Un tentativo di oltrepassare una trama familiare di morte, nell’incontro con la distruttività dell’Olocausto

 Il presente lavoro è pubblicato anche in Anamorphosis, a cura di Wilma Scategni e Stefano Cavalitto, n. 11, 2013, Ananke, Torino, pp. 44-53.  

Parte seconda

Riprendo il discorso su  Charlotte Salomon, rimandando il lettore alla prima parte per i ragguagli sull’opera e sulla vita.

Finestra clinico-psicoanalitica

Procedendo nella conoscenza dell’artista, a un certo punto mi chiedo, rientrando nell’attuale mia  riflessione analitica: sarebbe riuscita, Charlotte, a continuare a vivere, coniugando, in modo naturale, la propria vita di donna amata-amante in una reciprocità affettiva generativa, con quella di artista di probabile successo? Sarebbe riuscita a godersi i suoi affetti di donna e madre, insieme alla soddisfazione delle originali manifestazioni del suo talento? Talento che, a sua volta, già si innestava in buone memorie, potremmo dire in funzione di facilitazione: una cornucopia di benessere da cui attingere, in un percorso di “elaborazione ricombinativa” (Gariglio, Lysek, 2007, p. 48) di traumi e conflitti con tali tracce latenti e potenziali?

Sarebbe riuscita a mantenersi viva, generando ancora vita e arte… se non fosse subentrato l’Olocausto?

A proposito del mantenimento di un benessere acquisito

Da un punto di vista clinico generale, al di là di ciò che l’ambiente possa proporre in tema di morte e nefandezza, qui, espressosi con la persecuzione antisemita e, assodato che “l’ontogenesi ripete la filogenesi” (Freud, 1914, p. 448. Per la riflessione freudiana sull’ “effettiva trasmissibilità ereditaria di esperienze remote” tra “ereditarietà e esperienze personali”,  cfr., 1937, nota 1, p. 422 ), che possibilità c’era nella vita di Charlotte – mi sono chiesta, imbattendomi casualmente nella sua storia, in un’osservazione in corso sulle “possibilità di mantenimento di un benessere acquisito in analisi”, come ho scritto nella parte prima – di non reinstradarsi anch’essa, in automatico, nel filone traumatico, al femminile, di quelle 3 generazioni di morti violente in famiglia? Che quantitativo di libertà, sto dicendo, avrebbe dovuto esserci in quella giovane esistenza per non rischiare di farsi anch’essa fagocitare, ancora, da quella coatta sfaccettatura familiare di morte[i], dopo un primo allontanamento riuscito con risultati soddisfacenti? Fino a che punto la persona portatrice di eredità anche luciferine può svincolarsi, da sola o con un aiuto, un “tramite” appunto (cfr., Gariglio, 2013, “Incontri analitici e nuovi tentativi”), ma definitivamente, dalla fedeltà a ripercorrere la stessa strada?  E’ quell’eventuale “definitivamente” ciò di cui mi sono ultimamente occupata, rielaborando miriadi di dati clinici datati. Ciò riguarda appunto la possibilità di mantenimento di un benessere di cui mi occupo in quanto psicoanalista, in un filone di ricerca, ancora poco esplorato. Come dicevo nella prima parte, ne ho da poco (novembre, 2012, in bibliografia parte prima) presentato una serie di passaggi trasformativi, sorta di  follow-up, dalla fine dell’analisi e ho continuato a lavorarvi in un terzo lavoro che ha riflettuto sulle inficianti nevrosi di “fallimento e di destino” (Cfr., 2013, in bibliografia parte prima). E’ in questo mio contesto di studio che è avvenuto l’incontro con Charlotte.

Ne sento parlare per la prima volta da una cara amica, Elisabetta Maria Lanzardo, in merito a un   interessante incontro, a Savigliano (venerdì 23 novembre 2012), organizzato dall’Assessorato Cultura del Comune e dalla Consulta per le Pari Opportunità, per iniziativa dell’Associazione Mai più Sole, che lotta contro la violenza sulle donne e della Biblioteca Civica Luigi Baccolo. La conferenziera, Rosangela Pesenti, ha  presentato l’artista nella conferenza: “Vita o teatro? La capacità di resilienza nell’opera di Charlotte Salomon”. Approfitto di questo interessante titolo dato al lavoro, per ribadire il legame di cui ho qualche volta parlato tra le “tracce di benessere, latenti nello psichismo e la resilienza” (cfr. ad. es. il paragrafo “La resilienza”, pp. 24-25, all’interno di un lavoro del 2009…). Attratta, cerco materiali sull’artista ebrea annientata dall’Olocausto e, con una certa difficoltà, trovo qualcosa che seguo fino a che non mi si forma un’idea in merito. Decido subito che sarà per il nuovo numero di Anamorphosis dove scrivo da qualche anno e tale lavoro l’ho ora riproposto con qualche nuova puntualizzazione, inevitabile quando si rimetta mano a una pubblicazione,  a Scienza e Psicoanalisi con cui collaboro stabilmente.

