Porto un’esperienza che riguarda l’evidenza del generarsi di una creatività connotata di benessere psicobiologico, dopo l’elaborazione di lutti in merito a situazioni di perdita. Una riorganizzazione creativa e positiva rimanda anche alla forza della resilienza (Boris Cyrulnik, Elena Malaguti, 1999, 2001, trad.it. 2005), fenomeno oggi molto indagato che può interessare chiunque abbia la spinta ad andare oltre la sofferenza, il lutto, la perdita, il vuoto. Mi sembra che il contatto con risorse potenziali anelanti alla vita possa ben sposarsi con l’elaborazione di una creatività benessere nel senso intrapsichico con i suoi vissuti di distensione, soddisfazione, correlati adattativi e nel senso interpersonale con la messa in atto di relazioni appaganti. Ciò conduce ad un’accezione olistica di armonia mente-corpo-ambiente, nei suoi aspetti pulsionali e relazionali in una sinergia di risorse che si incontrano e si confrontano. Mi accingo a discorrerne un po’ in un lavoro che uscirà in due parti.
L’attività di riflessione sulla creatività, come risorsa profonda di vita è stata in me sistematica e clinicamente datata(1990) 1, a cominciare dall’osservazione di dati creativi analitici e postanalitici, anzitutto personali (1997/1999/2000/’01/’04/’…) come spesso succede nella ricerca psicoanalitica. Tale osservazione si è via via estesa a testimonianze di persone (1999-2002) che, completato il proprio lavoro analitico, assecondando un’insolita spinta creativa e vitale che le ha indotte, in questo caso, a scrivere per ‘narrare/narrarsi’, hanno avuto il piacere di regalare una traccia ‘originale’ di sè. Tutto questo, almeno per quanto mi riguarda, ha preceduto la messa in atto della stesura di una modellistica apparsa completa nel libro Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi (2007/8), scritto con il dottor Daniel Lysek, un collega svizzero che già si era interessato della “sublimazione dell’aggressività”(1997). Parlerò del libro come base del discorso. In apertura, desidero subito porre in evidenza che, al di là dell’appagamento dato dalla manifestazione creativa in sé, quando la creatività diventa prassi sinergica nella quotidianità, gli immancabili e periodici conflitti dell’esistenza non sono sentiti solo come fatti funesti ma come situazioni di disagio, disattivabili e convertibili in nuove manifestazioni energetico-pulsionali e relazionali che danno un vissuto di riuscita al tentativo espressosi. Lo stesso può valere per i traumi di cui si occupa appunto la resilienza come scrive Boris Cyrulnik (2008, trad. it. 2009)con la consapevolezza e la forza di aver saputo trarre nuovo alimento dai suoi personali ricordi delle devastazioni della guerra e della deportazione dei genitori: “Il potere della vita è così grande che, come un enorme torrente, riprende l’avvio dopo un avvenimento sconvolgente, sotto altre forme” (p.28). Proprio riflettendo sulle risorse vitali come potenzialità creatrici, in un lavoro recente (2009, pp.18-28), ho ipotizzato la resilienza come frutto di un “processo di elaborazione ricombinativa” (Gariglio, Lysek, 2007, pp.48-53) da cui ho visto tante volte scaturire ciò che inizialmente avevo pensato come “la nascita del corpo analitico, dopo l’analisi”(2002, p.201) e, successivamente, “il proprio originale postanalitico” (Belfast, 2006) rimanendo nell’ambito clinico. Uscendo poi dalla psicopatologia e generalizzando, “il proprio originale” (op. cit. 2009, p.20)mi è apparso raggiungibile da chiunque indaghi sulle personali forze creative e risanatrici. Questo, all’insegna di un narcisismo positivo, vitale e creativo, altrimenti chiamato da Davide Lopez e Loretta Zorzi (2003, p.86)“sano e maturo” perché sganciato dalla “iperdipendenza dalle risorse libidico-emotive” di altri. Tale situazione, nella sua condizione di ‘protesi’, impedisce la trasformazione naturale: discorso, a mio avviso, davvero fondamentale sia per l’analista che per l’analizzato.
