Sommario
Relazione di Daniela Gariglio (Galleria d‟Arte Moderna e Contemporanea di Torino, 15/4/2011), nell‟area Identità e trasformazione 1 , pubblicata nel sito dell‟International Association for Art and Psychology, Arte e Psicologia, Sezione Piemontese, Attività del 2011, “Identità, differenze? Arte e Psicologia si confrontano”, contributo del Gruppo di Studio Interdisciplinare alle celebrazioni dei 150 anni dell‟Unità d‟Italia. Ne è stata consentita la riproduzione in Scienza e Psicoanalisi.
Premessa
Stavo giusto interrogandomi sull’effettivo interesse ad immergermi nell’attuale tema Identità, differenze?, in elaborazione nel nostro gruppo di Arte e Psicologia, avendo solo coscienza che si sarebbe potuto risolverne l’interrogazione, considerando l’argomento come un continuum, quando mi imbatto in un’attività di modellato, realizzata nel Primo Liceo Artistico di Torino. Si tratta di un percorso diluitosi in tre anni, che parte dalla ‘reinterpretazione’ ad opera di allievi, di alcune Madonne dei Della Robbia, successivamente offerte dalla Scuola stessa a chiese di territori terremotati e promesse anche ad una realtà africana.
Attratta da questa idea di continuum, tale movimento mi appare subito significativo, sia come attività, sia per la sua fortuna. Mi riferisco a quella sorte di condivisione empatica che, quando entra come solidarietà in un fare artistico, può amplificarne le possibilità di fruizione, ad uso personale e collettivo, andando al di là dell’espressione di emozioni profonde, al di là dell’approdo alla distensione energetico-pulsionale, al di là di quel sano e vitale godimento estetico che lega inconsciamente i visitatori agli esecutori artistici. In sintesi, ho incontrato un evento creativo andato oltre i protagonismi delle singole interpretazioni. E’ ciò ad aver reso collettivo l’evento. Andare veramente oltre la soggettività (intendo non per ‘mode o adesione a movimenti’!), è possibile solo quando l’evento individuale trasformativo e soddisfacente sia stato vissuto strutturalmente, cioè con un livello di consapevolezza tale da ingenerare distensione psicobiologica, essendosi raggiunto il nucleo caratteriale-identitario. Allora diventa naturale assecondare il richiamo della spinta comunitaria (cfr. Gariglio, Lysek e Rossi, 2011) la cui essenza relazionale, adattativa e soddisfacente è, peraltro, molto arcaica come testimoniano certe tracce umane e artistiche, filogenetiche, secondo il lavoro di ricostruzione dei paleontologi le cui pubblicazioni scientifiche forniscono dati sempre più precisi. Vorrei insomma evidenziare tale tendenza vitale e creativa ad un fare collettivo, come la riattualizzazione di una memoria [Freud 2 scrive: Il nucleo dell’inconscio psichico è formato dall’eredità arcaica dell’uomo” (1919, p. 64)] di condivisione il cui rivissuto affettivo contiene la traccia di esperienze comuni dei nostri antenati che si sono mossi, fin dalla preistoria, da una parte all’altra del pianeta 3 , scambiandosi scoperte, stili di vita e rituali identitari, aggressivo-sessuali, creativo-spirituali… Va da sé che, più le singole essenze individuali sono state elaborate e ricombinate creativamente, più tale riattualizzazione collettiva sarà, a sua volta, originale, uscendo dalla mera ripetizione. Ne avevo già scritto (2010a): “Ciò conduce ad un’accezione olistica di armonia mente-corpo-ambiente, nei suoi aspetti pulsionali e relazionali in una sinergia di risorse che si incontrano e si confrontano”. Inoltre, più tali esperienze di relazione e trasformazione creativa saranno anche consapevolizzate, più l’identità che se ne tesserà diventerà una nuova realtà cosciente.
