Sommario
Ipotesi ragionata sulla genesi del consumo di inebrianti naturali
1° Autotrofia
Quando si approccia il fenomeno dell’assunzione di sostanze psicotrope da parte del Sapiens S. in epoche preistoriche, immediatamente ci si imbatte in un duplice filone di ricerca. Il primo compete l’impiego di prodotti vegetali di svariato genere ed ordine, quali, solo per esempio, l’iboga, il cirsium pitcheri, i funghi psilocibinici, l’amanita muscaria, la cannabis, il tabacco, l’alchornea floribunda, l’ayahuasca, il peyote, la cohoba, la virola, la jurema, l’erythroxylum coca, fino a giungere alla papaverina e a tantissime altre sostanze assorbite tramite molteplici modalità, dalla semplice ingestione all’inalazione mediante pipette più o meno primitive, che si sono via via complessificate e impreziosite con l’esperienza e l’apprendimento 1. La ricerca e l’approfondimento delle proprietà di piante ed inebrianti che inducono estasi religiose o visioni mistiche, si protrae attualmente nei culti enteogenici contemporanei. «Il termine “enteogenico” è un neologismo che deriva dal greco antico: “entheos” che letteralmente significa “dio dentro” e “genesthe” ovvero “generare”. Così, enteogeno è ciò che genera dio (o ispirazione divina) all’interno della persona.» 2 Il neolemma fu ideato da un gruppo di etnobotanici e studiosi di mitologia, per sostituire sia il vocabolo “allucinogeno”, giudicato inopportuno per la sua stretta relazione etimologica con la definizione di delirio e di follia, sia il termine “psichedelico”, irreversibilmente associato alla cultura hippie di fine anni ’60. Sicuramente, in Italia e nel mondo, uno dei massimi ricercatori in etnobotanica e mitologia, è Giorgio Samorini, che da anni prosegue la propria metodica investigazione principalmente mediante l’auto sperimentazione, che gli consente di raccogliere, catalogare e custodire un prezioso prontuario didattico, ricco d’informazioni e delucidazioni. Il concetto di enteogeno viene in prima istanza applicato a quelle sostanze che possono essere state utilizzate durante cerimoniali sciamanici o rituali proto – religiosi durante la Preistoria, a partire dal Paleolitico superiore, tuttavia molte evidenze sembrerebbero testimoniare l’uso di vegetali psicotropi già nel Neandertal primitivo. Il che peraltro corrisponde con il modello comportamentale di automedicazione che si riscontra oggi nei primati più evoluti e in altri animali, come il Bonobo. Questo scimpanzé non cessa di sbalordire gli scienziati: si è scoperto infatti che, quando ferito o malato, rosicchia fiori, cortecce o gambi di svariate specie vegetali dotate di proprietà antimicrobiche, antivirali ed antiparassitarie. Tale primate inoltre, sviluppa comportamenti culturali di automedicazione tramite selezione di particolari piante terapeutiche e proprio l’esame della corteccia di uno di questi alberi, l ‘Albizia grandibracteata, ha permesso agli studiosi la scoperta di quattro nuove molecole che distruggono le cellule cancerose in cultura. Mi sembra estremamente coerente quindi, ipotizzare che fu l’istinto del Bonobo a guidare i primi Homo (Australopitecus? Antecessor? Erectus di certo) nell’Africa equatoriale, alla ricerca di foglie, semi, cortecce e radici, quali l’Iboga, che da sempre sono esistiti nei miti delle Origini.