Rientriamo nella finestra clinica, qui appena abbozzata, cercando di rispondere o di associare qualcosa sulla domanda: “Sarebbe riuscita Charlotte a mantenersi viva, generando vita e arte… se non fosse subentrato l’Olocausto?” Oppure (se non si stesse parlando di una persona cui si deve soprattutto rispetto e compassione, per essere stata coinvolta nella nefandezza distruttiva di un’umanità a margine)… nonostante l’Olocausto?

Riflettendo sui dati analitici

Ovviamente, non ci è dato saperlo anche perché ciascuno è un caso a sé, nonostante possa inquadrarsi in una modalità clinicamente conosciuta, che può dare delle indicazioni. Quindi, per quanto attiene questa impostazione di lavoro psicoanalitico che riflette sul grado di libertà ad indirizzarsi verso sentieri più di vita che di morte, ciò che posso dirne, osservando i dati di molti anni di lavoro clinico, è questo. Sicuramente, il tentativo di uscire dai binari di un destino di morte, di tipo familiare, può venire trattato in un approfondito lavoro psicoanalitico, capace di andare ad incontrare, anche nella filogenesi, certo gioco luciferino (al riguardo, si possono confrontare  dati e  lavori micropsicoanalitici in Bibliografia IIM-SIM, alcuni articoli in Scienza e Psicoanalisi, come, ad esempio,  un lavoro di Gioia Marzi, 2003,  il libro di Anne Anceline Schutzenberger, 1993 e quello di Haidée Faimberg, 2007…). Di qui, riattualizzarne, nella dinamica transferale-controtransferale, i nuclei conflittuali/traumatici. Riattualizzarli per elaborarli. Condizione necessaria ma non sufficiente, nella modellizzazione sulla creatività, messa a punto con il collega Daniel Lysek (2007) e ampiamente presentata in Anamorphosis dal n. 7, in Scienza e Psicoanalisi dal 2008 e altrove, per cui, secondo le nostre osservazioni desunte dal campo analitico e in corso di generalizzazione, disattivati certi traumi e conflitti, si ricrea una nuova possibilità di elaborazione, verso una trasformazione vitale e creativa: certe “tracce di benessere inconsce” (Gariglio, 2010) e latenti, materiali potenziali appannaggio di chiunque, possono tornare a rilucere. Se ci si trova nella relazione transferale/controtransferale del campo psicoanalitico, in sintesi, ciò che si riattualizza, con questo modo di lavorare, sono sia le tracce conflittuali e traumatiche sia, successivamente, certune di benessere. E sempre, come informazioni onto e filogenetiche. Altrove, nella vita di realtà o nell’arte come in questo caso, nella mia osservazione e riflessione, se c’è buona resilienza e si incontra un “tramite” adeguato che ne intuisca la presenza, si può ugualmente assistere al rifiorire di certe esperienze che conservano traccia di un benessere. Dunque, in comune, esperienze appaganti registrate nella memoria che, tornando a rilucere, soffiano quanti di vita, mantenendosi o dissipandosi, nel tempo. E, in questa storia così toccante di Charlotte, ce ne sarebbero stati tanti di questi materiali vitali: buone tracce di relazioni appaganti, talento, ambiente vivifico e stimolante, per non parlar della produzione Vita o Teatro, della buona relazione con il marito e della gravidanza in atto, esperienze queste ultime che, a mio avviso, si instradano su una memoria facilitante di terreno familiare,  proseguendone il tentativo soddisfacente.

