Un organismo biologico instaura un rapporto di equilibrio con l’ambiente che consiste nel determinare un differente gradiente di concentrazione di determinate sostanze fra l’interno e l’esterno.
Naturalmente questo equilibrio può propendere più verso l’interno o più verso l’esterno. Questo processo di regolazione avviene, negli organismi più elementari, attraverso la membrana cellulare e si chiama osmosi. Il processo avviene anche ai primordi della vita, per un fatto chimico.
L’osmosi è infatti il fenomeno per cui si ha un flusso di solvente (in genere acqua) tra due soluzioni separate da una membrana semipermeabile; è dovuto a differenze di concentrazione, e in tal caso il solvente fluisce dalla soluzione meno concentrata a quella più concentrata, ma può anche essere determinato da differenze di potenziale nelle due soluzioni o da differenze di temperatura. Quello che è importante considerare è che questo fenomeno è alla base di una atavica demarcazione dello spazio biologico e che in un ecosistema non esiste un organismo del tutto isolato.
“Nessun organismo vive in isolamento: ciascuno, almeno per una parte della vita, fa parte di una popolazione costituita da individui della stessa specie”
Michael Begon, Ecologia. Individui, popolazioni, comunità, 1989
È chiaro però che più rigida e chiusa verso sé stessa sarà la struttura atta alla demarcazione più comporterà una compromissione delle funzioni vitali dell’organismo, e viceversa, più il tipo di membrana che ci separa dal mondo esterno è labile più la vita ne verrà compromessa.
Quindi di per sé la vita biologica è un equilibrio non sempre stabile fra le funzioni interne e l’ambiente esterno. La sindrome autistica presenta fra le sue caratteristiche un disequilibrio o comunque un’alterazione di questa capacità della vita di chiudere e aprire ovvero di regolare la relazione con l’ambiente esterno. Lo psichiatra austriaco Leo Kanner, lo scopritore della sindrome autistica, descrive lo spettro autistico con questa espressione:
“Il disturbo fondamentale eccezionale, “patognomonico”, è l’incapacità dei bambini di relazionarsi nel modo ordinario con persone e situazioni fin dall’inizio della vita. I loro genitori si riferivano a loro come se fossero sempre stati “autosufficienti”; “come in un guscio”; “più felici quando lasciati soli”; “comportandosi come se le persone non ci fossero”; “perfettamente ignari di tutto ciò che lo riguardava”; “dando l’impressione di una saggezza silenziosa”; “non riuscendo a sviluppare la solita quantità di consapevolezza sociale””
Leo Kanner, Autistic Disturbances of Affective Contact – 1943
È evidente però che una chiusura assoluta va a determinare uno scompenso di relazione cioè interrompe la relazione col mondo esterno fino a compromettere le funzioni biologiche.
Se questo avviene a livello unicellulare viene mancare la regolazione della concentrazione delle sostanze nutritive quindi di per sé una chiusura assoluta comporta la compromissione delle funzioni vitali.
È anche vero però che noi all’interno della cellula troviamo a sua volta un altro nucleo che deve ripetere lo stesso processo di equilibrio che avviene a livello superiore.
Se noi la intendiamo in termini fisiologici possiamo definire l’autismo come un originario processo in cui l’osmosi viene compromessa e questo processo questo potrebbe insorgere come meccanismo di difesa laddove l’ambiente produce delle sostanze velenose per l’organismo.
Appare evidente in questo caso che il processo di rafforzamento della membrana cellulare (per esempio negli organismi cellulari) porta a una chiusura che appare però tutto ragionevole in termini di sopravvivenza in presenza di un ambiente esterno in cui vengono prodotti degli stimoli, delle sostanze o comunque sia dei gradienti di disturbo che compromettono la vita.
Quindi quello che in una condizione normale può apparire come una compromissione della vita in una situazione in cui l’ambiente è compromesso diventa un processo di difesa, ed ecco spiegato l’insorgere dell’autismo.
D’altronde questo processo non deve essere pensato come un fatto inverosimile, se pensato in termini ecologici. Non esiste, infatti, un ambiente omogeneo e stabile e quello che è medicina per un organismo è veleno per un altro, quello che minaccia un’entità biologica è sopravvivenza per un’altra.
