Relazione presentata in occasione delle Giornate Siciliane di Formazione in Micropsicoanalisi “I problemi dell’alimentazione”, Capo d’Orlando, 13-14 novembre 2004

Premessa

All’interno delle Giornate di Formazione sui Problemi dell’Alimentazione questo lavoro si pone in una prospettiva particolare in quanto affronta il disturbo partendo da considerazioni che attengono alla storia della medicina (la pellagra è una malattia ormai pressoché scomparsa e fuori programma anche nei corsi di patologia medica) e a una forma per nulla conosciuta alle nostre latitudini, il kwashiorkor, che è un grave disturbo alimentare individuato e descritto negli anni “30 in Africa occidentale e che ancora miete vittime nel mondo.
L’anoressia nervosa, infine, sta diventando un’emergenza sanitaria e solleva problematiche interdisciplinari che impongono allo psichiatra da un lato l’intervento in liaison con l’internista, l’endocrinologo o il rianimatore e, dall’altro, l’oculata scelta dell’approccio psicoterapeutico/psicofarmacologico nonchè del luogo più idoneo alle cure.
L’interesse e la formulazione di questo composito trittico di patologie sono andati configurandosi in anni di osservazioni cliniche, di letture e di comunicazioni intecorse in luoghi diversi e con colleghi impegnati in discipline anche molto distanti fra loro. Inoltre il caso aveva voluto che già la mia tesi di laurea presso la Clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università La Sapienza di Roma riguardasse l’approccio relazionale all’anoressia, introdotto in Italia da Mara Selvini Palazzoli, le cui pubblicazioni in merito, allora, non erano ancora state tradotte.
Una rapida disamina delle tre forme evidenzia:

1. il grave stato carenziale comune a tutte e tre le malattie.

2. la loro maggiore incidenza nelle prime età della vita:
Il Kwashiorkor (kw.) colpisce caratteristicamente nello svezzamento, tra i 18 mesi e i tre anni di età.
L’insorgenza per l’Anoressia Nervosa (A.N.) è stabilita fra i 12-20 anni. Successivamente si parla di forme tardive, pseudoanoressiche o di disturbi alimentari psicogeni tout court.
E la Pellagra (P), ai tempi dell’endemia, era la prima causa di mortalità infantile.

3. la comune insistenza di aspetti psicopatologici.

4. la severità della prognosi:
Nel Kw. la mortalità nel 1959 era del 70% dei casi non trattati.
Oggi si hanno stime medie (che comprendono anche casi nei quali si riesce ad intervenire), ma si resta comunque su una prognosi infausta nel 30% dei casi.
Per quanto riguarda la pellagra parliamo di prognosi severa nella storia della medicina, dato che, attualmente, la pellagra flagellante del XVIII e XIX secolo può dirsi debellata e le rare forme osservabili sono legate a patologia gastrointestinale o alcolismo cronico.
Infine la prognosi quoad vitam dell’A.N. è la più severa fra le malattie psichiatriche con un indice di mortalità che va dal 18 al 20%.

