© Daniela Gariglio & Daniel Lysek

La quarantena obbligata, dovuta al Coronavirus, ha costretto molte persone ad una coabitazione forzata e continuativa che ha messo sicuramente in tensione il rapporto familiare e, in particolare, la relazione di coppia. Dopo avervi riflettuto individualmente, ci siamo sentiti motivati ad osservare, anche insieme, tale fenomeno ma da un punto di vista particolare che potrebbe espandere l’argomento.  Così, appoggiandoci al nostro lavoro di analisti, abbiamo amplificato aspetti di relazioni disturbanti poco appariscenti, considerandone al contempo qualche possibilità rigeneratrice. Quel che ci ha portato a parlare di sinergia. Anzi, a riparlarne, perché questo lavoro che uscirà in tre parti, prolunga certe riflessioni analitiche che ci avevano già condotto a descrivere una forma di creatività chiamata creatività benessere, generatasi appunto da movimenti sinergici. Ne abbiamo elaborato un modello teorico in Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi (Gariglio & Lysek, 2007 1, richiamato ed ulteriormente elaborato in successive pubblicazioni, qualcuna delle quali ci accompagnerà qui anche bibliograficamente.

Premesse di una trasformazione

 Una coppia, mossa da uno spirito di alleanza costruttiva e reciproca collaborazione, ha delle possibilità di diventare fonte di benessere, oltre che per se stessa, anche per la famiglia e l’intera situazione. Tale relazione di coppia può essere considerata a orientamento sinergico, antitesi di un rapporto a connotazione conflittuale. Per “relazione di coppia a orientamento sinergico” intendiamo una tendenza nella coppia a concordare sulla base di alcuni valori essenziali, ad unire le forze per tentare di risolvere certe difficoltà esistenziali incontrate e a concorrere insieme alla realizzazione di un benessere comune, o quanto meno alla realizzazione di un miglioramento.

Purtroppo, nella coppia, la sinergia non è scontata e, quando c’è, non sempre è evidente o continuativa.

Dal canto suo, la violenza è invece un fenomeno che può inserirsi facilmente nella relazione di coppia come è stato ben evidenziato anche durante la convivenza forzata e protratta, in occasione del confinamento dovuto al Coronavirus. In questo contesto, le aggressioni tra i partner sono aumentate in modo drammatico (Cfr. ad esempio Gariglio, 2020, p. 313).  In particolare, ogni anno, numerose donne sono uccise da un uomo che non accetta una separazione o non sopporta un aspetto della relazione. E, anche se in numero decisamente minore, ci sono degli uomini uccisi dalle proprie compagne, per le stesse ragioni. Se l’omicidio è per fortuna meno frequente, ci sono però tante altre forme di reciproche aggressioni nella coppia, meno drammatiche ma più comuni. Si tratta sempre di rapporti faticosi, pesanti, distruttivi dove l’aggressività è frequente e palese.

Sarebbe improprio addebitare a uno dei due il ruolo fisso di vittima o carnefice. Effettivamente, la maggior parte delle volte si tratta di un rapporto sadomasochista con la tipica fluttuazione di tali ruoli. Questa tipologia di relazione è stata ampiamente studiata e interpretata dal punto di vista psicopatologico su cui non ci soffermeremo. Diciamo semplicemente: la psicoanalisi suggerisce che la disposizione alla violenza – darne e subirla – faccia purtroppo parte dell’essere umano e che, nonostante la società tenti di contenerla con tanti sforzi, l’Uomo rimanga un essere a forte potenziale distruttivo, spesso considerato come irreversibile. Attutendo quanto appena detto, aggiungiamo che questa aggressività distruttiva, per non essere una piaga ineluttabile, abbisognerebbe di un’evoluzione psichica incisiva e collettiva, per avere qualche possibilità di rendere reversibile tale fenomeno, almeno talvolta. Un’evoluzione del valore di vera rivoluzione per decrementare, neutralizzare o addirittura eliminare la distruttività umana! Basterebbe? Chi può dirlo? Noi guardiamo ciò che ci insegna l’esperienza clinica e psicoanalitica: sono le persone in analisi, con le libere associazioni in seduta (elaborazioni associative), che aiutano a capire meglio cosa stia succedendo anche nella vita reale.

