Questo intervento scaturisce da un episodio banale e fortuito che ha per me rappresentato una vera e propria sorpresa. Poco tempo fa, come solo a un perfetto profano può succedere, tramite la lettura di una rivista non specialistica sono venuto a conoscenza dell’incredibile notizia che il Teorema di Pitagora non è affatto di Pitagora, in quanto la messa a punto del metodo di calcolo dell’ ipotenusa di un triangolo rettangolo era già stata effettuata dai Babilonesi circa milletrecento anni prima della nascita del matematico greco, avvenuta nell’isola di Samo nel 575 a.C. Questa affermazione trova la propria verifica inequivocabile nella tavoletta Plimpton 322, una delle centinaia di migliaia di tavolette d’argilla a contenuto matematico rinvenute all’inizio del XIX secolo in Babilonia. Essa prende il nome dalla collezione di George A. Plimpton, un editore newyorkese che comprò la tavoletta da un antiquario, Edgar J. Banks, nel 1922 circa e la lasciò in seguito in eredità, con tutta la sua collezione, alla Columbia University verso la metà degli anni ’30. Secondo Banks, la tavoletta proviene da Senkereh, un sito nel sud dell’Iraq, corrispondente all’antica città di Larsa. Si ritiene sia stata scritta intorno al 1800 a.C.; incisa in caratteri cuneiformi, contiene numeri disposti in tabella di tre colonne per quindici righe: tale tabella è una lista di terne pitagoriche i cui numeri sono la soluzione del Teorema di Pitagora (a² + b² = c²). In ogni riga, il numero nella seconda colonna può essere interpretato come il lato corto di un triangolo rettangolo, mentre il numero nella terza colonna assume il valore dell’ipotenusa del triangolo stesso. Robson (2002) ipotizza che la tavoletta possa essere stata utilizzata da un insegnante come un insieme di problemi da assegnare ai propri studenti per esercitarsi (Per articoli divulgativi a riguardo vedere Robson o Conway e Guy (1996).
Mi è parso solo allora evidente che Pitagora, l’uomo che vedeva numeri ovunque ed era giunto a coniare la parola “filosofia“, non aveva quindi scoperto il suo celeberrimo teorema, ma solamente enunciato, codificando in termini logico-matematici astratti un metodo di calcolo empirico che era stato elaborato decine di secoli prima. Passato il primo momento di sgomento, mi resi conto che, se grosso modo mille anni prima che gli antichi Babilonesi incidessero la loro tavoletta nell’argilla di Larsa , gli Egizi avevano incominciato la costruzione della piramide di Cheope, utilizzando come unità di misura il concetto matematico di “cubito sacro”, la conoscenza del calcolo della lunghezza perimetrale del triangolo doveva appartenere all’Umanità da tempi immemorabili. Fui colto immediatamente dall’ improrogabile curiosità di verificare se la nozione di triangolo rettangolo fosse già nota fin dalla Preistoria ed iniziai subito una sistematica ricerca all’interno della vasta bibliografia pubblicata dal Prof. E. Anati (2002). In effetti, come scrive l’Autore:
«Osservando le superfici istoriate si ha l’impressione di una grande varietà di soggetti raffigurati. Analizzando poi il repertorio tematico ci si rende conto che si tratta di una gamma ristretta di motivi. In sintesi, i temi principali dell’iconografia camuna, come quelli di altre località di arte preistorica, sono cinque: antropomorfi, siano essi immagini di uomini, di spiriti, di divinità o di esseri immaginari; zoomorfi, siano essi animali reali o totemici; armi e oggetti; strutture quali capanne o mappe topografiche, aratri o carri; simboli e ideogrammi che nelle ultime fasi includono anche le iscrizioni ».