E con ciò, mi trovo a dar ragione a quel continuum, sentito in prima istanza, tra identità e/o differenze dove la ‘distensione’ del conflitto, con la liberazione di energia bloccata, può instradare l’attività di trasformazione verso una tessitura creativa e sinergica. Qui, la nota formula freudiana: “l’ontogenenesi ripete la filogenesi” (1905, p. 448), può allora allargarsi dall’indicazione dataci, in merito alla ripetizione nevrotica e coatta di tracce conflittuali, rimosse ed anticreative per definizione (specifiche della psicopatologia e proprie, per Freud, del carattere conservatore delle pulsioni, in particolare di quella di morte) alla ripresentazione di “tracce di benessere” Queste ultime si riattualizzano nei loro rivissuti attuali ad ‘impronta antica’ (cfr. Lysek, Gariglio, 2009) con una ripresentazione di motivi autoconservativi, ‘vitali’, legati, ad esempio, a temi o motivi di famiglia o a tentativi generazionali non ancora esauritisi. Tale iniziale ripetizione di motivi di benessere può successivamente diventare l’ingrediente di un’attività creativa di elaborazione e ricombinazione che avverrà nel preconscio. Ne verrà dato cenno. Questo, se intendiamo la “creatività come frutto di un’alleanza della pulsione di vita con la pulsione creatrice” (Gariglio, Lysek, 2007, cap. 4, pp. 123-150).
Incontri, raccordi, smistamenti…
Tale materiale vitale e creativo, nei suoi movimenti trasformativi, mi viene presentato dalla prof.ssa Giuliana Ravaschietto, ex allieva di una datata esperienza di supervisione, in una realtà di Specializzazione 4 dove andavo già riflettendo su paradigmi psicoterapeutici diversi, individuandone, a proposito di identità e differenze, aspetti specifici e comuni secondo un interesse che contraddistingue, ancora oggi (cfr. Gariglio, 2011a), la mia riflessione teorica. Mi rendo subito conto di come, addentrarci ora nell’evoluzione di tale attività di reinterpretazione artistica, osservata a posteriori, possa essere una buona occasione per lavorare ancora un po’insieme, gustando la facilitazione dell’acquisita dimestichezza di linguaggio e intenti comuni, conservatisi nel tempo insieme ad un reciproco e profondo rispetto. Inoltre, come ho già detto, l’osservazione a posteriori di tale realtà può essere un’occasione per riflettere sul nostro tema dandomi il piacere di parlare, con un buon esempio sotto mano, di un argomento che mi appassiona da tempo come psicoanalista e come persona. Mi riferisco al percorso dell’atto creatore dallo psichismo alla realtà, osservato nel lavoro clinico, attraverso i movimenti creativi dell’analisi, quando vi sia collaborazione tra forze in interazione, cioè un buon livello di fluidità psichica tra le istanze superegoiche e narcisistiche cui riaccennerò. Tale percorso è generalizzabile ai movimenti della realtà quotidiana nelle sue manifestazioni creativo-artistiche.
Sono quindi molto contenta di aprire il discorso sull’iniziativa di cui parlerà nel dettaglio Giuliana: indagheremo entrambe sulla trasformazione, in un continuum di elaborazione che ha lasciato traccia di sé in questa attività concreta di manifestazioni creative. Per quanto mi riguarda, rifletterò sull’identità di cui mi occupo nel lavoro analitico, dandone due nozioni, per me centrali:
– Il processo di elaborazione ricombinativa
– La nascita del proprio originale
La prima, è rintracciabile come clou del discorso, nel libro, scritto a quattro mani con il dottor Daniel Lysek, un collega svizzero, Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi (2007/2008). La seconda riguarda un approfondimento personale, nella modellizzazione dell’ “atto creatore come ipotesi di un percorso”, osservato in analisi, nella vita reale e nell’arte.
Rimandando gli eventuali interessati alla lettura del libro, qui dico solo che abbiamo inteso il processo di “elaborazione ricombinativa”, come “una trasformazione psichica progressiva” (p. 51), che coinvolge tre classi di variabili: dei rivissuti di benessere, riemersi dall’inconscio 5 (p. 44), dei residui conflittuali-traumatici di un rimosso più disteso ed elementi a disposizione nel preconscio, perché si compia tale attività di riorganizzazione, prima nello psichismo (p. 104) poi nella realtà (p.107). Parafrasando quanto diceva Freud, nella famosa frase dell’Introduzione alla psicoanalisi, seconda serie di lezioni (1932, p. 190): “dove era l’Es deve subentrare l’Io. E’ un’opera di civiltà, come ad esempio il prosciugamento dello Zuiderzee” [oppure, in L’Io e L’Es (1922, p. 517): “la psicoanalisi è uno strumento inteso a rendere possibile la conquista progressiva dell’Es da parte dell’Io”], potremmo dire che, dove prima era ‘protagonista il conflitto’, ora potrebbe diventare ‘protagonista l’informazione di benessere’, a patto che si esprima “in proporzione maggiore rispetto ai rivissuti conflittuali-traumatici” (Gariglio, Lysek, 2007, p. 101). E’ qui che noi parliamo di “creatività-benessere” (cap. 3, pp. 57-92) il cui carattere, oltre a fornire distensione, è più integrativo che difensivo, come nel caso delle altre due tipologie che abbiamo appunto chiamate: “creatività-sintomo” e “creatività- sublimazione” (pp. 85-92).