Un incipit di storia nuova: azioni/trasformazioni nell’oscillazione morte-vita

Ciò che, sicuramente, è avvenuto, lasciandone traccia, in questa storia che richiede innanzitutto   partecipazione umana, è una prima tappa terapeutica, portata avanti attraverso un’introspezione, su probabile transfert positivo che ha generato uno stare nell’azione. Su consiglio del medico curante, viste le capacità della paziente, si mette infatti in moto qualcosa di diverso dalla ripetizione scontata di un destino avverso. Dunque, un incipit di storia nuova: la distruttività coatta, anziché ripetersi, imbocca un tentativo più legato alla vita: dipingere: 1325 fogli, con moltissime tavole. Un’interiorità ripercorsa e condensata, alla fine, nel titolo, Vita O Teatro… quasi ad intuire con la sensibilità dell’artista, anticipandolo, un prosieguo che non ci sarebbe stato. Effettivamente, anche uno splendido copione teatrale, cadenzato da testi e musiche (arte e creatività, intendo), può non essere sufficiente (e lavorando clinicamente su questi aspetti lo posso tranquillamente testimoniare) per vanificare totalmente certo male di vivere, ereditato come tentativo bloccatosi in un rituale di morte. Ma qui, a miglior auspicio di possibilità di mantenere lo stato di benessere acquisito, c’era anche la reciprocità di un amore e l’inizio di una gravidanza: azioni in cui il personaggio, lungi dal diventare metafora, si fa piuttosto corpo. E qui sì, parola e immagine fluiscono come sangue sano, rosso di eros. E parliamo allora di trasformazioni: energie liberatesi e indirizzatesi altrove, verso lidi più libidici. Questo, per dire che, di sicuro, si può evidenziare, nell’oscillazione vita-morte, la tessitura di una trasformazione che avrebbe potuto continuare ad elaborarsi oppure porsi solo come una pausa rigenerante di rappresentazioni e affetti appaganti. Sia quel che sia, mi piace leggere tale inizio di trasformazione con la nostra nozione di “elaborazione ricombinativa”. Scrive Barbara Venzini, commentando il libro, oggi introvabile, di Katia Ricci, “Charlotte Salomon. I colori della vita” (2006): “l’artista continua un’incessante azione simbolica, di cura, di guarigione, di liberazione della propria identità femminile nella consapevolezza che nominare una paura permette di renderla visibile, circoscriverla, metterti in condizione di affrontarla. (…) E così grazie a questo diario scritto evocando la lingua materna Charlotte Salomon si salva dalla depressione e dal suicidio lasciando dentro di sè spazio all’invasione della speranza.”.

La consapevolezza dell’acquisizione di un benessere

Continuando ad interrogarmi, dal punto di vista della professione analitica, quando ci si interessi alla presenza del mantenimento di un benessere, acquisito con un lavoro di elaborazione personale, la domanda successiva e generale potrebbe essere la seguente: dopo che certe tracce di benessere si siano riespresse nello psichismo e nella creatività, elaborandosi e ricombinandosi con residui conflittuali-traumatici, bisogna combattere scientemente (leggi, razionalmente…) la spinta mortifera della coazione a ripetere che, si è visto sempre, con buona percentuale di probabilità, tornerà a sedurre per ripetere nuovamente esperienze distruttive? Anche se, poco alla volta, in tono energeticamente e pulsionalmente, sempre minore, fino a un cambio di indirizzo che confermi cioè, l’illuminarsi di una nuova sfaccettatura dell’Immagine, più vitale e creativa? O, il nuovo imprinting creatosi con “l’elaborazione ricombinativa” continuerà, in modo naturale ed automatico, ad elaborare associazioni di vita e creazione in alleanza, prendendo sempre più le distanze dal richiamo mortifero, fino, un giorno, a disattivarlo forse completamente?

