Sommario
A proposito del mantenimento di un benessere: riflessione sulle nevrosi di fallimento e di destino trattate in analisi e cenni di osservazione in arte
(parte prima)
“Il ricordo apre un varco temporale, allaga di luce lo spazio.(…) Confido nel risveglio di cuori induriti dal proprio vantaggio…”
(Enza Prunotto, 2012, per: ISRAT, Istituto storico della Resistenza)
In precedenti lavori, ho discusso il tema dell’integrazione, nella struttura di personalità, dell’alleanza vita-creatività con guadagno di uno stato di benessere. Questo processo, osservato in analisi avanzate, avvezze alla disattivazione conflittuale-traumatica, all’elaborazione del lutto e accettazione del vuoto che ne subentra, è stato seguito fino alla generalizzazione nella vita di realtà, tenendo conto che, fuor di elegia, anche il benessere è una condizione psicobiologica oscillante, bisognosa di rispetto e attenzione fino al raggiungimento di un’autonomia di funzionamento che naturalizzi il tendere al tessersi e al conservarsi di tale informazione. Peraltro, l’attenzione al benessere è oggi nelle finalità di un comune agire scientifico che valorizzi la multidisciplinarità dove si inserisce quella psicoanalisi che affianca al conflitto, l’attenzione alla sinergia e relazione.
Per quanto mi riguarda, come ho detto altre volte, prima di una vera e propria elaborazione teorica sul benessere dato da una creatività appagante, per un lungo tempo è stato un agire istintivo in mancanza di una modellistica al riguardo. Gradatamente, questa si è poi costruita, anche insieme al collega Daniel Lysek, a partire dal presupposto che le teorie, persino quelle forti, non sono chiese o superstizioni che non prevedono confronto, come viene ribadito in qualche contesto psicoanalitico contemporaneo che accetta l’esistenza di “molte psicoanalisi” per una confrontazione e vicendevole arricchimento. Ne avevamo riflettuto nel capitolo 4: “La sinergia” (pp. 123-150), che condensa l’ossatura teorica, anche metapsicologica, di Creatività benessere (2007/8), con l’indicazione di un continuum che va: “Dal conflitto alla sinergia vuoto-informazioni di benessere” (pp. 134-141). Sottintendendo la “creatività un’evoluzione dalla passività all’attività (…) da automatismi difensivi a una dinamica di elaborazione” (p. 95), le manifestazioni, osservate in seduta come fenomeni di “creatività benessere”, si generalizzano nella vita reale che va nel senso dell’incontro.
Con dati alla mano, passo ora a considerare il mantenimento di un tendere al benessere creativo, elaborandone ulteriormente la consapevolezza via via presentata 1 in lavori ed esemplificazioni cliniche.
Tenterò di riepilogare un argomento su cui ho lavorato e riflettuto negli anni, procedendo in sintonia con Autori sentiti ricchezza. E poiché si è trattato di una tappa a lungo respiro con miriadi di dati da indagare e riordinare, considero l’insistenza su qualche punto un aiuto al forgiarsi della rappresentazione che, fuor di parola, ho condensato in questa immagine fotografica di c. reger: l’incontro tra una casa in rovina e la natura che penetra comunque la situazione…
Restiamo sulla consapevolezza: secondo lo studio fattone, tale acquisizione si origina anzitutto da un certo interesse, anche, per quegli adattamenti post-conflittuali, scaturiti dall’“elaborazione e ricombinazione” (pp. 48-53), avvenuta nel preconscio, di tracce di benessere slatentizzatesi con residui di rimossi disattivati. Il dare considerazione, anche, agli “affetti vitali”, dicendola con Daniel Stern (1985), nelle loro infinite opportunità di combinazioni creative mi è stato particolarmente utile lavorando con pazienti ad alto indice di congelamento affettivo di matrice ossessiva filogenetica. Com’è risaputo, qui, il movimento è praticamente bloccato e la dinamica pulsionale creativa e vitale assai scarsa, mentre imperversano invece gli aspetti distruttivi o di stasi di cui ho tentato di contrastare, nel corso degli anni, la tendenza psicopatologica a cronicizzarsi, utilizzando la nostra modellistica sul Benessere.
