Poichè io fui, per un tempo
ragazzo e ragazza, albero e
uccello, e pesce muto nel mare.
Empedocle
L’adolescenza adottiva, oltre i compiti evolutivi tipici di questa fase del ciclo di vita, sembra contenere una peculiare complessità psichica e fisica legata al tema della doppia appartenenza: di stirpe e, nella maggior parte dei casi, anche di etnia (Colli, 2011).
La domanda cardine di ogni adolescente “chi sono io?”, diviene per l’adolescente adottivo “chi sono io veramente?”, trovandosi egli a dover significare e risignificare le implicazioni profonde della propria condizione.
Come ben ci ricorda Brodzinsky (1990), l’esperienza dell’adozione può essere vista come un processo al fatto di essere stati adottati,processo che si sviluppa lungo tutto il corso della vita. Durante l’adolescenza si riattivano temi quali l’abbandono e la ricerca delle origini. Emergono il bisogno di dare un senso alla propria storia, conflittualità e paure intense circa la propria identità e una predominanza di sentimenti di estraneità e discontinuità del Sé, relativi alla domanda dolorosa e insistente “da dove vengo?”, “a chi somiglio?” (Gabbriellini, Nissim, 1989).
Edipo stesso, mito centrale nella storia della psicoanalisi, è un figlio adottivo.
Abbandonato dalla famiglia di Tebe, viene accolto da quella di Corinto, ben incarna i vari personaggi che contemporaneamente entrano in scena nella filiazione adottiva: il bambino deprivato, un giovane disorientato, cresciuto senza sapere di sé ciò che gli altri sanno, oggetto quindi di segreti e portatore suo malgrado di una realtà sconosciuta.
E’ il soggetto esploratore, spinto a ritrovare il filo della narrazione delle origini, che sente il bisogno di colmare il vuoto di sapere che coincide col suo inizio come persona (De Simone 2007).
E il corpo cosa ci racconta?
Possiamo individuare una specificità del corpo nell’adolescenza adottiva?
Come ben ricorda Artoni (2006), lo sradicamento, anche molto precoce, di un bambino dal suo luogo di origine è di per sé un trauma grave, perchè lo allontana da rumori, suoni, dagli odori, dai sapori, dalle immagini, dai colori che appartengono a chi lo ha generato. Da quel mondo che non scompare, ma rimane depositato nella memoria implicita.
La cesura dell’abbandono irrompe in modo traumatico nel senso di continuità tra il dentro e il fuori, tra il prima e il dopo: l’Io che è innanzitutto e soprattutto un io corporeo (Freud, 1923) vive un senso di frammentazione, un senso di essere interrotto.
L’adozione stessa è un evento traumatico, un vero e proprio trapianto d’organo (Malacrea, 2004), perchè nel bambino vengono trapiantati stili di attaccamento, modelli operativi, sistemi di accudimento che non gli appartengono. Certo la finalità è salvargli la vita, ma come tutti i trapianti richiede attenzione e cura:si può andare incontro al rigetto e, nei casi più gravi, anche alla morte. La qualità del legame che si strutturerà tra i genitori adottivi e il bambino sarà determinante nella costruzione della sua identità fisica e psichica in adolescenza.
Quanto più i genitori avranno elaborato il lutto della non procreazione e quindi accettato un corpo individuale e di coppia non fertile, ma comunque integro e sessualmente vivo, tanto più saranno flessibili e restituiranno al figlio un’immagine di sé intera, non discontinua o estranea.
Quando invece la ferita narcisistica della non procreazione è ancora aperta o non sufficientemente cicatrizzata, l’invidia e la rabbia per il corpo fertile dei genitori naturali, il bisogno di risarcimento e di riparazione divengono dominanti; lo specchio genitoriale restituirà allora un’immagine deformata, frammentata, un forte senso di estraneità e di espulsione anche fisica, come drammaticamente avviene nei fallimenti adottivi (veri e propri aborti), e altrettanto drammaticamente nelle restituzioni in adolescenza, peraltro fortemente in aumento.
La possibilità di malattia somato-psichica, già imponente nelle adolescenze “fisiologiche” (Elbez, 2003), è ancora più sviluppata negli adolescenti adottati.
Nell’adolescenza adottiva troviamo frequentemente dermatiti, asma, emicrania, gastrite, alopecia; una maggiore espressività nell’area dei disturbi legati all’immagine di Sé (fino alla dismorfofobia), comportamenti autolesionistici (cutting, piercing e tatuaggi estremi, modificazioni corporee), stili di vita rischiosi (abuso di sostanze, alcolismo, fuga, vagabondaggio, promiscuità sessuale), incidenti stradali, suicidi. Frequenti sono anche i disturbi inerenti la sfera narcisistica e dell’identità di genere.