In tutti questi percorsi che riguardano il rifiorire della creatività con certe sue manifestazioni concrete – percorsi analitici, postanalitici immediati, dopo la sedimentazione e altri ancora successivi o percorsi qualsiasi frutto della resilienza – ho sempre visto protagonista una buona “fluidità psichica” (G.L. 2007, p.102) per il raggiungimento dell’accordo tra le istanze profonde, quelle idealistiche e superegoiche e quelle che riguardano l’io e i suoi tentativi di adattamento del desiderio alla realtà. All’interno del lavoro analitico, a ben guardare, appare molto chiara la messa in moto di tale fluidità a partire dalla disattivazione di vissuti conflittuali e traumatici. Allora, l’energia liberata si reinveste in movimenti ad impronta sinergica, ricreando il contatto con qualche “traccia di benessere”, latente nell’inconscio, per iniziare quel processo di “elaborazione ricombinativa” che alla fine, porterà a creare “oggetti psichici ricombinati”(op.cit. p.104) e reali. Questo perché: “Quando ci si approccia alla creatività è gioco forza interessarsi ad altri contenuti dell’inconscio. In effetti, il processo creatore che viene alla luce durante o dopo l’analisi, sembra essere piuttosto la risonanza di tracce di esperienze soddisfacenti e appaganti memorizzate nell’inconscio, determinatesi durante tutto lo sviluppo fetale e infantile del soggetto” (op.cit. p.44), nonché, ovviamente, nella filogenesi. Infine, tale processo andrà nel senso del tentativo di stabilizzazione di un continuum che può snodarsi, periodicamente, secondo la tessitura del “percorso dell’atto creatore” (op.cit. pp.29-33) che va dall’organizzazione difensiva conflittuale e traumatica (che genera “creatività sintomo e sublimazione” (op.cit. pp.85-92) ) alla nascita di nuovi tentativi più appaganti di vita e creazione. Il passaggio obbligato, come si diceva, è sempre la perdita e l’elaborazione del lutto con l’imprenscindibile esperienza del vuoto che diventa, ad un tempo, un passaggio obbligato con i suoi risvolti di angoscia ed una sosta come presupposto per un rigenerarsi creativo.
Questo, in una sintesi molto stretta di Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi, un libro scritto contemporaneamente in italiano e francese. Il libro, inserito nella collana già diretta da Leonardo Ancona, è stato pubblicato nel 2007 in Italia, da Armando e, nel 2008, in Svizzera da L’Age d’Homme. Rimando gli interessati al libro o quanto meno ad una sua scheda di presentazione, nella sessione Recensioni di Scienza e Psicoanalisi. Aggiungo solo che la modellizzazione, frutto di diversi anni di lavoro, è un’elaborazione comune e analisi comparata di dati in merito alle nostre singole ricerche sulla creatività a partire dal rispettivo punto di osservazione che, per quanto mi riguarda caratterialmente e professionalmente, si è appoggiato progressivamente sulla sensazione/intuizione/convinzione che la creatività non fosse solo un’attività difensiva. Su questa base, presenterò il seguito della riflessione personale, come oggetto di questo lavoro.