Se si considera che già con l’inizio del Paleolitico superiore, avvenuto tra i 100.000 e 35.000 anni or sono, l’Homo sapiens aveva prodotto un’industria litica comprendente utensili assai specializzati come lame, punte, bulini, grattatoi e microliti più o meno diversificati, si può ipotizzare che, sia pur in forma rudimentale e grossolana, fossero presenti oggetti di forma triangolare persino nell’uomo di Neandertal. Ma è esaminando la produzione artistica della Pittura Rupestre, che ci si rende subito conto di come cerchi (coppelle) e triangoli costituiscano la categoria di grafemi più frequentemente utilizzata in tutti i differenti periodi dell’Arte preistorica. In particolare, il grafismo del triangolo sarà adoperato per riprodurre in modo puntuale e pragmatico vari utensili e strumenti, quali aratri, asce, pugnali, lance, archi e frecce; successivamente verrà impiegato come elemento architettonico sempre più complesso per indicare forme di capanne e abitazioni. In alcuni casi il triangolo tronco raffigura dapprima la struttura del corpo umano da cui si diramano arti e testa, per essere in seguito sostituito da poligoni più raffinati e meglio definiti. Fin dalla fine del Periodo proto-camuno, nel I Periodo a cavallo tra paleolitico e neolitico, tale simbolo viene utilizzato come rappresentazione diretta degli organi genitali, sia del triangolo vulvare femminile sia del glande maschile; è pertanto al contempo elemento animale, che riproduce muso, zampe o corna, ed elemento umano; inoltre, a seconda del contesto, il triangolo assume il significato e la funzione di pittogramma (forme di oggetti reali), ideogramma (riproduzioni di concetti convenzionali) e perfino di psicogramma (segni che esprimono sensazioni ed emozioni). Infatti, nella figura 32 pubblicata a pagina 58 di «Capire l’Arte Rupestre» (Anati 2007) finalizzata a illustrare i cinque suddetti temi dell’Arte Camuna elaborati dall’Autore, all’interno della colonna E relativa al tema denominato “Simboli e astrazioni” appaiono evidenti ed inequivocabili due triangoli, di cui almeno uno sicuramente rettangolo; secondo la datazione effettuata da Anati stesso, queste due figure appartengono alla prima fase del II Periodo Camuno, e ciò comprova che il triangolo rettangolo è conosciuto e raffigurato almeno fin dal 3.800 a.C., a cavallo tra il medio e il tardo neolitico. Ribadisco che le suddette incisioni rupestri non riguardano oggetti animati o inanimati propri dell’ universo fisico e perciò riconducibili all’ interno del processo percettivo-rappresentazionale tipico della cosiddetta fase evolutiva del “realismo psichico”. Inoltre non rientrano in quell’infinito universo immaginario popolato da grandi entità zoo-antropomorfe che definiscono il vasto mondo degli Spiriti e degli Antenati (ibidem). I due triangoli riportati nella colonna E della figura 32 sono il prodotto di un’attività logica altamente organizzata che dimostra una capacità di concettualizzazione di straordinaria portata. Sono due astrazioni basate su operazioni mentali di trasformazione geometrica dello spazio, che riposano su ragionamenti formali di tipo logico-deduttivo.
Mentre sperimentavo il fatto che i primi gruppi di cacciatori appena fuoriusciti dal Periodo Proto-camuno, sia pur in modo rudimentale e pre-scientifico, si erano già confrontati con il problema del calcolo dell’ipotenusa, sempre per caso incontrai una seconda informazione, anch’essa di grande meraviglia ed enorme importanza: l’Arte Rupestre mostra un’associazione sistematica e ripetuta tra figure “idoliformi” e il carattere di triangolarità o struttura tripartita dell’Universo. In alcuni casi, infatti, risulta evidente un’associazione diretta tra l’idolo e il triangolo stesso,decodificato a volte come triangolo pubico, e invece almeno in un episodio come pura astrazione geometrica. Ecco per esempio cosa scrive Anati a pagina 50 dell’opera citata: «La figura 27 riproduce il grande pannello nel settore sud della roccia. Si riscontrano almeno quattro fasi di istoriazione… (omissis). Più in alto, sulla sinistra si riscontra un gruppo composto da una figura idoliforme e da due rettangoli, uno dei quali con diagonali. Dal grado di conservazione, queste due figure risultano le più antiche del pannello…».
