Questo articolo, trattando i problemi di relazioni esistenti tra arti diverse, si collega alla presentazione di Da­nie­la Gariglio e Pier Paolo Strona “Dipinti e Musica in risonanza psicoanalitica e matematico-geometrica” al Convivium tenutosi in Fiuggi, in cui musiche di vari autori, eseguite al pianoforte da Pier Pao­lo Strona, sono state associate, in base a considerazioni sulle rispettive strutture geometriche e sulle atmosfere ed emozioni suscitate, a dipinti di Daniela Gariglio, psicoanalista/scrittrice, che ne ha evi­denziato alcune risonanze psicoanalitiche che vanno nel senso dei suoi studi su trauma e adattamento crea­ti­vo.

Introduzione

In tutte le arti l’artista crea le sue opere utilizzando uno specifico linguaggio, intendendo il lin­­guaggio come un insieme di regole di grammatica e di sintassi, regole di composizione per scrivere poesie, testi, musica, per dipingere, scolpire, progettare ope­re architettoniche, re­­gole espressione di culture diverse e in continua evoluzione nei se­coli e nei luoghi.

Il termine “linguaggio” ci fa subito pensare alla letteratura e alla poesia, ma ogni arte ha un lin­­­guaggio proprio, dalla musica alle arti figurative, alla scultura, all’architettura, alla fotografia, al cinema e così via.

Riflettendo sulle caratteristiche di questi linguaggi, si scopre abbastanza facilmente che tut­­­ti, anche se specifici e apparentemente diversi tra di loro, hanno in realtà molti elementi in comune, e tra questi gli elementi geometrici sono particolarmente importanti e determinanti nella concezione e nella realizzazione delle singole opere.

Mettere a fuoco e comprendere questi elementi non solo consente un maggior approfondimento di conoscenza delle opere stesse, ma permette di collegarle, metterle in relazione tra di loro, allargando lo sguardo a comprendere le varie forme d’arte come un qualcosa di più unitario, tutte frutto di ambienti culturali che si sono evoluti nella storia e nella geo­gra­fia, tutte opera dell’uomo.

Nell’articolo si vuole dare un piccolo contributo di riflessione su que­sto vastissimo tema pren­­dendo in considerazione alcuni semplici elementi geometrici e cer­can­do di vedere co­me li si ritrovi nelle varie arti e come siano determinanti nel processo creativo degli ar­tisti.

Dopo alcune considerazioni sull’idea del “bello” legato ai rapporti, alle proporzioni, all’es­sen­­­­zialità e alla completezza nell’arte, ci si soffermerà su un elemento geometrico sem­pli­cis­­simo, il segmento, e si parlerà delle trasformazioni geo­me­tri­che, concludendo con al­cu­ne con­side­ra­zioni sull’idea di infinito.

I rapporti e le proporzioni

Le proporzioni, i rapporti tra le parti sono elementi geometrici e sono sempre stati consi­de­ra­­ti nella cultura occidentale elementi base per definire il “bello” [1, 2]. Sono concetti espres­si e sviluppati da Pitagora, Platone, Agostino e poi da Alberti, nel secolo XV, esuccessivamente da Diderot e da Cartesio.

Nelle arti plastiche e figurative le proporzioni tra le parti sono sempre state fondamentali nel­­­la creazione artistica.

La proporzione aurea, forse la più importante, ha attraversato l’arte di tutti i secoli, soprat­tut­­­­to a partire dal Medio Evo, quando è stata associata al “Divino”, dimenticata un po’ ne­l­l’e­po­ca barocca e poi tor­na­ta ad affermarsi nel XX Secolo, arrivando a determinare in mo­do assoluto ed esa­spe­ra­to ad esempio l’opera di Mondrian.

In musica, molti secoli prima, l’uomo aveva imparato a scegliere alcuni suoni tra gli infiniti esi­­­stenti in natura definendo i rapporti tra le loro frequenze, con criteri matematici e geo­me­­­trici, e organizzandoli in sequenze, in scale [3]. Non solo quindi le proporzioni come mi­su­­­ra del bello di un’opera ma anche come criterio con cui preparare il materiale per poi rea­liz­zarla.