“L’eterogeneità dell’ambiente è qualcosa che dipende dalla scala dell’organismo che è esposto a esso. Per un seme di senape, un granello di terra è una montagna; e per un bruco una singola foglia può rappresentare la dieta dell’intera vita. Un seme che giace nell’ombra di una foglia può subire un’inibizione della germinazione, mentre un seme che giace all’esterno di quell’ombra può germinare liberamente. Quello che appare all’ecologo che lo osserva come un ambiente omogeneo può essere, per un organismo situato al suo interno, un mosaico intollerabile e inadeguato.”
Michael Begon, Ecologia. Individui, popolazioni, comunità, 1989
Credo che il processo di chiusura in sé stesso di un organismo si possa con facilità riscontrare negli organismi unicellulari sottoposti a tensioni o stress violenti o ad ambienti velenosi e bisognerebbe appunto menzionare gli esperimenti a riguardo ma non ho dubbi che dall’organismo elementare all’organismo più complesso vi sia una reazione di chiusura all’ambiente che non ha le condizioni atte alla vita. Questo lo possiamo osservare nella vita biologica a diversi livelli ed è anche un fatto che riguarda il metabolismo e la regolazione termica ed energetica.
Pensiamo che certi animali vanno in letargo quando l’ambiente diventa o nocivo o pericoloso o nel quale gli ingredienti delle sostanze nutritive diventano radicalmente diversi da quelli ottimali, o iniziano a scarseggiare. In questi casi vediamo che l’organismo entra in una sorta di dimensione latente, ovvero soporifera e rimane inattivo, interrompe, cioè, le relazioni col mondo esterno.
Si tratta, sostanzialmente, di un delicato processo metabolico per mantenere quanta più possibile energia all’interno, mantenendo uno stato di uniformità inalterabile. Si tratta dell’entrata in uno stato di conservazione dell’energia che percepisce come minaccia ogni cambiamento esterno.
“Il comportamento dell’autistico è governato da un desiderio ansiosamente ossessivo di mantenere l’uniformità che nessuno, tranne l’autistico stesso, può interrompere in rare occasioni. Cambiamenti di routine, di disposizione dei mobili, di uno schema, dell’ordine in cui vengono eseguiti gli atti quotidiani, possono portarlo alla disperazione”
Leo Kanner, Autistic Disturbances of Affective Contact – 1943
Pensiamo ad esempio di molte spore di funghi che rimangono inattive finché non trovano nell’ecosistema le condizioni propense al loro fiorire o anche in molti semi vegetali che rimangono inattivi nel deserto finché non piove dopo decenni, o ancora ai batteri che rimangono intrappolati nei ghiacci o appunto in situazioni ambientali che renderebbero impossibile la loro vita finché anche a distanza di secoli non riprendono vita relazionale. Loro si chiudono ogni porta verso il mondo esterno fino a quando le condizioni ambientali non sono ottimali e quindi riprendono e riaprono.
In tutti questi casi vediamo che quello che può essere considerato in condizioni normali una compromissione delle funzioni vitali in queste condizioni invece proibitive per la vita la chiusura in sé stesso dello spazio vitale diventa il meccanismo di difesa in cui la vita si conserva.
Quindi se consideriamo in questo modo il fenomeno autistico dobbiamo considerare che questo può avere un’origine in un sofisticato meccanismo di difesa che la natura ha ideato per sopravvivere a un ambiente non ottimale per la vita.
Appare anche evidente che il processo di autoreferenzialità che si verifica nell’autismo deve sicuramente trovare una spiegazione nella percezione di una minaccia correlata col mondo esterno e quindi nella percezione di un pericolo legato all’ambiente.
È quando nell’ambiente si sono presentate ripetute minacce, sia in termini di ecosistema e di instabilità ma anche di fattori incongrui o percepiti come incompleti, che l’autistico fisiologicamente sviluppa un iper vigilanza verso quello che è o potrebbe essere una minaccia.