Kwashiorkor

La parola Kwashiorkor (dalla lingua GA di Accra, Ghana) è la sintesi di “kwashi”, che significa ‘primo’, e “orkor” = ‘secondo’.
Fu descritta per la prima volta nel 1933 da Cicely D.Williams, come condizione di malnutrizione che colpisce “il bambino che è allontanato dalla madre quando un altro figlio nasce”. Questa definizione, che implica la deprivazione fisica ed affettiva, sembra corrispondere molto bene ai fattori eziologici scientificamente accertati per la Malnutrizione Proteico-Energetica (PEM).
La caratteristica iniziale del Kwashiorkor è l’edema che compare in corrispondenza dei piedi e delle caviglie per interessare poi gambe, cosce ed addome.
A livello delle funzioni corticali superiori nel Kwashiorkor si osserva una diminuzione della motilità volontaria, perdita d’interesse per il gioco, irritabilità e rifiuto degli alimenti con uno stato di completa anoressia; nei casi più gravi compare apatia estrema. Nelle fasi successive della malattia compaiono deperimento muscolare e ritardo della crescita; il pannicolo adiposo sottocutaneo, sebbene ridotto, è ancora presente, il che differenzia il Kw. dal Marasma,
Quest’altra forma di Malnutrizione è considerata il riuscito adattamento metabolico alla situazione carenziale che il bambino si trova ad affrontare mediante modificazioni del metabolismo cellulare e della secrezione ormonale , le quali permettono un utilizzo più razionale della scarsa energia disponibile. Il primo segno di questo adattamento è rappresentato da un rallentamento della velocità di crescita nei casi più gravi questa può anche arrestarsi.
Caratteristici del marasma sono anche la diminuzione dell’attività fisica ed il ritardo psicomotorio. La diminuzione dell pannicolo adiposo sottocutaneo conferisce al bambino un aspetto vecchieggiante.
Nel Kw. le modificazioni a carico della cute sono diverse: lesioni a mosaico, dermatosi esfoliative, ulcere flessorie, chiazze ipopigmentate, ulcere a stampo. Queste ultime compaiono sopra le prominenze ossee e sono dovute a necrosi da pressione. La compromissione della cute è riconducibile ad alterazioni a carico dei processi di cheratinizzazione, imputabili al il deficit proteico.
I capelli appaiono radi, scoloriti, secchi e fragili. Altra tipica alterazione del Kwashiorkor è l’epatomegalia dovuta a steatosi epatica per accumulo di trigliceridi nel parenchima epatico, conseguente alla carenza di proteine.
La cura consiste nella somministrazione di alimenti ricchi di proteine e arricchiti di vitamine, sebbene sia piuttosto difficile far regredire del tutto la malattia.
Il K. Colpisce i bambini dai 18 mesi ai 3 anni, cioè all’epoca in cui nei paesi del terzo mondo avviene lo svezzamento.
I bambini passano allora improvvisamente da una dieta di latte materno a una identica a quella dell’adulto, costituita quasi esclusivamente di vegetali e priva di proteine animali e di vitamine A e del gruppo B.

Aspetti psicopatologici

Anche il Campanacci (1959) attribuiva importanza ai fattori psichici e, in particolare, lo svezzamento spesso concomitante con una nuova gravidanza o nascita del secondogenito.
L’autore , nel 59, parla di rifiuto del cibo per trauma psichico e avvio di un circolo vizioso. L’osservazione del perdurare della sintomatologia e dell’inedia anche al riavvio di una nutirizione adeguata e della presenza della madre andava a sostenere questa ipotesi.