Pitagora, all’origine della musica occidentale, aveva così creato la scala “pitagorica”, come se­­­quenza di rapporti tra lunghezze di una corda o tra pesi diversi e questi rapporti erano espressi da numeri piccoli, 2/1 (ottava), 3/2 (quinta), 4/3 (quarta), e così via. Molti secoli do­­­po, con J.S. Bach, si è poi definitivamente affermata la “scala temperata” a 12 suo­ni, ma altre scale con diverse scelte di semitoni, quarti di tono, microtoni [3] hanno a­per­to la stra­­­da a mondi creativi diversi. Scale con un numero di toni diverso infine sono sta­te usate in altre parti del mondo in molte culture musicali, ad esempio la scala pen­tato­ni­ca.

Dal XV secolo in poi, sotto l’influsso dell’Alberti e sullo sfondo di una aspirazione ad unifi­ca­­­re tutte le arti molto sentita a quei tempi, questi rapporti tra i suoni, espressi da numeri pic­­coli, erano stati utilizzati co­me proporzioni fondamentali dai pittori nella creazione delle lo­­ro opere.

Più avanti, negli anni tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, con l’avvento della società in­­dustriale, si è avuta una vera rivo­lu­zio­ne nel linguaggio di tutte le arti, della musica e del­la letteratura, con una sempre mag­gior interazione tra loro e con evoluzioni parallele dei lin­­guaggi. Alcune figure hanno con­tri­buito in modo particolare a questa evoluzione, Il mu­si­ci­­sta Scriabin [1] parlava di colori in mu­si­ca, inventando il “pianoforte a colori”, e il pittore Kan­dinski parlava di suoni in pittura [4] nei suoi scritti, confrontandosi in un lungo car­teg­gio con Schoenberg.

Le teorie di composizione, musicali e grafiche, sviluppate in quegli anni sono poi passate al­­la nuova arte nata a metà del XIX secolo, la fotografia: il fotografo cerca gli stessi equilibri, le stesse forme del pittore, dello scultore, dell’architetto, ma non le può proget­ta­re, de­ve trovarle guardandosi intorno[2]. Si accorge allora che queste proporzioni sono crea­te dalla lu­­ce,

Anche i pittori, tempo prima, a partire da Caravaggio, se ne erano già accorti e avevano co­­­min­­ciato ad usare non solo le linee del disegno per comporre le opere, ma anche le li­nee create dalla luce e gli spazi colorati.

Nel XX secolo poi le sequenze di fotografie, il cinema quindi, aveva introdotto nell’arte fi­gu­­rativa la quarta dimensione, quella del tempo, dimensione essenziale nella musica, ma fino ad allora presente nelle opere figurative solo come percorso di osservazione di un’o­pe­ra in effetti statica. SuI problema del tempo lavoreranno in particolare i futuristi italiani tentando di introdurre nelle loro opere la sensazione del movimento vero e proprio.

La terza dimensione, invece è sempre stata un grande problema sia per i musicisti, pro­fon­­dità del suono ricercato con il cromatismo ad esempio, sia per i pittori, legati ad uno spa­­zio bidimensionale.

Si vede dunque da queste brevi osservazione su arti e musica come la soluzione di pro­ble­­­mi geometrici sia sempre stata una molla potentissima nella creazione artistica, capace di aprire agli artisti orizzonti vasti.

Essenzialità e completezza

Oltre a quello delle proporzioni e dei rapporti tra le parti costituenti un’opera d’arte, esiste an­­che un altro aspetto della “bellezza” che accosta i linguaggi delle arti e della musica a quel­­li della matematica e della geometria, aspetto che si potrebbe sintetizzare nel motto “il più con il meno”, ma aggiungendo anche che nel “meno” ci deve essere tutto quello che è  ne­­ces­sa­rio. L’opera d’arte che risponde a questi concetti riuscirà ad esprimere e comu­ni­ca­­­re il suo messaggio di bellezza e di conoscenza con la massima efficacia.

Nel linguaggio simbolico della matematica un’equazione può dire molto di più di un volume di decine di pagine, un’espressione matriciale può condensare in una riga migliaia di equa­zio­­­ni e consente di operare su di esse, presentandosi al contempo in forme che rispon­do­no a concetti estetici di eleganza e di bellezza.

In musica si potrebbero analizzare sotto questo punto di vista le opere dei grandi, pen­sia­mo all’essenzialità e alla ricchezza delle composizioni di Bach e di Mozart ad esempio, do­ve nulla è fuori posto, nulla è superfluo e nulla manca.

