Pitture rupestri, Patagonia (da E. Anati: La religione delle origini)

La lettura dell’articolo della dottoressa Bruna Marzi, su questa stessa rivista, e la visione di un film di Zhong Ymou, mi hanno fatto fare alcune riflessioni che espongo all’attenzione del lettore.
L’articolo è su Scienza e Psicoanalisi, il film s’intitola “Vivere!” (1994) ed è un garbato lavoro, apparentemente semplice e descrittivo, che racconta la vita negli ultimi decenni della società cinese che sembra in rapido divenire. Il punto fermo di questa opera è rappresentato dalle ombre: quelle del teatro tradizionale in cui, come per i Pupi Siciliani, le immagini sempiterne  degli eroi, animati da ideali di amore, onore, fedeltà al re-padre e alla terra-madre, rappresentano il canovaccio delle  oscillazioni circolari di eros e tanatos. Guardando il film ho notato che, anche nella classe della borghesia arricchita pre-rivoluzionaria, feudale fino agli anni 40 dello scorso secolo, l’analfabetismo era la regola e la firma veniva  sugellata, secondo la prassi della consolidata burocrazia amministrativa imperiale, dall’impronta digitale.
L’ideogramma del nome e l’impronta come segni d’inconfondibile identità.

L’ideogramma preistorico della mano aperta è ricorrente nelle pitture rupestri di tutto il mondo. Peluffo ha ipotizzato che esso rappresenti il segno dell’identità: in questo caso, come ha precisato Bruna Marzi, le varie apposizioni delle impronte moderne, quelle cinesi di 50 anni fa e quelle degli immigrati dei giorni nostri, rappresenterebbero la  traccia attuale della stessa necessità di identificazione.
Secondo il preciso inquadramento di Anati, all’imponente mole di espressioni artistiche che i nostri progenitori hanno lasciato sulle rocce e nelle caverne del pianeta, i punti nodali attorno ai quali verteva la vita degli antenati e che hanno garantito la sopravvivenza della specie sono cibosesso e territorio.
Nell’esistenza dell’uomo di quei tempi, assicurare questi tre elementi era fondamentale: perciò ogni informazione relativa al buon esito della raccolta e della caccia, e poi dopo, della coltivazione del terreno, come della possibilità degli accoppiamenti, doveva essere di importanza vitale.

Uàdi Mathendous. Caccia all’elefante (foto di G. Marzi)

Uàdi Mathendous. Caccia alle giraffe (foto di G. Marzi)

 

La lunghissima e pluristratificata serie di graffiti rupestri dello uadi del Mathendous, un fiume fossile nella regione del Fezzan, nella Libia centro-occidentale, è uno splendido esempio di manuale informativo di caccia. Il sito era sulle sponde di un corso d’acqua al quale accedeva ogni tipo di animale e gli uomini vi stazionavano pazienti.

 Pazientemente attendevano le prede, studiando le condizioni migliori per abbatterle e assicurarsi la sopravvivenza; nel frattempo incidevano le loro osservazioni, le loro considerazioni e i loro desideri. Per molti secoli, hanno lasciato su quelle rocce le istruzioni per l’uso, i dati della loro esperienza, gli stratagemmi per non diventare prede a loro volta, come certamente accadeva. Lì c’è scritto dove meglio attendere le giraffe, come costruire e disporre le trappole, come raccordarsi in gruppo per cacciare l’elefante con la lancia a punta di pietra.

Peluffo scrive sul Forum di Scienza e Psicoanalisi: “La differenza con gli altri primati è che (l’uomo) riesce a conservare l’informazione e ad applicarla in altri contesti. Cioè l’intelligenza diventa uno strumento di lavoro”.
Infatti la comunicazione dei dati acquisiti costituisce per la nostra specie uno strumento fondamentale di salvezza, di progresso, di difesa verso l’ostilità ambientale, di superamento della fragilità che una specie bipede senza peli ha dovuto superare.
Ma, oltre a questo, la marcatura del territorio durante le battute di caccia doveva essere importante per l’individuo come per il clan: esattamente come oggi si mettono i paletti per indicare una proprietà prima del riconoscimento dell’ufficio del catasto. L’impronta dell’avente diritto (alla caccia, alla terra, alla casa, alle bestie; poi dopo si userà il tatuaggio del gregge, degli schiavi, dei prigionieri) marcava il possesso del territorio.
Forse per queste semplici ragioni, tra le prime espressioni pittoriche realizzate dall’uomo, circa 40.000 anni fa, compaiono le impronte, positive o negative, della mano, l’organo prensile che distingue la nostra dalle altre specie: identità d’individuo e identità di specie.
Senza questa specializzazione d’organo, l’uomo non avrebbe mai raggiunto il suo posto predominante nel mondo. A differenza degli altri animali, infatti, la mano dei primati ha acquisito l’opponibilità del pollice; in tal modo il movimento delle dita è preciso e consente di usare utensili molto piccoli e sottili, tenendoli fra il pollice e l’indice.
Nel saggio intitolato “Del ruolo della mano nella trasformazione dalla scimmia all’uomo”, il filosofo Engels ha sottolineato l’importanza di quella che dobbiamo ritenere essere stata una mutazione determinante nel processo evolutivo.
L’uomo è divenuto faber, non nella nota accezione di artefice del proprio destino, ma in quella letterale di costruttore, colui che fa, agisce. E questo è il significato di arte in senso etimologico: dalla  radice ariana AR, che in sanscrito-zendo, ha il senso principale di andare, mettere in moto, muoversi verso. Nell’etimo di Arte, dunque, è implicita l’idea del movimento.
L’arte, sostiene Anati, è un’esigenza fisica che permette all’artista di liberarsi di una carica di energia che, altrimenti, lo soffocherebbe.
Lo strumento principe di questi processi è la mano: “una fotografia attraverso la quale potersi riconoscere” (Peluffo), ma anche  il tramite attraverso il quale un desiderio, un affetto, un’idea possono trovare una forma ed essere espressi.
Nicola Peluffo, che in questi anni si sta occupando delle espressioni grafiche nel corso del lavoro di seduta, ha scritto, tra l’altro, che queste possono esprimere il tentativo di vincolare il desiderio di muoversi e sottrarsi all’immobilità della seduta lunga.
Pensiamo alle attese dei cacciatori odierni: ore di appostamenti in silenzio, immobili; pensiamo alle attese dei cacciatori della preistoria: giorni, settimane di attesa, di tensione e di immobilità.
Come capita allo psicoanalista in seduta lunga, l’innalzamento della tensione richiede un’abreazione che, talvolta, può portare al disegno. Ma su questo mi fermo, rimandando il lettore all’articolo di Peluffo.