Penso che stia qua la differenza tra un lavoro di tipo cognitivista ed uno psicoanalitico. Nel lavoro del 2012 che ripercorre molti anni di lavoro clinico psicoanalitico intensivo, “Dal non tempo della fissazione al tempo reale vitale e creativo: possibilità di evoluzioni cliniche” (Atti previsti), ho individuato undici passaggi comuni e,  nell’ultimo (2012 cit.), presento una struttura psicobiologica di riferimento, come punto di arrivo comune (intendo, qui, per i dati in mio possesso), in grado cioè di mantenersi più plastica in uno stato, ormai acquisito, di tendenza alla consapevolezza di ciò che si è creato e delle difficoltà e rallentamenti nel farsi e disfarsi del tentativo: “Sicuramente, ho scritto, c’è sia più flessibilità di adattamento a creare, di volta in volta, condizioni idonee di difesa, sia accettazione di qualche esperienza di vuoto, già esperito vivificante e potenzialmente creatore.(…).”. Mi riferisco, in questo contesto, a persone con psicoanalisi ampiamente terminata e approfondita in qualche “richiamo”; soggetti che stanno dimostrando di aver mantenuto la tendenza ad incanalarsi spontaneamente verso un benessere, profondo e reale, tentando anche, in parallelo, di allontanarsi da ambienti malsani, perversi, qualora questi siano incontrati/reincontrati, per residuato di richiamo inconscio traumatico o per caso (relativo!?). Il fatto è che, dopo aver ricontattato sfaccettature vitali, sane, propositive, niente affatto passive, la traccia di distruttività non è più protagonista in questi psichismi. Se queste persone si trovano ancora dentro situazioni nefande (che, attenzione, non sono più una proiezione di gradi personali di distruttività interiore ma situazioni reali, nel senso di ambientale) e sembrano rimanervi, è, qui, perché quando la persona è in contatto con una parte vitale di sé, fa fatica ad accettare che anche la peggior distruttività, quella che può incontrarsi in un cammino che invece tende allo stare bene, non possa decrementarsi. Anzi, in queste situazioni, i soggetti di cui sopra si stupiscono, quasi dimentichi di esservi passati loro stessi, nel periodo in cui la fedeltà al trauma psichico sembrava irrisolvibile. E’ una specie di nuova identificazione, passata dalla sfaccettatura della mela marcia a quella intonsa e appetitosa. E’ per questo motivo che, prima di riconoscere certa distruttività in atto nella situazione di appartenenza, la persona che ha disattivata la propria, avrà bisogno di ricevere, di incontrare, attraversare, per cercare di dialogarvi, molti fatti perversi/distruttivi. C’è dunque bisogno di un tempo ragionevole, prima che la persona comprenda che tali spiriti, stili oppositivi, nella situazione data, appartengono a strutture con alto “indice di congelamento”, direbbe Nicola Peluffo: strutture, cioè, pressoché immodificabili, senza un lavoro personale serio e impegnativo che renda di nuovo operante il movimento, disattivando l’elevato grado di tossicità che inquina la vita e blocca affettività e creatività. Diciamo, per concludere questo punto in esame, appena accennato qui, che, chi è votato allo stare bene, almeno come tentativo, prima o poi, potrebbe riuscire a sganciarsi anche da quelle situazioni ambientali che lo impediscono o ne rallentano il movimento d’uscita. Sganciarsene o accettarne l’immobilismo senza sentirsene contaminabili…

Adattamento al filone traumatico e relativizzazione

Nel caso di Charlotte, al di là dei suoi eventuali tentativi di rifugiarsi in un luogo sicuro (di cui non ho trovato cenno nello scarso materiale consultato), come è successo al padre, lasciatosi aiutare a scappare in Olanda (e ciò fa luce su altre modalità attive, in quel terreno familiare, di comportamenti propositivi nel senso della vita),  possiamo riflettere su cosa ne sarebbe stato, dal punto di vista delle tracce traumatiche e di benessere, ad esempio, del figlio in gestazione, qualora quel feto si fosse completato fino a nascere. La nuova vita avrebbe potuto avere in sé, dalla parte materna, anche, questa parte di bagaglio energetico-libidico di una donna, sua madre, che era riuscita, come dice Levi “ad  affermare nell’ ombra della morte, la bellezza della vita” e di un nonno, sopravvissuto con la sua seconda moglie… e questo, ovviamente, insieme ad altre “eredità” instradatesi su tracce di benessere, ripetutesi come motivi familiari. Ciò, nella gestione della depressione, avrebbe potuto arricchire ulteriormente quella parte vitale e creativa genealogica, già operante anche nella Charlotte bambina. Questa nuova informazione avrebbe potuto rivelarsi ancora utile nel caso di ripresentazione di altre unghiate psicobiologiche, provenienti da un copione… desueto. In quel terreno familiare, si sarebbe allora inserita anche l’informazione, preziosa, di esperienze di adattamento al filone traumatico, incise come tracce in quello psichismo familiare, a tutto rinforzo di una vita che profumi di un futuro permesso. Il passo dalla relativizzazione della spinta a riattualizzare il trauma a una vita naturalmente più vitale e creativa, continuata in un quotidiano, possiamo, qui, solo immaginarlo, desiderarlo, sognarlo… tutt’al più scriverne come è stato fatto.

