Da circa trent’anni, grazie anche allo sviluppo di tecnologie quali l’ecografia, si è progressivamente ampliata la frontiera della ricerca rispetto alle prime interazioni ed alla loro influenza sulla vita successiva: dal neonato al feto. Ne sono esempio gli studi di Mancia sul sonno fetale come medium di integrazione ed elaborazione tra le informazioni genetiche e l’ambiente ( la madre), gli studi di Piontelli sui movimenti fetali come risposta a stati di tensione, movimenti ripetuti e con caratteristiche individuali, ritrovabili nelle prime modalità comportamentali relazionali del neonato.
È ormai un dato di fatto che l’interazione tra madre e feto sia varia ed articolata, e utilizzi vari canali sensoriali, spesso in interazione reciproca: si sa che il feto può essere infastidito da rumori intensi, l’ansia materna si traduce nel feto in comportamenti motori anomali, il feto è capace di discriminare una soluzione zuccherina ingerita dalla madre da sostanze di altro sapore.
Molte di queste ricerche ( Piontelli, Mancia, Imbasciati), sono state ideate da studiosi ad orientamento psicoanalitico.
Ultimamente mi sono imbattuta in una interessante ricerca sperimentale ideata da Imbasciati, Manfredi e Ghilardi, pubblicata in più articoli sulla rivista Imago dal 1997 al 2002. Si tratta di uno studio sull’esposizione auditiva fetale. L’ipotesi di fondo, verificata sperimentalmente, è che l’esposizione auditiva fetale incida positivamente sullo sviluppo delle capacità comunicative e linguistiche del futuro bambino. In particolare l’esposizione alla voce materna. Da tempo ricerche sperimentali avevano dimostrato come il neonato, a poche ore di vita, abbia risposte differenziali rispetto alla voce materna e la discrimini da altre fonti sonore.
Attualmente si sa che il feto tra le 24 e le 28 settimane di gestazione è in grado di udire suoni e questa capacità percettiva matura gradualmente nel tempo; ampliandosi lo spettro del campo sonoro matura la capacità di discriminazione fra i suoni. Vi è anche il fenomeno di abituazione ai suoni, vale a dire la contrazione fino all’inibizione della risposta in seguito alla ripetuta ripresentazione dello stesso stimolo sonoro.
Gli autori della ricerca sottolineano come la maturazione fetale si compie in modo tale che i primi suoni udibili dal feto sono proprio quelli che, per le loro caratteristiche frequenze, corrispondono alla voce umana (128 Hz per la voce maschile, 225 Hz per la voce femminile).
Imbasciati e coll. hanno approntato un piano pluriennale di ricerca basato su questionari, osservazioni standardizzate, misurazioni attraverso test a partire dal sesto mese di gravidanza fino al diciottesimo mese di vita del bambino.
Il questionario, distribuito al campione di madri ( 7° – 8° mese di gestazione) era strutturato in modo tale da distinguere tra esposizione acustica fetale generale (rumorosità degli ambienti frequentati dalla madre, l’ascolto di musica, televisione), l’esposizione musicale (musica e canto ascoltato o prodotto dalla madre) ed infine la comunicazione intenzionale ossia la comunicazione verbale prodotta dalla madre espressamente rivolta al proprio nascituro.
Il follow-up con i bambini sono stati attuati a 10 mesi e a 18 mesi.
I risultati dimostrano come la variabile “esposizione auditiva ambientale” non abbia alcun effetto significativo sullo sviluppo della comunicazione, del linguaggio e su altre competenze. 1
La variabile “comunicazione intenzionale” risulta invece correlata con la somma di parole che il bambino ha acquisito a 10 mesi: il gruppo a cui le madri avevano maggiormente parlato in epoca fetale ha acquisito in media più di quattro parole rispetto agli altri la cui media è di due vocaboli.
Significative differenze si riscontrano nell’uso del gesto di indicazione del bambino a 18 mesi: se il dialogo è stato quotidiano o quasi, maggiore è l’espressione di tale gesto da parte del bambino soprattutto in contesti relazionali pregnanti ( lettura di un libro da parte dei genitori, gioco del cucù – settetè).