Ora, per meglio discutere la dinamica di resistenza/facilitazione, riguardo al mantenimento di un’attitudine al benessere, ho pensato di osservarla proprio in situazioni blindatissime in tal senso: due varianti nosologiche della nevrosi ossessiva: “nevrosi di fallimento e di destino”: “stati conflittuali di tipo ossessivo in cui la coazione a ripetere conduce a un perenne insuccesso autopunitivo (def. n 428, p. 186, Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi) e a un’inesorabile catena di disgrazie” (def. n. 429, p. 186). Spesso ho trovato le due modalità ossessive espresse in un intreccio di vissuti/rivissuti: una situazione-matrice, diventata una sfaccettatura dell’Immagine (in micropsicoanalisi), costringe inconsciamente a ripetere in modo coatto esperienze spiacevoli, familiarmente tipiche e, nell’altro versante, le esperienze piacevoli o non decollano proprio o vengono solo iniziate. Quindi né portate a termine né tanto meno mantenute. A proposito del destino, di più difficile comprensione del fallimento o dello scacco, ho trovato un’affascinante Conferenza, tenuta a Montreal 1998 dallo psicoanalista Maurizio Balsamo, docente di psicopatologia all’Università di Parigi. Ad esempio, disquisendo sul destino e sulla nevrosi di destino 2 (2001), afferma: “Pontalis (…) ci ha avvertiti della necessità di far tacere il destino perché una storia possa cominciare”, senza considerarla “intrattabile”. La “parola analitica”, quindi, per uscire dal destino, nella sua “doppia valenza di filo – perturbante – che tiene insieme più generazioni” e di variabile che interrompe un percorso, fuori da un determinismo. A noi qui interessa la nevrosi di destino e non il destino che, in quanto tale èinconoscibile per l’infinita possibilità di incontri interno-esterno. In analisi, ciò che importa è il grado di plasticità delle sfaccettature dell’Immagine, nelle sue componenti conflittuali/traumatiche e, nel nuovo modo di intendere (G.&L., 2007), di benessere. Ci interessa allora verificare se si possa, in analisi, ridare movimento anche a certi destini dati che, per coazione a ripetere filogenetica, producono storie che non sono state scritte dal protagonista della sua analisi. Ci interessa quel tentativo di scrivere una storia propria, anche solo un po’ diversa da quella familiare, capace di oltrepassare, ad esempio, il peso di un nome ricevuto che, risuonando dal profondo la storia di un antenato o di un familiare morto (genitore, fratello…) esprime un lutto inelaborato e diventa quindi, da una parte, un desiderio altrui, neanche tanto celato, di risarcimento e, dall’altra, la rappresentazione di un blocco affettivo, comunicativo, creativo in generale: “Nell’armadio, ancor oggi, Aurora ha conservato un nastro funebre (…)”. Si apre così la relazione di Balsamo (1998): “Il destino. Un resto della psicoanalisi”: il nome di una “donna amata dal padre” che ha poi sposato la sorella, porta l’analizzata ad indossare “le vesti di un’Aurora morta (…), per poter ricevere lo sguardo amoroso del padre…”. Quanti ricordi anch’io di persone che hanno portato in analisi il disagio per l’identificazione con il familiare o l’antenato sfortunato di cui avevano ricevuto il nome: un pugno stabile nello stomaco.
Di qui il mio nuovo tentativo, diventato, nel tempo, un personale impegno contro il muro dell’irreversibilità, sofferto scontro con “mulini a vento”. E mi sono a lungo interrogata se quel destino di ripetizione coatta, con l’immersione nel processo di “elaborazione ricombinativa” che porta infine ad accettare il permanere di qualche rivolo di distruttività con la coesistenza di aspetti più legati alla vita e alla creazione, avrebbe potuto trasformarsi anch’esso in un’esistenza più tollerabile, lasciandosi definitivamente alle spalle l’imperativo a riprodursi. Cioè, assodata certa possibilità di trasformazione stabile, la si sarebbe potuta ottenere anche in quegli stati tendenti a tornare sui propri passi? Anni di lavoro in questo senso in un Fort/da (Freud, 1920) sfiancante.
“Perenne e inesorabile”: due qualità, si diceva, in letteratura legate alla distruttività della coazione a ripetere, filogenetica: in situazioni di intenso disagio anche per l’analista, gli analizzati ripetono inconsciamente esperienze di antenati o familiari, come schemi appresi o rimossi. Con la riattualizzazione, nella relazione analitica, di questi antichi temi (in toto o in qualche elemento della situazione), l’elaborazione dei rivissuti può intanto fornire un certo grado di distensione perché tale scoperta che tocca l’identità, apporta un vissuto di appartenenza. E questo, dopo molto isolamento, è già un benessere!