J.S. Bach [5] opera come un grande architetto che concepisce strutture complesse ed es­sen­­­­zia­li: l’architetto usa elementi semplici e li combina creando opere relativamente gigan­te­­­sche che possono essere belle o brutte, ridondanti o essenziali, eleganti o sgraziate a se­­­con­­da delle sue capacità; Bach lavora nello stesso modo, usando elementi, cellule sem­pli­­ci, ma combinandole insieme in modo fantastico a costruire opere, gigan­te­sche, strut­tu­re per­­fette complete ed essenziali, e per questo bellissime.

Mozart con pochissime note traccia linee perfette in cui nulla manca e nulla è di troppo, usan­do spesso anche il silenzio, l’assenza di suono, per creare drammaticità e attesa.

Naturalmente il fatto di ottenere “il più con il meno” non significa che il “meno” sia piccolo. Pen­­­siamo alla quantità di note presenti nelle opere della seconda metà del XIX secolo, for­­­se non sempre e non tutte essenziali: forse sarebbe interessante analizzare e con­fron­ta­­­re su questo aspetto le opere dei maggiori compositori di quel tempo, Brahms, Ciai­kow­ski, Rachmaninoff, ad esempio.

Analogamente in fotografia l’essenzialità e la completezza dell’immagine è spesso deter­mi­­­nante per la sua capacità di comunicare bellezza e conoscenza.

Il fotografo cerca di cogliere momenti e situazioni create dalla luce per realizzare immagini che possano raccontare storie o esprimere concetti complessi che a volte nulla hanno a che fare con il soggetto reale fotografato, esprimendo graficamente concetti che ri­chie­de­reb­­be molte pagine per essere espressi. La nostra mente è capace di trasfigurare la realtà os­­servata e la può interpretare simbolicamente per esprimere e raccontare altro [6].

Un esempio di espressione di concetti in un’immagine si può vedere in figura 1, dove si è fo­­tografata una parte di un grattacielo in cui ogni finestra riflette uno stesso dettaglio del grat­­tacielo di fronte ma la deforma in modo diverso.

Questa immagine si può interpretare come una sintesi del pensiero che Luigi Pirandello ha espres­so nelle sue opere, “Così è se vi pare”, “Uno, nessuno, e centomila” e altre: ognu­no filtra la realtà a modo suo, forse la “verità” sta dove le finestre riflettono il sole, dove c’è la lu­­ce, ma lì non si riesce a distinguere più nulla e quindi non abbiamo accesso alla verità as­­so­luta, ognuno ha la sua.

Esempi di fotografie che raccontano una storia invece si possono vedere nei due esempi delle figure 2 e 3.

“Agonismo” (Fig.2) rappresenta la storia di una partita in cui a contendersi il pallone sono due gio­ca­tori della stessa squadra, mentre “Disperazione” (Fig.3) credo non abbia bisogno di commenti e si racconti da sola.

Strona

Fig. 1 “Pirandello” (Foto P.P. Strona)

 

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Fig. 2: Agonismo (Foto P.P. Strona)

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Fig. 3: Disperazione (Foto P.P. Strona)

Il segmento

Geometricamente un segmento è una parte di retta di lunghezza definita, un elemento sem­­plicissimo eppure fondamentale nel linguaggio della musica e delle arti.

Nella musica, il ritmo, una tra le principali componenti del discorso musicale, insieme alla me­­­lodia, all’armonia e al timbro, si può rappresentare graficamente  come una sequenza di “segmenti temporali di lunghezza variabile”. Ma il ritmo non è solo un elemento del lin­guag­­­gio musicale, lo si ritrova ovunque nell’arte e anche nella letteratura; l’azione in un film, in una rappresentazione teatrale o in una danza ha un suo ritmo che la caratterizza, una poesia infine ha una sua metrica.

Proprio la coerenza ritmica sta alla base della creazione di opere in cui più arti sono pre­sen­­­ti, una canzone ad esempio, testo e musica, la colonna sonora di un film.

Una canzone, un lied, musica e testo poetico, ha solitamente un ritmo unico, elemento fon­­­damentale per legare tra loro suoni e parole. Analogamente nel cinema, la musica che de­­­scrive una scena ne rispetta anzitutto il ritmo, oltre a creare un’atmosfera coerente con le situazioni raccontate. Formidabile ad esempio sotto questo punto di vista la “battaglia sul ghiaccio” di S. Prokofiev che accompagna il racconto di S. Eisenstein nel film “Alexan­der Nevskij”.