Un canto di tradizione ebraica

Congediamoci dall’immagine di questo potenziale gruppo familiare a tre, che non ha potuto sperimentarsi nella vita, ma soprattutto da Charlotte e alla creatura in lei, annientate insieme nella loro simbiosi gravidica, dedicando loro un canto di tradizione ebraica, Tumbalalaika (colonna sonora del film Prendimi l’anima, risaputa storia del triangolo Sabina Spielrein, Jung e Freud ), cantato dalla splendida voce del soprano Oxana Mochenets, con l’accompagnamento del quartetto Les Nuages Ensemble (Anna Paraschiv violino, Lucia Marino clarinetto, Alessandra Osella fisarmonica, Elisabetta Bosio contrabbasso (in “Musiche Klezmer, dai Balcani e dalla Russia”, Torino 2013): quattro affiatate musiciste che stanno approfondendo lo studio della storia, dello spirito e della cultura ebraica.

Daniela Gariglio ©

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Bibliografia

– Faimberg H. ( 2007). Ascoltando tre generazioni. Milano: Franco Angeli.

– Freud S. (1914). Prefazione alla terza edizione dei “Tre saggi sulla  teoria sessuale”, 1905 in Freud Opere, vol 4. Torino: Bollati Boringhieri, 1970.

– Freud S. (1934-38)  “L’uomo Mosè e la religione monoteista: tre saggi”, capitolo primo,  in Freud Opere, vol, 11. Torino: Bollati Boringhieri, 1979.

– Gariglio D. (2009). “La ‘nascita del proprio originale’, frutto del processo di ‘elaborazione ricombinativa’, propria della resilienza , come presupposto di incontro tra ‘persone’ ” .  Anno 7, n. 7, Anamorphosis, a cura di W Scategni S. Cavalitto, pp. 18-28, Ananke, Torino.

– Gariglio D. (2010). “Tracce di benessere nell’inconscio”, Convegno SIM-IIM La scoperta dell’inconscio,  in IV Ed. Settimana Internazionale  della Ricerca Le logiche della scoperta, Univers. Degli Studi di Messina. Atti in Bollettino IIM, a cura di Luigi  Baldari, n. 40. Alpes.

– Gariglio D. (2011a), “Associando liberamente sull’Ibrido: dal conflitto alla trasformazione, come prodromo della nascita di un ‘proprio originale’, all’integrazione” , pp. 35-55 e Gariglio, Rossi, “Primo tentativo di sintesi”, pp. 68-69, in Gariglio, Rossi, “L’Ibrido: una collaborazione psicoanalitica- archeologica alla ricerca di approdi comuni”. Anno 9 n. 9, Anamorphosis, pp. 35-69.

– Gariglio D. (2011b). “Identità e trasformazione. La tessitura di un ‘proprio originale’, presupposto di incontri adulti”, in: “Incontri, raccordi, smistamenti…”, parte prima, Osservatorio, Scienza e Psicoanalisi, 19 dicembre.

– Gariglio D. (2013). “Incontri analitici e nuovi tentativi”, in Osservatorio, Scienza e Psicoanalisi, 28 febbraio.

– Gariglio D., Lysek D. (2007). Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi. Roma: Armando.

– Gariglio D., Lysek D. (2009) “Lo sviluppo della creatività: una possibile trasformazione dell’aggressività nel corso di una micropsicoanalisi”, Contributi scientifici, Istituto Italiano di Micropsicoanalisi.

– Les Nuages Ensemble  (2013). “Dai Balcani e dalla Russia”, musiche Klezmer, 11 marzo. Primavera musicale all’Eridano, in collaborazione con Concertante. Febbraio-giugno 2013 VII Edizione,  Circolo degli Artisti, Torino.

– Marzi G. (2003).  “Il pianto: ipotesi filogenetica”, in Psichiatria, Scienza e Psicoanalisi, 9 marzo.

– Peluffo N. (1984). Immagine e fotografia . Roma: Borla.

– Peluffo N. (2013). L’azione dell’Immagine, tramite i Personaggi”, in Osservatorio, Scienza e Psicoanalisi, 22 febbraio.

– Pesenti R. (2012): “Vita o teatro? La capacità di resilienza nell’opera di Charlotte Salomon”, venerdì 23 novembre. Incontro organizzato a Savigliano, dall’Assessorato Cultura del Comune e dalla Consulta per le Pari Opportunità, per iniziativa dell’Associazione Mai più Sole e della Biblioteca Civica Luigi Baccolo.

– Ricci K. (2006). Charlotte Salomon. I colori della vita.  Bari: Palomar.

– Scategni W. (2013). “Dizionario tascabile di Psicodramma Junghiano e dintorni” A work in  progress…”. Anno 11, n. 11 Anamorphosis, 2013, pp. 40-43.

– Schutznberger A. A. (1993).  La sindrome degli antenati. Psicoterapia transgenerazionale e i legami nascosti nell’albero genealogico. trad. it. Di Renzo, Editore.

