Il Piano Nazionale contro la Violenza di genere e lo stalking è stato approvato dal Consiglio dei Ministri nel 2010 e prevede l’individuazione di operatori in grado di riconoscere la violenza sessuale/domestica o lo stalking e di fornire una prima accoglienza alle vittime.
L’argomento ha anche una sua brutale attualità a seguito del fenomeno chiamato “femminicidio” che assume dei numeri agghiaccianti: 137 vittime nel 2011, una ogni 3 giorni, uccise per ragioni di matrimoni falliti, abbandoni, tradimenti, divorzi. In definitiva delle uccisioni per ragioni di possesso, ma anche per un nonnulla che assume una valenza importantissima nella fantasia dell’omicida che, in questo, caso viene chiamato femminicida.
Il termine non è inteso nel senso stretto di omicidio di donne, ma anche, per estensione, in quello di violenze perpetrate dagli uomini ai danni delle donne in quanto tali, ossia in quanto appartenenti al genere femminile. E quindi, ad esempio, anche il caso degli aborti forzati, in quei paesi in cui la nascita di bambine è considerata una sventura, come la Cina o l’India, dove sono scomparse 55 MILIONI di bambine.
In questi casi anche i mezzi moderni di diagnosi prenatale sono messi al servizio di antiche aberrazioni a conferma che il progresso scientifico non garantisce di per sè il progresso dell’uomo.
La definizione del 1993, di Marcela Lagarde, un’antropologa messicana, definisce così il femminicidio:
” La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine – maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale – che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia »
Nella sua recente pubblicazione “Se questi sono gli uomini”, Riccardo Iacona, fa il resoconto di un viaggio in Italia, dalla Sicilia alla florida Emilia, all’inseguimento degli omicidi di donne, che si sovrappongono l’un l’altro al ritmo di 1 ogni 3 gg.
Tutto il libro è permeato dello sconforto per l’assurdità di queste morti che colpiscono in condizioni affettive apparentemente non estreme, sicuramente non patologico, e anche se, qua e là, in molti casi, si rintraccia la presenza dell’uso di sostanze o di condizioni di solitudine per fallimenti pregressi. Molto comune è il suicidio o il tentativo di suicidio dell’omicida.
Costante è la dimensione del possesso che, anche quando la connotazione amorosa è sfumata, resta il possesso per l’altro come cosa, come nel caso di Stefania Garattoni, vent’anni, uccisa dal suo fidanzato, torturatore da 5 anni. Questa ragazza ci ha lasciato i suoi diari, un documento eccezionale per ripercorrere le tonalità mortificanti, vessatorie, il “clima maltrattante”, nel quale la vittima sopravvive a lungo prima di essere finita. Sto parlando di 5 anni di notazioni, riflessioni, commenti, su una vicenda che l’aveva, all’inizio, vista rafforzarsi come donna, ma poi soffrire duramente per la delusione, fino all’abbandono.
Iacona sottolinea fortemente la caratteristica tutta italiana del femminicidio.
A pag. 124, l’A. osserva che nemmeno in Spagna, dove pure la crisi economica si è abbattuta più pesantemente che da noi, la statistica annua delle donne uccise è aumentata. Invece “In Italia è in costante aumento”, dice.
In verità le statistiche sul femminicidio non vedono il nostro Paese ai primi posti, anzi è la Finlandia, il paese europeo in cui c’è il più alto tasso di criminalità verso donne, sino a quattro o cinque volte superiore a quello italiano. Dunque la patria europea del femminicidio non è l’Italia, ma la Finlandia.
Diversamente dal femminicidio, il termine di “violenza di genere” può essere declinato anche al maschile e intende un’azione molto intensa che ha come fine il recare danno grave a una o più persone o animali, compiuta da una o più persone che operano sinergicamente. La violenza non necessariamente implica un danno fisico. Può essere fisica, sessuale o psicologica, come è quella che forza un certo comportamento con minacce, plagio, imposizione della propria autorità.
Normalmente il passaggio tra violenza psicologica e violenza fisica e/o sessuale potrebbe esser ritenuto discriminante, ma in realtà le tre modalità possono coesistere a tratti, o a lungo. E’ più probabile che una vittima di violenza acceda ai servizi sanitari per fatti fisici osservabili o che richiedano trattamento, anche se essi non saranno ammessi, ma sarà importante allora cogliere l’aspetto psicologico della violenza.
Questa può essere strisciante, fatta di pochi schiaffi, ma di continue offese e umiliazioni, in quel clima maltrattante, in cui l’episodio è sporadico, ma l’atmosfera è tossica: un insieme di gesti, di limiti e imposizioni irragionevoli, svincolate da qualunque negoziazione che crea un’infelicità senza nome, depressione, perdita di vitalità. E si ribadisce l’importanza della violenza economica che, spesso, è il fondo del tutto, il ricatto costante che irretisce le vittime in una condizione di passiva accettazione.