Un dato da considerare è che l’elaborazione ricombinativa si avvia a partire dalla disattivazione di una situazione di lutto con i suoi vissuti di vuoto per la perdita; intendiamo il lutto, in un senso molto ampio, che può includere, oltre all’abreazione di un conflitto e/o di un trauma, anche, semplicemente, il passaggio da uno stadio psicobiologico, cognitivo-affettivo (aggressivo-sessuale) ad un altro…). Lo scorso anno, in “Elaborazione del lutto ed elaborazione artistica” (Arte e Psicologia, relaz. N. 5, Gariglio, 2010b) ne ho dato un esempio, amplificando “la parte trasformativa e vitale del lutto” e presentando, con l’occasione, l’opera dell’artista Enza Prunotto che, in un suo iter pittorico, approda ad una trasformazione creativa che rimette in moto vecchie tracce di benessere, rintracciate in una sua ricerca genealogica (cfr. E.P. Articoli, biografia in ArtTurin. it) e riaffiorate, nell’espressione creativo-artistica (visibile nel sito di AeP.), in un “oggetto ricombinato, psicobiologico” (G.& L. 2007, p.166) di echi conflittuali e rivissuti di benessere, elaborati nel preconscio.
Per quanto riguarda “la nascita del proprio originale”, lo si può vedere come il “frutto di un processo di elaborazione ricombinativa e della resilienza” (Cfr. Gariglio, 2009, pp.18-28) che rende ragione di certa capacità di resistere agli urti, cioè alle situazioni tiranniche della vita. Addentrandocisi sommariamente, posso dire che, definito il percorso di trasformazione creativa nella modellistica di Creatività benessere (2007/2008), ho spostato l’energia liberatamisi, nell’osservazione del tessersi di quella condizione creativo-esistenziale, nel tempo (2002-2010abc, 2011), chiamata: “la nascita del proprio originale” che, da “postanalitico” (in caso di lavoro clinico), può diventare semplicemente la realizzazione di un desiderio, nella vita reale. Freud in Caducità (1915, pp. 175-76), parlando di quel tipo di lutto che “si estingue spontaneamente”, indica una “libido di nuovo libera (…) di rimpiazzare gli oggetti perduti con nuovi oggetti, se possibile altrettanto o più preziosi ancora”. In questo caso, preferisco parlare di un tentativo esauritosi in modo naturale che, ad ogni buon conto, mi ha liberato energia creativo-pulsionale, così che, dopo tanta costruzione teorica elaborata insieme, riferirmi ad “un proprio originale”, mi ha indicato il desiderio e, quindi, la possibilità di esprimere qualcosa anche del proprio pensiero in un tentativo di ‘fatti’ coerenti con i ‘desideri’ focalizzati. Così come potrebbe essere successo in questa realtà di Liceo Artistico in un discorso circolare (quel continuum cui accennavo), che parte dalla reinterpretazione artistica soggettiva, passa attraverso una fruizione collettiva, anche transculturale, per tornare alla riflessione personale, ad esempio, su ciò che ho chiamato “la nascita del proprio originale”. Un discorso allora che, parlando di identità e differenze, tra gli aspetti di tradizione, mette l’accento su qualcosa di ‘nuovo’. Questo si elabora in libertà creativa, rispetto ai modelli, accolti comunque come struttura di base da cui ripartire verso movimenti di trasformazione che, da intrapsichica, diventerà stimolo, presupposto ancora interpersonale.