Questa ricerca, come molte altre, mette in luce la complessità interattiva dello scambio madre – feto. Scambio che coinvolge molteplici canali, spesso in interazione, interscambio che produce tracce mnestiche che influenzano il comportamento futuro. Pensiamo solo alle implicazioni di questa ricerca: il feto non solo è in grado di discriminare la voce materna da altre voci ma è anche in grado di cogliere il carattere connotativo del messaggio (l’affetto veicolato dalla voce): solo così si spiegherebbe il fatto che lo sviluppo precoce delle capacità linguistiche si abbia quando la madre si rivolge al nascituro ( non la voce della madre in sé ma la sua voce rivolta a lui).
Nel primo articolo, gli autori sottolineano come ormai la visione di una vita intrauterina simile ad un eden perduto in cui ogni stimolo nocicettivo è risparmiato al nascituro è stata ampiamente confutata dalle ricerche sperimentali: il feto reagisce all’ansia materna, ha esperienze di frustrazione, disagio.
La micropsicoanalisi già nel 1972, parlando di stadio iniziatico e di guerra uterina, aveva sottolineato l’importanza dell’aggressività nella dinamica relazionale madre-feto.
Peluffo in “Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione” aveva sottolineato come la gravidanza rappresenti l’unica eccezione in natura alla regola della istocompatibilità. Il feto porta in sé il patrimonio genetico paterno, incompatibile con l’organismo materno, però la donna accetta ed armonizza al suo interno questo materiale estraneo che in altri casi (es. trapianto d’organo) darebbe luogo ad una reazione di rigetto.
Secondo Peluffo lo stato di disequilibrio somatico costituito dalla gestazione stimola un’elaborazione psichica delle vicende somatiche di rigetto – facilitazione interagendo con esse. I vissuti onirici e fantasmatici di invasione batterica sarebbero un tentativo di rappresentazione elaborazione della reazione immunitaria. Così l’investimento narcisistico sul nascituro (la fantasia inconscia del bambino- pene che nega l’angoscia di castrazione) faciliterebbe il processo di facilitazione.
Sempre secondo Peluffo i fantasmi inconsci materni di invasione batterica stimolerebbero nel feto fantasmi risposta paralleli.
M. Tartari spiega come alcuni comportamenti e fantasie consce, accettate e codificate culturalmente, quali le voglie in gravidanza, le nausee gravidiche e le relative spiegazioni, siano la punta conscia dell’iceberg di tutta una serie di fantasmi inconsci e preconsci che hanno come polo attrattore la dinamica fantasmatica : figlio invasore somatico da espellere – figlio, pene , investito narcisisticamente da trattenere .
Il rapporto fin dagli inizi è ambivalente.
Tenere conto di questa ambivalenza originaria permette l’avanzare di una possibile ipotesi sul perché la comunicazione intenzionale della madre al nascituro stimoli maggiormente nel figlio la capacità di una comunicazione distale (il linguaggio).
Si può pensare che il parlare al bambino sia , da parte della madre, un modo di abreagire – sublimare l’ambivalenza di fondo. La punta emersa dell’iceberg , il comportamento manifesto sotto il quale si celano tensioni relative a conflitti ambivalenti libidico – aggressivi. L’aggressività viene elaborata ed abreagita tramite una comunicazione, piccole frasi, a volte, dolci rimproveri tipo: “Ancora sveglio, scalci, ma la mamma deve dormire”, “sei proprio un birbone, non vedi l’ora di uscire”, “sei comodo lì dentro, invece la tua mamma!!”
Un po’ come le ninne nanne che la futura madre canterà al suo neonato: dolci melodie che veicolano spesso un contenuto aggressivo: “Ninna nanna, ninna oh!, questo bimbo a chi lo do (…), “Ninna nanna coscette di pollo” ecc.
Il momento di disequilibrio tensionale è sedato dalla voce, la comunicazione abreagisce e d allenta la tensione della madre; è possibile che il feto associ il suono ed la sua modulazione a una sensazione di abbassamento tensionale che forse anche lui avverte; ecco che a 18 mesi, in situazioni di lieve tensione ( desiderio di un oggetto, desiderio di mantenere l’interazione con i genitori attraverso il gioco del cucù o la lettura di un libro) prediliga la comunicazione distale: la parola e il gesto indicativo.