Tuttavia, nonostante tali riattualizzazioni in qualche momento di transfert, la resistenza continua ad essere protagonista. E rimando all’illuminante lavoro del nostro maestro Nicola Peluffo (1998), “Appunti sulle resistenze”: “Le resistenze (…) vantaggio della malattia, senso inconscio della colpa, resistenza di rimozione… (…) impediscono il ritorno del rimosso, la rievocazione e il passaggio al conscio, la rielaborazione e la presa di coscienza.(…). La parola tedesca usata da Freud per resistenza è Widerstand in cui Wider significa contro (…) fermo in piedi contro l’oggetto, cioè opporsi.”. Fermi e guardinghi allora, guardando a vista la staticità, a costo di bluffare, portando in seduta apparenze buone che mantengono “l’immobilismo in famiglia o in società come benefici secondari della nevrosi, legati al narcisismo primario”. In questo modo, conclude Peluffo, angosce rimosse non analizzate, conserveranno “le manifestazioni della nevrosi di destino, che continuerà “nella vita quotidiana, generazione dopo generazione”. Ci vuole neutralità e pazienza nell’analista che può solo contare sulla sua formazione. Nella mia osservazione, ho rilevato una doppia resistenza: da una parte, la generalizzazione della distensione provata in seduta, viene frenata e… allora si torna indietro, dall’altra, non ne viene accettata nemmeno la consapevolezza e… allora si dimentica, si nega, si annulla. Con questa chiarezza, ho seguito analisi e approfondimenti con il protagonismo di un gioco del rocchetto come fluttuazione ossessiva “trattenere-espellere”, “dinamica delucidata dapprima da E. Jones e poi approfondita da N. Peluffo” (Bolmida, 2010).
I materiali di cui sto parlando, raccolti nel tempo, riguardano la quota di distruttività inconscia che si esprime in un attuale che affonda le sue radici in terreni familiari portati al fallimento o a sorta di destini nefandi che impediscono quel vivere soddisfacente in cui le esperienze si elaborano fino a completarsi. Tali strutture implicano nuclei sadomasochistici. In un’ottica di trasformazione, possiamo riferirci a “tentativi interrottisi” che premono nello psichismo per scaricarsi energeticamente ma che, per questa impossibilità, soffiano come serpenti velenosi, costringendo la persona inconsapevole a non fidarsi/affidarsi mai del tutto come difesa remunerativa contro il pericolo di fagocitamento. Così, ho esplorato in profondità la difficoltà ad uscire definitivamente da certo sadomasochismo, vale a dire, dalla fedeltà alla distruttività di “uno stare male per un inconscio godimento”. E’ questo ad impedire l’imporsi di tentativi più sani, legati alla vita al desiderio possibile al movimento costruttivo, secondo la logica di un sano e vitale principio di realtà, verso una creatività naturale e appagante. In analisi avanzate, o in quel momento credute terminate, dopo aver circoscritto, nei due movimenti di discesa e risalita, la fluttuazione creativa di tali situazioni classicamente di difficile soluzione, ne ho riconsiderate le manifestazioni psicobiologiche appaganti nel senso della relazione, oltre che della distensione.
I dati sono tratti da una serie di “psicoanalisi intensive” (interessante, condivisibile conio di Quirino Zangrilli, 2005), proprie della micropsicoanalisi, con la nostra (G.&L., 2007) teorizzazione sul Benessere su cui ho agganciato riflessioni ed esperienze personali. Ne è nata un’interessante occasione di studio, frazionato in tre lavori. Nel primo, in occasione di un Convegno IIM (2012, Atti previsti, a cura di Luigi Baldari), ho indicato 11 punti, osservati agire comunemente nella mia conduzione di analisi con tale tipologia, prima che l’abitudine a dirigersi verso un benessere, possa ridiventare naturale, almeno secondo i miei dati. Ne ho poi scritto (2013) in un lavoro sull’artista ebrea Charlotte Salomon (1917-1943) che, con un destino familiare (sette suicidi nel corso di tre generazioni) ma anche con soddisfacenti esperienze infantili, prima di cadere vittima dell’Olocausto (“incontro tra destino di famiglia e trama sociale distruttiva” (pp. 44-53), esce da una acuta depressione (di possibile compiacenza filogenetica): dipinge, ama, riamata e inizia una gravidanza. Un’ondata espressiva e vitale che attraversa anima e corpo ma che, per il discorso in oggetto, non ci è dato sapere se si sarebbe mantenuta “senza o nonostante l’olocausto” (p. 49).