Come precisazione, segnalo che le suddette diagonali sono incise in modo incurvato e non lineare, non si sa se volutamente o per mancanza di capacità grafica. In ogni caso, un rettangolo diviso dalle sue diagonali ingenera otto triangoli, di cui quattro isosceli e quattro rettangoli, e nel reperto sopra illustrato pare proprio che non si tratti di triangoli pubici o di rappresentazioni degl’inferi come risulta evidente in altre forme di Arte Rupestre. Sembrano veramente essere forme geometriche. Di conseguenza, possiamo affermare che le pittografie preistoriche evidenziano almeno due casi certi d’incisione esplicita, cioè non simbolica o riproduttiva, di triangoli rettangoli.
A questo punto sorge spontanea a chi si interessa di fenomeni psichici la domanda relativa al perché si ingeneri la necessità di raffigurare delle astrazioni geometriche a forma triangolare e in quale modo tale esigenza si manifesti in gruppi di uomini che, appena differenziatisi dal mondo animale con il quale si erano identificati per decine di millenni, stavano costruendosi una propria identità, tribale ed individuale. Si propone in altri termini il problema dello “zero filogenetico mentale” ossia del come e del perché si formi l’idea del triangolo rettangolo nel corso del processo evolutivo della Specie.
Secondariamente, la frequente correlazione tra il carattere di sacralità dell’idolo e il triangolo induce a chiedersi quale sia l’attributo e quale sia il sostantivo all’interno della sintassi rupestre, ovvero se sia il divino a essere trino oppure sia il triangolo a essere sacro?
Questo contributo interdisciplinare si pone come tentativo di risposta ai suddetti interrogativi.
Tracce cinetiche e loro rappresentazioni mentali.
I due più grandi scienziati della psiche del secolo scorso, S.Freud e J.Piaget concordavano pienamente, sia pur in termini molto differenti, nell’affermare che nulla all’interno dello psichismo umano possa esistere se non come trasformazione di esperienze precedenti che si sono formate in quanto tracce di movimenti compiuti in età precoce.
J.Piaget (1973) definisce tale fenomeno in termini di “immagini spaziali” che fungono da precursori e guidano l’assimilazione delle stimolazioni ambientali,integrandosi armonicamente nel processo di adattamento:
“Nel corso del processo di strutturazione progressiva del campo spaziale, le varie condotte (suzione, visione, ecc.) presentano ognuna una coordinazione ereditaria dei loro movimenti nello spazio, ma senza una reciproca coordinazione spaziale.
– I progressi tipici del secondo stadio, legati all’acquisizione della reazione circolare primaria, permettono al bambino, in ognuna delle sfere, boccale, visiva, tattile, cinestesica, ecc., di seguire o perfino di ritrovare i quadri percettivi abituali, tramite dei movimenti raggruppati in sistemi coerenti sovrapposti ai sistemi riflessi. La percezione dello spazio è ancora riconducibile a quella di certi movimenti del corpo all’interno dei rispettivi campi dei diversi organi di senso, e il bambino non immagina né gli spostamenti esterni a questi campi né i movimenti del proprio corpo, non coordinando neppure in un unico ambiente i differenti spazi così abbozzati”. Siamo ancora all’interno della riflessologia, cioè dell’insieme di reazioni innate che guida i comportamenti di tutti i cuccioli di mammiferi (carnivori) allattati. Prosegue Piaget (1973):
“Con la reazione circolare secondaria, in pratica con la coordinazione della visione e della prensione, la strutturazione dello spazio realizza due notevoli progressi: da una parte, la coordinazione in un solo sistema dei differenti spazi pratici costituitisi fino a qui; d’altra parte, la costituzione di gruppi all’interno del campo stesso della percezione. Grazie all’intervento della prensione, infatti, il bambino diventa capace di spostare gli oggetti nel campo visivo e di far loro descrivere delle traiettorie che ritornano sempre al punto di partenza. Ma la coordinazione non oltrepassa i limiti del campo percettivo e, per mancanza di rappresentazioni consce, quest’ultimo non include il corpo in quanto tale ma solamente l’attività manuale”.