Ora, questo nostro lavoro lascia un po’ da parte la violenza manifesta e si focalizza invece sulla relazione di coppia con persone che, nonostante siano insieme per amore e nonostante vadano d’accordo, non sono esenti neanche loro da qualche sottile espressione di aggressività. Il nostro interesse si è per l’appunto indirizzato ad aspetti di aggressività poco appariscenti ma non per questo inoffensivi. Abbiamo tentato di amplificare qualche dettaglio di un fenomeno poco visibile per renderlo percettibile. Ci stiamo effettivamente riferendo a qualche forma di aggressività sfuggente, nascosta, insidiosa e talvolta subdola che, di tanto in tanto, inquina la relazione di coppia. Intendiamo, qui, un’aggressività poco visibile, spesso banalizzata che si insinua subdolamente nella vita di coppia e che, in quanto tale, ferisce doppiamente: da una parte, la freccia penetra e da un’altra parte non è possibile una difesa adeguata perché la manifestazione di aggressività sottile viene negata da chi la manifesta insidiosamente (per malafede), minimizzata (“le cose più importanti sono altre!”), o non riconosciuta (in buona fede, il partner non se ne rende conto). In questo sta l’insidioso; l’essere più o meno consapevoli o totalmente inconsapevoli, da parte di uno o di entrambi, dell’aggressività intrufolatasi nello scambio. Qui, la ferita può essere talvolta attestata come molto forte dal ricevente che, in certi casi, arriva addirittura a fare degli incubi in cui sogna di essere “mangiato” dal partner che, nel sogno, “si era avvicinato e, con la scusa di darmi un bacio, si apprestava a mangiarmi una spalla” (Cfr. ad esempio il desiderio sadomasochista che, secondo noi, si mostra esaudito in Cannibalismo d’autunno, 1936, Salvador Dalì)

Dali

Cannibalismo d’autunno, 1936, Salvador Dalì

 Ribadiamo che, chi riceve una tale aggressività, sottilmente invischiante e subdolamente insidiosa, soffre doppiamente. Il soggetto ne resta talvolta quasi pietrificato: non arriva a tradurre in parola ciò che sta succedendo; come l’aggressività emessa non si presenta in quanto tale, così il soggetto, preso di mira, fa fatica a riconoscerla e a parlarne. Può persino arrivare a dubitare di sé! Per lo stesso motivo, sovente non arriva nemmeno a concettualizzare ciò che prova: avverte un disagio di cui non discrimina la causa. Questa pietrificazione del pensiero può durare un tempo indefinito quando l’aggressione faccia risuonare un vissuto rimosso che risale al periodo dello sviluppo. Possiamo ad esempio riferirci al bambino che si sente come strattonato durante liti familiari, o a un trauma intercorso durante la vita intrauterina dove il feto non può fuggire né parlare. (Cfr. ad esempio,  Lysek 2019).  Qui, il soggetto preso di mira, non riuscendo nemmeno a farsi capire dal suo aggressore, non può neanche sperare di fargli cambiare comportamento.

Come uscire dunque da questa trappola, senza che si frantumi la coppia, una coppia, lo ribadiamo, che si vuole comunque bene?  Dalla nostra esperienza analitica e psicoterapeutica, abbiamo ricavato che, quando una persona compie un lavoro su se stessa, può acquisire la capacità di elaborare qualsiasi situazione, arrivando persino a trasformare l’aggressione traumatizzante in una narrazione che ne sancisce il senso. Allora, all’interno della coppia, uno dei due può tentare di aprire un dialogo che arricchirà ulteriormente la capacità difensiva della suddetta coppia. Ad esempio, invece di rispondere nello stesso modo, senza rendersene conto (l’inconscio che ha percepito l’aggressione induce una contro-aggressione), l’aggredito potrebbe conservare momentaneamente una distanza protettiva, poi tentare di stabilire un dialogo costruttivo con l’aggressore, riconoscendogli così la stessa possibilità di elaborare, a sua volta, la propria tendenza a questo tipo di aggressività.