Dico subito che, dopo gli scritti creativi sopraccennati e la stesura teorica comune, mi sono soffermata, in particolare, sugli “aspetti transferali/controtransferali di un campo analitico con analista consapevole del percorso dell’atto creatore” (2008, Memoria SIM), situando centralmente, nel lavoro psicoanalitico-micropsicoanalitico, la modellizzazione in merito alla creatività osservata in analisi. Questo, per il fatto comune che ciascuno porta in sé tracce rimosse conflittuali/traumatiche di più alta vibrazione che spesso coprono o agglutinano tracce di benessere latenti nell’inconscio. Secondo le nostre osservazioni, è possibile modificare la proporzione di tali tracce, nell’accoppiata sinergica. Lo si può osservare molto bene durante il percorso analitico ma lo si può vedere in atto anche quando il terreno della persona sia poco o mediamente nevrotico e le attività di resilienza, siano quindi capaci di rendersi protagoniste, fisiologicamente e automaticamente. Diciamo che l’analisi può ripristinare tale capacità. Ne abbiamo scritto ancora recentemente in un lavoro che attesta la possibile trasformazione dell’aggressività in creatività (Gariglio, Lysek, IIM, 2009), evidenziando “il ruolo fondamentale delle informazioni di benessere nell’emergere di un processo creatore” con i suoi correlati affettivi e relazionali. La memoria del benessere rimanda infatti alla relazione e all’empatia, nozione, questa seconda, necessariamente bagaglio di ogni psicoanalista. E, tra i tanti che ne hanno parlato, rimando solo a Heinz Kohut (1977, trad.it. 1980) che ne ha fatto un cavallo di battaglia ma di cui tralascio la glorificazione della “ricerca anaclitica di appoggio“ (Lopez, Zorzi, 2003, p.86), che anch’io non condivido perché la ritengo costosa nel senso della dipendenza dai “rifornimenti narcisistici esterni che non crea “trasformazione strutturale” (p.85). E parlo invece di una sintonizzazione con il “sentire l’essenza del messaggio del paziente”, “un’empatia, come scrive Alberto Lomuscio (2009, pp.103-4), basata sull’alterità (…) in condizioni di consapevole e vigile separazione, di assenza di fusione-confusione”. In questo modo viene sganciato dall’empatia il possibile equivoco di esperienza di fusionalità, ridandole solo il significato di capacità recettiva nel cogliere l’essenza del discorso transferale/controtransferale: sentire, ricevere, accogliere accompagnare con calore umano e ricchezza creativa. Lo stesso Freud, nella recente traduzione del libro di Manfred Pohlen(2006), In analisi con Freud. I verbali delle sedute di Ernst Blum del 1922, viene svelato o meglio riappare “tutt’altro che un clinico neutrale e distaccato”(trad. it. p.41) come racconta lo stesso Blum a Pohlen nel 1973, in un “dialogo di dieci giorni” che rievoca i tre mesi dell’analisi con il Maestro di cui “55 ore sono state stenografate” (trad. it. p.164): “La mia analisi con Freud mi appare come una conversazione senza riflessione: era la sfera della comunanza, un dialogo in una lingua comune, un’intesa da cui scaturivano insight come momenti fulminei di nuova percezione. Freud era un compagno di strada fidato, non una guida interpretante: e il nostro percorso era come la creazione di un’opera d’arte realizzata in tanti abbozzi preliminari…” (Ernst Blum, 1922, trad.it. in op. cit. p.170). E Sandro Panizza (2009) in un libro che ho molto gustato per il tipo di scrittura sciolta che si dipana con destrezza creativa tra la precisione dei richiami teorici e il piacere di raccontare il proprio punto di vista, ci racconta precisamente “il filone relazionale – oltre che pulsionale – che percorre l’intera opera e l’intera vita di Freud”(p.66). Come non richiamarci, in questi discorsi di sinergia e relazioni appaganti, anche le parole che Platone, nel Simposio, mette in bocca a Socrate, così come mi sono appena state ricordate da una collega interessata anch’essa alla memoria del benessere, dopo la disattivazione di qualche conflitto? “Sarebbe bello, Agatone, se la sapienza fosse fatta in modo da scorrere, se ci tocchiamo l’un l’altro, da chi di noi ne è più pieno a chi ne è più vuoto (…): giacchè penso che sarò colmato, da te, di molta e bella sapienza.”