Desidero sottolineare come sia attraverso la percezione della mano e della sua coordinazione con il riflesso di prensione che inizia il processo di costruzione dell’Io: è tramite la presa di coscienza dell’esplorazione manuale che l’Uomo inizia a differenziarsi dall’Animale. Siamo tuttavia dentro i confini che delimitano il comportamento di tutti i Primati quadrumani.
«A partire dal quarto stadio, che è quello della coordinazione degli schemi secondari tra di loro, la strutturazione dello spazio inizia a oltrepassare il campo della percezione immediata, poiché il bambino diventa capace di ricercare gli oggetti scomparsi.
Tuttavia, incapace di differenziare sufficientemente l’oggetto dalla propria attività, tale strutturazione non si estende che ai gruppi reversibili e non concerne ancora né i movimenti liberi degli oggetti mobili né il proprio corpo inteso in quanto oggetto».
Permane ancora a questo livello una completa fusione dell’Io con gli oggetti esterni e soprattutto l’incapacità di padroneggiare la motricità coordinando dei movimenti volontari; appaiono però i precursori dell’Intelligenza, dato che il bambino inizia a capire la permanenza dell’oggetto al di là della percezione sensoriale immediata.
“Nel corso del quinto e sesto stadio infine, grazie alle nuove condizioni della ricerca diretta e della combinazione mentale degli schemi, la strutturazione si estende all’insieme degli spostamenti che sono stati percepiti e quindi a quelli che l’intelligenza può ricostruire deduttivamente, anche senza averli percepiti.Si stabiliscono così le relazioni di reciprocità tra gli oggetti mobili, quali essi siano, e tra essi e il proprio corpo, concepito sullo stesso piano che gli altri oggetti.
Dal punto di vista del semplice comportamento, questa strutturazione graduale, o più propriamente, questa costruzione delle relazioni spaziali si esplicita pertanto tramite i progressi dell’intelligenza stessa. Nella misura in cui l’attività propria è regolata da schemi globali, la coordinazione spaziale non si opera che tra i movimenti del soggetto e gli oggetti che si situano nel loro immediato prolungamento. Nella misura in cui, al contrario, gli schemi diventano sufficientemente mobili per combinarsi tra di loro in multiple maniere da una parte, si stabiliscono delle relazioni spaziali tra gli oggetti mentre dall’altra interessano il proprio corpo nel suo insieme. In tal modo si opera il passaggio dall’egocentrismo integrale e inconscio dei primi stadi alla localizzazione del proprio corpo nell’universo esterno” [N.d.A.]
Queste constatazioni significano che la vera natura dello spazio non risiede nel carattere più o meno esteso delle sensazioni in quanto tali ma nell’ intelligenza che collega tali sensazioni le une alle altre in percezioni di insieme collegate all’assimilazione mentale. In questo senso, si può definire l’intelligenza come la capacità di stabilire delle connessioni tra gli stimoli e le risposte: tanto più elastiche e multiformi saranno tali connessioni, quanto maggiori risulteranno le possibilità di creare delle nuove modalità di soluzione al problema.
[N.d.A.]: cfr. a questo proposito: N.Peluffo: “Il passaggio dalla rappresentazione al Personaggio”,in: “Psicoanalisi e Scienza, Rivista multimediale diretta dal Dr. Q. Zangrilli
Parallelamente, Freud (1915) rende evidente l’esistenza di “rappresentazioni inconsce” legate all’esperienza del piacere, che si formano fin nelle primissime fasi di vita e si propagano lungo tutto lo sviluppo psicosessuale dell’individuo: in ogni modo, per entrambi nulla si crea ex novo e tutta la costruzione dei processi di pensiero, delle funzioni logiche e della percezione della realtà-ambiente si dipana a partire da un nucleo complessuale di esperienze precocissime, che a loro volta si innestano e si integrano con le informazioni provenienti dalla costituzione ereditaria. Le tracce mnestiche lasciate da tali esperienze non possono essere di natura mnemonica, in quanto si producono ben prima che una qualsiasi rudimentale memoria si attivi, ma vengono conservate all’interno della psico-motricità, in quanto esperienze di movimenti o di azioni compiute.