È proprio per questo che ci interessiamo all’aggressività sottile, piuttosto che alla violenza fisica o alla distruttività: in queste ultime forme c’è una mancanza di elaborazione, da parte del soggetto che privilegia l’atto violento a un dialogo chiarificatore che abbasserebbe la tensione. Quando la “soluzione” aggressiva è insidiosa, la coppia potrebbe avere qualche possibilità in più di superare gli ostacoli del percorso verso una relazione sinergica. La chiave sarebbe appunto di riuscire ad individuare tale insidiosità per poi parlarne, stabilendo un dialogo di coppia verso la ricerca e il ritrovamento comune di qualche soluzione diversa e soddisfacente. In caso contrario, cioè in assenza di dialogo per chiusura relazionale, non restano che scarse possibilità di stabilire una convivenza accettabile fino a trovarvi delle buone ragioni per stare comunque insieme.

Un esempio di aggressività subdola: in una coppia, un partner è gentile con l’altro in presenza di altre persone ma, nella “solitudine del rapporto” (Edward Hopper docet! Vi ritorneremo nella seconda parte di questo lavoro), diventa talvolta chiuso in se stesso, scostante e sottilmente oppositivo, eccessivamente critico… dimostrando di non sopportare qualche cosa di ciò che fa o dice l’altro. Questo non succede sempre ma di tanto in tanto, creando un effetto sorpresa che rende perplesso il ricevente, facendolo anche soffrire. Non pensiamo, in questo caso, che chi utilizza questa sottile forma di aggressività cerchi la separazione. Qui, il desiderio inconscio è piuttosto quello di invischiare il partner in un rapporto, che potrebbe avere, anche se solo a tratti, le caratteristiche sadomasochistiche, per ottenere, qualche volta, questo tipo di godimento. Si può dirne che: se i due partner si sono “scelti”, anche, per una inconscia e comune attrazione per una certa sofferenza, ci sono buone probabilità che si vada a creare un circolo vizioso che impedirà l’evoluzione verso due possibilità di soluzione: la separazione o una trasformazione del rapporto di coppia, eliminando o attutendone le manifestazioni aggressive che ne scompaginano l’affetto.

Un ulteriore ragguaglio sulla relazione sadomasochista in generale (sia, che si tratti del solo “linguaggio” possibile, in uso nella singola struttura dei due partner, sia che si tratti di un banale inserimento, di tanto in tanto, di qualche “espressione aggressiva” da parte di uno dei due): il vissuto di chi è in posizione sadica è diverso da quello di chi è in posizione masochista. Il primo gode della sofferenza dell’altro. Per quanto riguarda il secondo, possono esservi due situazioni: o il soggetto gioisce della propria sofferenza (e allora è masochista) o è prigioniero della relazione, invischiatovisi per altre ragioni (i figli, un’attività in comune, una pressione religiosa…). Allora soffre non solo dell’aggressione subita ma anche dell’opprimente sensazione di non potersene liberare. In realtà, al di là del godimento di quello che è in posizione sadica, i due protagonisti soffrono entrambi. Ancor più, poi, se si vogliono bene. La sofferenza deriva anche dal fatto che il movimento aggressivo avviene come una sorta di obbligo, dettato dall’inconscio; un obbligo di cui entrambi si sentono vittima. Infatti, quando ricadono in un’ingiunzione sadomasochista del loro inconscio, nonostante i successivi e numerosi tentativi di parlarne insieme, finiscono solo con l’addossarsene reciprocamente la colpa. In questo modo, non mettono in moto un’evoluzione verso la sinergia, al contrario, rimangono sempre imbrigliati in una relazione che si autoavvita. Effettivamente, sono entrambi sottomessi alla dittatura di queste parti inconsce che provocano ripetizioni diaboliche (esistono altre parti dell’inconscio, legate ad esperienze di benessere che riguardano la sinergia; ne parleremo più in là). In realtà, i due protagonisti di un rapporto sadomasochista, anche di quello estemporaneo, esteriorizzano ambedue tracce inconsce conflittuali/traumatiche (vissuti rimossi e immagini mentali, di origine antica), in quanto imprinting intrappolanti, venuti da lontano: trauma ancestrale, vita intrauterina difficile (Cfr. Zangrilli, Marzi B. 2012), nascita complicata, vessazioni e ingiustizie inflitte o ricevute nell’infanzia. Sono tutte tracce che, come nuvole nere cariche di pioggia, interferiscono nella relazione di coppia, riattualizzandone puntualmente una tendenza a rendersi antipatici, ciò che contamina in parte l’amore e rende difficoltoso qualche movimento di sinergia.