Riporto allora l’ultima mia puntualizzazione, in merito al “proprio originale” (2010c, p. 45): “risoluzione edipico-controedipica che, generando una nuova immagine di persona libidicamente e genitalmente matura con desideri motivi interessi e tentativi propri, può illuminare aspetti non ancora o poco indagati e, nel caso, serenamente divergere anche dalle ‘rotte familiare’ ”. Ne ho ulteriormente scritto in un lavoro “sull’Ibrido” (2011a, p. 39): “Questo a dire che ogni esperienza di ‘accompagnamento’, includendovi quella analitica, deve uscire, prima o poi, dall’identificazione con i maestri, pena diventarne una specie di clone. La ricompensa di tale fatica sarà un guadagno di libido, nel senso più maturo e vitale di reale capacità di amare, unendosi la tenerezza con l’affetto e la sessualità”, “attraverso l’unità interiore della persona nel suo essere corpo e spirito”, come ne scrive Enzo Bianchi (2011). La ricompensa di tale fatica sarà anche un guadagno di libertà che potrà, nel caso dell’operare psicoanalitico, indirizzarsi ad indagare, dopo averlo fatto sulle oggettive differenze, sulla possibile esistenza di aspetti in comune tra modelli diversi per riaccordare continuamente ciò che si sente con ciò che si comprende, “in uno sforzo continuo”, come scrive anche Giorgio Blandino (2009), citato in una recensione di Riccardo Bernardini (2010, p. 126). Ciò vale anche per la vita in genere dove, a volerlo accettare, ci si può, ad ogni passo, imbattere nell’autorevolezza del pensiero di maestri, di saggi, forse… moderni sciamani di cui arricchirsi per assorbimento, elaborando e ricombinando poi tali sfaccettature, in un tentativo di integrazione armoniosa nelle singole realtà psichiche rappresentazionali e affettive.
Il “proprio originale”: spinta intrapsichica verso relazioni adulte
In questo caso, ne parlo come un iter evolutivo la cui parte terminale è il reincontro con Giuliana e l’inserimento, nella nostra giornata di Arte e Psicologia su cui mi soffermerò tra breve, di quel suo materiale, portato all’osservazione (cfr. Ravaschietto, 2011). L’ho sentito stimolante questo materiale, come un’onda libidico-creativa che espande la sua energia pulsionale e relazionale. Tale iter di ‘trasformazioni originali’ ha infatti raggiunto molteplici evoluzioni personali e comunitarie. Allora, rievocandone quelle iniziali, ci sono state ‘eredità artistiche’, scelte da insegnanti e incontrate da allievi. Questi ultimi, nell’attraversamento dell’opera d’arte e, interrogandosi, più o meno consapevolmente, su similitudini e differenze rispetto al modello reinterpretato, sono usciti dalle primarie identificazioni che, quando si fissano, impediscono il raggiungimento di quel ‘proprio originale’ cui tende questo discorso. Senza questo movimento di autonomia che va al di là di ciò che è dato, non è possibile né il riconoscimento della spinta a creare anche altro o in modo diverso, né il riconoscimento personale di ciò che, silenziosamente, si è comunque creato, né infine l’accettazione di potersi anche non uniformare totalmente al modello dato, dopo averlo comunque attraversato…
Mancandoci l’eventuale dato rielaborativo delle allieve, non sappiamo qui di supponibili difficoltà interiori incontrate, con i presumibili ‘sensi di colpa’ per la deviazione e l’invidia (di kleiniana memoria) e quel vissuto di estraneità che annebbia, all’inizio, chi è uscito dall’omologazione e, non da ultimo come importanza, il grado di accettazione dello stesso ambiente educante. Giuliana, testimone di tale tessitura trasformativa, potrà forse raccontarcene qualcosa… Ci rimangono i manufatti degli allievi come fatti pubblici, che oggettivano una trasformazione a largo raggio le cui due ultime evoluzioni, naturali e sociali, hanno, la prima, avvicinato questo Liceo Artistico ad una comunità terremotata che ha ricevuto i manufatti reinterpretati, la seconda, transculturale, è la promessa di realizzare altre Madonne da far portare in una parrocchia africana come scambio augurale, di solidarietà e amore. Come dicevo, la tappa in corso di questa evoluzione, l’ultima per noi che osserviamo, è l’inserimento di tutto ciò in questa bella serata di Arte e Psicologia che, incontrandosi, possono una volta di più riflettere sull’arte come ‘comunicazione intrapsichica e interpersonale’, in un buon dialogo tra artista e fruitore, dialogo che mi fa piacere puntualizzare con le parole dell’amica Prunotto, che ora si sta cimentando (e con i primi consensi di critica), anche nella scrittura. Quest’artista ci ha amichevolmente prestato le sue parole, tratte da un’intervista datata (2003) ma che ancora dice di condividere. Le ripropongo pari pari come occasione di eventuale interlocuzione.