– Zangrilli Q. (2013). Introduzione alla lettura di Nicola Peluffo, “L’azione dell’Immagine, tramite i Personaggi” cit.


[i] Cfr., in uno scritto postumo, Nicola Peluffo, “L’azione dell’Immagine, tramite i Personaggi” (Scienza e Psicoanalisi, 2013, http://goo.gl/6JzDy), chiamato da Quirino Zangrilli “Il testamento scientifico” in cui Peluffo mette a nostra disposizione un’approfondita rilettura di Pirandello “come psicoanalista antesignano”. Vedi anche lo scritto di Manuela Tartari (Scienza e Psicoanalisi , 2013,  http://goo.gl/e5w4m, in bibliografia parte prima), che ripercorre la concezione di Peluffo, a proposito della nozione di Immagine (Peluffo, 1984…): “Nell’Immagine, scrive Tartari, sarebbero contenuti i traumatismi filo-ontogenetici, riattualizzati in ogni nuovo individuo che ne eredita la forma e la carica energetica. Su tale definizione Peluffo si è interrogato lungo gli ultimi 40 anni della sua vita, sforzandosi di renderla operativa nel riconnetterla al materiale teorico desunto dalla sua formazione psicoanalitica e epistemologica e soprattutto adattandola alla propria esperienza clinica”. A proposito della nostra nozione di Immagine ho a lungo riflettuto anch’io. Scrivendo per Anamorphosis secondo la mia specificità e, accennandone allora in quanto “essenza energetica che rende attuale l’eredità degli antenati” (in Anamorphosis  a p. 38, nel paragrafo: “Un ibrido nella stanza d’analisi”, 2011), avevo sottolineato un possibile, o quanto meno esplorabile, legame di questa nozione micropsicoanalitica con l’archetipo junghiano, “radicato nel corpo e – che – con il corpo mostra molte analogie (p. 67 (…), nei legami ctonii, sotterranei e preistorici, con la terra e il mondo (pp. 196-7) (in Pieri, Dizionario Junghiano, Bollati Boringheri, 1998).”. Di qui, riflettendo, in particolare, sulla mia esperienza in Psicodramma analitico (lemoniano-lacaniano, con supervisione junghiana, precedente alla formazione psicoanalitica individuale in Micropsicoanalisi, appropriatamente indicata  come “psicoanalisi intensiva” nel conio di Quirino Zangrilli), in tale situazione (e segnalo un lavoro in fieri, di Wilma Scategni, come “invito di riflessione a più voci”), dicevo, il legame con il corpo e il movimento si vedono molto bene. Restando alla nozione di Immagine, nello studio sulla creatività, intrapreso con Daniel Lysek, l’abbiamo intesa (2009) come un insieme in cui ci sono “anche rappresentazioni e affetti di benessere” che, nel libro (2007), chiamiamo “vissuti di benessere latenti nell’inconscio”. Ne abbiamo scritto: “Le tracce di vissuti di benessere coesistono con quelle lasciate dai vissuti conflittuali o traumatici. Tutte queste tracce tendono ad esprimersi, ma quelle che hanno maggiore tensione prendono il sopravvento sulle altre, come si constata in ogni analisi di persona portatrice di nevrosi. Questa situazione cambia quando un rimosso importante si disattiva: la tensione inconscia diminuisce e le tracce di esperienze conflittuali o traumatiche, contenute nel rimosso, si distendono. (…)”. Tale distensione  permette ai vissuti di benessere di tornare ad esprimersi come rivissuti, “elaborandosi e ricombinandosi” con residui conflittuali e traumatici… Quelli sì eterni! Concludendo questo inciso,  nell’ottica di integrazione che ha sempre connotato il mio muovermi come persona e psicoanalista, mi si affaccia ancora, qualche volta, il desiderio di integrare l’Agire dell’Immagine nello Psicodramma, come avevo realizzato, negli anni 1990, in una situazione di laboratorio/supervisione, nella Specializzazione diretta dalla Prof.ssa Angiola Massucco Costa (cfr., Gariglio, Ravaschietto, 1993, nel paragrafo  “Incontri, raccordi, smistamenti”, Gariglio, Scienza e Psicoanalisi, 2011  http://tinyurl.com/psicoanalisi52). Oggi vi osserverei l’agire dell’Immagine, nelle sue sfaccettature anche di benessere, come faccio comunemente nel lavoro psicoanalitico individuale e come ne ho spesso scritto.