2° Skulls
A questo punto desidero abbandonare la sicura e sperimentata strada tracciata dai molti scienziati di rinomanza internazionale, per avventurarmi nel secondo filone di ricerca, quello che conduce al’estrazione di materie inebrianti dall’Animale, prendendo in considerazione il fenomeno che è stato definito nei termini de: “Il culto dei crani” 3. Poco o nulla sappiamo degli usi funerari del Pleistocene Inferiore e Medio, cioè prima della comparsa del Sapiens S., che archeologi e paleoantropologi tentano di ricostruire sulla base dei pochi reperti a loro disposizione. Le sepolture degli antenati vissuti decine e centinaia di migliaia di anni fa presentano probabili corredi funerari di difficille interpretazione, talora oggetti particolari che accompagnano il defunto nel suo viaggio oltre la morte, a volte verosimili pietre sepolcrali con incisioni astratte e misteriose. Ma l’elemento forse più impressionante della sepoltura, a partire dal paleolitico inferiore, è il trattamento riservato alla testa del defunto, ossia al suo cranio, che in moltissime situazioni risulterebbe staccato dal resto del corpo. Parrebbe proprio che tale comportamento riguardasse la credenza che nel cranio si concentrassero tutte le forze vitali del corpo umano. Già nel giacimento di un insediamento di Homo erectus heidelbergensis, un Acheuleano discendente dell’Ergaster definito come Sapiens arcaico, risalente a 370.000 anni fa, è stata fatta una straordinaria scoperta. In mezzo ai resti di ossa animali, che sono reperti tipici per gli insediamenti paleolitici di cacciatori-raccoglitori arcaici e ci informano sugli animali cacciati e consumati nella loro interezza dal clan in questione, sono stati rinvenuti anche resti di ossa umane e frammenti di crani umani, che recano particolari intagli. Sembrerebbe che siano stati conservati per qualche scopo ben preciso. Il professor Dietrich Mania, che ha appunto condotto gli scavi di Bilzingsleben, pensa si trattasse di una forma di culto primordiale, praticata intorno a questi crani di defunti. E l’archeologo Hermann Parzinger osserva a questo proposito: «Brancoliamo ancora nel buio. Si tratta forse di un culto dei crani che forse si basava sul cannibalismo?». Anche nelle grotte spagnole di Atapuerca, nei pressi della città di Burgos, si è fatta una scoperta di questo tipo. Le caverne di Atapuerca rappresentano un unicum nel panorama del Paleolitico sia per la grande ricchezza di reperti fossili sia perché in questo sito sono venuti alla luce i resti di ominidi appartenenti a tre differenti specie e periodi preistorici: Homo sapiens (ca. 45.000 anni fa), Homo heidelbergensis (ca. 500.000 – 200.000 anni fa) e Homo antecessor (1,3 milioni di anni fa). Anche ad Atapuerca vi sono crani asportati dal resto del corpo e le ossa occipitali di sei individui riportano strane incisioni. Si tratta di reperti alquanto inquietanti, che risalgono a circa 350.000 anni fa. L’antropologo tedesco Günter Bräuer osserva: «È fuori discussione che le ossa umane siano state spesso manipolate. A partire dall’uomo di Pechino fino a tempi più recenti, i crani venivano aperti, le ossa raschiate e la carne cucinata. Ma a quale scopo? Non è possibile provare che le salme venissero mangiate»...(omissis). E ancora: « Il cranio umano rivestiva nelle cerimonie funebri particolare importanza per gli uomini del Paleolitico,al punto che si sviluppò un vero e proprio culto dei crani». L’elenco riportato dall’antropologo nel suo studio è lungo e dettagliato, spazia dalle nebbie del Paleolitico sino al Medioevo. Da Atapuerca in Spagna (Homo heidelbergensis) a Bilzingsleben in Germania (Homo acheulano), a Krapina in Croazia (Homo neandertal), a Predmosti nella Repubblica Ceca (Homo sapiens). In quest’ultimo giacimento paleolitico è stata scoperta nel 1984 una tomba con sepoltura multipla del Gravettiano (ca. 26.000 anni fa). In una fossa giacevano i resti scheletrici di 30 individui coperti da ossa di mammut: si trattava con molta evidenza di frammenti dei loro crani. Se dal Gravettiano ci si sposta in avanti nel tempo, fino alle tombe della cultura natufiana, che probabilmente fu l’antenata di tutte le culture neolitiche della regione, ritenute le più antiche del mondo, rimane impossibile tralasciare i crani di Gerico. Innanzittutto va detto che la cultura di Natuf si sviluppò in Israele in un periodo che va dal XI al IX millennio a.C., e che queste genti dovevano aver venerato in particolar modo i crani dei defunti. Li asportavano dal resto del corpo e li modellavano. Dopo che il processo di scarnificazione era giunto al termine, i crani venivano accuratamente ripuliti e raschiati. Quindi si ricostruivano i tratti somatici del morto, ricoprendo il cranio con uno strato di fango o gesso.