Intervista ad Enza Prunotto
1° Quando e perché ha incominciato ad interessarsi di arte?
Ho cominciato ad interessarmi di arte fin da molto giovane. Posso dire che per me è stata il mezzo principale di comunicazione, mi ha permesso di toccare in modo profondo, il mondo circostante, le persone, le cose.
2° Quale significato ha assunto l’arte oggi per lei?
Anche oggi per me l’arte è comunicazione. Attraverso l’opera d’arte passa l’intuizione di qualcosa altrimenti impossibile da esprimere. Fruendo di un’opera d’arte si può penetrare nel mondo sotterraneo che accomuna gli esseri umani e non solo. Allora, anche in modo inconsapevole, si comunica con l’essenza di cui siamo fatti.
3° Quali sono gli artisti da lei più seguiti ed amati?
Amo moltissimi pittori italiani, da Giotto al rinascimento all’arte moderna e artisti come Burri e Vedova. Però la personalità che mi ha più affascinata è Picasso. Dato che trovo geniale chi riesce ad esprimersi con pochi gesti essenziali, amo moltissimo l’arte Zen e specialmente Liang k’ai, pittore orientale attivo nel XIII secolo.
Ecco, mi verrebbe da dire, “un proprio originale”, che si esprime con il raggiungimento di una sintesi, che vale come una rarefazione in cui l’elemento dominante è stato sfrondato da elementi accessori. Questa disamina sull’evoluzione del ‘proprio originale’ va anche nel senso dell’incontro con altri ‘originali’, permettendo alle persone di tessere interazioni adulte, incentrate sullo scambio e non sul ‘mutuo soccorso’ in una reciprocità di ‘prestiti di stampelle’.
L’identità: “elaborazione ricombinativa” di conflitti e benessere, verso aspetti vitali del narcisismo.
Ciò rientra in un discorso generale del formarsi della singola identità, tessutasi con quel giusto grado di “libertà creativa” in cui la persona è consapevole anzitutto della propria caratterialità su cui si impiantano aspetti traumatici/conflittuali e di benessere, ontogenetici e filogenetici. Questi, nel tempo, possono “elaborarsi, ricombinandosi” in proporzioni e modi tali da sostituire o da immettere in qualche situazione di ripetizione, nuovi oggetti di creazione. Quando questo succede, la persona sperimenta un nuovo benessere, fonte di distensione, soddisfazione e relazione (in G&L, 2007/2008). Tale benessere si origina dal primo ingrediente della creatività che risulta essere, da sempre, il “movimento” (Cfr. ad es. Cavalli Sforza, 2010), che implica capacità di accomodamento e adattamento. Nella riflessione fattane a tal proposito, se tale libertà creativa si è espressa (Cfr. Gariglio, 2002), l’identità che ne nasce sarà necessariamente uscita da quella omologazione che perpetua ad libitum paradigmi teorico-umanistici incontrati nel percorso di crescita personale e nella formazione professionale 6 . A proposito di quest’ultima, Mauro Mancia, presentando Psicoanalisi e cognitivismo (Imbasciati, 2005) e, in particolare, riferendosi “all’inconscio non rimosso collegato alla memoria implicita, scoperta di recente, operante anche nell’analista (p.8) e all’esplorazione dell’inconscio attraverso la soggettività” (p. 9), scrive: “La lettura di questo testo può utilmente mettere in crisi vecchi concetti e vecchie certezze che hanno finito per rendere la psicoanalisi un esercizio retorico sempre più avvolgentesi su se stesso e sempre più lontano dall’apporto delle altre scienze” (p. 12). E infatti, Antonio Imbasciati, riferendosi alla “dottrinarietà che, dalla morte di Freud, scrive, ha ostacolato il confronto con le altre scienze della mente”, ci mostra di star muovendosi nel senso di “una teoria esplicativa che rinnovi l’intento esplicativo che un secolo fa aveva preoccupato Freud”. Una strada dunque verso la costruzione di una “nuova metapsicologia alquanto rivoluzionaria” che “si confronta, nel caso di questo libro, con l’approccio cognitivista, per cercarne altri punti di integrazione che potrebbero essere fecondi di reciproci sviluppi”(pp. 13-16). Va da sé che ogni percorso di integrazione mi trovi interessata, avendo io stessa tentato di elaborare e ricombinare, nel corso degli anni, diverse formazioni, come, nella fattispecie, quella sperimentale, precedente alla formazione psicoanalitica. Di qui, ha preso vita, ad esempio, quel “proprio originale”, “soggettività dello psicoanalista, obbiettivizzabile” (Imbasciati, p. 15), che porta a cogliere sempre meglio la vibrazione di quei “desideri contemporanei” (Peluffo, 2006) che, nel campo analitico, si strutturano come dinamiche inconsce transferali-controtransferali, conflittuali-traumatiche e di benessere.