Un possibile appoggio a questa ipotesi è dato dal fatto che questa maggiore predilezione per il canale comunicativo verbale avviene nei bambini le cui madri aveva si parlato in gravidanza, ma non in modo eccessivo (il risultato migliore si ha con bambini le cui madri parlavano loro una o due volte al giorno).
Si può pensare che la comunicazione eccessiva al feto non assolva più alla funzione di abbassamento della tensione ma sia invece stimolata da forti angosce materne relative al feto o allo stato di gravidanza in generale: ad esempio fantasie di morte in utero possono portare la madre ad iperinvestire sulla motricità fetale, la madre non potrà sopportare il non sentire il bimbo muoversi, coattivamente cercherà di stimolarlo, di sentirlo vivo, anche attraverso la parola (anche se ciò ovviamente non stimola il feto a muoversi).
Ecco che la comunicazione distale non assume più la valenza di modulatore dell’aggressività ma ne diventa il veicolo. Il suo significato cambia, la comunicazione accresce lo stato tensionale, è segnale di un momento di disequilibrio e questo probabilmente viene registrato anche dal feto.
© Daniela Marenco
Note:
1 Nell’ultimo articolo del 2002 Manfredi riporta i risultati dell’indagine sulle competenze indagate quali la costruzione della relazione spaziale tra oggetti, lo sviluppo della casualità, la permanenza dell’oggetto, l’intonazione vocale, ecc. sui bambini di 18 mesi. Per esigenze di spazio tralascio questa parte.
Bibliografia:
– Manfredi, Ghilardi , Imbasciati , L’esposizione auditiva fetale: uno strumento di indagine sulle origini della vita psichica, in “Imago” Vol.IV, n. 2, 1997 Istituto Cortivo.
– Manfredi, Imbasciati, Esperienza auditiva fetale e sviluppo comunicativo a 10 e a 18 mesi, in “Imago” Vol. VIII, n.4 ,2001 Istituto Cortivo.
– Manfredi, Effetti dell’esposizione auditiva fetale sullo sviluppo psichico del neonato in “Imago”, Vol.IX, n.2 2002 Istituto Cortivo.
– N. Peluffo, “Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione”, Books Store 1976 Torino.
– A. Piontelli, “ From fetus to child” Tavistock Routledge, London 1992.
– M. Tartari , Mangiare di baci. I desideri orali durante la gravidanza in Brugo, Ferraro, Schiavon, Tartari , “Al sangue o ben cotto”, MELTEMI Ed. 1998 Roma.
– M. Tartari, La vita intrauterina in “Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi”, n.27-28, 2000 Tirrenia Stampatori.
– Q. Zangrilli, Vita fetale e destino psicobiologico, in Rivista Multimediale Scienze e psicoanalisi” 2001.
Daniela Marenco è nata a Torino nel 1957, laureata in Pedagogia nel 1982 e in Psicologia nel 1988, si è da sempre occupata di psicoanalisi infantile. Dopo aver attuato il suo iter formativo, nel 1999 è diventata membro titolare della Società Internazionale di Micropsicoanalisi, nonché dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi. Dopo aver lavorato per oltre cinque anni come psicologa volontaria presso il Reparto di Neuropsichiatria Infantile della Clinica Universitaria “Regina Margherita” di Torino, da più di dieci anni è psicologa convenzionata presso il servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale S: Croce e Carle di Cuneo, svolgendo attività di psicodiagnosi e psicoterapia con bambini ed adolescenti. Coautrice di numerose comunicazioni a convegni di Neuropsichiatria Infantile, ha pubblicato vari articoli sul Bollettino Italiano di Micropsicoanalisi riguardanti il lavoro psicoanalitico (in particolare il lavoro micropsicoanalitico) e psicoterapico con bambini ed adolescenti. Nel 2000 ha pubblicato nella collana di Micropsicoanalisi diretta da Nicola Peluffo, il libro “I percorsi dell’Immagine in adolescenza” Edizioni Borla.