Spesso al posto degli occhi erano inserite delle conchiglie: «Se veramente cannibalismo c’è stato – e sottolineo il se –, di certo vi era una componente sacra in queste azioni, forse il desiderio di portare i cari defunti con sé, dentro di sé, di renderli parte di se stessi.». (“Kannibalismus: Uraltes Erbe oder Mythos?” in: Durand,op.cit.) Per concludere, desidero infine inserire un’eccezionale scoperta, relativa al “Cranio di Bodo”. Per molti versi, il cranio rinvenuto a Bodo, in Etiopia, databile tra i 50.000 e 20.000 anni fa, con tutte le sue probabili tracce di scarnificazione, rappresenta un documento di straordinaria importanza. Il cranio di Bodo si evidenzia per un certo numero di segni di taglio nel cranio facciale e nucale, causati da utensili di pietra. E’ possibile si tratti di un distacco intenzionale dalla colonna vertebrale. In questa sia pur limitata manipolazione di un cranio umano del Paleolitico inferiore, si potrebbe rintracciare una prova che anche l’Homo erectus cominciò ad avere, in qualche momento della sua lunga storia, un’attenzione verso qualcosa che non consisteva nell’immediata soddisfazione del vivere quotidiano. La quantità di crani e di mandibole di Homo erectus presenti nella grotta, di gran lunga sovrabbondante rispetto alla pressoché assoluta mancanza di altre parti anatomiche, poteva spiegarsi solo supponendo un’introduzione intenzionale nella grotta di questi resti. Quattro dei crani mostravano fratture tali da far presupporre il proposito di raggiungere la massa cerebrale. Secondo Frédéric Marie Bergounioux, tali resti documenterebbero pratiche rituali complesse, per cui gli stessi crani sarebbero stati staccati dai corpi, diventando oggetto di pratiche di antropofagia rituale. Anomalie dovute a mutilazioni intenzionali furono anche riscontrate in alcuni crani fossili europei di epoca pre würmiana. Tra questi ricordiamo: il cranio di Stenheim, rinvenuto vicino a Stoccarda in Germania, nel quale Alberto Carlo Blanc credette di notare una mutilazione intenzionale dell’area temporale destra; il cranio di Ehringsdorf rinvenuto nelle cave Ehringsdorf lungo il fiume Ilm a circa 2,4 Km da Weimar in Germania (databile tra i 150.000 -180.000 anni fa); il cranio rinvenuto nella Grotta di Fontéchevade nel dipartimento francese della Charente, poco a sudest di La Rochefoucauld, a proposito del quale l’anatomista Henry Valloys così affermava nel 1961: « La calotta cranica di Fontéchevade (cranio n° 2) mostra sulla regione occipitale tracce di un violento colpo, che sembra essere stato inferto prima della morte». Tutti questi reperti comunque concorrono a sollevare la legittima ipotesi su come le abitudini derivate dal consumo cannibalico di tipo alimentare, quasi sicuramente motivato dall’originaria spinta necrofagica a determinante filogenetica, siano scomparse in età molto remote del processo di ominazione, probabilmente sostituite dai primi arcaici e progressivi tentativi di cannibalismo ritualizzato. Desidero terminare questa monotona ma necessaria documentazione con un’ultima informazione collaterale, indubbiamente accertata: a tutt’oggi, nel Sud Est Asiatico, rimane immutata l’usanza di mangiare, sia pur pagando prezzi esorbitanti, il cervello appena scoperchiato di una scimmia ancora viva. Usanza che, apparentemente, ha percorso tutto il processo di ominazione, dal nostro remoto passato di predatori carnivori necrofagi, cioè consumatori di cadaveri, fino all’epoca contemporanea.