Tornando quindi all’identità, ciò che intanto mi interessa, con questa “nascita del proprio originale”, va allora nel senso di un narcisismo sano, positivo, legato alla pulsione di vita che, come scrive André Green in Narcisismo di vita, narcisismo di morte (1983, trad.it. 2005), toglie “la cattiva fama (…) e va dall’acceccamento soggettivo all’autentico incontro” (pp. 22-24). Un modo di essere, quindi, più “sano e maturo” (Lopez & Zorzi, 2003, p. 86), vitale e creativo che rende ciascuna persona mediamente soddisfatta di ciò che è riuscita a fare nella propria esistenza e negli attuali suoi rapporti positivi, pochi o tanti ch’essi siano. Oggi la psicoanalisi parla anche “dell’io sano che cerca nell’analista la persona” (Lopez, 2010, p. 222) e indica come positiva e possibile la capacità di accettare l’elaborazione progressiva di singoli desideri, idee, che diventano poco alla volta tentativi di innovazioni, apportabili nel prosieguo del percorso personale su cui si innesta quello formativo-professionale, andando oltre la psicopatologia verso una filosofia esperienziale. Ne riparlerò ancora, nella seconda parte, ma già nella famiglia dei Della Robbia si può vedere come, poco alla volta, l’adesione al maestro Luca, il modello d’origine, in questo caso, abbia col tempo, appiattito l’anima creativa delle successive opere, al punto che non se ne trovano quasi nella storia dell’arte.
Daniela Gariglio ©
Note:
1 Tra le Aree elaborate dal nostro gruppo I.A.A.P per indagare sul tema Identità, differenze, la prima, Identità e trasformazi one, si è snodata in due lavori complementari di Gariglio e Ravaschietto il cui intervento alla GAM, “Tentativi e trasformazioni attorno ai Della Robbia”, è reperibile nel sito.
2 Freud, riferendosi a “fantasie primarie” indica proprio un “patrimonio filogenetico” (1915-17, p. 526): “determinate predisposizioni” che provengono da un’“eredità arcaica” (1938, p. 418; cfr. anche 1919, p. 55, nota 2;) in un “sapere originario che l’adulto ha poi dimenticato” (1938, p. 419) e che potrebbe esprimersi sotto forma di “influssi filogenetici (…) nell’Es in forme per noi non ancora intelligibili…” (p. 627).
3 Da Luigi Luca Cavalli Sforza (2010): “Il quarto fattore evolutivo, dopo la mutazione, la selezione naturale, la deriva genetica, è la migrazione, di cui scrive: La prima grande colonizzazione mondiale cominciò circa 60.000 anni fa e partì dall’Africa Orientale per invadere tutta la zona tropicale fino al continente australiano. Nell’arco di questa sua prima espansione, durata 50.000 anni, Homo sapiens occupò tutto il mondo.(…) Già 11.500 anni fa i sapiens erano arrivati in Cile , il lembo più estremo della terra,passando per lo stretto di Bering (…) Neanderthal e forse anche homo florensiensis hanno probabilmente convissuto con Homo sapiens sapiens, una sottospecie di quei sapiens giunti in Europa circa 46.000 anni fa. (…) Tra 12.000 e 8.000 anni fa tutta la terra era popolata di cacciatori-raccoglietori (…) Nel Medio Oriente (il più antico), in Cina e Messico l’Homo sapiens” crea “la coltivazione delle piante e l’allevamento degli animali” (p. 104-106).
