La bibliografia sull’attività grafica nell’infanzia è vastissima. Il disegno è un ottimo mezzo sia per osservare longitudinalmente i progressi cognitivi del bambino, sia per cogliere le dinamiche affettive e relazionali, i conflitti in cui è immerso.
Alcuni test come il disegno della persona, dell’albero, della famiglia, per citare i più famosi, sono ancora attualmente utilizzati per la psicodiagnosi in età evolutiva. Winnicott stesso, con il gioco dello scarabocchio, ideò un interessante supporto tecnico psicoterapeutico per permettere al bambino di fare luce sul suo mondo interno.
In effetti l’attività grafica spontanea ci accompagna per tutto l’arco della vita, il bambino traccia i suoi primi segni sulla carta all’età di 11 mesi e da adulto continuerà a scarabocchiare ed a disegnare, e, come ha fatto notare N. Peluffo nei suoi scritti sul “bimbo”, il disegno spontaneo dell’adulto manterrà intatte le stesse finalità emotive del disegno infantile.
In questo mio breve scritto, per ragioni di spazio, non posso che tracciare, permettetemi il gioco di parole, uno schematico schizzo dello sviluppo dell’attività grafica in età evolutiva. Non è mia intenzione fare una panoramica esaustiva sulla letteratura sull’argomento, né trattare tutte le tematiche connesse al disegno. Fornirò qualche esempio e commentandolo spero di stimolare nel lettore riflessioni e desiderio di approfondire l’argomento.
Come prima ho accennato, il bambino traccia il suo primo segno grafico in corrispondenza ai suoi primi passi ed alle sue prime parole. A questa età è semplicemente un atto motorio ma il piccolo appare affascinato dalla traccia che compare come risultato del suo atto, ancora prima (6 mesi), guarda interessato l’adulto o il bambino più grande che scarabocchiano.
A 14 mesi il segno non è più esitante ma ampio e deciso. A 16 mesi il bambino scarabocchia con decisione facendo segni avanti ed indietro, a 20 mesi compare lo scarabocchio circolare, infine, a 24 mesi, il bambino traccia brevi linee verticali ed orizzontali su imitazione.
Siamo ancora nel campo dell’intelligenza senso motoria, il disegno è la traccia di un movimento, la crescente abilità di tracciare e riprodurre linee e cerchi è data dalla crescente capacità del piccolo di coordinare il movimento e dal piacere di saper limitare il gesto per riprodurre così il segno fatto dall’altro.
Poco più tardi apparirà il disegno simbolico, inizialmente il bambino solo a posteriori darà un significato al suo tratto grafico. Prima fa uno scarabocchio, solo dopo, appoggiandosi più al desiderio che alla verosimiglianza, lo interpreta. Nonostante ciò siamo già in un discorso simbolico, il disegno non è più solo un atto motorio ma una rappresentazione.
Man mano il bambino passerà a rappresentare ciò che ha pensato, l’ideazione verrà prima del movimento.
I primi disegni (fino all’età scolare e, a volte, anche oltre) mantengono legami con i primi scarabocchi motori. Un cane feroce, ad esempio, sarà composto da tante linee tracciate velocemente e con forza avanti ed indietro, oppure colorato calcando molto il colore: è la forte prensione della mano ed il gesto ansioso che stigmatizzano la ferocia del cane.
Più avanti alcuni tratti grafici saranno utilizzati come segno–simbolo di particolari connotazioni affettive insite nell’oggetto rappresentato. Un sole con raggi lunghi ed aguzzi potrà essere un sole troppo caldo, che brucia; un personaggio cattivo potrà essere disegnato con un eccesso di angoli acuti, oppure tratti aguzzi ed angoli acuti possono circondarlo, esprimendo così l’aggressività e la distruttività.
Artificialismo ed animismo trovano nel disegno spontaneo del bambino il luogo ideale per manifestarsi: i bambini disegnano case che sono contemporaneamente facce, alberi o macchine animati e così via, questo anche prima di Walt Disney e delle varie pubblicità attuali.
Uno studio longitudinale sul materiale grafico prodotto da un bambino può essere uno strumento prezioso che può dirci molte cose sulla sua evoluzione cognitiva. Il disegno della persona (l’omino di Goodenough) inizialmente era un test intellettivo.
Con il disegno il bambino non solo rappresenta il suo mondo di conoscenze ma anche il suo mondo affettivo e relazionale.
Assieme al gioco, il disegno è il modo più naturale che il bambino ha per mettere il scena ed elaborare i suoi conflitti interni, rappresentare e anche soddisfare in fantasia i suoi desideri, rappresentare ed elaborare le sue ansie e le sue paure.
Un bimbo di quattro anni e mezzo disegna tre soli, uno grande centrale e due più piccoli ai lati, sono soli animati con occhi e bocca. Chiedo: “Chi sono questi soli?”. Immediatamente il bambino risponde: “Io” indicando il sole centrale e “Mamma e papà” indicando quelli laterali.
Il piccolo ha disegnato il suo personale universo affettivo tolemaico, lui al centro ed i genitori che gli ruotano intorno. Il disegno è l’espressione del suo desiderio: essere in mezzo ai genitori, essere il loro fulcro e nel contempo dividerli.