Ribadiamo che stiamo parlando di un’aggressività psicologica di tipo domestico che, contrariamente alla violenza fisica, è alquanto diffusa, poco visibile socialmente, per lo più sottaciuta e spesso impercettibile ad occhio nudo. Con il “microscopio” delle sedute lunghe abbiamo constatato come questo tipo di aggressività dipenda spesso da una riattivazione di vissuti, relativi ad esperienze conflittuali o traumatiche che sono state rimosse. Spieghiamoci: le tracce, lasciate dai traumi e dai conflitti di cui abbiamo appena parlato, si sono incistate nell’inconscio durante lo sviluppo del soggetto, a partire da una situazione di sofferenza o di angoscia. Questo determina un obbligo di ripetizione che durerà fino a che la persona non se ne renderà conto, elaborandolo anche mentalmente come possibilità di uscirne. Abbiamo sopra accennato sia alla necessità di giungere alla capacità di elaborazione, come precondizione della coppia per riuscire a parlarsi veramente, sia all’incapacità/impossibilità di elaborare in chi usa la violenza fisica o un’aggressività irrazionale e marcata. Un tale percorso di trasformazione, prassi in analisi o in psicoterapia, può tuttavia concretizzarsi talvolta anche nella vita di tutti i giorni, in persone “caratterialmente predisposte”, cioè propense a tendere spontaneamente alla sinergia (Cfr. ad esempio, nella collana Tracce di benessere ricombinate…,  P. P. Strona, 2018), in artisti a contatto naturale con l’inconscio o, più semplicemente, attraverso un buon incontro, per tutti, con un tramite.

Esplorando ulteriormente la coppia con una “sporadica aggressività psicologica di tipo domestico”, possiamo osservare una situazione in cui uno dei due, ogni tanto, critichi o riprenda ingiustamente l’altro; quest’ultimo può rispondergli nello stesso modo. La voce si alza e il diverbio finisce in un litigio. Oppure, colui che è criticato, non essendo interessato ad entrare in conflitto a tutti i costi (perché non è preda del suo inconscio!), farà di tutto per riequilibrare la tensione pur senza cedere.  Può allora rispondere: “Scusa, con chi stai parlando in realtà? Non mi riconosco in ciò che mi addebiti. Mi sembra che tu ti stia rivolgendo a qualcun altro…”. A questo punto, la coppia si trova con due possibilità di relazione: una inamovibilmente conflittuale, l’altra a tendenza sinergica. Nel primo caso, se il criticante ha un bisogno compulsivo di conflitto non mollerà, aggiungendo critica a critica. Non ci vuole molta immaginazione a sapere come andrà a finire! Se invece il criticante è, anche lui, “caratterialmente predisposto” a cercare una sinergia nel rapporto, ascolterà ciò che gli viene suggerito dal partner e, forse, riuscirà a interrogarsi in merito.

Attenzione: ribadiamo che non stiamo parlando né di persone perverse che non dicono altro che menzogne e alle quali, una volta individuate, è augurabile girar le spalle, né di ossessivi che non concretizzano mai le loro intenzioni per paura di trovarsi inseriti in una trasformazione sentita pericolosa, soggetti che abbisognano di un lungo lavoro personale. Le persone comuni che ci stanno interessando qui, sono, per lo più, preda soltanto della proiezione di qualche immagine, traccia antica incisa nel loro inconscio, oppure sono persone che, nel procedere del proprio lavoro analitico, stanno distendendo il proprio psichismo. Lo ripetiamo, ciò su cui ci siamo inoltrati per avanzare nel discorso, non è nato dal nulla. Lo abbiamo scoperto progressivamente proprio conducendo delle analisi che hanno evidenziato certi dettagli della vita quotidiana. Attratti da queste osservazioni vi abbiamo poi riflettuto insieme, concludendo che valesse la pena attirare l’attenzione su questo fenomeno, facendone nascere questo lavoro comune.

Effettivamente, dal punto di vista della relazione di coppia, abbiamo constatato che l’aggressività sottile è riconosciuta con difficoltà anche nel corso di un lavoro analitico e per niente riconosciuta nella vita reale. Di questo desideriamo discutere! Quando si manifesta questa aggressività sottilmente insidiosa, abbiamo detto che, se la coppia condividesse uno stesso desiderio di sinergia, questo aiuterebbe l’avvio di una riflessione comune in una sosta di interazione di due persone reciprocamente ben disposte. Questa pausa potrebbe già favorire un decremento dell’insoddisfazione a vantaggio di una diversa costruzione di intesa, nel senso di un rapporto più sinergico, con la perdita graduale dell’eccessivo protagonismo delle informazioni conflittuali che inducono un’attitudine all’opposizione.

