In questo periodo, mi è successo di riflettere profondamente su una delle ultime elaborazioni concettuali compiute da Nicola Peluffo, riguardo al fenomeno che definì in termini di “castrazione placentare”. In effetti, quando normalmente si cita la “relazione feto – materna” evidenziandone tutte le straordinarie e molto complesse relazioni somatiche e psichiche che la caratterizzano, si commette una certa approssimazione, in quanto il sistema materno e quello embrio-fetale costituiscono unità autonome, indipendenti e senza alcun collegamento diretto. Tra i due organismi, si interpone infatti un intermediario di massima importanza per la sopravvivenza di entrambi: la placenta, organo deputato agli scambi metabolici tra la madre e il feto, costituita da una parte materna, o decidua, e da una porzione fetale, ossia il corion. È un organo temporaneo (ossia deciduo), che ha lo scopo di nutrire, proteggere e sostenere
la crescita del feto. La sua forma è quella di un disco, che aderisce alla parete dell’utero e al suo interno entrano da un lato i vasi materni, dall’altro i vasi fetali. Non c’è contatto diretto tra il sangue materno e quello fetale, il passaggio delle sostanze nutritive e dell’ossigeno avviene attraverso una sottile membrana, detta “barriera placentare”. Questa barriera, che separa e al contempo unisce le due diverse entità, rappresenta il principale legame fisico tra la madre e il bambino, non a caso è un organo comune alla gestante ed al feto. Una parte della placenta è originata dall’organismo materno, è costituita cioè dall’endometrio uterino (definito decidua) mentre la porzione rimanente ha origini fetali perché si forma dai villi coriali, ossia dei prolungamenti generati dallo strato esterno delle cellule embrionali. La placenta provvede a tutte le necessità del feto: lo nutre, lo protegge e permette che si instauri un intimo legame con la madre. Si tratta di un legame importantissimo fatto di cure, di dipendenza ed autonomia che, per alcuni aspetti, avrà una sua importanza anche nella vita extrauterina di madre e bambino. La funzione primaria della placenta è quella di permettere gli scambi metabolici e gassosi tra il sangue fetale e quello materno. Il feto e la placenta sono collegati tra loro tramite il cordone ombelicale, mentre l’organismo materno comunica direttamente con la placenta attraverso delle sacche ripiene di sangue definite lacune sanguigne. Ma la placenta svolge numerose altre funzioni: apporta l’ ossigeno al feto ed allontana l’anidride carbonica attraverso la barriera placentare; depura e regola i liquidi corporei del feto; lo rifornisce del necessario nutrimento, tra cui glucosio, trigliceridi, proteine, acqua, vitamine e sali minerali; permette il passaggio degli anticorpi per endocitosi e al tempo stesso impedisce quello di numerosi patogeni; impedisce il passaggio di molte sostanze dannose per il feto anche se alcune possono comunque attraversarla costituendo un pericolo per il piccolo (caffeina, alcol, nicotina, alcuni farmaci, droghe…); produce le sostanze ormonali necessarie per la gravidanza: la gonadotropina corionica umana (HCG), il progesterone, gli estrogeni e la prolattina… Gran parte delle complicanze ostetriche, fra cui ricordo il difetto di accrescimento del feto, la gestosi, la sofferenza fetale, avvengono per un deficit della placenta.
Tuttavia, la mia vera sorpresa è stata concomitante alla scoperta, totalmente casuale, dell’importanza che il collegamento placenta-cordone ombelicale ha da sempre assunto, fin dalla Preistoria: che i Paleolitici conoscessero o intuissero l’importanza di tale binomio e lo rivestissero di liturgie mistico – rituali, viene oggi documentato dagli Antropologi, che descrivono, in ogni parte del mondo, arcaici cerimoniali di natura sacra e magico-religiosa post-partum , in cui viene espressa profonda devozione alla placenta-cordone; nonché dalle prime testimonianze storiche tratte dall’ Antico Testamento, che la definivano in rituali di venerazione dell’ “anima esteriore’”(o anima gemella); analogamente alla popolazione Ibo di Nigeria e Ghana, che considera a tutto’ggi la placenta come il gemello morto del bambino; dai cerimoniali egizi, in cui ogni maestoso corteo regale era preceduto dalla placenta del faraone appesa a un palo; fino agli studi di Ippocrate nell’antica Grecia, che molto probabilmente ne fece derivare il suo bastone caduceo.
Se ne deduce che il fantasma Stimolo – Risposta, parimenti alle fantasie gemellari inconsce, che tanto occuparono quarant’anni fa il pensiero del Professore, sono in realtà attribuibili al funzionamento placenta-cordone, che oltre agli scambi gassosi, metabolici e biochimici, regola anche l’interscambio psichico inconscio tra i due sistemi autonomi e indipendenti.
Pierluigi Bolmida ©
Pier Luigi Bolmida, Specialista in Psicologia Clinica e Patologica, Università Paris V, Formatore in Psicodiagnosi presso le A.A/S.S./L.L. della Regione Piemonte
Nel 1976, in occasione del suo Dottorato di ricerca, partecipa come rorschachista all’équipe della Clinica S.Anne de Paris diretta dal Prof.Pichot alla messa a punto dei Sali di Litio per la cura delle Depressioni Unipolari
Viene nominato nel 1984 presso le U.S.L. di Torino come Formatore Responsabile di tutte le Équipes per la diagnosi dei disturbi mentali e tossicodipendenze
Nel 1986 introduce ufficialmente l’uso del Test di Rorschach in Psichiatria forense, dove verrà regolarmente utilizzato nei casi di separazione legale, abusi e violenze su Adulti e Minori, e nella valutazione precoce del pericolo di Tossicomania in soggetti pre-adolescenti e adolescenti.
Il Dott. Bolmida si è spento a Torino nel dicembre 2020