Nella sua relazione al III Congresso regionale della WCP, Yaoundè, 2000, Marcelle Geber ha riferito dei suoi lunghi studi sul Kw.
Nel 1954 aveva partecipato a una ricerca sul Kw. con il dr. Dem, un medico ugandese che aveva osservato una relazione fra questa forma morbosa e l’Anoressia. L’attenzione della ricerca era focalizzata sulla relazione madre-bambino malato in ambito ospedaliero, a Kampala. Si osservava che le madri si allontanavano dai figli tanto più questi erano malati.
I bambini erano tristi, sonnolenti, ma attenti a tutto quello che accadeva nell’ambiente. Si mostravano anche aggressivi rifiutando violentemente le cure e sopratutto il cibo.
Le madri (tranne qualcuna) stavano preferibilmente fuori sala, in disparte.
I figli di quelle più presenti e attente guarivano prima e meglio.
L’autrice si chiedeva perchè in condizioni igienico-nutrizionali simili solo alcuni bambini scivolavano nel KW poco dopo lo svezzamento. Altri invece trovavano degli accomodamenti meno gravi all’endemica carenza alimentare.
Uno studio condotto in Mozambico nel 1992, durante la guerra, illustrava una sofferenza materna precedente alla comparsa della malattia del bambino: si trattava di rifugiate di un’etnia matriarcale ed avevano l’abitudine di allontanarsi per il parto: talvolta trovavano al ritorno un’altra donna in casa; provavano vissuti di vergogna per un generico “mancato rispetto delle leggi degli antenati e dei rituali di purificazione, ma tendevano alla difesa proiettiva attribuendone la responsabilità ad altri. In questi casi l’evoluzione del kw. era meno favorevole.
In un altro lavoro la Geber, riferisce di un approccio psicoterapeutico in un caso di Kw. ospedalizzato nel quale però la madre era deceduta nel corso della gravidanza del secondogenito. Il Kw era insorto un mese dopo l’inizio di questa gravidanza. La concomitanza fra fine dell’allattamento, dieta vegetale, inizio di una nuova gravidanza, malattia e, poi, morte della madre costituiscono un corredo di eventi traumatici di portata, oserei dire, devastante. La Geber illustra accuratamente le fasi del trattamento, l’integrazione fra gli idonei provvedimenti nutrizionali e l’impostazione psicoterapeutica secondo un modello di maternage è passato attraverso il contatto corporeo, la nutrizione, la scelta di un oggetto transizionale (fazzoletto della terapeuta), l’uso (casuale!) di una lingua, il francese, che rappresentava un punto di contatto fra il presente e il passato nel paese della madre e del padre.
Il trattamento ebbe buon esito e permise al bambino di acquisire con sorprendente rapidità autonomie adeguate alla sua età.
Tre tappe avevano segnato il corso di questa psicoperapia: la ricerca di un sostituto materno, la strutturazione culturale attraverso gli oggetti e infine l’uso di una lingua comune fra il padre le la terapeuta.
In sintesi alla fine del soggiorno in ospedale, che si protrasse ben oltre la risoluzione del KW., il bambino aveva superato lo stato carenziale, le difficoltà psicologiche e quelle cognitive.
L’autrice sottolinea l’importanza della qualità del rapporto che il piccolo paziente aveva avuto con sua madre e quella eccellente che manteneva con il padre: entrambi gli elementi erano stati dei punti di riferimento importanti nello svolgersi della cura, il substrato senza il quale è molto più difficile che si possa risolvere un impegno somatico e psichico quale quello di un bambino di trenta mesi con KW. conclamato.
Ciò permette di avanzare alcune considerazioni su quanto precedentemente accennato a proposito della ricerca del dott. Dem sulle madri “distanti”.
Che la relazione con la madre giochi un ruolo importante in questa sindrome carenziale come nell’anoressia mentale è in ogni evidenza, nè possiamo ignorare quanto riferito dalla cosiddetta ‘medicina tradizionale’.
Nel testo di psichiatria transculturale di Inglese-Peccarisi si trovano due spiegazioni a quel senso di vergogna =colpa presentato dalle madri dei piccoli malati: la prima attribuisce alla mancata continenza sessuale dei genitori il fatto che vengano puniti da un demone che si appropria dell’anima del primogenito per consegnala al secondo.
L’altra attribuisce al piccolo malato un terribile desiderio di morte all’indirizzo del secondogenito rivale, desiderio che infine rivolge contro sè stesso.
Da un punto di vista psicodinamico, il Kw è espressione di una fissazione orale di castrazione (=perdita del seno buono), ma in quanto rischio di morte per mancanza di nutrizione, rimanda all’angoscia penatale di espulsione precoce.
Ciò in conformità con quanto D. Marenco scriveva a proposito di anoressia: “il corpo diventa sede del conflitto.., oggetto privilegiato sia degli attacchi aggressivi sia degli investimenti narcisistici.”.
Prima di passare alla pellagra vorrei ricordare che il Kw, aumenta sempre nelle zone di instabilità economica, nelle situazioni di conflitto bellico o di catastrofi naturali: ad esempio in Iraq nel 1989 i casi di kwashiorkor erano 41 al mese. Nel 2000 la cifra è impressionante: 2091 al mese, 25.092 all’anno.

Pellagra

Malattia da carenza di niacina (vitamina PP: pellagra preventing), o per carenza di apporto (dieta maidica) o per accelerato transito intestinale o per alterazioni della flora intestinale (disturbo con accelerato transito intestinale o nell’alcolismo cronico= forme pellagroidi).
La principale proteina del mais, la zeina, ha una composizione percentuale in amminoacidi diversa dalle altre proteine e in particolare è assente il triptofano che è un precursore della niacina.
In Italia il termine pellagra è documentato dal 1771 nella letteratura medica, che lo riprese dalla tradizione popolare. La malattia si è diffusa con l’uso delle farine di mais che non venivano tenute a bagno, come in America centrale, in acqua di calce: questo procedimento di alcalinizzazione rendeva biodisponibile la niacina e il triptofano evitando così la malattia che invece in Italia divenne fra il 1700 e il 1900 la principale causa di ricovero in OP e la principale causa di mortalità infantile.
Nel 1891 a Vedelago fu colpito il 27% della popolazione e la mortalità infantile colpiva 1 bambino su 4. Nell’area di Bassano, Asiago, Thiene la vita media nel 1872 era di 27 anni.
Oltre al quadro caratterizzato da lesioni cutanee e di tipo sistemico degli stati carenziali proteici, fra i quali l’edema delle estremità declivi, il complesso quadro psichico esitava in una forma di demenza progressiva su base nutrizionale con notevole incidenza di atti suicidari e i pellagrosi rappresentavano una componente numericamente cospicua degli ospiti degli OP fino ai primi decenni del novecento.