Nelle strutture in oggetto, sempre secondo la mia esperienza, è possibile osservare l’oscillazione del processo di mantenimento di tale informazione raggiunta (perché sperimentata nvolte, in analisi e nella vita reale) attraverso un graduale continuo rievidenziarsi, in momenti di transfert, di nuovi, ulteriori impulsi aggressivi che, camuffati da tratti caratteriali, possono penetrare fino a certi “segreti” di famiglia, incistati nel rimosso. Nuclei di sofferenza, quindi, che vanno toccati a piccole dosi per bilanciare la spinta alla fuga e permettere invece il movimento di elaborazione di ciò che succede… dopo. Insomma, la verifica della stabilizzazione di un benessere o quantomeno della tendenza a muoversi nel senso di un appagamento avviene gradatamente in un follow-up periodico, sempre più distanziato che, alla fine, può anche servire a valutare la riuscita di un intervento psicoterapeutico a lungo raggio che includa anche tale acquisizione e la verifica del suo mantenimento. Gli psicoanalisti conoscono la “necessità di mantenere un contatto prolungato negli anni. Un vincolo che possa, ne scrive Balsamo (1999) se non sostituire la roccia originaria, quanto meno porsi accanto ad essa.”. Dal canto mio, dò un peso ulteriore a quel “porsi accanto”: una sorta di rigenerazione resa possibile da quel processo chiamato “elaborazione ricombinativa” che condensa tracce antiche di elementi distruttivi con elementi nuovi, vitali e creativi.
Ora, in micropsicoanalisi, abbiamo uno strumento eccellente, le “sedute di mantenimento” (Def. n.13, p. 18) per “sostenere o amplificare la rielaborazione”, durante la sedimentazione da periodi intensi di lavoro o dopo la stessa analisi, o “sedute di richiamo (Def. 14 p. 18), “in qualsiasi momento della vita come prolungamenti o approfondimenti” dell’analisi personale. Le ho utilizzate qui per meglio lasciar agire tale processo. Quando possiamo contare sulla seduta lunga (Lysek, 2007), possiamo seguire tutti i passaggi della resistenza e trasformazione, sia all’interno dell’analisi sia in sedute di mantenimento o approfondimento.
In sintesi, per quanto riguarda la difficoltà a conservare l’informazione del benessere in questa tipologia di analisi, ciò che ho trovato comune è, anzitutto, una resistenza che si propaga imperterrita e impunita con uno stesso tentativo di cancellazione: da una seduta all’altra, dopo una sospensione di qualche giorno (fini settimana, festività…), o di mesi (vacanze, malattie…) ma anche dopo periodi di sedimentazione (durante l’analisi o alla fine o supposta tale). L’analista, pur consapevole della peculiarità dell’oscillazione avverte controtransferalmente disagio e impotenza: l’elaborazione avvenuta nei confronti di un benessere, effettivamente esperito, non si conserva. In realtà, oggi lo so, ciò non è del tutto vero come racconta chi è riuscito a scongelarsi: “sentivo tutto ma non mi decidevo a… farla contenta… anche per non rischiare la fine effettiva dell’analisi!”
Finalmente, dopo molta osservazione, riflessione e tentativi, rielaborandone mille volte i dati, ho imparato a seguire il fenomeno, ogni volta, nella sua peculiarità di continuum o coesistenza di più motivi. Quante volte, allora, ho visto certe riattualizzazioni residuali di quanti di aggressività rimossa, negata o di difficile accettazione evolversi o convivere con atti di amicalità, simpatia e condivisione con l’analista, con l’esperienza in corso e con la ricerca di cui è impregnato lo stesso campo analitico che va nel senso dell’alleanza. Un esempio della coesistenza dei due aspetti da un rappel di una persona che vive già una buona vita dopo l’analisi: “un iniziale bouquet di fiori per condividere in amicizia la primavera” e un successivo impulso aggressivo in un’eco di rievocazione di un tema genealogico e attuale di prevaricazione, abbondantemente esplorato nell’analisi: “in questo momento, se non avessi dovuto proteggerla dalla mia aggressività le avrei dato quel calcio destinato ai miei genitori… così come quei miei antenati non si erano opposti alle violenze subite.”. Dunque echi di materiali conflittuali/traumatici, elaborati e ricombinatisi con altri di benessere: ciò va capito, rispettato e accompagnato. Dai dati a mia disposizione, attivandosi un’elaborazione continua, il farsi incessante del processo creatore tra la disattivazione della parte distruttiva della pulsione di morte-di vita e l’affiorare o il tessersi di tracce di benessere porta a un potenziamento della vitalità creativa anche in strutture mortificate dall’isolamento. Il conforto è sapere che la vita intanto si svolge e qualcosa di positivo può rimanere e diventare ricordo da evidenziare e rimandare.
Il benessere in arte e in analisi: diversità di verifica, rispetto al mantenimento.