Inoltre, l’esposizione ad Esperienze Sfavorevoli Infantili (ESI, Felitti, 2001) può produrre trauma e anche un funzionamento post-traumatico, che condiziona la personalità del futuro adulto ed ha la sua base a livello organico (Malacrea, 2004)
Gli studi neurobiologici sullo sviluppo mentale infantile stabiliscono con sicurezza che la forma delle strutture cerebrali è legata alla qualità dei legami primari. Quando i legami si costituiscono come fonte di esperienze negative e traumatiche, specie se croniche, si producono danni cerebrali rilevabili e duraturi. Le moderne metodiche diagnostiche mostrano come gli ESI possano causare la sofferenza e l’estinzione di milioni di neuroni nelle aree cerebrali preposte al pensiero complesso e finalizzato, alla integrazione della memoria (ippocampo), alla regolazione emotiva (secrezione di serotonina), alla comunicazione tra gli emisferi (corpo calloso). Si registrano anche alterazioni a livello del sistema nervoso simpatico e parasimpatico (che presiede al ritmo respiratorio, al battito cardiaco, alla pressione arteriosa, ai movimenti peristaltici intestinali), del sistema endocrino (il surrene che produce il cortisolo endogeno essenziale nella regolazione della reazione agli agenti esterni), del sistema immunitario (che presiede alla difesa della persona da aggressori esogeni ed endogeni) (Malacrea 2004).
Il corpo non dimentica
Ciascuno di noi reca impresse nella personale storia percettiva memorie profonde che hanno origine nella vita fetale e costituiscono, con molta probabilità, la base di un senso estetico personale (Guerra Lisi, Stefani, 1998), legato al piacere o al dispiacere; memorie registrate nel vissuto arcaico che orienta la nostra disponibilità, tensione e scelta.
Come sostenuto in letteratura (Gabbriellini, Nissim, 1989) , anche nel caso di adozioni precoci il corpo è l’unico luogo dove può ancora avvenire l’incontro con ciò che viene pensato e vissuto come biologico . In esso possono essere fantasticate tracce che toccano gli strati più profondi del Sé e che risalgono al periodo nel quale il contatto ha creato un rapporto fantasmatico tra il corpo della madre e quello del bambino.
Lo vediamo molto bene nell’adolescenza adottiva di ragazzi provenienti da paesi esteri, che recuperano prepotentemente usi, costumi gusti, modalità comportamentali, cure del corpo tipiche del loro paese di origine, in segno di forte affermazione delle proprie radici, spesso in opposizione alla famiglia adottiva, inevitabile passaggio per la costruzione di una identità legata alla doppia appartenenza.
Bakir ha 15 anni, adottato all’età di 6 mesi, proviene dall’Africa Sub-Sahariana. Un pomeriggio, dopo la scuola, all’insaputa dei genitori adottivi, si fa tatuare un segno tribale sulla schiena da un tatuatore abusivo che proviene dalla sua stessa terra. “Penso sia l’immagine del mio villaggio – mi dice – forse proprio quella della tribù dei miei genitori di là”.
I genitori di là, i genitori di qua, i genitori di prima e quelli di adesso, un succedersi spazio-temporale che porta con sè anche il corpo: c’è un corpo di là e uno di qua, uno di prima uno di ora, una serie di altrove che richiedono un lungo e complesso lavoro di integrazione.
“Qual è il mio vero corpo?” si domanda con rabbia e dolore Viola, 16 anni, adottata all’età di 11 tramite adozione nazionale. Da circa un anno ha ingaggiato una lotta estrema ed estenuante con i genitori adottivi poichè rifiuta di lavarsi; i capelli sono molto sporchi, indossa sempre gli stessi abiti, emana un cattivo odore e vive per strada, ”come se fosse una zingara”, dice con tono quasi di disprezzo la madre adottiva.
Viola proviene da una famiglia di etnia nomade, i genitori naturali sono stati privati della potestà parentale per gravi maltrattamenti e grave trascuratezza; all’età di 5 anni ella viene allontanata dalla famiglia e quando gli operatori sociali entrano nella roulotte dove vive il nucleo familiare, trovano Viola immersa nei propri escrementi e con il cuoio capelluto coperto da una crosta dovuta all’incuria.