3° Ghiandole e secreti
«Sono fermamente convinto che in qualche luogo, nel cervello, esista una molecola spirituale che origini o alimenti il misticismo e altri stati modificati di coscienza endogeni» (R.J. Strassman). Tuttavia una prova pressoché decisiva proviene dall’analisi di resti umani ritrovati intorno agli anni ’20 del secolo scorso, nella grotta di Gough, regione inglese del Somerset, databili tra il 12.500 – 12.000 a.C. L’esame ha rivelato prove di pratiche quasi inconfutabili legate al cannibalismo, come scarnificazione, disarticolazione, masticazione, schiacciamento di tessuto osseo spugnoso e di estrazione del midollo da ossa spezzate. Vi sono anche segni di denti su molte ossa post-craniali, rinforzando di molto l’ipotesi che nel Neandertal S. appaia il cannibalismo ritualizzato e prosegua nel Sapiens S. fino almeno a 13.000 anni fa, epoca in cui in Estremo Oriente i Raccoglitori si erano già trasformati in coltivatori (risaie thai) e i Mesopotamici iniziavano a seminare cereali. Il midollo osseo, vera panacea alimentare, è sostanzialmente composto da un tessuto molle che occupa i canali delle ossa lunghe e la fascia centrale delle ossa piatte. È formato da uno stroma (midollo osseo giallo) e da un parenchima emopoietico rappresentato dagli elementi precursori delle cellule ematiche (cellule staminali emopoietiche). Alcuni ricercatori sono convinti che la predazione del midollo osseo, già ben presente in filogenesi animale e negli ominidi saprofagi, sia all’origine di tutte le pratiche necrofagiche del Sapiens. Alla base dell’encefalo dei Mammiferi, risiede, tra l’altro, la ghiandola pineale. Tale ghiandola si situa direttamente sopra un passaggio cruciale per il Liquido cerebrospinale (CSF.) e pertanto può influenzare il resto del cervello attraverso la circolazione del fluido cerebrorachideo, essendo in grado di secernere quantità variabili di DMT. Evidenzio immediatamente che La N,N-dimetiltriptammina (N,N-DMT o DMT) è una triptammina psicoattiva endogena molto attiva, presente in moltissime piante ma con massima concentrazione nel ‘Liquor’ (fluido cerebrospinale) dei Primati e quindi degli esseri umani, in grado di produrre effetti espansivi della coscienza e/o esaltare spiccate alterazioni sensoriali. Attualmente, la DMT sintetica è una molecola illegale inserita nelle tabelle internazionali degli stupefacenti severamente proibiti e delle sostanze psicotrope, pertanto la sua assunzione è vietata dalla Legge. Ma il fatto paradossale è che questa sostanza, nonostante il severo divieto di assimilazione, è già presente nel sistema somatopsichico di ogni essere umano.
Come detto, viene prodotta dall’epifisi (corpo pineale); in particolar modo i suoi effetti si scatenano maggiormente durante la fase REM del sonno-sogno o quando sperimentiamo i cosiddetti sogni “lucidi”: a questi stadi significa che nel sangue la molecola è presente in quantità più elevate del normale. Rimane presente nel corpo umano per un periodo non più lungo di cinque minuti, e può esserne rilevato il passaggio attraverso l’analisi del fluido cerebrospinale.
Per comprendere le ragioni per le quali tutti noi, chi più e chi meno, siamo sotto l’effetto di questa sostanza durante le nostre notti “movimentate”, solitamente tra le 3 e le 4 del mattino, occorre spiegare che la sua sintesi avviene mediante l’assunzione quotidiana di un amminoacido essenziale, il Triptofano, il quale è presente in quantità variabili in tutti i cibi di uso comune, come la carne, il formaggio, il vino o le uova. Tuttavia, l’alimento principe in grado di stimolarne maggiormente la produzione è, ovviamente, il “cibo azteco degli Dei”, ossia il cacao puro. Il Triptofano interagisce con la Serotonina (5-idrossitriptamina o 5-HT), e dall’unione di questa interazione vi è una sintesi maggiore di Melatonina, la quale a sua volta muta in una molecola dalla forma assai più caratteristica, la Pinolina, e dalla Pinolina alla DMT. Difficile credere che la DMT possa essere considerata una sostanza così impietosamente illegale quando i bambini, durante il periodo del parto, ne hanno il sangue completamente saturo, mentre nel feto la ghiandola pineale si sviluppa a partire da un tessuto specializzato nel palato, per migrare verso il centro del cervello. Questo forse perché sia la ghiandola pineale che il tratto intestinale producono serotonina. Evidenzio come, secondo Strassman, la DMT sarebbe la molecola che permetterebbe allo Spirito di fare il suo ingresso nel corpo umano (cfr. tutte le diatribe storiche a proposito del momento in cui l’anima entrerebbe nel feto).