. Tralasciando l’aspetto ironico della risposta in quel contesto, voglio invece considerare come vera la rappresentazione di un ‘libero fluire di sapienze’, com’è naturale in una soddisfacente e paritetica interazione reale. Se invece consideriamo metaforicamente quel “se ci tocchiamo l’un l’altro” e lo inseriamo nella situazione analitica, possiamo subito collegarci alla straordinaria nozione di Nicola Peluffo (2006) che parla piuttosto di una “contemporaneità del desiderio inconscio”, per meglio tradurre le abusate nozioni di empatia o sincronicità. Tale contemporaneità, attiva nel campo transferale/controtransferale, coesiste, senza contraddizione, con l’astinenza dell’analista – nel rispetto di quei famosi “confini” (Glen O. Gabbard, Eva P.Lester, 1995, trad.it. 1999) – abituato a seguire con neutralità e attenzione fluttuante l’onda dell’iter associativo. Così, quando parlo della ‘consapevolezza’ dell’analista del “percorso dell’atto creatore”, mi appoggio proprio su questa sinergia di ‘inconsci che sanno e che interagiscono empaticamente’ ma, in più, indico come differenza la ‘consapevolezza’ del fenomeno o dei suoi diversi gradi: consapevolezza nella sua completezza di incontro e di trasformazione. In questo discorso, tra l’analista e l’analizzato, il primo può essere consapevole, già in partenza, anche del percorso dell’atto creatore, e dico ‘anche’, oltre a tutto il resto che riguarda il conflitto psichico che si incrocia con la traccia delle esperienze traumatiche, che comunque rimandano poi al conflitto e successivamente al fantasma, all’angoscia e alla tensione di cui l’analista è, classicamente, consapevole da sempre. L’analizzato può diventare più facilmente consapevole di tale percorso in un campo analitico che, appunto, abbia in sé tale consapevolezza portata dall’analista, dove sia protagonista la considerazione della ‘persona’, nei risvolti antropologici, conflittuali/traumatici, ma anche adattativi e creativi. Sono sintonica con Augusto Romano di cui ho appena letto un bel lavoro (2007), scritto con G. Piero Quaglino e Riccardo Bernardini su Eranos e i suoi storici Convegni interdisciplinari tra culture diverse, quando distingue una “psicopatologia intesa come collezione di sintomi e sindromi (…) dalla personalità, in quanto realtà umana da accompagnare in un processo di trasformazione”(pp.154-55). Oggi, c’è buona concordanza sul fatto che ad essere analizzata debba essere la “relazione tra due persone che interagiscono”(p.158). Dettagliando micropsicoanaliticamente tale relazione nel campo analitico, la si può rappresentare come un insieme di dinamiche di incontro-scontro tra sfaccettature energetiche di cui diventare consapevoli come ben sanno gli analisti quando sentono di non essere solo in due, nello spazio-tempo di seduta. Se poi il lavoro riguarda un gruppo, analitico o di lavoro, tali sfaccettature si moltiplicano e, con esse, i dinamismi… Ad Eranos, ad esempio, ho appena incontrato un gruppo di studiosi che, con naturalezza, passa dall’elemento teorico, all’aspetto di ricerca transculturale, alla relazione empatico-affettiva, alla considerazione per la natura che si esprime insieme a questi aspetti.
Rimanendo nell’analisi, per quanto mi riguarda, sento e vivo tale esperienza come un avvicendarsi aggressivo-sessuale, adattativo e creativo, che attraversa i materiali del sogno, dell’iter associativo e delle riattivazioni transferali/controtransferali di seduta, fino alla “nascita del proprio originale” da cui potrebbe scaturire il singolo “mito personale”, secondo un bel modo di dire di Romano (op.cit. p.157). Anzi, queste due nozioni può darsi abbiano qualche affinità perché riguardano, ad ogni buon conto, l’individuazione in cui si tesse la propria identità. Vi si potrebbe riflettere, accogliendo la possibilità di confronto tra modellistiche di diversa matrice teorica, come mi piace fare, tutte le volte che posso, anziché intrattenermi solo sulle differenze. Come scrive Silvia Vegetti Finzi (1992, Intr.), “la diversità è ricchezza” purchè “il confronto non avvenga su di un sapere cumulativo ma tra modi di vivere, di pensare, di comunicare”. Può darsi allora si possa già rappresentarci l’incontro con le sfaccettature dell’ “Immagine” (per tutti, cfr. Peluffo, 1984) nella sua essenza energetica psicobiologica, plastica, dinamica, secondo l’accezione micropsicoanalitica e l’incontro con le immagini archetipiche, secondo l’impostazione junghiana, come la fioritura, nel campo analitico, di una miscela piena di tanti aspetti