Viceversa è possibile creare animazioni che commentino e visualizzino musiche preesi­sten­­­ti, come nel film Fantasia di W. Disney. Interessante in particolare l’episodio “l’ap­pren­di­­­sta stregone” che ricrea con l’animazione la musica di P. Dukas, che a sua volta si era ispi­­­­rato all’omonima Ballata di W. Goethe: cinema, musica, letteratura strettamente col­le­ga­­­­te da una base ritmica, da una sequenza di segmenti temporali.

In tutti i casi precedenti il ritmo regolava la posizione degli elementi delle opere nel tempo.

Con­­siderando invece le arti plastiche e figurative, il ritmo è quello che regola la posizione del­­­le parti nello spazio, come in architettura e in pittura. In fotografia il fotografo [7,8] lo cer­­­ca e lo tro­va guardandosi intorno, osservando soprattutto quello che la luce crea in quel mo­men­to, come nelle figure 4a/b, dove il riflesso del sole sulle ringhiere di balconi (Fig.4a) crea una geo­metria astratta (Fig.4b), una linea spezzata fatta di segmenti, che non ha più nul­­la a vedere con il sog­get­to fotografato.

Fig. 4a: Alba con riflessi (foto P.P. Strona)

Fig. 4a: Alba con riflessi (foto P.P. Strona)

4b

Fig. 4b: Alba con riflessi (foto P.P. Strona)

In Architettura infine il ritmo non regola soltanto l’organizzazione dello spazio tridimensionale e la disposizione degli elementi strutturali, ma può essere fondamentale anche nelle sue superfici piane come, ad esempio, in un fregio: illuminante a questo proposito la rap­pre­­­sen­tazione con notazione musicale fatta da Bouleau [1] del ritmo con cui si succedono le figure nei fregi del Partenone.

Le trasformazioni geometriche

Traslazioni, rotazioni, inversioni, retrogradazioni, isometrie, aumentazioni e diminuzioni, omo­tetie, e così via sono tutte trasformazioni usuali in geometria e matematica.

Sono però anche tutte operazioni che i compositori hanno sempre fatto e continuano a fare nello scrivere le loro composizioni, applicandole a sequenze di note di varia lun­ghez­za e complessità, giocando così a costruire e sviluppare un discorso e a variarlo [5].

Si possono osservare direttamente nella scrittura sul pentagramma ma diventano evidenti se invece delle note si utilizza una rappresentazione di funzioni in un sistema carte­sia­no.

In musica qualunque melodia infatti può essere rappresentata in un sistema di riferimento car­tesiano come una funzione y=f(x)[3] in cui x è la variabile tempo e y l’altezza del suono. Il rit­mo corrisponde alle durate nel tempo dei diversi suoni, lunghezza quindi di segmenti sul­l’as­se x. Una composizione polifonica sarà descritta da più funzioni nello stesso grafico.

Come esempio in figura 5 si rappresenta l’incipit del celebre canone “Fra’ Martino” con tre vo­ci che entrano in successione, sfasati nel tempo e ad altezze diverse [5].

Strona

Fig. 5: Fra’ Martino, canone

La struttura di una composizione musicale, e anche il modo con cui un compositore l’ha crea­ta, può essere compresa meglio se la si rappresenta graficamente.

In generale nella costruzione di una sua opera il compositore ha a disposizione innumerevoli possibilità di sviluppo e di elaborazione che corrispondono a trasformazioni geo­me­tri­che: se trasla ad esempio una melodia, o una semplice sequenza di note, ad altezze di­ver­se nello spazio sonoro, realizza così una “progressione”, se la presenta rovesciata ri­spet­to a un piano orizzontale (inversione) o retrogradata rispetto a un piano verticale, letta cioè dall’ultima nota alla prima (specchio) apre orizzonti vasti alla sua fantasia creativa.

L’uso di queste operazioni in musica, vere e proprie trasformazioni geometriche, e la loro rap­presentazione grafica cartesiana è stato ampiamente trattato da matematici e musicisti [5,9].