Quando si parla di violenza non si prescinde da abusi e molestie.
Letteralmente “abuso” sta per: “uso di un diritto o di un potere per fini diversi da quelli per i quali è stato riconosciuto”
Abusi sono, quindi, comportamenti che costituiscono espressione di violenza, di potere assunto nei confronti di categorie deboli (bambini, vecchi, malati, ma talvolta anche le donne).
Sono abusi emotivi o verbali quelle situazioni in cui un adulto usa la paura, l’umiliazione o la violenza verbale per controllare il comportamento del giovane che gli è stato affidato.
Una particolare attenzione va posta nei confronti dell’abuso sessuale: qualsiasi atto sessuale, implicito o esplicito, compiuto su un adolescente; oppure la costrizione o l’incoraggiamento dell’adolescente a compiere atti sessuali, impliciti o espliciti, da solo o con un’altra persona di qualsiasi età e sesso.
Prestare attenzione ai segnali indicativi di abuso e molestia, in particolare di fronte ai minori, potrà essere di una qualche utilità per chi sarà posto in posizione di ascolto, ferma restando la necessità di un tempo adeguato perché l’abusato, il molestato, il violato non avrà una comunicazione diretta e rapida.
Raramente i minori saranno espliciti su eventuali esperienze di abuso o molestia per un meccanismo di difesa del tutto inconscio che è la rimozione; è importante, quindi osservare alcuni indicatori quali:
• qualsiasi segno di maltrattamento fisico, come lesioni ricorrenti o non compatibili con la dinamica dell’incidente che li avrebbe causati;
• cambiamenti comportamentali, sbalzi d’umore, assenza emotiva, fobie o tendenza eccessiva al pianto;
• timore di alcuni luoghi, persone o attività; riluttanza a restare da soli con una particolare persona;
• ansietà elevata;
• immagine distorta del proprio corpo, che può sfociare in disordini alimentari, autolesionismo o altri comportamenti distruttivi;
• diminuzione dell’autostima;
• comportamento eccessivamente aggressivo
• riluttanza a partecipare alle attività extra-scolastiche, difficoltà a scuola;
• problemi nei rapporti con i coetanei, isolamento;
• incubi notturni;
• disegni o atti che suggeriscono la conoscenza di esperienze sessuali inappropriate all’età;
• tentativi di suicidio;
• ossessioni;
• automedicazione con abuso di sostanze stupefacenti o alcol;
• problemi nei confronti dell’autorità o delle regole.
( Elenco basato sulle ricerche di Bollinger Inc. Short Hills, New Jersey, USA)
La violenza di genere sulle donne è oggi ritenuta una violazione dei diritti umani.
Il termine sottolinea la dimensione sessuata del problema, in riferimento ai meccanismi sociali che costringono la donna in una posizione subordinata rispetto all’uomo
La “Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne” (anno 1993, art. 1) la descrive come: «Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata. »
Le ricerche compiute negli ultimi dieci anni dimostrano che la violenza di genere verso le donne è endemica nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo.
Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali e a tutti i ceti economici.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, almeno una donna su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita.
E il rischio maggiore sono i familiari, mariti e padri, seguiti dagli amici: vicini di casa, conoscenti stretti e colleghi di lavoro o di studio.
Sono violenze di genere anche certe mutilazioni oggi cadute in disuso, legate alla ricerca di canoni estetici che mettono a repentaglio la salute della donna:
Sono tali i piedi di loto, o l’estensione del collo delle donne Padaung:
Ma potrebbero intendersi tali anche alcuni orrori della chirurgia estetica.
Tuttavia la violenza di genere è anche quella perpetrata sugli uomini, se legata al fatto di essere uomini. E’ questo un argomento poco affrontato, ma che non possiamo ignorare.
La quantificazione dei casi di violenza che coinvolgono vittime maschili è difficoltosa per la maggiore riluttanza delle vittime a chiedere aiuto.
Uno studio statunitense ha sostenuto che le donne hanno un alto livello della loro accettazione della violenza contro gli uomini. Ciò anche per la frequente concomitanza di abusi precedentemente perpetrati dagli stessi uomini contro le donne, come sostiene uno studio di Jacquelyn Campbell parlando di omicidi maschili da parte di donne: il 75% delle donne erano state precedentemente oggetto di abusi.
Il silenzio, la paura e il senso di vergogna caratterizzano la vittima di abusi da parte di donne, più che nelle situazioni inverse. E inoltre certe forme di abuso sono sottili e inducono la vittima ad accettare ulteriori vessazioni.