Ora, cosa intendiamo quando parliamo di un desiderio condiviso di sinergia? Sono in effetti molti anni che parliamo di sinergia, da quando abbiamo evidenziato le condizioni dello sviluppo di un certo tipo di creatività che abbiamo chiamata “creatività benessere” e presentata in una nostra pubblicazione del 2007. Nel corso degli anni, abbiamo continuato ad indagare sulla questione della sinergia in generale (intrapsichica e interpersonale), approfondendola in comune e individualmente, in lavori scientifici e talvolta artistici. Riserviamo ancora qualche parola alla Creatività benessere, prima di proseguire sul desiderio di sinergia, nella coppia. Questa forma di creatività si sviluppa a partire dal momento in cui dei vissuti di benessere memorizzati nello psichismo  – con i desideri inconsci che vi sono legati –  entrano in sinergia con altre informazioni psichiche. In particolare, queste ultime sono tracce conflittuali o traumatiche più o meno antiche, che sono state rimosse e il cui potenziale patogeno è stato disattivato (nel corso del lavoro analitico, si osserva questo fenomeno nelle dinamiche di transfert e controtransfert: questi contenuti si riattivano e poi si elaborano, producendosene così la disattivazione). Dopo la suddetta disattivazione, restano solo residui delle antiche tracce conflittuali-traumatiche, residui che possono ancora suscitare un’eco nello psichismo, riconoscibile nella vita reale e disattivabile completamente attraverso un approfondimento dell’analisi. Alla fine, tutto questo lavoro psichico avrà liberato una buona quantità di energia inconscia che potrà incanalarsi verso una trasformazione creatrice. Di qui la sinergia.

Qui, nello specifico, andiamo oltre l’intrapsichico per affrontare la sinergia sul piano della relazione di coppia. Parliamo cioè del desiderio sinergico di coppia. Questa, al di là di momenti conflittuali, potrebbe contare su una tendenza comune alla sinergia, per inclinazione naturale o per esserci arrivata grazie ad un lavoro approfondito. Una sinergia cioè, naturale o raggiunta, basata sul desiderio di riappropriarsi di certe concordanze profonde con l’altro, estratte dalle profondità dello psichismo per poi condividerle. In una metafora, la sincronia naturale che si vede nel canottaggio.

Prendiamo l’esempio di una coppia che interagisca a partire dalla conoscenza di ciò che è positivo per entrambi; in questa dinamica, la concordanza procura un reciproco piacere condiviso. A patto che la concordanza sia reale. Questa concordanza, non necessariamente spontanea, oppure non sempre presente nella coppia, spesso scaturisce da una conoscenza affettiva dell’altro, evidenziabile nei dialoghi e nella reciproca comprensione dei singoli comportamenti.

Un esempio al contrario di cui abbiamo già un po’ parlato, sarebbe invece una coppia che, pur essendosi scelta per reciproca attrazione, cerca qualche volta il confronto nel tentativo di affermare la superiorità di uno o dell’altro per soddisfarsene. Lo fa generalmente per una necessità interiore, improvvisa e più forte del dispiacere di procurare disagio all’altro. Qui, i partner si osservano vicendevolmente, soprattutto per cercare l’un l’altro errori o punti deboli come pretesto ed occasione di soddisfare quel bisogno di introdurre qualche moto di aggressività nella loro relazione. Ora, questo tipo di osservazione ha innanzitutto, come desiderio inconscio, quello di gioire a scapito dell’altro. Ne avevamo già accennato: si tratta di una forma leggera e sporadica di sadomasochismo nella coppia. Ora, aggiungiamo che questa aggressività apporta un altro beneficio che, per lo più, è mascherato: quello di tenere una distanza dall’altro, allontanandolo e allontanandosi. Un respingimento fisico e /o psichico che protegge dalla paura, più o meno inconsapevole, sia della propria aggressività e di quella dell’altro sia di un eccessivo attaccamento che imbriglierebbe. Stiamo parlando infatti della paura inconscia che l’uomo può avere della donna e viceversa. In altre parole, un modo di evitare l’angoscia di uno sconvolgimento emotivo dovuto all’eccessivo avvicinamento che, in entrambi i casi, può far paura. Ne riaccenneremo ancora.