Ruolo della niacina negli stati carenziali

Negli stati carenziali il sistema che interferisce con la fosforilazione ossidativa, ossia con la via principe, aerobia, di approvigionamento dei energia indispensabile ai metabolismi, è la mancanza del coenzima NAD (nicotinammide), di cui la vitamina PP o niacina è il precursore. Le vitamina PP è sintetizzata anche nell’organismo umano (adulto) a partire da un amminoacido: il triptofano.
Il coenzima NAD è un coenzima mobile di deidrogenasi: una volta ridotto (NADH+H+), esso si riossida con formazione di acqua per trasferimento degli idrogeni all’ossigeno (si forma NAD+ e H2O). Questo trasferimento avviene nei mitocondri (respirazione cellulare) e libera energia consentendo quindi la sintesi dell’ATP.
E questa è una condizione comune alle tre malattie prese in esame. esse hanno un diminuito apporto proteico per dieta imposta da cause endogene (anoressia) o esogene (Pellagra e Kwashiorkor), il loro metabolismo si sposta e passa all’impiego delle proteine dell’organismo per sintetizzare il glucosio necessario ai processi vitali. La proteolisi impegna i reni e si determina quello squilibrio nella distribuzione di liquidi chiamato edema.

Anoressia nervosa

L’A.N. come gli altri disturbi del comportamento alimentare sembra presentarsi con maggiore frequenza negli ultimi 2-3 decenni nei paesi occidentali, ma poiché molte persone affette da anoressia nervosa non si rivolgono direttamente a un medico, non è possibile conoscere l’esatto grado di diffusione della malattia.
Infatti le consultazioni hanno luogo quando si siano presentate le complicazioni mediche degli stati carenziali (cachessia, dis. cardiaci, gastro-intestinali, ematologici, edemi, lanugo, e quelle determinate dalle condotte di eliminazione (vomito e abuso di lassativi-diuretici).
L’emergenza dell’A.N., la severità della sua prognosi, il fatto che essa sia più facilmente diagnosticata rispetto al passato, il miglioramento delle conoscenze in merito e l’impegno interdisciplinare che comporta sono fattori che s’impongono all’attenzione di tutti e delle Organizzazioni Sanitarie.
Il DSM IV° R individua così i segni dell’A.N.:
-Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la statura.
-Intensa paura di acquistare peso.
-Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso fino ad incidere sui livelli di autostima e rifiuto di ammettere la gravità della condizione di sottopeso.
-Nelle femmine dopo il menarca, amenorrea da almeno 3 cicli mestruali consecutivi.

Altri aspetti psicopatologici associati

L’associazione con altri disturbi psicopatologici può determinare anche una doppia diagnosi, come accade più spesso nelle forme avanzate della malattia quando gli episodi recrudescenza e di remissione si sono più volte susseguiti e la struttura della personalità appare più evidente.
Alcuni soggetti possono soddisfare i criteri per l’Episodio Depressivo Maggiore, ma una fenomenica depressiva è riscontrata in individui normali sottoposti a digiuno prolungato, anche in assenza di Anoressia Nervosa, dunque l’eventualità di un Disturbo dell’Umore deve essere valutata dopo recupero del peso corporeo.
Tratti ossessivo-compulsivi, relativi o meno al rapporto con il cibo sono frequenti.
Altre manifestazioni sono: disagio nel mangiare in pubblico, sentimenti di inadeguatezza, bisogno di tenere sotto controllo l’ambiente circostante, rigidità mentale, ridotta spontaneità nei rapporti interpersonali, perfezionismo e iniziativa ed espressività emotiva eccessivamente represse.