pulsionali, relazionali, culturali, simbolici… che, per comodità di sintesi e nel mio modo di vedere, avrei riassunto in conflittuali/traumatici e di benessere, onto-filogenetici. Questi aspetti possono disattivarsi di volta in volta e ricombinarsi continuamente, talvolta, verso tendenze più di vita e creazione che di morte con i suoi vissuti di stasi. E mi piace qui segnalare il “modello della genitalità e della persona” di Davide Lopez (2008), citandone qualcosa. “Ciò che, soprattutto, mi interessa, scrive questo psicoanalista, interessato anch’esso al benessere, è che tale modello sia compreso nel suo significato primiero di offrire, a coloro che sono pensosi e anelanti a realizzare la pienezza e la ricchezza della vita, la speranza e la fiducia di realizzarlo” (p.249). Visione ottimistica che condivido, niente affatto trionfalistica perché, e lo dico utilizzando parole di Freud (1932, ed.it. p.284): “sa – comunque- sottomettersi alla verità nel rifiuto di ogni illusione…”, nel rispetto della ‘filosofia’ scientifica cui richiama, giustamente, la psicoanalisi. Va da sé che la consapevolezza del percorso dell’atto creatore in tutti i suoi risvolti (di cui si sta un po’ parlando), rimandi ad un analista che asseconda la coniugazione della rappresentazione con l’affetto anche nelle riattualizzazioni che provengono dalla “memoria del benessere”, mano a mano che questa riemerge nei fenomeni di transfert e controtransfert. Secondo il mio pensiero, la spontaneità del suo presentarsi nel campo analitico è strettamente correlata all’interiorizzazione che ne ha fatto l’analista mentre si formava e riflettendovi a posteriori.
Così, se prima avevo dato attenzione (2001, pp.7-11), alla possibilità di individuare una correlazione tra le potenzialità creative e il lavoro analitico profondo rispetto alla nascita di “nuovi tentativi” o alla possibilità di ripresa di taluni “sentieri interrotti” (Paolo Di Benedetto, 2005, p.193) – e voglio richiamare questo splendido lavoro sugli “stati autistici” (op. cit. pp.189-201), che tratteggia: “il vuoto di una potenzialità non realizzata, poiché ciò che poteva nascere non è nato” (p. 191), parlando di “isole di potenziale sé” in “percorsi iniziati e non completati” – ora, la mia attenzione è altrove. Sto infatti osservando la correlazione tra la possibilità del sentire la vita più leggera e la stabilizzazione del mantenimento dell’impronta sinergica recuperata e interiorizzata. Va da sé che ciò porti ad un’ulteriore ampliamento della capacità di relativizzazione, rispetto all’immagine della ‘difficoltà’, in generale, e al vissuto drammatico rispetto al conflitto e al trauma, in particolare. Questo non dispensa certo la vita il caso il destino dal continuare ad elargirci sofferenza e difficoltà, ci dà solo un maggior sgravio rispetto all’addebito di responsabilità personale che tanto pesa nello psichismo. Diciamo allora che, dopo la metabolizzazione dell’uscita dall’utero analitico con la “nascita psichica della persona” (Nicola Peluffo, 1976, p.134) a cui oggi aggiungo, con la rinascita anche creativa, la vita può ancora sorprendere per la sua capacità trasformativa di attivare automaticamente, nel processo di elaborazione ricombinativa che, dallo psichismo profondo si tesse fino a guadagnare la realtà, la sinergia: perdita-vuoto-informazioni di benessere. E questo, fortunatamente, è indipendente dall’età, una volta che se ne sia guadagnata la consapevolezza: “Mai si è troppo giovani o troppo vecchi, scrive Epicuro nella sua celebre Lettera sulla Felicità a Meneceo, per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro.” E’ vero: quando ci si interessa al benessere, come presenza energetica nella psiche, ci si può sentire persino ‘felici’, perché, ad esempio, ci si rende conto delle infinite possibilità, nella semplice quotidianeità, anche oziandovi. “Restare ‘come un campo coltivato a maggese’, scrive Masud Khan, allievo di Winnicott e amico di Anna Freud (1983, trad. it. p.198-202), coniando una straordinaria similitudine tra “il restare oziosi” e quel “terreno ben dissodato e arato, ma che non viene seminato per un anno e più (…) è soprattutto una dimostrazione della capacità di una persona di essere spontanea quando è sola con se stessa.” Per me, che mi sento affettuosamente diventata una ‘teorica’ della solitudine creativa, anche questo può essere uno stimolante risultato dell’analisi.