Da segnalare che oltre alla melatonina, la pineale secerne molti altri peptidi neuro attivi. La melatonina per di più ha una struttura molto simile a quella dell’LSD, ma è una sostanza con spiccate proprietà antiossidanti.
La ghiandola pineale produce sia melatonina che serotonina. La più alta densità di ricettori di melatonina si riscontra nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo, nella parte anteriore della pituitaria e nella retina. Da mettere in risalto il fatto che la melatonina è un ormone che trasmette informazioni sulla luce e coinvolge molti ritmi biologici, compresi i cicli di sonno-veglia e quelli riproduttivi. In particolare, la ghiandola pineale possiede dunque una specifica abilità di foto- trasduttore ed è il motivo per cui molti filosofi occidentali, da Pitagora 5 a Descartes, e orientali (Veda), la definirono “terzo occhio”; tale predisposizione curiosamente può produrre in specifiche condizioni psicofisiche, una luce interna talora molto luminosa. Con ogni probabilità, le allucinosi e le illusioni ottiche legate al suo funzionamento sono alla base di tutta la variegata mitologia che da sempre le viene associata, ivi compreso il celeberrimo “Bardo” tibetano, ossia quello stato intermedio della mente che si situa tra la vita e la morte, che si attiva spontaneamente e pertanto non necessariamente provocato da sostanze psicoattive assunte dall’esterno.Vale a dire lo stadio che si ingenera quando la coscienza viene separata dal corpo. Secondo la pratica dei tre Kaya, Il bardo rappresenta lo stato tra la vita passata e quella futura che precede alla reincarnazione. Durante questa esperienza, la mente acquisisce una conformazione psichica molto simile a quello del sogno ed ha il potere di raggiungere qualsiasi luogo, in qualsiasi momento senza alcun ostacolo (cfr.: Il “Libro Tibetano dei morti”).
Raffigurazioni plastiche variabilmente complesse della pineale appaiono agli albori della Civiltà ma le conoscenze dei suoi poteri si distribuiscono lungo tutto il periodo che dal Paleolitico si muove al contemporaneo, mantenendosi ad esempio in moltissime rappresentazioni storiche, come quella veramente significativa che ricongiunge lo scettro di Osiris al bastone pastorale del pontefice cattolico. Ricordo un’informazione a mio avviso d’importanza fondamentale: la deaminazione ossidativa del tessuto cerebrale esposto è pressoché immediata (5 minuti al massimo). Nella mia ipotesi, sarebbe stata questa urgenza a sospingere il Sapiens verso le decapitazioni ritualizzate di umani, affinché lo sciamano ne potesse suggere immediatamente le proprietà inebrianti del CSF e del sistema pineale/ pituitario, per giungere infine all’estasi: la macellazione di un bovide o un equide avrebbe infatti comportato tempi di molto più lunghi e ossidativi a causa della struttura anatomica e ossea, mentre quella di mammiferi inferiori non avrebbe assicurato un adeguato livello di sostanze psicoattive. La stessa ragione che inciterebbe il Sapiens moderno a ingerire cervello di scimmia viva, usanza un tempo diffusa in tutta l’Asia meridionale e oggi fruibile soltanto dai miliardari di Hong Kong o Canton, nei casi di decadimento della Rimozione.