E ora un inserimento artistico (bibliografia solo in nota 3). Durante lo studio della presenza di nuclei vitali attivabili in analisi e della difficoltà a conservarne tale guadagno, ho incontrato qualche espressione di “creatività benessere” (G.&L., 2007, pp. 93-121) in manifestazioni artistiche collettive. 3
“Reti inconsce”, con il linguaggio attuale, di propagazione esponenziale di un benessere. Inoltre, imbattutami in tre artiste, ne ho colto una stessa riconversione energetica che ha potenziato l’intensità artistica e, in certi periodi, resa più soddisfacente la singola esistenza, come attestano certi documenti biografici ritrovati. Sono materiali importanti come quelli appena gustati nella preziosa collezione Netter (2013) su Amedeo Modigliani, Chaïm Soutine, Utrillo e la madre Suzanne Valadon e altri “Pittori maledetti”. Mancando anche i documenti, rimane l’opera che parla al fruitore come magistra vitae. Così, quando la vibrazione di un benessere inglobato in manifestazioni di arte rupestre tange l’osservatore, ciò può ipotizzarsi come “una traccia eterna e universale, legata ad esperienze di benessere che ci accomunano” (Gariglio, Lysek 2009, G.&L. e Rossi, 2011): abbiamo circostanziato 5 aree di stati naturali, ipotizzabili comuni all’essere umano. Anche la soddisfacente reinterpretazione in un Liceo Artistico di Alcune Madonne dei Della Robbia può diventare “sinergia di risorse che si incontrano e si confrontano”, con un guadagno di solidarietà sociale che colloca in un contesto transculturale il “benessere, come nuovo progetto di ricerca e statuto di distensione” (Gariglio, 2011). E un’ulteriore “testimonianza dell’esistenza di un potenziale inconscio di benessere latente, attivabile da tramiti in realtà socialmente molto difficili,” (Gariglio, 2012, pp. 28-30) può connotare il fenomeno Slum Symphony con le sue 157 orchestre e con relativi nuclei didattici per 300.000 bambini, dalle Ande all’Amazzonia… .
Per quanto riguarda le tre artiste incontrate mentre studiavo il dinamismo creativo/creatore in analisi e il suo processo di mantenimento, mi ha affascinato avervi individuato una comune, salutare relazione con certi nuclei di benessere presenti nelle storie personali e familiari. Anche qui, tale dialogo ha tolto protagonismo alla parte distruttiva della pulsione di morte-di vita, avviando la trasformazione di un destino di ripetizione coatta, talvolta di radice familiare. Così, nella pittura di Enza Prunotto, artista contemporanea, ho sentito (2010, pp. 23-31), provandone piacere, l’avvicendarsi di certe sfaccettature dell’Immagine da quelle traumatiche a quelle che rimandano ad immagini di armonia, mantenutasi nel tempo secondo il racconto della stessa artista dopo la scoperta, in un suo ramo familiare datato, della presenza di altri artisti. Qua, la ripresa espressiva di un “tentativo familiare”, rimasto silente per più generazioni diventa una traccia di benessere scongelata e può instradarsi in nuovi risvolti di vita che viene sentita più accattivante per l’unione con la spinta creativa (p. 25) al punto che, quando si ripresentano forme ancora offensive, legate “a traumi genealogici (…) memorie antiche, scaturite da traumi attuali che le fan riverberare, reincontrandone l’essenza dolorosa” (p. 24), queste sono sentite secondarie e non più degne di lacrime, rabbia… tensione, come racconta la stessa artista, presentando sue trasformazioni pittoriche in temi e modalità (pp. 30, 33). Tentativo riuscito o terminato!
In questo caso, “certe attività creatrici possono esprimere un nucleo filogenetico di benessere” (G.&L., 2007, p. 64) che riprende vigore di espressione. Come quello individuato (2012) in Artemisia Gentileschi di cui ho messo in luce “la coerenza di un percorso esistenziale/artistico-professionale” e l’aiuto ricevuto dalla presenza, nella sua storia, di tracce di benessere, familiari e infantili (in epistolari e scoperte recenti) che, nella mia lettura, fungendo da resilienza, avviano l’elaborazione ricombinativa, imponendosi alla vibrazione traumatica che ha caricato lo psichismo di Artemisia. E finisco (2013) con l’emozionante traccia di un benessere psicobiologico raggiunto dalla giovane, dolce Charlotte Salomon come indice di una possibile guarigione psiche e corpo…
Mi è piaciuto ritrovare anche in qualche attività artistica, nuclei di benessere comuni, agenti da richiamo di vita: “il sussurro dell’inconscio che si intuisce sempre nella creatività” (G. &L., 2007, p. 60), l’attivo impasto-disimpasto energetico-pulsionale-relazionale, intrapsichico e interpersonale, la correlazione, tra “esperienze di benessere e resilienza” (Gariglio, 2008-2013) e ancora, la reciprocità di un nutrimento, nel campo analitico o nel rapporto opera d’arte-fruitore, quando la trasformazione naviga tra perdite elaborate e nuclei di benessere riemersi dall’inconscio…
Finirei con quell’approdo comune, chiamato nel tempo, “nascita di un proprio originale”: la tessitura di un’identità nuova che tende ad esprimersi più nel senso della sinergia che del conflitto.