“Questa insistenza sull’uniformità portava molti bambini a essere molto turbati alla vista di qualcosa di rotto o incompleto”
Leo Kanner, Autistic Disturbances of Affective Contact – 1943
“Uno dei bambini notò una crepa nel soffitto dell’ufficio e continuò a chiedere ansiosamente e ripetutamente chi avesse rotto il soffitto, senza calmarsi per nessuna risposta che le veniva data. Un altro bambino, vedendo una bambola con un cappello e un’altra senza cappello, non si calmò finché non trovò l’altro cappello e non lo mise sulla testa della bambola. Poi perse immediatamente interesse per le due bambole; l’identità e la completezza erano state ripristinate e tutto era di nuovo a posto. (…) Una situazione, una performance, una frase non sono considerate complete se non sono composte esattamente dagli stessi elementi che erano presenti al momento in cui il bambino le ha affrontate per la prima volta. Se il minimo ingrediente viene alterato o rimosso, la situazione complessiva non è più la stessa e quindi non viene accettata come tale, oppure viene risentita con impazienza o persino con una reazione di profonda frustrazione.”
Leo Kanner, Autistic Disturbances of Affective Contact – 1943
Quando l’organismo vede nella relazione una minaccia il sistema cellulare stesso si sviluppa e si organizza in un sistema autarchico e porta all’interno le strutture e le dinamiche che prima erano all’esterno, ovvero le relazioni e le connessioni che prima erano nel mondo esterno vengono introiettate in una mappa interna.
Quindi opera un processo al rovescio di quella che è una proiezione cioè opera una introiezione: quello che prima era una planimetria dell’ambiente esterno, determinata anche dalla complessità della relazione sociale, ora viene trascritta in una mappa interna; questo spiega radicalmente in modo esaustivo e chiaro il perché l’autistico sviluppa un intelligenza mnemonica, numerica e figurativa, questo sviluppo avviene per la stessa ragione ovvero perché egli deve trasferire una mappa dal mondo esterno in una mappa del mondo interno, questo comporta quindi l’isolamento e la reiterazione.
Sono quindi spiegate quelle che Kanner chiama isole di intelligenza fenomenale nell’autistico.
Appare inevitabile quindi che lo sviluppo della capacità intellettiva sia correlato alla parallela iper-vigilanza verso la minaccia.
Il processo autistico è sia ontogenetico che filogenetico, ovvero individuale ma anche di popolazione.
Il processo di scissione ha come origine un meccanismo difensivo e in teoria dovrebbe terminare una volta ristabilita la normalità dell’ambiente e così deve essere stato all’origine. Ma se, ovviamente, le condizioni ostili dell’ambiente si protrarranno questo processo autistico diventa cronico cioè diventa stabile e ormai quindi inalienabile.
È ragionevole interpretare questo processo a livello di popolazione, ovvero ritenere che un certo numero di individui sviluppi questa scissione per un mancato equilibrio dell’organismo con l’ambiente. Detto altrimenti: se all’origine di questo scarto biologico c’era un fatto ben preciso legato alla sopravvivenza con il susseguirsi del tempo diventa una condizione attuale e ormai inalienabile.
Il rischio che da divergenza si passi alla patologia è concreto poiché il processo può a seconda dei casi attenuarsi o deperire le funzioni vitali più specificamente legate al processo delle informazioni. Avviene quindi che se da una parte l’organismo autistico sviluppa un articolato processo di compensazione per sopperire il difetto (o la divergenza) del suo sistema nervoso, nello stesso tempo deve sviluppare un meccanismo di mascheramento di questa stessa compensazione, sempre in ragione della difesa dalla minaccia. Appare quindi una scissione dentro a un’altra scissione che ha però come effetto uno sviluppo delle capacità superiori. L’organismo autistico compensato e mascherato ha quindi uno stato di perpetua lotta organica interna per mantenere uno stato dissimulato, questo in ragione della sopravvivenza, esternare la fragilità comporta l’esposizione dell’attacco. Lo stato autistico compensato e lo stato autistico compensato e mascherato sono differenti. I tre stati: autistico non compensato, compensato e compensato e mascherato, sono una successione di sviluppi organici per fa fronte a una tensione interna, tensione che può sempre saltare laddove la pressione del mondo esterno sia maggiore della capacità organica.
Da questo si può spiegare lo sviluppo di sorprendenti capacità cognitive nell’autistico di terza generazione.