In ultima analisi, mi appoggio sulla direttrice messa in evidenza da Samorini tramite il “Mito dell’origine dei vegetali mediante sacrificio umano“, parafrasandola per formulare compiutamente la mia personale prospettiva ipotetica: «quando la rimozione inibì massicciamente l’abitudine al cannibalismo rituale, si sviluppò un ulteriore rifiorire dell’interesse verso i principi inebrianti delle piante, interesse che d’altra parte non fu mai sopito ma solo parzialmente surrogato mediante gli psicostimolanti umani». Difatti, se si considera quanto scrive G.Samorini in: “Le origini dell’iboga”: «In diversi racconti e sermoni buitisti, l’iboga è considerata un dono di Dio fatto agli uomini – più specificatamente alla razza nera – ai tempi primordiali dell’origine dell’umanità. L’uomo Nero continuava a fare una vita peccaminosa e per questo motivo nessun nero raggiungeva il Paradiso; allora Dio, impietositosi, fece dono dell’iboga ai neri affinché questi ritrovassero la retta via». Essendo l’ibogaina un blando allucinogeno, essendo la razza nera la prima a comparire, quale potrebbe essere stato il peccato originale da cui redimersi per accedere al paradiso, se non la pratica antropofagica?
La dinamica dell’ipotesi che qui presento, contempla in tal modo un duplice passaggio nel processo di rimozione del Cannibalismo: la prima fase avrebbe comportato la trasformazione del cannibalismo alimentare istintuale in quello ritualizzato, sul quale sarebbe venuta ad esercitarsi la forza rimovente e il gravare dell’inibizione all’abitudine di mangiare propri simili. Il processo avrebbe contemplato un arco temporale di svariate centinaia di migliaia di anni (più di un milione, se si include l’Antecessor).
Per riassumere, dato che un gran numero di specie carnivore sono use a frantumare crani e ossa delle loro prede per nutrirsene 4, la filogenesi animale avrebbe pertanto spinto l’Homo verso l’ approvvigionamento e consumo di materia midollare e cerebrale, animale e umana, quantomeno di carcasse (quando il cervello è disidratato, ghiandola pituitaria e corpo pineale appaiono cristallini,). Accidentalmente, nel corso di tali pasti, si manifestò l’effetto psicoattivo ingenerato dalle molecole encefaliche di animali appena morti; non solo: molto probabilmente l’effetto inebriante dell’ingestione della ghiandola pineale ed altre sostanze psicoattive, era già stata esperita dai proto umani necrofagi.Tuttavia, lo stress ossidativo che deteriora Liquor ed ormoni in tempi molto rapidi, avrebbe, in una dinamica sviluppatasi per tentativi/errori, spostato col tempo l’interesse nella direzione di una materia cerebrale ingerita immediatamente dopo la macellazione. La ritualizzazione dei gesti in procedure quasi automatiche, avrebbe di molto ridotto i tempi di esecuzione, contrastando o annullando la deaminazione ossidativa. Sappiamo con sufficente chiarezza che i comportamenti organizzati sono molto più facili da rimuovere di quelli attivati istintualmente e tale azione rimovente sarebbe appunto iniziata col progredire dell’agricoltura: con la coltivazione di riso e cereali, l’uso delle sostanze inebrianti avrebbe ormai riguardato soltanto le sostanze vegetali e le divinità ad esse associate, sporadiche eccezioni a parte.
4° Il caos evolutivo
“Celui qui fait sans le temps, le temps fait sans lui“, G. de Montpassant (letteralmente: chi ignora il tempo viene dal tempo ignorato, cioè scompare).