Un caso

Illustrerò per sommi capi il caso clinico di una ragazza che aveva presentato in esordio un’anoressia nervosa che soddisfaceva i criteri del DSM IV° e che aveva rifiutato l’intervento terapeutico. Nei molti anni successivi durante i quali ebbi modo di seguirla ad intervalli irregolari e sempre per necessità determinate dal variare del quadro clinico, avevo avuto modo di fare le seguenti osservazioni:
-la giovane aveva presentato diverse condotte di abuso (psicotropi, alcolici, tabacco e anche farmaci)
-la sintomatologia depressiva era stata presente ma in forma secondaria ai cambiamenti del quadro
– le difese ossessive con condotte compulsive (quelle alimentari e quelle di abuso) erano state la costante, ma la forma clinicamente forma conclamata (nevrosi ossessiva) emerse solo quando il quadro si spostò dall’agire al pensare–verbalizzare.
Dopo molto lavoro psicoterapeutico la giovane è arrivata ad esprimere la sofferenza per la necessità dei rituali anche se si tratta ormai solo del tabagismo. Il suo conflitto sta nel riuscire a CONTROLLARE la spinta, che in origine era sul cibo, ad aggredire-introiettare, con sensazioni di colpa angosciante quando ha finito con cedere. Ormai non si tratta più di eroina, anche se, a quell’epoca, la sofferenza soggettiva era lenita dall’oppiaceo.
Nell’ultima fase del lavoro, che l’ha vista consapevole delle stesse abitudini tabagistiche di sua madre, è stato possibile approfondire alcuni aspetti della relazione fusionale, frequente nei casi di anoressia.
Esemplificherò riportando una serie associativa sul tema della mancanza di aria-soffocamento. Questo argomento veniva usato metaforicamente, ma anche in senso strettamente biologico:

“Ti soffocano dicendoti: ‘sei tanto intelligente.. puoi fare tutto…’, ti trovi sovraccaricata di doveri, ….mia madre fumava in gravidanza, cadde anche col motorino,…e mangiava fichi lussuriosi! Aveva le voglie: mangi e pomici.. Soffochi se fumi e trattieni!……Mia madre è contro l’attività.
“Mi sento in colpa perchè lei (l’analista) non fuma e io, fumando, faccio come mia madre”
Mia madre mi ha staccato dal seno perché aveva preso un’altra malattia”.
L’angoscia dello svezzamento-perdita del seno è legata alla minaccia di contrarre una malattia dalla madre, come era avvenuto in utero per la sorella, nata con malformazioni.
L’angoscia legata alla fase intrauterina è espressa nelle inquietudini per le attività pericolose che, partendo dalla caduta in motorino, non escludono la sessualità attraverso l’accenno all’erotizzazione orale (“fichi lussuriosi).
Il vissuto si completa (con abreazione parziale) con il materiale riferito al transfert : la giovane riconosce i suoi desideri aggressivi nei confronti dell’analista-madre nell’autoaccusa di tentare di soffocarmi con le sigarette.
Ogni materiale riferibile alla funzione respiratoria, ovvero all’approvvigionamento dell’ossigeno, non può essere inteso in senso strettamente simbolico e riconduce all’approvigionamento energetico, alla fosforilazione ossidativa, alla respirazione mitocondriale, al coenzima NAD, alla niacina e in definitiva agli stati di carenza proteica con edema dei quali abbiamo parlato.
Mi rendo conto che queste parole percorrono velocemente uno spazio mentale difficilmente rappresentabile, ma esso diventa più comprensibile in quanto spazio psico-materiale che va dal biomolecolare all’organizzazione dell’ Immagine quale forma interiorizzata della relazione con l’altro e che si attualizza già nella vita intrauterina interagendo con i fantasmi inconsci materni (v. Peluffo, Marenco).
In una fase così precoce (in utero) la possibilità di rappresentazione psichica è impossibile: l’espressione è somatica, il complesso traumatico originario è somatico, perchè la carenza è somatica. Essa ha però, per l’agire dell’Immagine, una valenza psichica imponente perchè la mancanza di calorie buone e fruibili è veramente uguale alla mancanza della madre, seno buono, latte, carezze e tutte la serie sovradeterminata a tutti nota.
Una rappresentazione psichica della carenza tipo Kwashiorkor in occidente si integra in una fissazione orale precoce, anzi iniziatico-orale (per quanto può attenere le esperienze precedenti, come nel caso della giovane di cui abbiamo visto)
Quel tipo di fissazione può entrare anche nella genesi dell’anoressia che infatti si accompagna, anche se secondariamente, al disturbo depressivo e come tale, viene trattata farmacologicamente.
Tuttavia, per soffermarsi un attimo all’approccio psicofarmacologico, proprio per questa precocissima scissione fra l’ospite-madre e lospitato-figlia e per l’impossibilità di una mentalizzazione, seppure arcaica, non si esclude l’impiego degli antipsicotici atipici a bassi dosaggi che possono anche contenere meglio il peso dell’ideazione ossessivo-compulsiva.