La madre interviene dicendo che il sole al centro è troppo grande per essere lui, lui non è così grande.
Il bambino allora cambia: il sole più grande diventa il papà e i due più piccoli la mamma e lui.
Questa sua nuova disposizione mostra come il bambino, che è nello stadio fallico–edipico, creda debba essere, secondo i genitori, il suo mondo relazionale: il padre al centro, il padre totemico ed ad i lati, separati dalla sua figura, lui e la madre.
Si può ipotizzare che il primo disegno sia nato come un tentativo di soluzione alla gelosia edipica: mettersi al centro, dividere i genitori, poter godere di entrambi impedendo contemporaneamente la relazione tra loro. L’intervento della madre, del tutto banale e senza secondi fini, fa presa sul nascente Super-Io del piccolo che prontamente rimette tutte le cose a posto. Ha detronizzato il padre, ora lo rimette al suo posto, gli restituisce il trono, il posto centrale. Inutile dire che il disegno a questo punto viene subito dopo accantonato.
In alcuni casi il disegno aiuta ad esprimere ciò che verbalmente non può essere espresso: un “dolore indicibile”.
Ho notato come spesso bambini affetti da paralisi cerebrale infantile con esiti motori ma con capacità intellettive integre, disegnino personaggi nei quali un lato del corpo è del tutto asimmetrico rispetto dell’altro e molto peggio disegnato.
Se ciò può essere spiegato con la difficoltà che incontra la costruzione dello schema corporeo in bambini affetti da paralisi celebrale infantile, non ci si spiega il perché disegnino altri oggetti, ad esempio fiorellini, con un petalo che risulta sempre asimmetrico e disegnato più rozzamente.
Questi bambini, che non si piacciono, spesso non possono raccontare il loro dolore ai genitori per timore di addolorarli ancora di più, né al resto del mondo che, per buonismo, cerca di non vedere in alcun modo il loro handicap. In un mondo che ti dice “Sei come tutti gli altri”, loro non si sentono come tali e non sanno come e a chi dirlo, rimane un dolore muto, inespresso.
Vorrei concludere con un brano di Melanie Klein riguardante le interpretazioni “selvagge” che possono essere fatte sul gioco infantile.
“Orbene io non mi sono mai azzardata a fare interpretazioni simboliche così selvagge del gioco infantile. (…) Solo se il bambino manifesta ripetutamente in vari modi – per lo più in realtà servendosi di mezzi vari, per esempio giocattoli, acqua o ritagliando, disegnando, ecc. – lo stesso materiale psichico; e rilevo, inoltre, che queste attività sono di norma accompagnate da senso di colpa che si palesa come angoscia o in rappresentazioni nelle quali è insita della sovracompensazione, e cioè in formazioni reattive; se pervengo a rendermi conto che nel complesso di tutto ciò esistono nessi precisi, ebbene, solo allora io interpreto i singoli fenomeni e li connetto all’inconscio e alla situazione analitica”. 1
Ciò che dice Klein sul gioco vale anche per il disegno: non è lecito interpretare un singolo disegno avulso dal contesto. Per capire un disegno bisogna assistere alla produzione dello stesso, tener conto del comportamento del bambino mentre lo produce, del quando e perchè lo produce, delle verbalizzazioni che avvengono durante la produzione, dello stato emotivo del bambino nel momento in cui disegna, della dinamica transferale della seduta in cui è prodotto il disegno.
Il tema del disegno acquista un significato facendolo rientrare nella catena associativa della singola seduta e di un gruppo di sedute. Come afferma M. Klein non ci si può basare su un singolo fenomeno ma su una catena di fenomeni ripetitivi a vari livelli: produzione grafica, di gioco, verbale, relazione transferale
© Daniela Marenco
Note:
1 M. Klein (1921), Simposio sull’analisi infantile, in Scritti 1921 – 1958, Boringhieri 1983, Torino
Daniela Marenco è nata a Torino nel 1957, laureata in Pedagogia nel 1982 e in Psicologia nel 1988, si è da sempre occupata di psicoanalisi infantile. Dopo aver attuato il suo iter formativo, nel 1999 è diventata membro titolare della Società Internazionale di Micropsicoanalisi, nonché dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi. Dopo aver lavorato per oltre cinque anni come psicologa volontaria presso il Reparto di Neuropsichiatria Infantile della Clinica Universitaria “Regina Margherita” di Torino, da più di dieci anni è psicologa convenzionata presso il servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale S: Croce e Carle di Cuneo, svolgendo attività di psicodiagnosi e psicoterapia con bambini ed adolescenti. Coautrice di numerose comunicazioni a convegni di Neuropsichiatria Infantile, ha pubblicato vari articoli sul Bollettino Italiano di Micropsicoanalisi riguardanti il lavoro psicoanalitico (in particolare il lavoro micropsicoanalitico) e psicoterapico con bambini ed adolescenti. Nel 2000 ha pubblicato nella collana di Micropsicoanalisi diretta da Nicola Peluffo, il libro “I percorsi dell’Immagine in adolescenza” Edizioni Borla.