4 L’informazione e la riflessione sull’attività sperimentale che avevo ideato come ‘supervisione di gruppo’, nella Specializzazione polivalente (dove ho operato per una decina d’anni), diretta in Torino dalla prof. Angiola Massucco Costa, era stata portata nel 1993, al convegno Teaching & Learning (in Atti della Regione Piemonte, 1994), dal punto di vista delle due specificità: Gariglio, Ravaschietto, “Dinamiche affettive nel rapporto docenti-allievi”.
5 Cfr., tra altri lavori, “Tracce di benessere nell’inconscio” (Gariglio, 2010c) dove viene puntualizzato come “scoprire l’inconscio, comporti una maggiore consapevolezza di sé e l’emergere di rivissuti di benessere” (in Settimana Internazionale della Ricerca fra Messina e capo d’Orlando”, Corsi e Convegni. Messina Medica, Giornale dell’Ordine, marzo, 2011, p. 29). Nella relazione, presento l’evidenza della riattualizzazione di tali tracce, in analisi e nell’arte, esemplificandolo anche in una confrontazione dell’artista di scuola caravaggesca, Artemisia Gentileschi con Enza Prunotto, un’artista contemporanea. Anche Artemisia ha tentato, in una serie di pitture a ‘copione fisso’ (Cfr. le varie versioni di Giuditta e Oloferne) di elaborare e disattivare, come ne scrive Graziella Magherini (2002), un: “trauma che opera continuamente (p.47) (…) in un’identità costruitasi attraverso ampie oscillazioni fra scissioni, dissociazioni e integrazioni” (p.49). Tuttavia, insieme ai rapporti conflittuali e traumatici, ferite, protagoniste di sofferenza innestata nella perdita precoce della madre, l’attuale documentazione biografica di Agnese Signorelli (2011, p.19) ci racconta di altri rapporti ‘buoni’, come ancore di salvezza che attutiscono l’intensità della coazione a ripetere. Rapporti di stima e protezione (una iniziale buona unione tra i genitori, suor Graziella, la figlia Palmira, Buonarrotti il Giovane, Cosimo de’ Medici, Galileo Galilei e altri personaggi), che diventano movimenti positivi e propositivi per “ritrovare stimoli (…) occasione di crescita personale ( …) che oggi farebbe dire di Artemisia, a detta della Signorelli: questa è una donna pienamente realizzata.”. Un altro esempio, dunque, di un benessere raggiunto seguendo la strada dell’elaborazione ricombinativa: non facile, non breve, non lineare ma… possibile, talvolta spontaneamente, nella vita e nell’arte e, certamente, in analisi. Anche Sandro Rodighiero e Gaetano Marchese (2011, Prefazione) indicano la possibilità che “la relazione psicoterapeutica permetta l’espressione di geni silenti o poco attivi, connessi a comportamenti nuovi o dismessi, a capacità di adattamento e di trasformazione.”. Micropsicoanaliticamente parlando, un buon lavoro analitico porta ad un incremento della possibilità di avvicendamento delle sfaccettature dell’Immagine, in una fluidità psichica di rappresentazione e affetto conflittuale-traumatica e di benessere (Cfr. Gariglio D. Lysek D. , 2009).
6 Non ne mancano esempi analitici generici e nella storia del movimento psicoanalitico, dove l’adesione totalizzante a maestri, su impronta edipico-conflittuale, fissatasi, ha portato a sofferenza e rimozione, prima che la comunità scientifica accettasse, ad esempio, il valore di certe scoperte specifiche [ (uno per tutti, Sándor Ferenczi (1873-1933), ‘punito’ per certa sua insistenza sul ‘protagonismo dell’empatia – peraltro oggi riconosciuta fondante – nella relazione analitica’: “Senza simpatia, scrive Ferenczi, ”(13 agosto, 1932), non c’è guarigione. (Tutt’al più una comprensione della genesi della sofferenza)” e rivalutato, con grande ritardo, dalla psicoanalisi contemporanea (cfr. Franco Borgogno, 1999 e oltre)].
