanei.
Questa patologia presenta delle somiglianze immunologiche con la malattia cronica da trapianto verso l’ospite (cGVHD), che insorge come complicanza tardiva del trapianto allogenico di midollo osseo, in cui le cellule immunitarie dell’organo donato attaccano i tessuti del ricevente provocando indurimenti cutanei, danni intestinali e polmonari: una costellazione sintomatica molto simile a quella della sclerodermia sistemica. La funzione del sistema immunitario, dunque , può trovarsi ad essere compromessa in presenza di cellule intruse, siano esse da trapianti d’organo oppure da microchimere. Nello studio sulla sclerodermia localizzata giovanile, al quale si fa qui riferimento, il microchimerismo è considerato uno dei fattori eziologici della malattia attraverso un processo probabilmente innescato “da stimoli ambientali” che attiverebbero le cellule fetali allogeniche a comportarsi esattamente come un allotrapianto, determinando, così, nella madre una sindrome da trapianto verso l’ospite.
L’identificazione di sequenze del cromosoma Y nel DNA ottenuto da biopsie di pelle di
donne affette da sclerodermia che hanno precedentemente partorito un maschio, supporta questa ipotesi. Tale presenza, tuttavia, si riscontra anche in donne sane.
Il fenomeno del microchimerismo fetale chiarisce alcuni aspetti delle malattie cosiddette autoimmuni quali la loro maggiore incidenza nel sesso femminile e l’età di esordio, sui 30-40 anni, quando la donna è in piena attività riproduttiva ed è esposta a questi passaggi di cellule estranee e all’inevitabile movimento immunitario, anche asintomatico, che ne deriva.
Se qualcosa risveglia l’attenzione del sistema immunitario verso la presenza degli intrusi, il tentativo di eliminarli può far scattare l’attacco “autoimmune”. I biologi non sanno ancora ancora perché cellule fetali, con le quali si è convissuto fin dalla gestazione, a distanza di decenni vengano improvvisamente individuate come estranee.
La gravidanza, mette sempre in allarme il sistema immunitario visto che, dal punto di vista genetico, il bambino è un allotrapianto. Le dinamiche del trattenere-espellere descritte da Peluffo in Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione, trovano il loro corrispondente somatico nel movimento immunitario di rigetto-facilitazione. Tali dinamiche, impegnate nella polarità psichica, agevolerebbero quella somatica, permettendo il buon esito della vicenda, ovvero il compimento della gestazione e la nascita di prole sana.
Ma se tutto questo non funziona? L’osservazione dell’alto tasso di fallimenti della riproduzione umana trova qui ulteriori conferme e apre la strada a nuove linee di ricerca.
Le riflessioni determinate dagli studi citati inducono a riconsiderare alcune situazioni cliniche alla luce del fenomeno del microchimerismo.
In un caso di sclerodermia insorta dopo la gravidanza, ad esempio, si erano verificate diverse e complicate vicende ostetriche nell’arco delle due generazioni: la madre della paziente, anch’essa portatrice di patologia autoimmune, aveva generato questa figlia dopo la morte del primogenito. La gravidanza era stata difficile, con continue minacce d’aborto. La paziente era, dunque, una sopravvissuta, nata da una madre ancora a lutto per la perdita del primogenito. Tutto questo corredo psicologico era puntualmente emerso durante la psicoanalisi, compresa l’enucleazione ed elaborazione di un vissuto persecutorio giovanile, in forma allucinosica, attraverso Il lavoro sulle vicende gestazionali della madre e sul fantasma del primogenito. Più avanti negli anni e dopo le gravidanze, questa donna presentò la sclerodermia. Ora è possibile ipotizzare che la madre avesse sviluppato la sua sindrome autoimmune in reazione alla presenza di cellule fetali. Sulla base delle ricerche di J. Lee Nelsen e coll., non si può escludere che il passaggio di cellule dalla madre al feto riguardi microchimere di più generazioni e che, nel caso in esame, il complesso delle reazioni immunitarie determinatesi su più fronti generazionali possa aver lasciato una traccia sul sistema immunitario nell’ultima generazione. Possiamo pensare, con Peluffo, che la rappresentazione psichica della reazione immunitaria vincolata alle dinamiche intrauterine di trattenere-espellere abbia potuto alimentare la fantasia angosciosa del persecutore. Successivamente, l’esperienza di gravidanza ha riproposto le stesse dinamiche e potrebbe aver rinforzato la vicenda somatica, nuovamente attiva sul versante immunitario, con sviluppo di una malattia autoimmune.