Generalizzando, indicherei un raggiungimento di distensione e appagamento, attraverso insight creativi ripetutisi che producono benessere: nell’artista, in giovani dal talento portato a galla da azioni educative mirate e nel campo analitico. Secondo quest’ottica, quando si manifestano tali esperienze appaganti, significa che certa vibrazione conflittuale-traumatica, disenergizzata è stata, in quel momento sicuramente, lasciata alle spalle. Così, in ogni manifestazione di “creatività benessere”, la creazione ha perso il carattere sintomatico e quello difensivo (sublimazione), secondo il modo di vedere classico, come abbiamo evidenziato con D. Lysek (2009). Creare ridiventa naturale come certa arte preistorica ci ha indicato (2009, 2011). La traccia di benessere esiste nell’esperienza umana come patrimonio comune da gustare, innanzitutto, nella quotidianità e, se la distruttività non è più prioritaria, può continuare, dopo l’analisi, ad auto allenarsi, o come abbiamo visto, ad esercitarsi nella relazione di transfert, in qualche seduta di approfondimento.
Rimaniamo nell’analisi. Sopra si parlava della “consapevolezza dell’analista”, come condicio sine qua non per dare attenzione ai nuclei di benessere latenti che, a forza di elaborarsi e ricombinarsi nel preconscio, naturalizzano l’abitudine alla disattivazione conflittuale/traumatica anche nelle nevrosi in oggetto. Via via, le nuove riattualizzazioni transferali e controtransferali di situazioni sinergiche, fuor di proiezione, diventano, ciascuna (nell’attuale mia risistematizzazione teorica), un nuovo imprinting, come spontaneo induttore associativo che accompagna la generalizzazione analisi-vita reale. E’ da qui che parte l’osservazione sul mantenimento di un benessere acquisito, vale a dire sull’interiorizzazione dell’abitudine ad instradarsi naturalmente nel senso della vita, dimostrando di aver conservato lo stato di soddisfazione esperito n volte, quantomeno come ricordo e quindi come consapevolezza di questa possibilità.
Allora, per il valore dato all’interazione vivifica e strutturalmente creativa, insieme al rilievo psicoanalitico di Davide Lopez e Salomon Resnik citati (ad es. 2011) sempre volentieri, richiamo tre pionieri mancati recentemente: lo psichiatra e psicoanalista argentino Jorge Garcia Badaracco che, lavorando con le famiglie del paziente, parla di “virtualità sana (…) rimasta prigioniera nella trama della patogenesi” (Badaracco & Narracci, 2011, p. 15), Rolando Toro Araneda, psicologo cileno che, lavorando presso l’Ospedale psichiatrico dell’Università di Santiago del Cile, nei primi anni sessanta, pone le basi teoriche (1999) della nozione psicobiologica di “vivencia (sensazione di essere vivi, qui e ora) nelle sue cinque linee: vitalità, sessualità, creatività, affettività e trascendenza” e il notissimo Daniel Stern, psicologo (Univ. di Ginevra) specializzato nell’infant research, psichiatra e psicoanalista statunitense che parla di “forme vitali” evidenziandole in psicologia, in arte, in psicoterapia e nello sviluppo (2010). Antonio Imbasciati (2013, p. 70) sintetizzandolo, scrive: “Per Stern (…) l’interazione (sintonizzazione affettiva) è veicolo di empatia, in una comunicazione tra inconsci che assume il valore di “agente terapeutico.” Nella seconda parte, esplorerò ancora un po’ l’attuale tendenza scientifica alla condivisione pluridisciplinare.
Daniela Gariglio ©
Bibliografia
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- Fanti S. (1983) Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi. Tr.it.Roma:Borla.
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- Gariglio D. (2012). “Dal non tempo della fissazione al tempo reale vitale e creativo: possibilità di evoluzioni cliniche”, XIV. Ed. Giornate Siciliane di Formazione micropsicoanalitica (SIM-IIM), Il tempo e l’inconscio, in Settimana Internazionale della Ricerca. Atti presumibili, Bollettino IIM, n. 41.