Non stiamo parlando di persone a struttura sadomasochista, cioè che stanno insieme per darsi e ricevere sempre e solo sofferenza. Parliamo invece di coppie che, lo abbiamo visto, si vogliono bene ma sono probabilmente portatrici di una problematica inconscia nei confronti dell’altro sesso. È presumibilmente per questa ragione che tante persone si permettono più facilmente emozioni negative (rabbia, scontentezza, malumore…) che emozioni positive (tenerezza, abbracci, complimenti…). Le prime allontanano, le seconde potrebbero avvicinare… troppo!

Cerchiamo di avanzare col discorso, per passare dall’emozione negativa a questa tendenza alla sinergia che ci sta a cuore. Diciamo che l’oggetto di questo lavoro è proprio un tentativo di esplorare perché tante coppie non riescano ad essere sinergiche o non riescano a conservarne almeno la tendenza, una volta acquisita o sperimentata. Ci siamo allora chiesti se possa esservi ancora qualcosa al fondo dell’aggressività legata alla paura; ne abbiamo già individuato un certo timore dell’altro sesso, timore che rende titubante la relazione. Qui, ora, aggiungiamo che si tratta, a nostro avviso, di una paura soggiacente alla relazione. Questa paura si nasconde in fondo all’essere. Possiamo allora riferirci a un tipo di paura subdolamente silenziosa, strisciante come un serpente che si nasconde e che ti morde quando meno te l’aspetti. In effetti, è qualcosa di paradossale: si tratta della paura di una relazione che, forse, vorrebbe essere gratificante, distensiva, portatrice di capacità di adattamento ma non può, precisamente per non scontrarsi con l’angoscia legata alla troppa vicinanza affettiva. Ecco infine individuata la paura di base, sentirsi affettivamente incollati l’un l’altro.

Però, come si scopre spesso in analisi, la paura individuata rimanda al desiderio inconscio di essere esattamente ciò che si teme: nel nostro caso, incollati appunto, come punto di forza comune, che nutre affettivamente, fornendo anche una ambita nicchia protettiva. Solo riconoscendo questa paura-desiderio si può, dopo, godere di un altro piacere: la scoperta della propria individualità, vissuta senza egoismo, egocentrismo e senza vissuto di colpa. La realizzazione di un nuovo desiderio venuto a galla! Ciò significa che i due partner della coppia, per essere veramente in sinergia, dovranno essere diventati capaci di sentirsi vivi e di creare (essere insomma operativi nel pensiero e nell’azione) sia da soli, che insieme, come situazione, allora, di ulteriore arricchimento. Ne parleremo ancora

Attenzione dunque a un equivoco molto diffuso, quello della coppia fusionale che si crede sinergica! Per raggiungere una sinergia bisogna che ciascuno dei due sia addivenuto ad una propria autonomia di pensiero e di azione. Ciò che, evidentemente, manca alla relazione fusionale (rimandiamo al quadro di Dalì in cui la coppia è talmente fusa che non se ne distinguono i particolari individuali). Si tratta di un attaccamento fusionale, pericolosamente imbrigliante. Tutto ciò non è irreversibile. Si tratta di lavorarci su in modo adeguato per stabilire poi un dialogo tendente alla sinergia.

Restando nella sinergia, precisiamo ancora che questa deve anche contemplare, come abbiamo già detto sopra, la capacità di dire all’altro ciò che può aver creato fastidio, dispiacere, malumore. Si tratta di tenere il dialogo senza colpevolizzare o accusare in modo che possano emergere emozioni positive (empatia, compassione, sincronizzazione affettiva, reciproca comprensione, tenerezza etc.). Allora, se quel guardarsi reciproco diventasse un’osservazione interessata a comprendere l’altro, essendo informati di ciò che gli sta succedendo per una maggior sintonizzazione affettiva, questo potrebbe poi diventare un tentativo di dare al partner qualcosa di suo gradimento che gli tornerebbe indietro come rimbalzo soddisfacente. È ovvio che per pervenire a questo bisogna aver sorpassato ogni forma di narcisismo infantile, gelosia e rivalità reciproche (dinamiche edipiche).