In un lavoro del 2005, in corso di pubblicazione, Peluffo affrontava il concetto di Tabù in termini di difesa psicobiologica:
“Il concetto base è quello di tabù come protezione. In questo senso direi che il tabù è un’elaborazione sofisticata di un esigenza semplice e primaria. Un’esigenza endogena profonda derivata da un residuo psicobiologico primario insito nelle cause che hanno dato luogo al formarsi delle difese immunitarie. Più specificatamente è l’aspetto psichico dell’esigenza difensiva del sistema immunitario materno che è portato, neutralmente a eliminare l’invasore genetico alieno: il padre. Una conseguenza inevitabile della riproduzione sessuata”.
Facendo seguito al lavoro di Nicola Peluffo, avevo cercato di studiare gli aspetti biologici della difesa psicobiologica “tabù”, ponendo l‘accento sui fenomeni autoimmuni, dei quali non erano ancora così chiaramente emersi gli aspetti legati al microchimerismo. Sostenevo, quindi, che il fenomeno autoimmune poteva rappresentare l’espressione di un parziale annullamento retroattivo del riconoscimento di parti del Self (in particolare per la componente paterna). Il venir meno della difesa tabuica, ossia del divieto di aggredire-possedere-uccidere-mangiare il non Self, poteva condurre all’espressione di patologie somatiche quali le malattie autoimmuni, o anche alla poliabortività patologica, così frequente nelle donne con diatesi autoimmune.
Alla luce del microchimerismo oggi sappiamo che il Self presenta delle componenti cellulari aliene, quali quelle della madre, o, attraverso di essa, di altre generazioni: la nonna materna, ad esempio (come suppongono gli studi citati). La funzione difensiva del tabù, come indicato da Peluffo, rappresenta, quindi, un presidio indispensabile di autoconservazione.
Inoltre il fenomeno del microchimerismo individuerebbe una sorta di proto-relazione con l’ALTRO da sè, cellulare, in quella dimensione nota alla psicoanalisi e alla micropsicoanalisi come stadio fusionale. La microchimera si connota chiaramente come ALTRO dal punto di vista del genoma , ma è più ambivalente nell’individuazione del Non Self immunitario, visto che le difese dell’ospite possono non riconoscere l’alieno e scotomizzarlo, a meno che qualche cosa che la biologia ancora non ha esplorato sufficientemente, non attivi la reazione di disconoscimento e di rigetto. L’ipotesi psicoanalitica è che una condizione di difesa tabuica inefficiente possa favorire questa reazione e far emergere la patologia.
© Gioia Marzi
Note bibliografiche:
– J. Lee Nelsen, “Le tue cellule sono le mie cellule”, in Le Scienze, marzo 2008.
– Sean Maloney, Anajane Smith, Daniel E. Furst, David Myerson, Kate Rupert, Paul C. Evans, and J. Lee Nelson : Microchimerism of maternal origin persists into adult life.
– Montini B.: Ruolo del sistema immunitario e dei progenitori endoteliali nella patogenesi della sclerodermia localizzata giovanile (tesi di laurea Univ. Padova) , Febbraio 2009
– Peluffo N.: Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione, Book store, Torino, 1976.
– Vassalli S.: La Chimera, Einaudi, 1992.
– Zangrilli Q.: Trasmissione transgenerazionale dell’Immagine con particolare riferimento alla determinante filogenetica della paranoia. Dalla Psicoanalisi alla mocropsicoanalisi, Borla, 1990.
La Dott.ssa Gioia Marzi è nata a Roma il 30 maggio 1952.
Psichiatra e micropsicoanalista, dal 1980 lavora presso il Dipartimento di Salute Mentale di Frosinone e, dal 2005, è responsabile del Servizio per i Disturbi Alimentari e Psicopatologia di Genere. Docente presso il corso di Psicologia e infermieristica in Salute Mentale – Modulo: Psichiatria – Universita’ La Sapienza – Roma. Ha una vasta esperienza di psichiatria forense in materia di violenze e abusi sulle donne e sui minori. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche, collabora con la rivista Scienza e Psicoanalisi curando la rubrica di psichiatria dal 1999.
Esercita a Frosinone e a Roma dal 1985.