Conclusioni

Vorrei concludere con quello che potrebbe sembrare l’ennesimo divertissement psicoanalitico: tornerò ancora sul racconto di Edipo, fonte sempre feconda di informazioni, e sui suoi piedi gonfi, dai quali ha preso nome.
Questo sintoma, l’edema dei piedi, comune alla pellagra (altrimenti della “elefantiasi italica”), al kwashiorkor, all’anoressia, come agli stati di carenza proteica, non può non ricordarci Edipo.
Mi è di aiuto l’insostituibile ricerca di R. Graves che ha il pregio di cercare a sostegno delle sue considerazioni, le ripetizioni transculturali del mito e di non accontentarsi di astratte interpretazioni simboliche.
Sappiamo che Edipo, neonato, a seguito dell’infausto pronostico che lo vedeva futuro parricida, era stato allontanato dalla nutrice ed esposto sul monte Citerone. Prima, però, sarebbe stato legato o trafitto nei piedi. Graves osserva che il mito di pastori che avrebbero allevato e onorato molti leggendari bambini o principi fanciulli, fondatori di grandi città o dinastie, o religioni consolidate è una ripetizione straordinariamente ricorrente nel mito dell’uomo, anche in culture distanti (Pelia, Anfione, Mosè, Romolo ecc.) Anche sul nome l’Autore s’interroga: potrebbe essere una trasformazione di Oedipais 1 (figlio del mare rigonfio), come per la leggenda di Dylan, corrispondente eroe gallese, il cui nome significa “mare gonfio” in gaelico). Dylan è un esempio di variabile transculturale del mito.
I miti greci , a partire da quelli più antichi, rappresentano lo sforzo dell’uomo di trovare spiegazioni al mondo che lo circonda, alle cose che non capisce, ai fenomeni della natura come a quelli della biologia.
Se così fosse per i piedi di Edipo, essi potrebbero non essere un referto insignificante del mito. Edipo poteva essere un bambino con edema carenziale da ipoproteinemia e ipoivitaminosi. Come accade ai piccoli svezzati precocemente e passati a dieta aproteica. Per questo dato somatico, con quel nome, è entrato nel mito e rappresenta il paradigma dei mali del mondo.

