Lo scopo di questo scritto è di illustrare il concetto micropsicoanalitico di “resti notturni” utilizzando un’opera letteraria: il romanzo di Andrea Camilleri “La pista di sabbia” (2007).
Il sogno di Montalbano e le vicende della veglia che seguiranno, sono un bell’esempio di quelli che S. Fanti chiama “imperativi notturni”.
Utilizzo questo romanzo solo come illustrazione, non vi è nessun intento di fare del celebre commissario siciliano un caso clinico, né tanto meno inferire illazioni sull’autore.
La psicoanalisi considera il sogno come il prodotto di un intenso lavoro psichico inconscio il cui scopo è riattivare e realizzare in forma allucinatoria (la scena del sogno) desideri aggressivi sessuali inconsci.
La produzione del sogno, il suo manifestarsi sotto forma di allucinazione onirica esaurisce la carica energetica dei desideri inconsci, disattivandoli e diseccitandoli del tutto, oppure parte dell’eccitazione perdura?
Guillaumin (1973) sembra propendere per la seconda alternativa ed ipotizza la possibilità di scambi energetici sogno-veglia. Conia il termine “resti notturni” e li descrive come esperienza vissuta di una persistenza delle tracce e degli elementi bruti del sogno. Non si tratta di un ricordo organizzato nella coscienza vigile bensì ” di un prodotto del metabolismo psichico del sonno che colpisce lo sguardo della coscienza diurna”.
La micropsicoanalisi riprende questo concetto ridefinendo i resti notturni come residui inconsci dei desideri attivati durante il lavoro onirico, residui che influenzano la vita di veglia cercando in essa la loro metabolizzazione.
Secondo D. Lysek l’inconscio memorizza vissuti aggressivi e sessuali di origine utero-infantile e filogenetica. Il sogno lavora proprio con questi vissuti, li elabora e ne trasmette frammenti nel preconscio sotto forma di resti notturni. Questa informazione onirica viene elaborata nel preconscio secondo il processo secondario: “si trasforma in pensieri, sentimenti, emozioni, comportamenti per esprimere, più o meno clandestinamente, una particella di memoria rimossa e la sua dinamica del desiderio” (1995).
In “La pista di sabbia” il romanzo si apre con un sogno. Sogno che guiderà, perseguiterà, perturberà il povero commissario Montalbano per tutta la durata degli eventi successivi. Sembra quasi che Montalbano si assuma il caso, o per lo meno lo prenda a cuore, per via del sogno; ma proprio per via del turbamento dal sogno, il celebre commissario sembra perdere il suo acume e fin dall’inizio tralascia un importante indizio. Solo quando il sogno trova nella vita di veglia la sua soddisfazione, viene ab-onirizzato (vale a dire i resti notturni vengono metabolizzati diseccitando così i residui desideri inconsci), solo allora l’atto mancato si rivela, il commissario ritrova il bandolo della matassa e risolve il caso.
Montalbano sogna una donna “con un paio di natiche tanto enormi che la fimmina faticava a camminare”. La donna si trasforma poco a poco in un cavallo e Salvo in un cavaliere con stivali, speroni e frusta. La donna bardata con sella e briglie intima di montarla, vi è quindi un progressivo incalzare del sogno che sfocia in una corsa sfrenata. Montalbano urla “Ferma, ferma”. ” Ma quella si misi a curriri cchiù forte”. La corsa termina con una caduta ed un possente nitrito della “fimmina-cavaddro”.
Il sogno sembra mettere il scena un desiderio sesso-aggressivo con valenze sadiche.
Al risveglio il commissario continua a sentire il nitrito: c’è realmente un cavallo nei pressi di casa sua.
Il nitrito è un resto diurno: uno stimolo esterno che è stato inglobato nel sogno ed ha prestato, per così dire, la veste e la rappresentatività ai desideri inconsci promotori della scena onirica.
Montalbano scende in spiaggia e trova un cavallo morto, massacrato a bastonate. La scena fa nascere in lui una rabbia sorda e violenta. Nota che un ferro del cavallo si è quasi staccato dallo zoccolo, il commissario si sdraia sulla rena si insinua quasi sotto il cavallo, allunga il braccio e tocca il ferro, in quel momento arrivano i suoi sottoposti. Tempo di tornare a casa, far arrivare sul luogo i suoi uomini, la carcassa del cavallo scompare.
Camilleri, con un’astuzia narrativa, omette al lettore un particolare importante: Montalbano, quasi in automatismo, agisce da investigatore qual è, anche se non possiede specifiche informazioni a riguardo, intuisce che quel ferro di cavallo può essere un segno identificativo dell’animale, prende perciò il ferro e lo mette in tasca.
Il gesto è automatico, un gesto di routine, per un investigatore, una normale prassi.
Non è normale invece che Montalbano si dimentichi subito di averlo fatto e che non lo ricordi neanche quando qualche tempo dopo, Catarella (un altro suo sottoposto) lo informa di un altro segno identificativo: il marchio a fuoco.
Il ferro di cavallo scompare, dimenticato o meglio finisce prima nel cesto della biancheria sporca, insieme ai calzoni del commissario, poi in lavanderia.
Montalbano assume il caso e l’indagine lo porta a dover assistere ad una corsa di cavalli: una corsa di amazzoni (donne – cavallo).
In questa occasione avrà un rapporto sessuale con una di esse, replicando in modo quasi identico le posture degli attori del sogno e rivivendone la situazione emotiva.