- Gariglio D. & Lysek D. (2007). Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi. Armando, Roma; L’Age d’Homme 2008.
- Gariglio D. & Lysek D. (2009). “Lo sviluppo della creatività: una possibile trasformazione dell’aggressività nel corso di una micropsicoanalisi”. Contributi scientifici IIM (micropsiconalisi.it), 23 novembre.
- Gariglio D. & Rossi P. (2011b). “L’Ibrido: una collaborazione psicoanalitico-archeologica alla ricerca di approdi comuni”. Anamorphosis, a cura di Wima Scategni e Stefano Cavalitto,Anno 9 n. 9, pp. 35-69.
- Imbasciati A. (2013).“Quale immagine della psicoanalisi?Il gap tra teoria e clinica”, gli Argonauti, n 136. Milano: CIS, pp. 71-80.
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- Prunotto E. (2013). “Io resisto perché…”. Partecipazione al Concorso indetto da Israt (Istituto storico della Resistenza) e Associazione Comunica di Asti.
- Reger C. (2013). c. reger “Lift to ATLANTIS – sulla rotta dell’Invisibile”- ©.Volume fotografico in edizione limitata. L’opera è stata presentata da VagArte , alla libreria A-ZETA, Torino, il 15 maggio, 2013.
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- Stern D. (2010). Le forme vitali. Tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2011.
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- Zangrilli Q. (2005). “Psicoanalisi: breve vademecum”. “Incontri di Psicoanalisi. Introduzione alla Psicoanalisi intensiva”, Convivium, Fiuggi, 27 marzo. Scienza e Psicoanalisi, 2010.
Sommario:
Il lavoro riferisce sulla possibilità di verificare il mantenimento di una disposizione psicobiologica al benessere, anche, nelle nevrosi di “fallimento e di destino”, trattate in psicoanalisi intensiva con la modellistica Gariglio & Lysek (2007). In un follow-up periodico e prolungato il processo di elaborazione ricombinativa si rinforza e naturalizza. Tale fenomeno viene osservato anche in qualche manifestazione artistica.
Note:
1 Per quanto riguarda il discorso generale sul raggiungimento di un benessere in un campo analitico con chiara rappresentazione del doppio “percorso: verso l’atto creatore e dell’atto creatore” (G.&L., pp. 29-33), rimando ad almeno tre miei lavori: in Scienza e Psicoanalisi, 2010,, “Parlando di creatività benessere, in particolare, nella relazione analitica”, inAnamorphosis, n. 8, 2010, “Insieme nella trasformazione” (pp. 33-42)e n. 9,2011 (pp. 35-55), “Associando liberamente sull’ibrido: dal conflitto alla trasformazione, come prodromo della nascita di ‘un proprio originale’, all’integrazione”, una collaborazione psicoanalitico-archeologica che cerca “approdi comuni” esplorando l’ibrido con materiali di analisi avanzate, trattate con la modellistica sul benessere. Ciò continua e va oltre la lettura classica centrata sulla “traccia del trauma” (rimando all’affascinante lavoro della collega Bruna Marzi, riassuntivo di altri: Siamo tutti degli ibridi?, 2011, Psicologia, Scienza e Psicoanalisi con l’ipotesi di una “rappresentazione del conflitto psicobiologico intrauterino” ).
3 Rimando eventuali interessati alle narrazioni artistiche dove ho rilevato nuclei di benessere, espressisi come sfaccettature dell’Immagine:
- Per certe immagini del Paleolitico, Lysek, Gariglio 2009, “L’attività creativa nella preistoria: un’espressione di tracce di benessere?, pubbl. in BCSP 36, 2010, pp. 61-70 e http://tinyurl.com/psicoanalisi45, Gariglio D., Lysek D., Rossi P., “Arte, comunicazione e benessere”. Osservatorio, Scienza e Psicoanalisi 14 ottobre 2011;
- per le Madonne dei Della Robbia, https://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/osservatorio/articoli/osserva1141.htm, Gariglio, “Identità e trasformazione. La tessitura di un ‘proprio originale’, presupposto di incontri adulti”, (vedi anche Giuliana Ravaschietto). Osservatorio, Scienza e Psicoanalisi 19 dicembre 2011;
- per SLUM SYMPHONY , idem, “La creatività individuale in amplificazione sociale. Un progetto artistico musicale su vasta scala”, a partire dalle favelas venezuelane, in Giornata seminariale, coordinata da Silvana G. Ceresa. Anamorphosis, a cura di W.Scategni e S. Cavalitto, n. 10, 2012, pp. 22-30;
- per Enza Prunotto, pittrice contemporanea (Arturin.it), idem,“Tracce di benessere e trasformazioni creative: un esempio di elaborazione riuscita del lutto in un iter pittorico di un tema sulla donna”. www.insiemecon.com/artepsicologiapiemonte, Arte e Psicologia, Diritto al cuore: percorsi di elaborazione del lutto tra arte e vita, Relaz. n. 5, 19 aprile 2010, pp. 1-24. Pubblicato anche in Anamorphosis n 8, 2010, pp. 14-42;
- per Artemisia Gentileschi, https://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/osservatorio/articoli/osserva1144.htm, idem,“Artemisia Gentileschi: donna e artista in coerenza di manifestazione”. Osservatorio, Scienza e Psicoanalisi 7 maggio, 2012;
- per Charlotte Salomon, idem, “La storia di Charlotte Salomon: un tentativo di oltrepassare una trama familiare di morte, nell’incontro con la distruttività dell’Olocausto”. Anamporphosis, n 11, maggio 2013, pp .44-53.