Mighena ha 17 anni e proviene dall’Europa dell’Est; adottata all’età di 7 anni, da qualche mese infligge al proprio corpo profonde ferite con la punta delle forbici; mi dice di odiare la madre adottiva per le sue pressanti aspettative scolastiche, la sua assillante richiesta di “essere una ragazza migliore”. La madre naturale era autolesionista e Mighena, fin da piccolissima (ha vissuto con lei fino ai cinque anni) le controllava ossessivamente le braccia con l’angoscia di trovare nuovi tagli “Il mio corpo è due madri… quella che odio e che vorrei tagliare e quella che amo, ma che si tagliava”.
L’affacciarsi della sessualità riattiva nell’adolescenza adottiva la tematica della rottura del legame con i genitori naturali, rimettendo in discussione sia gli assetti raggiunti con la famiglia adottiva, sia il legame originario. Si pone la questione della “sessualizzazione dell’oggetto primario (la sessualizzazione della madre) e anche della forzatura alla terzeità” (Elbez, 2014).
In letteratura vi è unanime accordo nel ritenere come nell’adolescenza adottiva la sessualità venga usata, da un lato per contattare la madre biologica e, dall’altro, per sottolineare la mancanza di sessualità dei genitori adottivi, in una equivalenza infertilità-non sessualità, non riconoscendo così ai genitori adottivi stessi la possibilità di offrirsi come modello identificatorio, proprio nel momento della maggiore urgenza quale è quello della crisi adolescenziale.
Sul versante della genitorialità adottiva abbiamo visto come le problematiche correlate alla non procreazione, se non sufficientemente elaborate, riaffiorino dolorosamente nella coppia,sfociando spesso in una collusione con le fantasie denigratorie difensive del figlio adottato (Grimaldi, Malese, 1985).
Sasha ha 16 anni, adottato all’età di 8, proviene dalla federazione Russa; è in regime di messa alla prova su disposizione del Tribunale per i Minorenni , a seguito di denunce per lesioni gravi a danno della madre adottiva (Sasha infierisce in modo particolare sul suo seno). Fugge costantemente dalle varie comunità che lo ospitano, ogni volta ritorna a casa e minaccia di morte la madre. Il padre adottivo chiede il disconoscimento di paternità; nelle denunce la madre utilizza il cognome russo del figlio. Con tono dolorante e nel contempo rabbioso mi dice: “Rimpiango e rivoglio l’angelo che ho adottato e che ora si è trasformato in diavolo… a causa del sesso”.
Il naturale contatto del ragazzo con la sessualità, fisiologica rientrata in scena dell’Edipo senza però la barriera del biologico, elemento caratterizzante la filiazione e la genitorialità adottiva, i nodi non risolti della coppia soprattutto rispetto alla sessualità e all’infertilità, le rappresentazioni dei genitori naturali, hanno trasformato Sasha in un demonio agli occhi della madre e, in un pericoloso gioco di specchi deformanti, entrambi riflettono reciprocamente un’immagine di sé percepita come mostruosa. Durante i litigi violenti e passionali nel contempo, il figlio dice alla madre adottiva “Puttana, figlia di una puttana” e lei risponde “ L’unico figlio di puttana in questa casa sei tu”.
(Sasha era stato allontanato dalla madre naturale che si prostituiva e abusava di sostanze alcoliche).
La madre adottiva rivuole il bambino-angelo e asessuato, e non il figlio di puttana che fa sesso, e il corpo di Sasha racconta tutto: è un corpo completamente glabro perchè il ragazzo compulsivamente si depila ogni giorno soprattutto nella zona genitale, ma è anche un corpo trafitto da piercing devastanti, placato o eccitato da droghe, venduto a donne mature.
Srey, 15 anni, proviene dal Sud-est Asiatico, adottato all’età di un anno è aggraziato e gentile. Ritroso con lo sguardo mi confida arrossendo del suo sogno segreto di diventare una donna, perchè lui si sente così da sempre, da che ha memoria di sé. Nel succedersi degli incontri, diviene sempre più evidente come la metamorfosi corporea, provocata dall’adolescenza, abbia generato in Srey la fantasia di poter far rivivere l’immagine della madre biologica tramite il proprio corpo.
La clinica della prima infanzia mette in evidenza come la Coscienza di Sé sia correlata alla Coscienza dell’alterità dell’oggetto e come l’oggetto sia nello stesso tempo oggetto da simbolizzare (simbolizzare l’assenza dell’oggetto) e oggetto per simbolizzare. Winnicott (1971) come sappiamo sottolinea l’importanza della funzione-specchio del volto materno e della qualità della sua presenza, ma soprattutto ci ricorda che la simbolizzazione dell’oggetto assente (o la rappresentazione interna dell’oggetto) non è la stessa cosa della simbolizzazione che rende l’assenza tollerabile.
