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In società mi è capitato spesso di ascoltare persone che riferiscono delle loro esperienze, sedicenti psicoanalitiche, con insoddisfazione. Quando si chiede loro la frequenza con cui si svolgeva il lavoro analitico ci si sente spesso rispondere “una volta a settimana”, talora “due volte a settimana”.
Inoltre, approfondendo un po’ il discorso, molti riferiscono che il setting praticato prevedeva il vis à vis: sedicente psicoanalista ed analizzato posti uno di fronte all’altro, come per una conversazione sociale.
Prima mi astenevo da qualsiasi commento, poi mi è sovvenuto che sono un Medico, e che se un conoscente mi comunicasse che sta assumendo una terapia farmacologia ad una posologia inadeguata, che implichi la matematica inefficacia del trattamento, mi sentirei in dovere di avvertirlo. Oggi dico loro che ho, al tempo stesso, una buona ed una cattiva notizia da dare: quella cattiva è che hanno gettato tempo, denaro ed energie, quella buona è che esiste la psicoanalisi, nelle sue due varietà, classica ed intensiva, entrambe molto efficaci.
La moda narcisistica moderna del “Tutto e subito”, che evidentemente ignora l’adagio popolare “Chi troppo vuole nulla stringe”, ha illuso, con la colpevole complicità di giornalisti ignoranti e d’improbabili psicoterapeuti, legioni di persone che cercavano un aiuto qualificato per lenire la loro sofferenza.
Vorrei ribadire dei concetti semplicissimi, che reputo irrinunciabili per connotare, come psicoanalitica, un’impresa terapeutica:

– la frequenza minima per lo strutturarsi di un trattamento psicoanalitico si fonda sull’erogazione di minimo quattro sedute a settimana nel caso della psicoanalisi classica, tre nel caso della psicoanalisi intensiva 1 (ci saranno sempre, comunque, i problemi della pausa del weekend, la cosiddetta “Incrostazione del lunedì”).

– la frequenza ottimale rimane l’incontro quotidiano, meglio per più ore consecutive (che diviene necessaria nei casi borderline o nelle nevrosi narcisistiche o di carattere).

In linea di principio tanto più il lavoro analitico è costante e prolungato, tanto più il lavoro di elaborazione sarà fisiologico e produttivo: credo che sia un’evidenza che il semplice senso comune impone.

– Il vis à vis è assolutamente incompatibile con l’indagine dell’inconscio: si potranno pur fare ottime, interessanti, gratificanti conversazioni che finiranno però per rafforzare i meccanismi di difesa del paziente, dunque le sue resistenze e nulla, questa esperienza, avrà a che fare con la psicoanalisi.

– L’analista, nell’analisi classica, risulta fuori dal campo visivo del paziente, nel caso di una psicoanalisi condotta con modalità intensive è leggermente defilato. In entrambi i casi la finalità di questa posizione è quella di facilitare il compito essenziale del paziente, la produzione di libere associazioni verbali.

– In relazione a ciò è ovvio che la garanzia dell’assoluto rispetto del Segreto professionale è vitale per tutto il lavoro analitico e non deve venire meno in nessuna circostanza sociale.

– La seduta deve svolgersi in un ambiente tranquillo e raccolto: lo psicoanalista non dovrà rispondere al telefono, né a contatti esterni, se non per ragioni di assoluta forza maggiore.

– La frequentazione sociale tra psicoanalista ed analizzato è sconsigliata, ad eccezione dei casi gravi (border-line, nevrosi narcisistiche, autismo infantile) in cui sia necessario istituire una metodica di maternage. La frequentazione sociale, pur non dovendo rappresentare un tabù (gli psicoanalisti che, incontrando casualmente i pazienti al di fuori del setting nemmeno li salutano, sfiorano il ridicolo) non andrà incoraggiata poiché renderà molto più difficoltose, se non impossibili, l’analisi e la necessaria liquidazione della nevrosi da transfert, prerequisito per la dinamica di fine-analisi.

Sono dei semplici punti di riferimento, spesso disattesi, che mi sembra giusto far conoscere ai lettori di “Psicoanalisi e Scienza”.

© Quirino Zangrilli

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Note:

1  Nel Dizionario di Psicoanalisi dell’American Psychoanalytic Association alla voce “Tecnica analitica” si legge: “Sedute pressoché quotidiane (di norma quattro o cinque a settimana) frequenza che serve a dare continuità al lavoro analitico.
Io pratico la psicoanalisi freudiana da oltre trenta anni con una modalità intensiva: sedute lunghe (da minimo due, a più ore consecutive) e possibilmente frequenti. In tale situazione la persona in analisi instaura con il proprio psichismo più profondo un rapporto contemporaneamente più intenso e meno ansiogeno.
L’elaborazione avviene in massima parte durante le sedute lunghe e quindi le reazioni terapeutiche negative sono pressoché impossibili.