La metafisica dell’autismo
Non è possibile, tuttavia, spiegare interamente il processo autistico in termini esclusivamente biologici. Per comprendere fino in fondo l’origine di questo processo dobbiamo, inevitabilmente rispondere alla domanda di cosa sia lo spazio e al momento né la scienza né la filosofia hanno elaborato una dottrina dello spazio atta a spiegare il fenomeno autistico che implica, come detto, la nozione di spazio interno e spazio esterno.
Dal più elementare organismo unicellulare alla vita superiore esiste un equilibrio fra l’interno e l’esterno attraverso uno scambio di stimoli e informazioni che vengono via via elaborate e sintetizzate dall’organismo. L’organismo stesso, dalla membrana cellulare fino ai tessuti superiori, dà inizio a questa scissione che comporta una tensione permanente. Sostanzialmente noi non abbiamo uno spazio infinito e omogeneo nel quale collocare l’io e il mondo bensì lo spazio si estrinseca in due precise direzioni: l’esterno e l’interno.
“L’essere posti al di fuori, cioè il trovarsi fuori l’uno dall’altro di certi elementi distinti, è il segno fondamentale della spazialità” scriveva Pavel Florenskij nel suo libro Lo spazio e il tempo nell’arte, (Adelphi 1995, II, 1, 21).
Succede però un fatto che è al tempo stesso organico, ontologico e cosmologico e cioè che chiudendo vieppiù questo spazio su sé stesso, chiudendo ogni finestra, per così dire, noi poniamo un divario sempre più occlusivo fra l’io e il mondo, fino a chiudere l’io in sé stesso e separarlo, per così dire, dal mondo completamente. A questo punto si verifica un fatto che non ci aspettavamo: anziché trovare la totale inermità, troviamo la potenza, anziché trovare l’infinitamente piccolo, troviamo l’infinitamente grande. Questo io, che è poi l’io autistico metafisico, è un io nel quale il mondo è totalmente diventato interno, e l’io è totalmente diventato esterno. È straordinariamente significativo che l’etimologia di autistico (dal greco αὐτός, autós «solo con sé stesso») e quella di monaco (dal greco μόνος «solo, solitario») riconducano a una condizione medesima, quella nella quale l’io è diventato totalità, quella nella quale l’io, in un processo di sottrazione, si è trovato ad aggiungere. Si tratta, detto altrimenti, di un processo che, quando epurato da condizione patologica, è un processo metafisico di trasformazione dello spazio da duale a unitario.
Ovvero sia dall’essere fuori uno dell’altro si passa all’essere dentro uno nell’altro cioè ad avere degli spazi che non sono separati e distinti e nei quali non vale il principio del terzo escluso, ma degli spazi nei quali nell’uno si trova l’altro.
© Emanuele Franz
Emanuele Franz (Gemona del Friuli, 14 agosto 1981) è saggista, filosofo e poeta.
Nel 2008 fonda la casa editrice Audax (www.audaxeditrice.com) che tutt’ora dirige.
Ha all’attivo oltre 16 pubblicazioni che spaziano dalla poesia alla saggistica. Si occupa di filosofia e storia delle religioni. La sua maggiore Opera nel campo della saggistica è -Le basi esoteriche della microbiologia. Principi per una nuova teoria della vita basata sul Pensiero Esteso-, del 2016.
L’Opera subito dopo la pubblicazione raggiunge grande apprezzamento da studiosi e intellettuali italiani, come il neuropsicologo Franco Fabbro e il giornalista Marcello Veneziani, ed anche all’estero con l’apprezzamento del filosofo Noam Chomsky.
Del 2017 invece il suo -La storia come organismo vivente-; un saggio sulla storia universale che sfocia nella filosofia politica in cui sostiene una innovativa teoria sul tempo, argomentando la tesi che la storia è un organismo e il tempo un corpo, in modo che nel sistema vivente complessivo il futuro possa interagire, nonché influenzare, il passato. Il libro è apprezzato da molti studiosi fra cui Massimo Cacciari, Marcello Veneziani, Noam Chomsky, Sossio Giametta, Alessandro Barbero, Emanuele Severino e altri.