Può sembrare assurdo che una coppia che si ama e che desidera andare d’accordo possa esser preda di tutto quanto abbiamo discusso finora. Nella seconda parte di questo lavoro, stiamo tentando di dimostrare che ciò è una realtà molto diffusa, legata a una specifica organizzazione dell’inconscio.                                                          

            A seguire…

                                                           © Daniela Gariglio & Daniel Lysek

Voyez la version française!

seconda parte

Abstract

Capita che una relazione di coppia sia avvelenata da momenti di aggressività sottile tra i partner. Questo succede ugualmente tra persone che stanno bene insieme. Anche se ciò può sembrare anodino, questo fenomeno può mettere in pericolo sia la sopravvivenza della coppia che il suo benessere. Attraverso questo articolo, desideriamo richiamare l’attenzione su questa forma di aggressività poco visibile. Ne forniremo qualche chiave, tratta dalla nostra esperienza di analisti, per dare un’idea dell’origine di tale forma di aggressività e di alcuni suoi effetti deleteri.

 

Bibliografia

Dalì S. (1936) Cannibalismo autunnale. 1936-37, tate Galleria, Londra.

Gariglio D. (2020). “Un continuum trasformativo ‘aggressività creatività benessere’ nell’incontro-scontro con ‘l’ospite invasore’: Arte-Scienza come tentativo di rigenerazione” (pp. 297-321), in Nuovo coronavirus e resilienza. Strategie contro un nemico invisibile, a cura di Luciano Peirone (nuovocoronavirus-ebook.com). Psicoanalisi e Scienza (PeS), diretta da Quirino Zangrilli, 12 ottobre 2020 (https://www.psicoanalisi.it/libri/nuovo-coronavirus-e-resilienza-a-cura-di-luciano-peirone/206545/). News, Sito IIM, 15 ottobre 2020 (https://www.micropsicoanalisi.it/nuovo-coronavirus-e-resilienza/).

 Gariglio D. & Lysek D. (2007). Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi. Collana di psicoanalisi e psichiatria dinamica. Roma: Armando. PeS, 18 gennaio 2007 (https://www.psicoanalisi.it/libri/creativita-benessere-movimenti-creativi-in-analisi-di-daniela-gariglio-e-daniel-lysek/3605/).

Lysek D. (2019).  “Alcuni effetti dei vissuti del feto sulla vita adulta” (tre parti). PeS, 12 marzo 2019 (https://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/alcuni-effetti-dei-vissuti-del-feto-sulla-vita-adulta-prima-parte/204238/).

Strona P.P. (2018). Il Gioco dei Suoni e delle Immagini. Collana
Tracce di benessere ricombinate…,
ideata e diretta da Daniela Gariglio, illustrata da Albertina Bollati. Cuneo: Araba Fenice. PeS, 15 febbraio 2019 (https://www.psicoanalisi.it/libri/il-gioco-dei-suoni-e-delle-immagini-di-pier-paolo-strona/204206/ ).

Zangrilli R.  & Honemeyer U. (2012). Vita fetale e destino umano. Introduzione Bruna Marzi. Teatro Sociale, Le Conferenze di Bergamo Scienza.

Note:

1 – Rimandiamo gli eventuali interessati alla modellistica completa e pubblicata in Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi, collana di psicoanalisi e psichiatria dinamica, Armando, Roma, 2007 (Cfr. anche la versione françese, L’Àge d’Homme, Lausanne, 2008), ai nostri lavori precedenti e successivi (individuali o scritti ancora insieme), alcuni dei quali, soprattutto tra i più recenti, richiamati in questa bibliografia;  dal 2016, Daniela Gariglio la sta trasmettendo, con qualche suo approfondimento, nelle lezioni: “Creatività benessere” e “Creatività tra trauma resilienza e benessere”, nel Corso triennale di Specializzazione in Psicoanalisi, Psicoterapia psicoanalitica e Consulenza psicoanalitica dell’Università di Psicoanalisi di Mosca, in collaborazione continuativa con l’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi; nello stesso corso, “Training Micropsicoanalitico; le basi della micropsicoanalisi: teoria e tecnica”, Daniel Lysek  (Istituto Svizzero di Micropsicoanalisi),  l’approccia dall’angolatura psicobiologica (lezione “Psicosomatica”) e da quella della tecnica micropsicoanalitica (lezione “La seduta lunga”). torna su!