“Normalmente nulla è più sicuro del senso di noi stessi, del nostro proprio Io. Questo Io ci appare autonomo, unitario, ben contrapposto ad ogni altra cosa. Che tale apparenza sia fallace, che invece l’Io abbia verso l’interno, senza alcuna delimitazione netta, la propria continuazione in un’entità psichica inconscia, che noi designiamo come Es, lo abbiamo appreso per la prima volta dalla ricerca psicoanalitica. Ma verso l’esterno almeno, l’Io sembra mantenere linee di demarcazione chiare e nette. Tuttavia, un’ulteriore riflessione ci dice: Questo senso dell’Io, presente nell’adulto, non può essere stato tale fin dall’inizio, deve aver subìto uno sviluppo che può essere ricostruito con sufficiente verosimiglianza. Il lattante non distingue ancora il proprio Io dal mondo esterno in quanto fonte delle sensazioni che lo subissano. Apprende a farlo gradualmente, reagendo a delle sollecitazioni diverse. Certamente suscita in lui la massima impressione il fatto che alcune delle fonti di eccitazione, nelle quali più tardi riconoscerà i propri organi corporei, possano trasmettergli sensazioni in qualsiasi momento, laddove altre – fra cui quella maggiormente agognata, il seno materno – temporaneamente gli si sottraggono. In questo modo si contrappone per la prima volta all’Io un “oggetto”come qualcosa che si trova “fuori” e che viene costretto ad apparire soltanto in seguito ad un’azione particolare. Un ulteriore incentivo al distacco dell’Io dalla massa delle sensazioni, e dunque al riconoscimento del “fuori”, di un mondo esterno, è fornito dalle abbondante, molteplici, inevitabili sensazioni di dolore e dispiacere che, nell’esercizio del proprio illimitato dominio, il “principio di piacere” ordina di neutralizzare ed evitare. Sorge la tendenza a tenere distaccato dall’Io tutto ciò che può divenire fonte di simile dispiacer, a respingerlo all’esterno e a formare un puro Io-piacere, al quale si contrappone, minaccioso ed estraneo, il “fuori”. Le frontiere di questo primitivo Io-piacere non possono però eludere le rettifiche derivanti dall’esperienza. Viene appreso un procedimento in virtù del quale, attraverso un consapevole orientamento delle proprie attività sensoriali e un’ opportuna azione muscolare, diventa possibile distinguere fra ciò che è interno, ossia che appartiene all’Io, e ciò che è esterno e in tal modo viene compiuto il primo passo verso l’insediamento del “principio di realtà”. In tal modo dunque l’Io si distacca dal mondo esterno, anzi, per essere più esatti, all’origine l’Io include tutto e in seguito separa da sé un mondo esterno” (Freud, 1922).
In base alle sopra menzionate leggi che regolano l’apparato intrapsichico, tento ora di delimitare il campo della mia ricerca, enunciando l’ipotesi principale che definisce il presente lavoro.
Qualsiasi sia stato il suo primo impiego e lo sviluppo assunto successivamente (mappa, lama, motivo ornamentale, architrave per abitazioni, aratro, timone, vela, o altro), al momento del suo apparire:
I°- il triangolo rettangolo deve trarre origine dall’esigenza di tradurre in un’ immagine mentale logica e compiuta, ossia riconoscibile e riproducibile, un insieme di sensazioni, impressioni ed emozioni vissute nel compimento di un’ esperienza motoria;
II°- questa esperienza compete l’inconscio, nel senso che deve essere avvenuta prima che si formasse la coscienza, in pratica l’Io, l’istanza psichica caratterizzata dalle sue varie funzioni di attenzione, percezione, fissazione e memoria;
III°- per iscriversi indelebilmente nella psico-motrcità inconscia, tale esperienza cinetica deve essere stata ripetitiva, intensa e accompagnata da vissuto di piacere;
IV°- deve essere di natura ereditaria ovvero deve riprodursi a ogni generazione, non può essere transitoria, epifenomenica o casuale. In termini genetici, deve essere di carattere genotipico e non fenotipico.