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Riassunto
La tessitura di un’identità può strutturarsi nella “nascita di un proprio originale”, frutto di un processo di “elaborazione ricombinativa” che, nel preconscio, riorganizza sinergicamente residui conflittuali e traumatici di rimossi disattivati con rivissuti di benessere, riemersi dall’inconscio. Si tratta di un continuo impasto-disimpasto energetico-pulsionale e relazionale, intrapsichico e interpersonale, che può riguardare il percorso analitico, l’arte e la vita stessa. Un iter, in tal senso, presenterà, nella seconda parte, alcune Madonne dei Della Robbia che, reinterpretate in un Liceo Artistico, in seguito, guadagneranno una nuova immagine di solidarietà sociale e collocazione transculturale.
La Dott.ssa Daniela Gariglio, nata a Padova nel 1947, lavora a Torino come libera professionista, docente e scrittrice. Psicoanalista (Didatta SIM, Società Internazionale di Micropsicoanalisi), già Insegnante di Lettere di ruolo, è Psicologa-psicoterapeuta, iscritta all’Albo dal 1989, N. 412.
Formatasi in Psicodramma analitico (lacaniano-junghiano), Psicoterapia cognitivo-comportamentale, Autogena e Psicoterapie brevi a indirizzo psicodinamico, completa la sua formazione psicoanalitica individuale con il metodo micropsicoanalitico e la supervisione del Prof. Nicola Peluffo (docente Psicologia dinamica, Facoltà di Psicologia, Torino), integrando tali esperienze nell’attività di Consulenza/Formazione, nella docenza di Discipline psicologico-psicoterapeutiche in Specializzazioni Ministeriali Polivalenti (1983-1992) e nell’attività psicoanalitica preminente.
Studiosa delle potenzialità creatrici, osservate nel campo analitico e reale (cfr. “Creatività come benessere psicobiologico” (https://www.psicoanalisi.it/osservatorio/5930/), lo testimonia in lavori e libri (cfr. il primo, Dopo. L’energia per vivere, L’Autore libri, 1997, https://www.psicoanalisi.it/libri/3716/ ), anche ideando e realizzando la Collana “I Nuovi Tentativi”, Tirrenia Stampatori (1999-2002; cfr. 2000 https://www.psicoanalisi.it/libri/4558/). Sull’argomento, con il Dottor Daniel Lysek, scrive Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi (Armando, 2007, https://www.psicoanalisi.it/libri/3605/), approfondendone la modellistica in occasione di convegni/manifestazioni, recensioni e contributi in Riviste, tra cui: Bollettino IIM, a cura di Luigi Baldari, Psicoanalisi e Scienza, diretta dal Dottor Quirino Zangrilli, Anamorphosis (2009-2013) a cura di Wilma Scategni e Stefano Cavalitto,
Sempre in tal contesto, ha collaborato con International Association Fort Art And Psychology (Convegni, 2010-2011-2019), partecipato a 3 Convivium, a cura di Zangrilli, Alviani (2015-2017) ed evidenziato in psicoanalisi-archeologia le “tracce di benessere nell’arte preistorica” (Centro Camuno, Prof. Anati, Valcamonica Symposium 2009-2011, Gariglio, Lysek, Rossi) e nell’ “inesprimibile genealogico” (https://www.micropsicoanalisi.it/solitudine-elaborazione-dellinesprimibile-genealogico-e-creativita-una-conferma-in-max-guerout-e-gli-schiavi-sopravvissuti-a-tromelin/). Dal 2016, trasmette: “Creatività tra trauma resilienza e benessere” (“Micropsicoanalisi: teoria e tecnica”, corso diretto e coordinato Dott.ssa Bruna Marzi), in Corso di Specializzazione in psicoanalisi, psicoterapia psicoanalitica e consulenza psicoanalitica (Istituto Universitario di Psicoanalisi di Mosca, in collaborazione continua con IIM). Ha ideato (2017) e dirige la Collana Tracce di benessere ricombinate… (tbr) illustrata da Albertina Bollati, Araba Fenice (cfr. https://www.psicoanalisi.it/libri/7415/). In “Bibliografie dei Membri dell’IIM” (micropsicoanalisi.it), la progressione dei lavori.
Nel dibattito psicoanalitico contemporaneo, Gariglio ha tentato di mostrare che ragione e sentimento, esprimibili nella cultura scientifica e in quella umanistica, possono integrarsi creativamente.