In [10], a titolo di esempio, viene in tal modo analizzata la Variazione Goldberg n. 8 di J.S. Bach (Fig. 6): osservandola in forma grafica si scopre facilmente che qui Bach ha utilizzato due idee musicali molto semplici, una per la mano sinistra e una per la mano destra e le ha espo­ste nella prima battuta, ne ha fatto il retrogrado (specchio) ottenendo altri 2 ele­men­ti (Fig.7a), e ha poi composto l’intera variazione traslando nello spazio dei suoni questi 4 elementi e com­binandoli in tutti i modi possibili (Fig.7b), creando così un bellissimo, es­sen­ziale e fantasioso puz­zle, un gioco geometrico realizzabile  a tavolino.

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Fig. 6: J.S. Bach, Variazione Goldberg n. 8

 

7a

Fig. 7: Elementi base in forma grafica

 

 

7b

Fig. 7b: Tabella combinazioni

La rappresentazione grafica della musica inoltre può suggerire anche altri sviluppi intuibili, se si pensa ad esempio alla possibilità di percorrere il cammino inverso: creare cioè ma­te­ria­­le musicale a partire da un quadro o da una fotografia. Sempre in [10] si è fatta un’o­pe­ra­zione di questo tipo, proponendo un insieme di regole che lo consenta e ap­pli­can­do­lo a titolo dimostrativo a un caso particolare, la composizione di un piccolo corale a par­ti­re dal­la fotografia di una catena montuosa.

Le trasformazioni geometriche sono dunque strumenti potentissimi nella creazione di ope­re musicali, ma non solo. In tutte le arti in realtà l’artista opera in modo analogo con gli ele­men­­ti con cui crea la sua opera, organizzandoli su una superficie piana il pittore, il fo­to­gra­fo, il regista di un film, in uno spazio tridimensionale lo scultore, l’architetto, il regista di uno spet­­tacolo teatrale, di un balletto. Anche lo scrittore e il poeta in ultima analisi organizzano con criteri geometrici gli elementi delle loro opere.

L’infinito

L’idea di infinito sta nella mente umana, spazio infinito, orizzonte, tempo infinito, eternità, e an­che nell’arte e nella musica gli artisti hanno cercato di renderne in qualche modo l’idea.

Esempi in musica sono il canone perpetuo, una forma musicale che non ha mai fine, o la mazurka op. 68 n. 4 di F. Chopin, scritta nelle ultime settimane di vita, con una struttura ar­mo­­nica che non giunge mai a conclusione, musica che va avanti all’infinito.

In geometria un esempio interessate di forma collegata in qualche modo all’idea di infinito è il nastro di Möbius, matematico e astronomo tedesco del XIX secolo.

Tut­te le superfici hanno una faccia esterna e una interna e per passare dall’una all’altra oc­cor­­­re attraversare un bordo; il nastro di Möbius invece ha un solo lato e, se ci si muove su di esso, si passa senza accorgersene, senza discontinuità di bordo quindi, alla faccia op­po­­­sta per poi ritornare a quella di partenza. Continuando a muoversi sul nastro si ha dun­que la sensazione di muoversi all’infinito. Si costruisce prendendo un foglio rettangolare e unen­­­do i lati minori dopo aver ruotato uno dei due bordi di 180 gradi.

J.S. Bach, circa 100 anni prima, senza ovviamente conoscerlo, aveva utilizzato questa figura nel Ca­no­ne n.1 della sua “Offerta musicale”: i dettagli della costruzione di questo ca­no­ne sono ben illu­­strati in [11].

Il nastro di Möbius, forse perché collegato in qualche modo all’idea di “infinito” ha in­te­res­sa­­­to anche altri artisti, tra gli altri M.C. Escher (1898-1972) che ha realizzato alcuni disegni (Nastro di Möbius I, Nastro di Möbius II) basati sul nastro. Più recentemente anche lo scul­to­­­re svizzero Max Bill (1908-1994), ha creato una scultura, “Endless ribbon”, sulla cui su­per­­­fice ci si può muovere all’infinito, realizzando nel marmo un nastro di Moebius.

Conclusioni

Grandi e stretti sono i legami tra le varie arti e per lo più nascono da elementi presenti nei va­­­ri rispettivi linguaggi, elementi principalmente di tipo matematico e geometrico. Su questa base si può pensare quindi di proporre esperimenti che colleghino arti diverse, ad esempio musica e fotografia.