Come correlato di ipotesi secondarie, questa azione deve rispondere alle leggi che regolano la semeiotica dell’Arte Rupestre, ossia:
(1°) deve comunicare delle informazioni universalmente condivisibili da tutti coloro che accedono all’ informazione stessa;
(2°) per questo motivo deve essere immediatamente comprensibile ;
(3°) inoltre, pur possedendo le caratteristiche di un simbolo astratto, l’ informazione veicolata deve appartenere al mondo concreto, cioè direttamente percepibile tramite i sensi;
(4°) infine, essendo talvolta associata a figure idoliformi, deve possedere un carattere di sacralità che ingenera una forte attrazione ed al contempo ne assicura la sua qualità di “intangibilità” nello svolgersi della vita quotidiana.
A questo punto mi son ritrovato rinchiuso all’interno di un intreccio di regole e prescrizioni talmente rigido ed angusto da non saper più come districarmi dal sistema da me stesso articolato: un turbinio di ipotesi più o meno cervellotiche mi si affollava alla mente ma nessuna di essa poteva ottemperare contemporanea mente all’insieme dei commi pre-stabiliti. Attenendomi alla regola psicoanalitica che determina come “le rappresentazioni verbali derivino dalla percezione sensoriale allo stesso modo delle rappresentazioni delle cose” (Freud 1915), alla fine, ho provato ad affidarmi ai Greci. Nella misura in cui la Civiltà Ellenica aveva svolto il difficile compito di traduzione ed enunciazione in parole logiche e astratte di quasi tutto lo scibile empirico esperito dall’uomo, in Essa avrei forse potuto trovare degli indizi di ciò che i preistorici avevano voluto rappresentare incidendo il triangolo rettangolo originario.
Il primo risultato ottenuto fu tuttavia un completo insuccesso, in quanto rivolsi l’attenzione all’etimo della parola “Ypothénoysa“, che letteralmente definisce “ciò che è steso sotto“, informazione che non mi aiutava affatto a compiere un qualche progresso. Continuai ad avvoltolarmi intorno al problema insolubile, finché mi venne l’ispirazione di verificare la versione originale del Teorema di Pitagora, che all’inizio era così formulato: “Se il quadrato costruito sull’ ipotenusa corrisponde alla somma dei quadrati costruiti sui cateti, il triangolo è rettangolo”.
Fu una scoperta illuminante! Il Teorema di Pitagora non concerneva soltanto il calcolo della lunghezza dell’ipotenusa, implicava anche la definizione della natura e della qualità dell’angolo: l’angolo è al contempo oggetto dell’ investigazione e soggetto dell’enunciato. ANGOLO, proveniente dalla radice indo-europea AK, poi nasalizzato in ANK, suono utilizzato, come quasi tutte le parole primitive, per descrivere le caratteristiche del mondo ambiente, designava all’origine una incurvatura del terreno, soprattutto della costa. Nel suo significato primigenio il termine delimitava indistintamente sia un’insenatura sia un promontorio, una concavità o una convessità. In sanscrito il termine Ankas (che poi in latino designerà l’uncus della freccia ) indica appunto una piega o un uncino. In greco, si trasforma dapprima in Agkón, che conserva e ricalca la primigenia duplicità del termine, per cui indica sia il gomito come concavità esterna sia il seno come convessità interna; Agkòn. si suddividerà successivamente in due tronconi, dando origine a: agkale (γκάλη),cioè gomito, e gonia (γωνία), cioè angolo, la parola che verrà utilizzata da Pitagora (Devoto G., Oli G., 2000).