È a questo punto che possiamo affermare che il Sapiens S. si stia estinguendo in funzione della sua illimitata ‘irritualità’, comportamentale, sociale, affettiva. Sono infatti profondamento convinto che ogni Ricercatore che si occupi del fenomeno di consumo di sostanze stupefacenti, non possa che concordare sul fatto che negli ultimi sessanta-settant’anni, si sia verificata una progressiva, rapida ed irreversibile disgregazione delle modalità cerimoniali che fin dalle origini hanno regolato l’uso delle sostanze psicoattive. A parte un gruppo relativamente ristretto di illuminati molto ben strutturati scientificamente e culturalmente, che si approcciano alle inebrianti per scopi essenzialmente sperimentali o conoscitivi, in definitiva per testare, saggiare e ampiare nuovi stati di coscienza, l’uso massificato dei prodotti psicotropi, quasi sempre sintetici, si è dilatato in quantità esponenziali micidiali, dilagando disordinatamente e infiltrandosi nella popolazione, anzitutto giovanile, unicamente al fine di provocare profondi, talora irreversibili, sconvolgimenti emozionali e psicoaffettivi. Un’appetenza smodata verso un piacere intenso e immediato, ripetuto senza regole e senza limite alcuno. In definitiva, si osserva come tutta una sequenza di comportamenti, abitudini e riti fortemente organizzati e finalizzati alla ricerca della “Spiritualità” – ovvero di quella Spiritualità degli Esordi, da intendersi proprio nel suo significato originario sciamanico, di contatto con entità sovrannaturali che guidano, rivelano, identificano, arrecano sollievo, conforto e consolazione, e talvolta guariscono l’Umano – sia stata rimpiazzata da una turbolenza caotica che si autoalimenta senza costrutto alcuno, se non la ripetizione sterile e assillante di un “tripp” o “sballo” fine a sé stesso. Infatti, fino almeno all’età medievale, e oltre, gli strati più umili della popolazione generale europea poterono accedere ai principi psicoattivi soltanto in seguito alle ‘prescrizioni’ dettate da sciamani, speziali, guaritori, streghe e stregoni ma senza ricorrere a pratiche di ‘automedicazione‘, che in altri continenti (Africa e Sud America) permangono a tutt’ora del tutto vietate. Umberto Sansoni 6 a tale proposito mi ha più volte ribadito a proposito della tradizione sciamanica -in particolare la consuetudine centroasiatica-, che il più reale e profondo legame con le entità psico immateriali, con le rivelazioni cosmogoniche o con semplici risultati terapeutici, sia spesso avvenuto in individui particolarmente ‘illuminati’ senza far ricorso a mediatori inebrianti, e che anzi, l’utilizzo di tali sostanze psicoattive sia stato da quest’ultimi repulso e giudicato in modo negativo se non spregevole.
Tuttavia, le prove documentali testimoniano quanto, mediamente, le sostanze psicotrope siano state funzionali all’evoluzione del Sapiens, costringendolo in una complessa attività cerimoniale di comportamenti rigidamente codificati, che sono sfociati in riti, che hanno ingenerato miti e poi culti e farmacopee che hanno permesso non solo la sopravvivenza ma l’impiantarsi di un Reale che è venuto progressivamente a costituirsi nel corso dei millenni. In altri termini, ogni sostanza stimolante è stata da sempre inquadrata in una sacralità minuziosamente regolamentata nel tempo e nello spazio, che, in ultima analisi, ne ha costantemente contrastato ogni abuso. In principio, fu la definizione di uno spazio/tempo ben preciso e specificato a permettere allo sciamano di travalicare i limiti spazio-temporali ed effettuare i propri viaggi esplorativi e apotropaici. L’avvicinamento a una droga deprivato dei propri confini naturali, quali percorsi iniziatici o vie sacre da attraversare con grande angustia, costituisce per tutta la Preistoria /Protostoria/Storia un ossimoro, un paradosso che conduce all’annichilimento: persino il celebre ‘vino forte’ biblico (cioè rinforzato con oppio, mandragola e altre spezie) si situava al centro di un cerimoniale religioso che ne sanciva l’invalicabile sacralità.
Attualmente, l’innarestabile divulgazione capillare dello stupefacente non più contenuto entro i propri vincoli spirituali, mistici o medicamentosi, si compie tramite semplice contagio diretto ed immediato, non supportato da nessun’altra motivazione se non la mera ricerca di un piacere istantaneo e morboso, morboso perchè indebolisce e deteriora la facoltà logico-astratte della popolazione che ne fa uso, costituita per almeno il 70% da individui in età preadolescenziale – adolescenziale e che si ritrova ad essere depauperata delle proprie capacità di ragionamento autonomo; si è pertanto costituita una massa di giovani con animo e pensiero ɑ– enteogenici, senza Olimpo e “privi del divino estraniarsi dalle normali regole di condotta” (Fedro 241d-257b).
Non posso intromettermi, perchè manco di competenze, nella diatriba relativa alla liberalizzazione legale, culturale, economica delle droghe, ma prendo in considerazione il loro scatenarsi fattivo, reale, che si attua quotidianamente tramite semplice contatto, contaminazione, o corruzione nelle scuole o nei luoghi di divertimento.