Linee tattili

Dolmen, Bretagna
(Foto di E. Anati; Archivio WARA W05438, da “40.000 anni di arte contemporanea”)

 

Qui ci basti sottolineare il rapporto tra identità di specie e l’identità di individuo, noto ai nostri progenitori che lo agivano attraverso l’impronta della mano, organo specifico della specie e dell’individuo. Malgrado la scoperta della mappa cromosomica, ancora oggi la mano è organo distintivo dell’identità individuale per la presenza inconfondibile delle linee tattili, tant’è che il Garante per la protezione dei dati personali per la Comunità Europea adotta l’indagine sulla mano (anche se con sofisticate tecniche digitali), per l’identificazione giacché, in base alle linee guida del CNIPA (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione), se “le caratteristiche della mano di un individuo non sono descrittive al punto da risultare uniche, quindi non possono essere utilizzate per l’identificazione di una persona, sono tuttavia sufficientemente descrittive per essere impiegate ai fini della verifica dell’identità”.

L’ingrandimento delle linee tattili è sorprendentemente evocativo  di un altro elemento pittorico ricorrente nell’arte rupestre: l’immagine riconducibile a quello che noi chiamiamo labirinto, un insieme di linee tendenzialmente circolari, parallele o spiraliformi sul quale si è soffermata Manuela Tartari in “La Condensazione”, lavoro in corso di pubblicazione. L’autrice li considera segni di movimento, riferibili a varie azioni che hanno la caratteristica di essere ripetitive: dalla ciclicità del ritmo notte-giorno, al ciclo delle stagioni, a quello della fertilità, di nascita e morte, i cicli astronomici etc. La vita è un continuo ripetersi, come ben sanno gli psicoanalisti che fanno delle ripetizioni nelle serie associative una via elettiva di avvicinamento ai contenuti inconsci. La possibilità che un fenomeno si ripeta, e che sia anche riproducibile, è la base del metodo scientifico. Anche i nostri progenitori ne erano a conoscenza: osservavano, descrivevano e conservavano le informazioni. Alcune sono giunte fino a noi attraverso la loro arte.

© Gioia Marzi

Bibliografia:

Anati E., Les racines de la culture, Edition du Centre 1995
Anati E., Archetipi e struttura elementare dell’arte preistorica, in Bollettino IIM, nn. 29-30,Tirrenia Stampatori, Torino.
Anati E.: La religione delle origini, Ed. Centro, 1995.
Anati E.: 40.000 anni di arte contemporanea, Ed. Centro, 2000.
Marzi B., Rappresentazioni grafiche e ricerca dell’identità, Scienza e psicoanalisi. Maggio 2007.
Peluffo N., Le manifestazioni del Bimbo nella dinamica transfert-controtransfert, Scienza e Psicoanalisi, settembre 2006.
Peluffo N., “Memoria e arte preistorica, in atti del XXI Valcamonica Symposium, Ed. del Centro, 2004.
Peluffo N.,  Esteriorizzazioni grafiche preistoriche e sogni attuali, (art. in corso di pubblicazione).
Pianigiani O., Vocabolario Etimologico, I Dioscuri, Genova, 1988.
Sussman Robert W., Man the Hunted: Primates, Predators and Human Evolution http://news-info.wustl.edu/home.php.
Zaia A., La rappresentazione del movimento nei processi evolutivi dell’uomo primitivo, Scienza e psicoanalisi. Maggio 2007.
Tartari M., La condensazione. (art. in corso di pubblicazione).