Analogamente al vocabolo “ipotenusa”, anche il termine “cateto” riproduce un’impressione motoria, esprimendo in modo specifico un’immagine cinetica che scaturisce da un gesto: Kàth-etos, proviene dall’antico idioma ionico Kathiémi,che significa abbassare e definisce infatti i due lati , ovvero il braccio e l’avambraccio, che circondano l’angolo/gomito e che vengono alzati e calati(Devoto, 1995). In una traduzione letterale parola per parola, si palesa in tal modo come il teorema di Pitagora riguardi la misurazione di ciò che è abbassato e steso sotto il gomito/seno: ne deriva che la definizione deve competere l’essere umano stesso nell’ atto dell’ allattamento, atto intriso di supremo piacere e ripetuto sempre eguale a se stesso fin dall’acquisizione della statura eretta, avvenuta agli albori del processo di ominizzazione.
Scrive E. Anati (2007): “Nel corso del Neolitico le figure animali sono subitamente sostituite dall’ antropomorfo che diventa il tema principale della creatività figurativa. Cambia l’ideologia, il modo di vedere il mondo. L’uomo non solo prende coscienza di se stesso, ma si ritiene il centro dell’universo, acquisisce una presunzione che da allora non ha più perso. Prende ad adorare se stesso. La parabola dell’uomo che diventa Dio è testimonianza nell’arte rupestre della Valcamonica…(omissis). In tale processo si può riconoscere il formarsi della concettualità che ha poi caratterizzato l’Europa per diversi millenni”.
Si profila così la soluzione del problema inerente alla necessità di raffigurare tramite una forma geometrica astratta un’attività umana pratica e concreta. Se la mia ipotesi si rivelasse esatta, il triangolo rettangolo riprodurrebbe nella semplice linearità del suo grafismo simbolico, l’esperienza motoria e sensoriale vissuta da milioni di individui, distribuiti in epoche più o meno remote, e accomunati dalla medesima sensazione di voluttà intensa.
Predeterminato dalla continuità filogenetica e rinforzato dalla ripetizione onto-genetica retta dal principio di piacere, ecco allora che l’incontro casuale con uno stimolo esterno disposto a forma di triangolo rettangolo, quasi sicuramente di origine naturale, quale un tronco appoggiato di sbieco o una configurazione di lastre di pietra, viene dapprima introiettato e riportato all’interno del narcisismo primario; in un secondo momento, l’elaborazione operata dai processi di assimila-zione/accomodamento stabilizzano l’esperienza in un’immagine mentale spazialmente rappresentabile, e la trasformano in pensiero logico, riproducibile e condivisibile da tutto il Clan: quando l’angolo è retto, vale a dire quando l’angolo del gomito è ortogonale, cioè diritto, la creatura umana è allattata, pienamente gratificata, ossia “accudita”, come si dirà centinaia di secoli dopo in tardo latino, per indicare con l’espressione ” ad cudum” il movimento effettuato dalla madre per prendere il figlio in braccio e nutrirlo al seno.
Esperienza “oceanica” come la definirà Freud, ripetuta migliaia di volte in una vita, per decine e decine di migliaia di generazioni, la soddisfazione orale del lattante si incide indelebilmente all’interno dello psichismo umano, lasciandovi una traccia di nostalgia infinita e di frustrazione incolmabile. Nel calcolare l’ipotenusa si misura se stessi e si costruisce la propria identità, insieme con quella del Clan e di tutta la Specie. Scrive Freud (1908): “Il metro con cui l’uomo misura il mondo è l’Io; egli impara a capirloattraverso il continuo confronto con la propria persona”.
L’Io è in definitiva un derivato di sensazioni corporee e può dunque essere considerato come una proiezione psichica della superficie del corpo (Freud 1922):
“L’importanza funzionale dell’Io è testimoniata dal fatto che normalmente gli è attribuito il controllo delle vie d’accesso alla motilità. Nella genesi dell’Io, il corpo, e soprattutto la sua superficie, è un luogo dove possono generarsi contemporaneamente percezioni interne ed esterne. È stata illustrata a fondo dalla psicofisiologia la maniera in cui dal mondo delle percezini emerge la percezione del proprio corpo”.