Essendo uno psicopatologo clinico, e avendo constatato direttamente su molti ragazzi i danni causati dall’uso ripetuto e continuativo di semplice cannabis, non posso che affermare che, se è vero per esempio che la marijuana non comporta in tutti i casi esplosioni psicotiche e/o allucinatorie, che si manifestano solo in alcuni soggetti particolarmente labili, se è vero che non sempre costituisce una fase di passaggio verso stupefacenti a maggior rischio, ma coinvolge soltanto una percentuale minore di osservazioni, è pur vero che ingenera senza eccezione effetti mentali debilitativi sulla memoria, sulle capacità di attenzione e concentrazione, e soprattutto sulle facoltà psicoaffettive di autocontrollo emozionale. Fattori che ostacolano, talvolta irrimediabilmente, gli iter scolastici. Come micropsicoanalista, non posso che constatare come l’immensa quantità di sostanze psicotrope d’infima qualità immesse quotidianamente nella nostra vita quotidiana, non possa che sommarsi a tutti gli altri fattori traumatici che destabilizzano ancor più profondamente il sistema intrapsichico del Sapiens Hallucinans attuale, aumentando esponenzialmente le turbolenze caotiche che deve tentare di presiedere e amministrare, senza soccombervi. Un’impresa ardua, dato che le potenzialità di assorbimento-neutralizzazione dell’entropia da parte del sistema non sono inesauiribili.
© Pierluigi Bolmida
Bibliografia:
– 1 G. Samorini: « Le piante magiche nella letteratura classica», Network.
– 2 Da «Enteogeno» di Psiconautica, Network.
– 3 G.Durand: «Le strutture archeologiche dell’immaginario» La Feltrinelli, Milano, 2006.
– 4 G.Samorini: «Animali che si drogano», Network: “Nella maggior parte dei casi, le droghe che hanno un effetto inebriante sull’uomo sono inebrianti anche per gli animali. Stando a quel poco che per ora conosciamo, si tratta principalmente di droghe vegetali: semi, nettare di fiori, foglie, radici, frutti fermentati, licheni, funghi; raramente le droghe sono fonti animali”.
– 5 Il libro dei segreti: Discorsi sul “Vigyana Bhairava tantra” di Osho: La quinta tecnica di respirazione riguarda “ l’attenzione tra le sopracciglia“: «lascia che la mente preceda il pensiero. Lascia che la forma si riempia con l’essenza del respiro fino alla sommità della testa e lì piova come luce». Questa tecnica ,di fatto indiana, riguarda shivanetra “il terzo occhio” di Shiva nel Tantra, ossia la ghiandola pineale. La quinta tecnica venne data in Egitto a Pitagora, che la riportò in Grecia e così divenne lo strumento di tutto ilmisticismo occidentale. cfr.: Giamblico: «Vita Pitagorica » .
– 6 U.Sansoni :«Convegno Art and shamanhood» , Varsavia 2011, Testo edito a Budapest-Varsavia- Torun, 2014.
Pier Luigi Bolmida, Specialista in Psicologia Clinica e Patologica, Università Paris V, Formatore in Psicodiagnosi presso le A.A/S.S./L.L. della Regione Piemonte
Nel 1976, in occasione del suo Dottorato di ricerca, partecipa come rorschachista all’équipe della Clinica S.Anne de Paris diretta dal Prof.Pichot alla messa a punto dei Sali di Litio per la cura delle Depressioni Unipolari
Viene nominato nel 1984 presso le U.S.L. di Torino come Formatore Responsabile di tutte le Équipes per la diagnosi dei disturbi mentali e tossicodipendenze
Nel 1986 introduce ufficialmente l’uso del Test di Rorschach in Psichiatria forense, dove verrà regolarmente utilizzato nei casi di separazione legale, abusi e violenze su Adulti e Minori, e nella valutazione precoce del pericolo di Tossicomania in soggetti pre-adolescenti e adolescenti.
Il Dott. Bolmida si è spento a Torino nel dicembre 2020