Le attività di musicista e fotografo, sviluppate con con­ti­nui­tà in tutta la vita, mi hanno facilitato in tal senso spingendomi a tentare esperimenti di que­sto tipo; l’incontro con pittori mi ha aperto la strada per collegare ana­lo­ga­men­te musica e dipinti: è quanto ho cercato di fare negli ultimi anni in alcune Università, scuole e as­so­cia­zio­ni culturali[4], associando l’ascolto di com­posizioni musicali alla visione di opere pittoriche e fo­­tografiche capaci non solo di suscitare emozioni congrue, ma anche con strutture geo­me­­triche apparentabili. Per quanto  riguarda l’emozione, lascio però il campo allo psicoanalista che si occupa proprio di affetto,  anche quando parla di relazione e creatività.

© Pier Paolo Strona

Abstract

Nell’articolo si prendono in considerazione alcune caratteristiche dei linguaggi che gli artisti utilizzano nella creazione delle proprie opere, indagandone soprattutto gli elementi che hanno in comune e creando in tal modo una base di riferimento per mettere in relazione tra loro arti diverse. Si può così approfondire meglio la conoscenza e la comprensione delle singole opere, collocandole in un orizzonte più ampio e vasto. Il discorso è focalizzato in particolare sulla musica e sulle arti plastiche e figurative, includendo in queste ultime anche quella storicamente più recente, la fotografia.

Riferimenti Bibliografici

[A]   C. Bouleau, “La geometria segreta dei pittori”, Editions du Seuil, 1963 (edizione italiana Electa, 1988)

[B]   P. Boulez, J.P. Changeux, P. Manoury, “I neuroni magici, musica e cervello”, Carocci Editore, 2016

[C]   H. Partch, “Genesis of a Music”, Da Capo Press, 1974

[D]   V. Kandinskij, Punto, linea, superficie, Adelphi Edizioni, 1968

[F]   G. Donati, P.P. Strona, “Nel Giardino delle Meraviglie, Una passeggiata all’ombra delle Variazioni Goldberg di J.S. Bach”, Trauben, Torino, 2008 http://www.arty.it/pierpaolo-strona/musica/musica_studi.php

[G]   P. Baranowski, Perception and Interpretation (based on the work of Decentrism’s artists) International Journal of Design & Nature and Ecodynamics, WITPress, Vol.7 n.4, 2012
Download: http://www.witpress.com/elibrary/dne-volumes/7/4/637

[H]   P.P. Strona, “Capturing the light”, LIGHT 2011, International Conference on Light in Engineering, Architecture and the Environment, May 2011, Poznan, Poland
Download: http://www.witpress.com/elibrary/wit-transactions-on-the-built-environment/121/22069

[I]   P.P. Strona,  “Discovering reality through the camera”, International Journal of Design & Nature and Ecodynamics, WITPress, Vol.7 n.4, 2012
Download: http://www.witpress.com/elibrary/dne-volumes/7/4/638

[L]   B. Scimeni, “Contrappunto musicale e trasformazioni geometriche” Atti del Convegno “Matematica e Cultura”, Venezia, 1997, Springer Verlag

[M] G. Donati, P.P. Strona, “Nature and Music: a general method for designing a composition from an image”, International Journal of Design and Nature, WITPress, UK, Vol. 6, n. 1, 2011

Download: http://www.witpress.com/elibrary/dne-volumes/6/1/501

[N] https://www.youtube.com/watch?v=iN9fGDnWcFY

[1] Era affetto da sinestesia, capacità di fondere insieme sensazioni provenienti da sensi diversi, ad esempio la vista e l’udito.

[2] Gli sviluppi recenti della fotografia digitale e dei SW di post-processamento stanno però aprendo nuove op­por­­tunità ai fotografi ed agli artisti che intendono utilizzare la fotocamera per creare delle opere originali e di for­­te impatto visivo ed emozionale, pur partendo sempre e comunque da immagini fatte di luce. Si veda a que­­­sto proposito il sito “Private Landscapes” di Luigi Piero Ippolito:
http://luigipieroippolito.wixsite.com/lpi-century.

[3] Anche se la musica viene percepita come un flusso sonoro continuo, tuttavia essa è costruita come un in­sie­me di singole note: si tratta quindi di un sistema discreto e la f(x) è in effetti un istogramma.

[4] Università di Rennes, Architettura (2015), Università di Palma di Mallorca (2016), Fondazione Croce (Tori­no, 2013), Liceo artistico “Cottini” (Torino, 2016), Fotogruppo “L’incontro” (Collegno, 2016), Circolo degli Ar­ti­sti, (previsto a Torino, 2017)