L’Io è anzitutto un’entità corporea, non è soltanto un’entità superficiale, ma anche la proiezione di una superficie [N.d.A.].
Comportamento ad un certo punto negato e poi rimosso, l’allattamento conserva un’ incoercibile e potente seduzione che funge da richiamo imperioso che perdura per tutta l’esistenza. Con lo svezzamento, la ripetizione divenuta oramai impossibile, si trasforma in divieto e l’agkòn-cubitus-cudus assume il carattere del sacro, dell’ intangibile. Il triangolo rettangolo viene in tal modo associato all’Idolo che ne sancisce il carattere di desiderio proibito: in questa prospettiva, è il triangolo a possedere il carattere del Divino e del Sacro e forse potrebbe essere questa l’origine della struttura tripartita dell’Entità Cosmologica definita da Emmanuel Anati .
[N.d.A.]: potrebbe essere questa l’origine prima della rosa camuna, ossia un’impressione rotatoria da cui si propagano sensazioni di corpo e arti circondati da coppelle? Ovvero la proiezione della superficie corporea impegnata in una rotazione che contiene e al contempo è contenuta da un insieme di bocche-capezzoli, seni?
© Pier Luigi Bolmida
Riassunto:
Basandosi sulle conoscenze della Psicoanalisi, dell’Epistemologia Genetica e dell’Archeologia rupestre, l’Autore tenta la spiegazione della genesi del triangolo rettangolo all’interno dello psichismo umano, così come si ė proposto fin dalle Origini, rientrando a pieno titolo nel patrimonio ereditario dell’Immagine Filogenetica.
Bibliografia:
Anati E.: (2002a): «Lo stile come fattore diagnostico nell’Arte Preistorica», Capo di Ponte: Edizioni del Centro Anati E. (2002b): «La struttura elementare dell’Arte » Capo di Ponte : Edizioni. del Centro
Anati E. (2007): «Capire l’’Arte Rupestre», Capo di Ponte: Edizioni del Centro
Devoto G. (1995):« Vocabolario della lingua italiana», Firenze: Edizioni Le Monnier
Devoto G., Oli G. (2000): «Dizionario etimologico», Firenze: Edizioni Le Monnier,
Freud S. (1929) : «Il Disagio della Civiltà», in O.S.F., Vol.X, Torino: Edizioni Boringhieri, 1978
Freud S. (1915): «Metapsicologia»in O.S.F.,Vol.VIII ,Torino: Edizioni Boringhieri, 1979
Freud S. (1908): «Analisi della fobia di un bambino di cinque anni» in: O.S.F. Vol.V, Torino: Edizioni Boringhieri, 1972
Freud S. (1922): «L’Io e l’Es», in O.S.F., Vol. IX, Torino: Edizioni Boringhieri, 1977.
Piaget J. (1973): «La construction du réel chez l’enfant»
Neuchatel: Ed. Delachaux et Niestlé
Foto in evidenza: Luca Zangrilli Grafica e Web ©
Pier Luigi Bolmida, Specialista in Psicologia Clinica e Patologica, Università Paris V, Formatore in Psicodiagnosi presso le A.A/S.S./L.L. della Regione Piemonte
Nel 1976, in occasione del suo Dottorato di ricerca, partecipa come rorschachista all’équipe della Clinica S.Anne de Paris diretta dal Prof.Pichot alla messa a punto dei Sali di Litio per la cura delle Depressioni Unipolari
Viene nominato nel 1984 presso le U.S.L. di Torino come Formatore Responsabile di tutte le Équipes per la diagnosi dei disturbi mentali e tossicodipendenze
Nel 1986 introduce ufficialmente l’uso del Test di Rorschach in Psichiatria forense, dove verrà regolarmente utilizzato nei casi di separazione legale, abusi e violenze su Adulti e Minori, e nella valutazione precoce del pericolo di Tossicomania in soggetti pre-adolescenti e adolescenti.
Il Dott. Bolmida si è spento a Torino nel dicembre 2020