Daniela Gariglio ©
Note:
1 In quell’occasione, presentando “la ricerca genealogica in analisi”, avevo già elaborato un primo resoconto clinico di tale spostamento energetico dalla disattivazione conflittuale e traumatica al nascere di nuovi tentativi sinergici e creativi.
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La Dott.ssa Daniela Gariglio, nata a Padova nel 1947, lavora a Torino come libera professionista, docente e scrittrice. Psicoanalista (Didatta SIM, Società Internazionale di Micropsicoanalisi), già Insegnante di Lettere di ruolo, è Psicologa-psicoterapeuta, iscritta all’Albo dal 1989, N. 412.
Formatasi in Psicodramma analitico (lacaniano-junghiano), Psicoterapia cognitivo-comportamentale, Autogena e Psicoterapie brevi a indirizzo psicodinamico, completa la sua formazione psicoanalitica individuale con il metodo micropsicoanalitico e la supervisione del Prof. Nicola Peluffo (docente Psicologia dinamica, Facoltà di Psicologia, Torino), integrando tali esperienze nell’attività di Consulenza/Formazione, nella docenza di Discipline psicologico-psicoterapeutiche in Specializzazioni Ministeriali Polivalenti (1983-1992) e nell’attività psicoanalitica preminente.
Studiosa delle potenzialità creatrici, osservate nel campo analitico e reale (cfr. “Creatività come benessere psicobiologico” (https://www.psicoanalisi.it/osservatorio/5930/), lo testimonia in lavori e libri (cfr. il primo, Dopo. L’energia per vivere, L’Autore libri, 1997, https://www.psicoanalisi.it/libri/3716/ ), anche ideando e realizzando la Collana “I Nuovi Tentativi”, Tirrenia Stampatori (1999-2002; cfr. 2000 https://www.psicoanalisi.it/libri/4558/). Sull’argomento, con il Dottor Daniel Lysek, scrive Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi (Armando, 2007, https://www.psicoanalisi.it/libri/3605/), approfondendone la modellistica in occasione di convegni/manifestazioni, recensioni e contributi in Riviste, tra cui: Bollettino IIM, a cura di Luigi Baldari, Psicoanalisi e Scienza, diretta dal Dottor Quirino Zangrilli, Anamorphosis (2009-2013) a cura di Wilma Scategni e Stefano Cavalitto,
Sempre in tal contesto, ha collaborato con International Association Fort Art And Psychology (Convegni, 2010-2011-2019), partecipato a 3 Convivium, a cura di Zangrilli, Alviani (2015-2017) ed evidenziato in psicoanalisi-archeologia le “tracce di benessere nell’arte preistorica” (Centro Camuno, Prof. Anati, Valcamonica Symposium 2009-2011, Gariglio, Lysek, Rossi) e nell’ “inesprimibile genealogico” (https://www.micropsicoanalisi.it/solitudine-elaborazione-dellinesprimibile-genealogico-e-creativita-una-conferma-in-max-guerout-e-gli-schiavi-sopravvissuti-a-tromelin/). Dal 2016, trasmette: “Creatività tra trauma resilienza e benessere” (“Micropsicoanalisi: teoria e tecnica”, corso diretto e coordinato Dott.ssa Bruna Marzi), in Corso di Specializzazione in psicoanalisi, psicoterapia psicoanalitica e consulenza psicoanalitica (Istituto Universitario di Psicoanalisi di Mosca, in collaborazione continua con IIM). Ha ideato (2017) e dirige la Collana Tracce di benessere ricombinate… (tbr) illustrata da Albertina Bollati, Araba Fenice (cfr. https://www.psicoanalisi.it/libri/7415/). In “Bibliografie dei Membri dell’IIM” (micropsicoanalisi.it), la progressione dei lavori.
Nel dibattito psicoanalitico contemporaneo, Gariglio ha tentato di mostrare che ragione e sentimento, esprimibili nella cultura scientifica e in quella umanistica, possono integrarsi creativamente.