Come si declina tutto ciò nelle adozioni e, soprattutto, negli abbandoni precoci o in quelli alla nascita?
Nella mia esperienza professionale e umana ho incontrato tanti bambini, adolescenti e adulti abbandonati alla nascita e, pur nella variabilità individuale, tutti erano collegati da un comune fil-rouge: la ricerca di un volto, comunque presente nella memoria del loro corpo, un vero e proprio Jamais-vu/déjà-vu.
Juan ha 14 anni, proviene dal Sudamerica, abbandonato per strada alla nascita, non si ha alcuna traccia dei genitori naturali. Adottato all’età di due anni, da sempre è alla ricerca di un volto femminile nel quale riconoscersi; trascorre molto tempo navigando in internet dove visita siti contenenti immagini di donne della sua terra d’origine, selezionandone il viso: “La guardo attentamente negli occhi e cerco in lei qualche somiglianza e se la trovo penso: sarà lei la mia mamma?”
Karol, 16 anni, proviene dalla Polonia, adottato all’età di 9 anni, ha sempre vissuto in Istituto. Arriva al nostro incontro con un foglio sul quale ha disegnato il volto di un uomo e di una donna: “Sono i miei genitori di lassù, cioè come me li immagino io, perchè non me li ricordo…” Karol ha scomposto prima il proprio volto in tante parti e poi, partendo da sè, ha attribuito all’immagine fantasmatica dei genitori i propri tratti, e in tale immagine si riconosce grazie ad un bonificante gioco di specchi:”Così riesco a pensarli e se penso che la mia mamma di lassù ha i miei occhi e la mia bocca e mio papà di lassù il mio naso e i miei capelli, mi sento, sì mi sento più… intero”.
Dott.ssa Rosita Bormida ©
(Per gentile concessione di Berggasse, 19 Rivista di cultura e cura psicoanalitica, Ananke Edizioni, Torino)
Bibliografia
Artoini Schlesinger C. (2006). Adozione e oltre. Immagini parole e pensieri dell’altro mondo, Borla, Roma.
Brodzinsky D.M. (1990). A stress and coping model of adoption adjustment, in Brodzinsky D.M & Schechter M.D.. The psychology of adoption, Oxford University Press, New York.
Colli C. (2011). Il sostegno psicologico a genitori di adolescenti autoridi reato in Mazzucchelli F. (a cura di) Il sostegno della genitorialità, F. Angeli , Milano. De Simone G. (2007) Le famiglie di Edipo, Borla, Roma.
Elbez J.C G.(2003) Psychosomatique et processus d’adolescence, in Adolescence, n.44-2.pp.291-303.
Elbez J.C .(2014) Corpo e soma in Adolescenza, presentato al convegno Corpo e Adolescenza del 11 ottobre 2014 2014 a Sanremo organizzato dall’Associazione Dialoghi sul Confine, dell’11 ottobre 2014 a Sanremo (cfr. questo numero di Berggasse, 19, pp 84 segg.)
Felitti VJ et al (2001) Relationship of childhood abuse and household dysfunction to many of the leading causes of death in adults, in Franey K., Geffner R., Falconer R.(eds), The cost of child maltreatment: who pays? We all do, San Diego, CA, Family Violence and Sexual Assault Istitute.
Freud S.(1923), L’io e l’Es, OS. F.IX.
Gabbriellini G., Nissim S.(1989). Il bambino adottato diviene adolescente: appunti sulle problematiche corporee, in Rivista Psicologica analitica, vol.2
Grimaldi S., Malese A. (1985). Adolescenza e adozione, in Psichiatria dell’Infanzia e dell’adolescenza, vol. 52,pp. 403-411.
Guerra Lisi S., Stefani G. et al (1998) Musicarterapia nella globalità dei linguaggi, Borla, Roma.
Malacrea M. (2004). La terapia nell’abuso all’infanzia: le ragioni teoriche dell’evidenza clinica, Connessioni, anno VIII, n.14.
Winnicott D.W.(1971) Gioco e realtà, tr.it. Armando Editore, Roma.
Dott.ssa Rosita Bormida
Psicologo Clinico Psicoterapeuta Infantile
Responsabile Struttura Semplice Adozione a Affidi ASL2 Savonese
Docente di Psicologia dello Sviluppo presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica “Il Ruolo Terapeutico di Genova”