Fiebert scrive che c’è “consenso sul fatto che le donne siano pronte tanto quanto gli uomini ad aggredire fisicamente nelle stesse occasioni in cui il partner maschile aggredirebbe, ma come si poteva prevedere, le donne si feriscono più facilmente degli uomini.
Il Consiglio d’Europa ha definito la violenza sugli uomini una “violazione dei diritti umani, ma anche un ostacolo all’eguaglianza tra donne e uomini”.
Una recente ricerca condotta da un’équipe di studiosi dell’Università di Arezzo. Rivela che, in Italia, oltre 6 milioni di uomini sono vittime di violenza messa in atto dalle donne.
Andreoli sostiene che “i segnali c’erano già da tempo, ma oggi sono più evidenti, soprattutto nelle nuove generazioni».
Non si tratta di patologia bensì di un cambiamento che, per Andreoli, è culturale: « la donna, sostiene Andreoli, ha perduto quelle caratteristiche di femminilità che pensavamo fossero biologiche e che, invece, non lo sarebbero».
«…. per esempio: l’infedeltà, per la quale un tempo la donna veniva colpevolizzata, … oggi non è più così».
Così pure «la spaventosa violenza verbale che il genere femminile mostra, per esempio, al volante ».
Quindi la violenza sugli uomini da parte delle donne è in aumento, fermo restando un assunto di partenza:
“È la donna a essere ancora la principale vittima di violenza, fisica, sessuale, psicologica, quella che non si vede, ma può lasciare ferite difficili da rimarginare. E anche sociale, che attiene cioè alla sfera dei ruoli e dei diritti.
… Comunque specie nelle giovani coppie i rapporti tra partner sono cambiati e non di rado ragazze maltrattano i propri fidanzati.
La donna, insomma, non subisce più come in passato ma produce e genera violenza, anche sessuale, per ragioni diverse, fra le quali l’approccio educativo che si è trasformato dalla metà del ‘900 in poi: non esistono più… le scuole separate per maschi e femmine, persino i giochi d’infanzia non rispecchiano la vecchia distinzione di ruoli tra i due sessi. Fino ad arrivare all’attuale primato di intelligenza riconosciuto al gentil sesso pure nelle materie un tempo considerate “maschili”, come fisica o matematica”.
Ma soprattutto c’è un fatto che Andreoli definisce sconvolgente dal punto di vista storico: l’attuale regìa femminile nelle relazioni sessuali. E, poichè l’aggressività fa parte della sessualità, se la donna diventa regista, diventa anche aggressiva, cioè è intraprendente, fa le richieste ed esercita la forza.
Se l’appagamento del desiderio complesso e sfaccettato non si raggiunge, si traduce in frustrazione. E da qui alla violenza il passaggio è breve.
Andreoli trova ridicolo il tentativo di un parlamento maschile di legiferare in materia di quote rosa. “È un atto di debolezza maschile di fronte a una società che sta cambiando”.
Ed è mortificante anche per la donna doversi far riconoscere un diritto non per merito, ma per appartenenza a un genere piuttosto che a un altro.
La violenza di genere, rimane di genere, ma a ruoli invertiti. In sintesi sono storie maschili, ma al femminile.
E saranno sempre più necessarie strutture di aiuto dedicate agli uomini che sono già vittime, anche se, per ora, prevalentemente per violenze psicologiche. E inoltre l’educazione affidata a queste madri, con figure paterne confuse ed evanescenti, mentre ripropone modelli femminili energici e onnivori, può generare figli maschi efebici.
Così Vittorino Andreoli 1 accenna anche a una spiegazione per il fenomeno dell’aumento dei casi di omosessuali.
© Gioia Marzi, Elisabetta Mancini, Federica Molinari, Silvio Palombo
NOTE:
1 Andreoli V.: “Donne che odiano gli uomini”. Intervista di Paola Alagia. http://www.lettera43.it/cronaca
La Dott.ssa Gioia Marzi è nata a Roma il 30 maggio 1952.
Psichiatra e micropsicoanalista, dal 1980 lavora presso il Dipartimento di Salute Mentale di Frosinone e, dal 2005, è responsabile del Servizio per i Disturbi Alimentari e Psicopatologia di Genere. Docente presso il corso di Psicologia e infermieristica in Salute Mentale – Modulo: Psichiatria – Universita’ La Sapienza – Roma. Ha una vasta esperienza di psichiatria forense in materia di violenze e abusi sulle donne e sui minori. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche, collabora con la rivista Scienza e Psicoanalisi curando la rubrica di psichiatria dal 1999.
Esercita a Frosinone e a Roma dal 1985.