Le considerazioni sull’ubiquitaria, onnipotente e interdetta voracità dei soggetti anoressici trovano un’espressione pittorica straordinariamente potente in H. Bosch.
Pochi artisti si pongono con l’immanenza di contemporanei come il “medievale” H. Bosch.
Le sue opere sono visitatissime nei musei di Vienna, Londra, Parigi e, particolarmente, di Madrid.
Ai contemporanei piace vederlo come un maestro dell’immaginario, o in preda a stati allucinatori; ma per Buzzati “…non è mai esistito un pittore più realista e chiaro di lui”: una realtà umana fatta di desideri e angosce primarie, di totale impossessamento e totale distruttività.
H. Bosch si colloca a cavallo fra il medio evo e l’età moderna, in un paese, le Fiandre, in cui si preparavano i più importanti fermenti culturali del tempo: dal grande balzo dei commerci oceanici alla rivoluzione della Riforma. Non si hanno molte notizie sulla sua vita, non sembra che abbia viaggiato, o frequentato le corti dell’epoca, ma nelle sue opere, pur nella evidente onirologia delle forme, sono sempre presenti dettagli riconducibili alla realtà del suo tempo. Si fa riferimento, dunque, a Bosch, come ad un artista di genio, che ha saputo vedere nelle cose la concretezza visiva dell’umana angoscia connessa alla materialità corporea.
Fatto franco, dunque, il discorso simbolico, nel quale non mi addentro, o le tante speculazioni sulle interpretazioni di mostriciattoli, genietti e forme distorte nelle quali rintracciare allucinazioni peraltro mai ascoltate in clinica, i corpi in Bosch sono la vera angoscia dell’annientamento sempre fortemente connotato dall’oralità: corpi smembrati e divorati, inghiottiti, manducati, consunti.
L’uomo di Bosch è commestibile ed ha paura di essere divorato.
Cuochi mostruosi che muovono padelle contenenti membra umane in cottura, frammenti d’uomo e figure chimeriche, quali quelle del Giardino delle delizie. Corpi rappresentati come anime, tutte ugualmente diafane e scarne, efebi allungati dalla dubbia sessualità e nulla sensualità, come sono gli adolescenti in transizione. A parte questi corpi interi, ma acerbi, c’è lo smembramento.
Certo molti aspetti storici si debbono riconoscere in queste opere: orribili supplizi, quale, appunto, lo smembramento, non erano infrequenti, specie per gli eretici ad opera del Sant’Uffizio nei tempi in cui maturava il pensiero di Lutero e si preparava l’avvento della Riforma.
Ma anche eventi naturali, quali le carestie e la peste. Appena un’ottantina di anni prima di Bosch, la Morte Nera aveva ucciso un terzo della popolazione europea e la Grande carestia, all’inizio della cosiddetta Piccola glaciazione, aveva sterminato fino al 25 % della popolazione: fu un periodo segnato da estremi livelli di attività criminale, malattie e morte diffuse, infanticidio e cannibalismo, fattori che alimentavano il senso di insicurezza collettiva e la ricerca di capri espiatori..
Questo mondo nord europeo, così distante dal Rinascimento, ancora tutto intriso di medioevo, denso di contraddizioni, ma straordinariamente profondo, si ritrova presente nello stesso momento, nello stesso Trittico, sulle tavole di Bosch senza che i suoi contemporanei ne rimanessero per nulla turbati, tant’è che gli riservavano la stima e la considerazione dovuta ai grandi maestri, onesti e laboriosi.
Accanto al tema dell’oralità nei suoi connotati divorativo-endocannibalici (come li definisce il filosofo Tortolone), in Bosch ricorre il tema dell’uovo: la forma perfetta della materialità in divenire, la forma del vuoto: così appare l’uovo nelle sue opere. L’ovulo trasparente sembra contenere i corpi come in una prigione: un amnios da nirvana idealizzato a vescicola inquietante che risucchia verso il nulla e al quale l’uomo si aggrappa con tutte le sue forze.
Manuela Tartari ci ricorda i miti orfci sull’origine del mondo: In principio, narrano i racconti orfici, c’era solo la Notte, Nyx, una tenebra immobile.
Poi la Notte, sotto forma di grande uccello dalle lunghe ali nere, venne fecondata dal vento e depose il suo uovo d’argento nell’immenso grembo dell’oscurità. Dall’uovo balzò fuori un dio con le ali d’oro, chiamato Eros, dio dell’amore, il quale portò alla luce tutto ciò che era nascosto nell’uovo, cioè l’universo intero. E’ un mito pre-sessuale, in cui sono ancora le forze della Natura, come il vento, a fecondare. Anche il Bosch la sessualità prevalente è ancora immatura: oralità e dissoluzione corporea appaiono come punti di coniugazione con i Disturbi Alimentari. Nell’anoressia i caratteri sessuali sono dissolti tra segmenti corporei affettivamente iperinvestiti di contenuti fobici: natiche, fianchi, cosce e ventre, l’immenso ventre globoso che si vedono le anoressiche più emaciate. Spesso per le nostre pazienti avere la pancia come le loro madri è intollerabile.
Nel Trittico delle Delizie la sessualità è acida, il sesso contiene i corpi (in un’ottica intrauterina, potremmo dire), con un grande mitile che divora un amplesso, l’individualità è scomparsa, come all’origine dell’anoressia in cui l’alterità, per dirla con Callieri, è ancora a venire e l’individuo non è giunto alla fase di differenziazione.
In Bosch si coglie l’ambiguità tra una sessualità potenzialmente vitale e una mortifera; e l’immensa, caotica cosmogonia dei corpi come forma onnicomprensiva dell’indifferenziato.
La Dott.ssa Gioia Marzi è nata a Roma il 30 maggio 1952.
Psichiatra e micropsicoanalista, dal 1980 lavora presso il Dipartimento di Salute Mentale di Frosinone e, dal 2005, è responsabile del Servizio per i Disturbi Alimentari e Psicopatologia di Genere. Docente presso il corso di Psicologia e infermieristica in Salute Mentale – Modulo: Psichiatria – Universita’ La Sapienza – Roma. Ha una vasta esperienza di psichiatria forense in materia di violenze e abusi sulle donne e sui minori. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche, collabora con la rivista Scienza e Psicoanalisi curando la rubrica di psichiatria dal 1999.
Esercita a Frosinone e a Roma dal 1985.