L’edema da malnutrizione, è legato all’ipoproteinemia e conseguentemente all’ipoalbuminemia e all’alterazione della funzionalità renale. Quindi, se nel plasma si riduce la concentrazione molecolare, l’equilibrio osmotico si sposta, i liquidi lasciano il letto vascolare e si diffondono nei tessuti; di qui l’edema, il segno che fa la prognosi più severa. Dobbiamo considerare che questi segnali universali della situazione critica siano sempre stati osservati attentamente in tutte le epoche e in tutte le culture.
Nel suo lavoro “ Riflessi della dieta nella struttura cognitiva: appunti di un paletnologo”, il prof. Anatici ci parla delle condizioni di nutrizione dei nostri antenati preistorici.
Abbiamo visto delle differenze di habitus tra vegetariani e carnivori: i primi più lenti dei secondi; abbiamo ascoltato del maggior spirito d’impresa (addirittura) nel passaggio dà condizioni di precarietà a condizioni di miglior nutrizione e agio (negli immigrati ucraini e bielorussi in America).Analogamente anche il piccolo paziente ugandese di Marcelle Geber ha imparato ad esprimersi in tre lingue nei brevi mesi di ospedalizzazione oltre ad essere guarito dal kwashiorkor… I vegetali e la perdita dell’oggetto lo avevano portato all’inanizione, la dieta proteica e le buone cure materne lo avevano restituito alla vita e alla vivacità dei tre anni. Abbiamo anche visto, seguendo il discorso sulla biochimica degli stato carenziali trattati che è proprio il motore di tutti i metabolismi che viene meno, l’energia contenuta nell’Adenosintrifosfato (ATP).
L’importanza del congruo apporto calorico per il mantenimento in vita dell’individuo e della specie è per sempre incisa nei graffiti rupestri dei cacciatori più antichi che accompagnano le immagini di grandi animali a psicogrammi riferibili ad azioni motorie.
Solo successivamente la rappresentazione dell’uomo diventa più frequente, accanto ad immagini di animali e vegetali più stilizzate, più con significato totemico che di nutrizione: anzi Anati avanza l’ipotesi che alcuni di queste espressioni pittoriche siano opera di popoli vegetariani , usi anche all’ingestione di piante allucinogene.
Insomma gli stili pittorici sono molto diversi e sembrano in relazione con le abitudini alimentari delle popolazioni: e come potrebbe essere diversamente? Le abitudini alimentari sono la condizione delle abitudini di vita: la ricerca del cibo era la spinta che muoveva ogni azione, allora per i nostri progenitori come ora per quelle popolazioni in grave stato di necessità.
Vorrei concludere con le parole di un analizzato che aveva presentato un disturbo del pensiero di qualità psicotica.
Quest’uomo, dunque, aveva a lungo rifiutato il trattamento e attraversava delle fasi di vera inappetenza, di qualità piuttosto catatonica che anoressica, alternate a fasi di recupero con comportamenti di breve voracità.
Così diceva: “ in definitiva mangiare non serve a niente. Io potrei stare così senza mangiare per mesi… e le medicine sono come il latte,..o come il vino..”
Più avanti, parlando di un film di fantascienza descriveva: “quelle tute … fatte apposta per sopravvivere nel deserto…, non si aveva nemmeno il bisogno di bere perchè un complesso circuito di tubi faceva riciclare tutto.. non mangiavi, né bevevi..”
Una fantasia onnipotente di ripristino della condizione prenatale in cui in ambiente protetto attraverso un tubo , l’essere si mantiene in vita e si accresce.
Diverso è quest’altro materiale, successivo a un congruo periodo di trattamento.
“quando torna mio padre, con tutti quei racconti, mi viene da sdraiarmi sul letto e dirmi: dormo! Mi toglie tutte le energie”.
Queste parole riportano ad un’altra annotazione di psichiatria transculturale riguardante l’interpretazione che il marabu dava dell’edema perimalleolare di un ragazzo peraltro affetto da una parassitosi: il sintoma venive spiegato come una sottrazione di forze da parte del padre.
Anche Edipo aveva subito dal padre e gli farà subire: la morte.
Un bell’esempio di spiegazione della parassitosi da parte della medicina tradizionale africana secondo il modello psicodinamico del processo primario.

Note:

1 EDEMA: oidema, deriv. Da oidan  =  gonfiarsi Back!

Bibliografia:

Enciclopedia Medica Italiana, Sansoni Edizioni Scientifiche, Firenze 1955.
Campanacci D., Manuale di Patologia Medica, vol I°, pagg. 731-737, Edizioni Minerva Medica, 1959.
Inglese S. Peccarisi C., Psichiatria oltre frontiera, pagg. 53-54, UTET periodici, Milano, 1997.
Teodori U., Trattato di Patologia Medica, Vol 2, pagg. 1195-1198, Vol 3, pagg. 2857-2859, S.E.U., Napoli, 1976.
Marenco D., L’anoressia mentale nell’adolescenza, In Scienza e Psicoanalisi., www.psicoanalisi.it, nov. 2000.
Geber M., Psychothérapie d’un enfant atteint de kwashiorkor, In Devenir, vol. 8, n. 4, Ed. Médecine et Hygiène, Genève, 1996.
Geber M., Le kwashiorkor est-il une maladie mentale? Psychothérapies d’enfant et mèdecine traditionnelle, In Atti del 3 African Conference on psychothetapiy, Yaoundè, 2000
Graves R., I miti greci, pagg. 338-344, Longanesi, Milano, 1976.
Binifati Galimberti, Il rifiuto dell’altro nell’anoressia. Franco Angeli Editore.
Bruno Callieri, Un raro polimorfismo somatopsichico: anoressia tardiva e dismorfofobia, pubblicato in: Informazione in psicologia, psicoterapia, psichiatria, n. 24/25, pp.3-8, Roma, 1996.

© Gioia Marzi