La perizia di Camilleri sta nel ripetere nel quotidiano, attraverso piccoli cenni, sensazioni fuggevoli, frammenti di pensiero il tema della donna-cavallo, mostrando così quanto sia perturbante questa immagine per il protagonista.
Il giorno stesso del ritrovamento del cavallo, come d’abitudine, il commissario pranza al ristorante e “a un certo punto gli niscì na dimanda che sorpresi per prima a lui stesso: com’è, a mangiarsi la carne di cavallo?”
Il primo incontro con Rachele Esterman, la padrona del cavallo scomparso, suscita nel commissario un desiderio libidico che si focalizza sulle gambe: “Lei ‘assittò, accavallò le gammi. Com’è che, accavallate, le gammi parso ancora cchiù longhe?”
Il desiderio per Rachele, da quel momento, sarà legato all’immagine di quelle lunghe gambe.
A livello preconscio presto si crea un’associazione di eguaglianza tra Rachele e Ingrid: la bella amica di Montalbano che lo eccita ma con la quale, per tacito consenso di ambo le parti, viene mantenuto un rapporto casto, quasi fraterno.
I desideri repressi verso Ingrid si trasferiscono su Rachele; anche qui il particolare che guida la transizione sono le gambe: ” Aviva gambe cchiù longhe e cchiù belle di quelle di Ingrid”.
Anche negli altri romanzi Montalbano è attratto da belle donne, ma è soprattutto l’odore della pelle, lo “sciauro” di donna ciò che più lo affascina e lo turba.
In questo romanzo dominano invece le gambe: lunghe gambe, nervose e scattanti, come quelle dei cavalli, verrebbe da commentare.
Come ho già accennato l’imperativo notturno porta il commissario, quasi suo malgrado, a replicare nella vita di veglia la scena del sogno. Sedotto da Rachele ha un rapporto sessuale con lei in una stalla della scuderia dove avviene la corsa dei cavalli.
Riporto il brano in questione:
” Appesa a’ colo di Montalbano, la vucca incaddrata a quella di lui, si lassò cadiri narrè trascinannusillo supra il fieno. Montalbano era accusì intordonuto che pariva un manichino.
< Abbracciami> ordinò con voce addivintata diversa.
Montalbano l’abbrazzò. E lei, doppotanticchia, si rigirò mitennnusi a panza sutta.
< Montami> disse la voce sgraziata.
Si voltò tagliare la fìmmina.
Non era più una femmina, ma squasi un cavaddro. Si era mittuta a quattro zampe.
Il sogno.
Ecco che cosa gli aviva fatto provare disagio!
Il cancello assurdo, la femmina cavaddro…
Per un attimo si immobilizzò, lassò la fìmmina.
< Che ti prende? Abbaracciami> arripitì Rachele.
<Montami, dai> arripitì.
Lui montò e quella partì al galoppo che parse un furgarone.” (pag 115/116)
Montalbano agisce il sogno, quasi conscio di questo fatto; forse sarebbe più corretto dire che il sogno agisce Montalbano che, benché fortemente turbato, “non avviva cchiù potuto, o saputo, fermarsi”.
L’imperativo notturno, soddisfatto, abbandona il commissario, la passione per Rachele scema, lasciando al commissario un retrogusto di senso di colpa.
Ecco che il ferro di cavallo ricompare e Montalbano ora è pronto a riconoscerlo come un elemento essenziale per risolvere il caso: l’indagine prende la giusta via e si conclude
© Daniela Marenco
Note:
Camilleri (2007) , La pista di sabbia, Sellerio, Palermo
S. Fanti (1984) Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi, Borla, Roma, 1989
S. Freud (1900), L’interpretazione dei sogni in Freud, Opere vol.III, Boringhieri, Torino, 1967
D. Lysek , Si vive di resti notturni?, in “il Sonno-sogno, Bolettino dell’Istituto Italiano di Micropsicanalisi N.19, 1995, Tirrenia Stampatori, Torino
D. Lysek, Relazioni tra sogno e psicopatologia da punto di vista micropsicoanalitico, in Sogno e psicopatologia, Bolettino dell’Istituto Italiano di Micropsicanalisi N.29-30, 2000-2001, Tirrenia Stampatori, Torino
J. Guillaumin (1973), Le rêve et il moi, PUF, Paris
Daniela Marenco è nata a Torino nel 1957, laureata in Pedagogia nel 1982 e in Psicologia nel 1988, si è da sempre occupata di psicoanalisi infantile. Dopo aver attuato il suo iter formativo, nel 1999 è diventata membro titolare della Società Internazionale di Micropsicoanalisi, nonché dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi. Dopo aver lavorato per oltre cinque anni come psicologa volontaria presso il Reparto di Neuropsichiatria Infantile della Clinica Universitaria “Regina Margherita” di Torino, da più di dieci anni è psicologa convenzionata presso il servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale S: Croce e Carle di Cuneo, svolgendo attività di psicodiagnosi e psicoterapia con bambini ed adolescenti. Coautrice di numerose comunicazioni a convegni di Neuropsichiatria Infantile, ha pubblicato vari articoli sul Bollettino Italiano di Micropsicoanalisi riguardanti il lavoro psicoanalitico (in particolare il lavoro micropsicoanalitico) e psicoterapico con bambini ed adolescenti. Nel 2000 ha pubblicato nella collana di Micropsicoanalisi diretta da Nicola Peluffo, il libro “I percorsi dell’Immagine in adolescenza” Edizioni Borla.