La Dott.ssa Daniela Gariglio, nata a Padova nel 1947, lavora a Torino come libera professionista, docente e scrittrice. Psicoanalista (Didatta SIM, Società Internazionale di Micropsicoanalisi), già Insegnante di Lettere di ruolo, è Psicologa-psicoterapeuta, iscritta all’Albo dal 1989, N. 412.
Formatasi in Psicodramma analitico (lacaniano-junghiano), Psicoterapia cognitivo-comportamentale, Autogena e Psicoterapie brevi a indirizzo psicodinamico, completa la sua formazione psicoanalitica individuale con il metodo micropsicoanalitico e la supervisione del Prof. Nicola Peluffo (docente Psicologia dinamica, Facoltà di Psicologia, Torino), integrando tali esperienze nell’attività di Consulenza/Formazione, nella docenza di Discipline psicologico-psicoterapeutiche in Specializzazioni Ministeriali Polivalenti (1983-1992) e nell’attività psicoanalitica preminente.
Studiosa delle potenzialità creatrici, osservate nel campo analitico e reale (cfr. “Creatività come benessere psicobiologico” (https://www.psicoanalisi.it/osservatorio/5930/), lo testimonia in lavori e libri (cfr. il primo, Dopo. L’energia per vivere, L’Autore libri, 1997, https://www.psicoanalisi.it/libri/3716/ ), anche ideando e realizzando la Collana “I Nuovi Tentativi”, Tirrenia Stampatori (1999-2002; cfr. 2000 https://www.psicoanalisi.it/libri/4558/). Sull’argomento, con il Dottor Daniel Lysek, scrive Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi (Armando, 2007, https://www.psicoanalisi.it/libri/3605/), approfondendone la modellistica in occasione di convegni/manifestazioni, recensioni e contributi in Riviste, tra cui: Bollettino IIM, a cura di Luigi Baldari, Psicoanalisi e Scienza, diretta dal Dottor Quirino Zangrilli, Anamorphosis (2009-2013) a cura di Wilma Scategni e Stefano Cavalitto,
Sempre in tal contesto, ha collaborato con International Association Fort Art And Psychology (Convegni, 2010-2011-2019), partecipato a 3 Convivium, a cura di Zangrilli, Alviani (2015-2017) ed evidenziato in psicoanalisi-archeologia le “tracce di benessere nell’arte preistorica” (Centro Camuno, Prof. Anati, Valcamonica Symposium 2009-2011, Gariglio, Lysek, Rossi) e nell’ “inesprimibile genealogico” (https://www.micropsicoanalisi.it/solitudine-elaborazione-dellinesprimibile-genealogico-e-creativita-una-conferma-in-max-guerout-e-gli-schiavi-sopravvissuti-a-tromelin/). Dal 2016, trasmette: “Creatività tra trauma resilienza e benessere” (“Micropsicoanalisi: teoria e tecnica”, corso diretto e coordinato Dott.ssa Bruna Marzi), in Corso di Specializzazione in psicoanalisi, psicoterapia psicoanalitica e consulenza psicoanalitica (Istituto Universitario di Psicoanalisi di Mosca, in collaborazione continua con IIM). Ha ideato (2017) e dirige la Collana Tracce di benessere ricombinate… (tbr) illustrata da Albertina Bollati, Araba Fenice (cfr. https://www.psicoanalisi.it/libri/7415/). In “Bibliografie dei Membri dell’IIM” (micropsicoanalisi.it), la progressione dei lavori.
Nel dibattito psicoanalitico contemporaneo, Gariglio ha tentato di mostrare che ragione e sentimento, esprimibili nella cultura scientifica e in quella umanistica, possono integrarsi creativamente.