– Recensione di Quirino Zangrilli, 1997, pubblicato nel Notiziario dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, p. 17.
Dopo: una successione di momenti, una discontinuità, un vettore, l’uscita dalla stasi. Se volessimo sottolineare quale è stato il contributo più rivoluzionario che Silvio Fanti, scoprendo la micropsicoanalisi, ha regalato all’umanità, molti di noi concorderebbero che la definizione della dinamica continuo-discontinuo Vuoto-oranizzazione energetica è stato il vero passo da gigante: poiché spostando il conflitto generatore della spinta al di fuori dell’essere umano, (per Freud la pulsione rimase sostanzialmente una richiesta che il soma poneva alla psiche) e cioè nella trama universale del Vuoto percorso da energia in statu nascendi, ha relativizzato i destini degli uomini e in definitiva, di tutto ciò che esiste. Se volessimo estremizzare il discorso, la nostra esistenza appare come niente altro che un incessante tentativo, retto dalla coazione a ripetere, di elaborare il lutto primigenio del distacco dal supporto universale, tentativo di uscire da una progressiva corona di rosario di stadi più o meno simbiotici, in una ricerca progressiva dell’accettazione della solitudine e della neutralità afinalistica del proprio esistere. Ed è proprio da una esperienza di perdita e dal distacco da una moderna simbiosi (il respiratore automatico) che prende le mosse l’originale lavoro di Daniela Gariglio. Il libro descrive, con uno stile pittorico, essendo il succedersi delle azioni reso con frasi che sembrano secche e precise pennellate, la lenta, progressiva trasformazione di una donna che, avendo perso il partner a cui era teneramente legata, intraprende la dolorosa elaborazione del vissuto di perdita. “Ti lascio andare”, il titolo del capitolo primo: “Hanno staccato il respiratore dal mio compagno… Così ho dato il consenso ai medici… Diciamo che mi sono sentita pronta, a un tratto”. Le persone, si sa, se ne vanno senza chiedere permesso; mi sembra di vedere in questa scelta letteraria di Daniela Gariglio un garbato accento sui rari momenti di libero arbitrio che si incontrano durante l’esperienza micropsicoanalitica. Il superamento del narcisismo primario, l’angosciosa familiarizzazione con il vuoto, la solitudine, la perdita, l’individuazione discontinua di sé, l’accettazione delle trasformazioni, poggiano anche su piccole, titaniche scelte. Ogni analizzato lascia a sua abile insaputa, una zona franca, diremo tabù, del suo psichismo, a cui non ha mai nemmeno volto lo sguardo. A volte è necessario un intervento specifico del micropsicoanalista, per indurre l’analizzato a superare la sua angoscia ed entrare nel nucleo, che fa da ansa frattale (riassunto della forma), e disgregarlo. Si tratta di morire, non so se ce ne rendiamo conto. Arriva un momento in cui l’impresa analitica richiede all’analizzato di abbandonare se stesso, di attraversare il vuoto, per aderire ad un nuovo modo di esistere. Però “Chi teme la morte ha perduto la vita” (J.G.Seume) ci ricorda l’Autrice, regalandoci la prima di una serie di citazioni poetiche, che sono autentiche sciabolate di luce nel buio. Un libro forte, pulsionale grondante di umanità.
Quirino Zangrilli
– Recensione di Manuela Tartari, in Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, n. 2/ 1996, p. 95.
Il libro racconta un’esperienza di perdita vissuta dalla protagonista ed i molteplici tentativi di elaborarne il lutto, in particolare i pensieri e le fantasie ad essi collegati. La separazione dall’oggetto d’amore viene così ricordata in tutte le sue dimensioni emozionali, fino alla presa di coscienza che il lutto più profondo è quello agito nei confronti di se stessi, attivato dai vissuti di castrazione nelle loro sfaccettature iniziatiche, orali, anali e falliche.
L’autrice, micropsicoanalista, descrive tramite un codice letterario quel fenomeno sperimentato nelle sedute lunghe, che chiamiamo sovradeterminazione: ”Qualsiasi elemento associativo rinvia a molteplici formazioni consce e ognuna di esse a molteplici nuclei preconsci e successivamente inconsci” (S. Fanti, Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi, Borla, Roma, 1984, def. 47). La scrittura ricalca così un costante fluire associativo che si dipana dal centro tematico, se ne allontana, per poi riprendere gli elementi già descritti in forma sempre differente. Un modo bello e poetico di illustrare, anche a un pubblico senza esperienza diretta, il risultato delle libere associazioni e il lavoro micropsicoanalitico. L’autrice stessa commenta in una nota al testo: “Sto tentando di parlare di micropsicoanalisi col linguaggio delle emozioni e dell’affetto per rendere comunicabile anche al profano il senso di profondo cambiamento che un’esperienza micropsicoanalitica comporta”.
Manuela Tartari