Ernest H. Hutten nel saggio sulla creatività nel processo di conoscenza scientifica sottolinea come in ogni atto di conoscenza partecipano interagendo tra loro le informazioni provenienti dal mondo esterno, le motivazioni, gli affetti, le rappresentazioni consce ed inconsce. Per usare la terminologia di Piaget, la nostra mappa cognitiva assimila la nuova informazione e si accomoda ad essa, contemporaneamente il nostro vissuto emozionale reagisce alla nuova informazione, colorandolo e sottoponendolo, a volte, a deformazioni: anche qui si può parlare di processi di assimilazione – accomodamento.
Ciò vale per ogni conoscenza adulta e tanto più vale per le miriadi di conoscenze ed abilità che vengono acquisite dal bambino. Le abilità cognitive del bambino, che decodificano e incamerano la nuova informazione, sono influenzate dalla sua visione del mondo, la sua modalità di pensiero, gli affetti, le motivazioni, gli eventuali nodi conflittuali che la nuova conoscenza o la nuova abilità può richiamare o sollecitare.
Una delle più importanti acquisizioni, pressoché universale, del primo periodo della latenza è il processo di letto – scrittura. Vorrei in questo breve scritto analizzarne le varie componenti tenendo conto che, nella realtà, esse lavorano contemporaneamente interagendo tra loro.
La psicologia cognitiva ha dato un importante contributo all’analisi di questo apprendimento studiando i prerequisiti necessari per la costruzione di questa abilità, la mancanza o il funzionamento deficitario di uno o più di essi può inficiare la sua corretta padronanza e il bambino diventa un dislessico.
Cornoldi e collaboratori parlano di diverse abilità indipendenti o semindipendenti che insieme concorrono al conseguimento di un’abilità più complessa, generale ed articolata: la lettura.
Riprendendo l’analisi compiuta da Struiksma individuano le seguenti componenti:
• Analisi visiva: il bambino deve saper riconoscere e tracciare segni grafici elementari, analizzare i costituenti di una lettera (capacità di discriminazione tra linee curve, oblique, verticale, orizzontali)
• Lavoro da sinistra a destra: importante nella nostra cultura in cui la lettura procede da sinistra a destra. Questa abilità consente la graduale discriminazione visiva di grafemi seguendo un ordine sequenziale.
• Queste due abilità portano alla discriminazione visiva: analisi e distinzione di un grafema da un altro. Pensiamo alla p, b, d, il corretto riconoscimento della lettera comporta un processo di discriminazione visiva e di orientamento topologico.
• Discriminazione uditiva: differenziazione di un fonema da un altro.
• Percezione dell’ordine temporale: il soggetto deve conservare l’ordine delle lettere così come è dato, non anteponendole o spostandole.
• Sintesi uditiva: capacità di fondere i fonemi che sono presentati in maniera staccata (implica sia la discriminazione fonetica che il mantenimento dell’ordine temporale).
• Corrispondenza grafema – fonema: associazione tra un determinato grafema e un determinato fonema (implica l’acquisizione della sintesi uditiva e della discriminazione visiva).
• Tutte queste abilità si fondono nella sintesi visiva valutata con la lettura di parole e non parole. Il soggetto deve leggere la parola e nel farlo deve aiutarsi non solo attraverso la giustapposizione di un elemento dopo l’altro ma anche attraverso un approccio totale alla parola nota e dall’aspettativa di quale parola possa essere. Se si cambia una lettera a più parole il bambino capisce che quelle parole seguono una regola e individua l’elemento di cambiamento.
• Tutto ciò porta alla abilità finale della capacità tecnica di lettura.
Cornoldi si occupa dell’acquisizione della capacità tecnica della lettura, ma senza nulla togliere a questa rigorosa analisi, vorrei ampliare il discorso analizzando come il bambino nella sua totalità, cognitiva, emotiva, motivazionale, si approccia al processo di lettura.
Mi viene in aiuto, per questa analisi, il saggio di Bettelheim e Zelan: “Imparare a leggere”. Gli autori notano come il più delle volte l’errore di lettura del bambino normale venga visto dall’insegnante come distrazione, carenza di esercizio, mancanza di competenza. Nel saggio viene proposta un’ipotesi alternativa considerando gli errori di lettura degli scolari delle prime classi elementari al pari del lapsus adulti. Non è la mancanza di competenza la causa prima dell’errore ma sul corretto processo percettivo – cognitivo di decifrazione del testo intervengono variabili emotive importanti che impongono la distorsione percettiva.
Riprendendo S. Freud Bettelheim ipotizza che il testo possa contenere qualcosa in grado di suscitare una reazione difensiva nel lettore: l’informazione veicolata dalla lettura stimola una reazione ansiosa, la parola viene corretta grazie ad un errore (il lapsus) che permette l’allontanamento dell’informazione perturbante oppure consente, attraverso una formazione di compromesso, l’adempimento di un desiderio.
Gli autori considerano la lettura un processo attivo. Se il contenuto lo permette la lettura è percepita in modo neutro, astratto, le facoltà conoscitive sono coinvolte in prima persona, mentre il resto della personalità (conflitti inconsci, immagini superegoiche) non sono coinvolti se non marginalmente. Ma se il testo tocca importanti questioni personali l’intera personalità si attiva e inizia un processo in cui il testo è in parte compreso dalle facoltà cognitive e in parte assimilato alle preoccupazioni del lettore.
Un esempio tratto dal saggio illustra bene questo concetto. Una bambina di prima elementare, angosciata da una grave miopia, legge la seguente poesiola (la bambina è americana):
io non sono alto come il mio amico Ben
io non sono bravo come John o Ed
Legge le prime due righe correttamente, deve quindi leggere la seconda strofa:
Io non riesco a compitare (spell) come fa Wiill
Io non so capire (catch) come fa Ted
Ma commette due errori:
io non riesco a vedere (see) come fa Will
io non a guardare (watch) come fa Ted
La bambina non ha nessun problema a livello di comprensione e di compitazione, il suo problema è la visione. La poesia è in prima persona, tratta di un bambino che parla delle sue manchevolezze, la lettrice è angosciata per le sue, l’immedesimazione stimolata dalla lettura delle due prime righe, in cui viene ripetuto “io non riesco”, porta la bambina a “personalizzare” il testo raccontando le sue manchevolezze attraverso due errori di lettura.
Un altro importante fattore da considerare è il diverso modo in cui il bambino percepisce e considera le parole rispetto all’adulto maturo.
In “Rappresentazione del mondo nel fanciullo”, Piaget mostra come la parola che designa l’oggetto è vissuta dal bambino piccolo come parte dell’oggetto stesso: “Il sole si chiama così perché è giallo”, non come un segno dato arbitrariamente.
Come parte del tutto la parola può evocare l’intero oggetto e le dinamiche emotive e relazionali legate ad esso. È esperienza comune sentire dire ad un bambino: “Non dire quella parola (ad esempio strega) perché mi fa paura”.
In età scolare questa convinzione andrà via via modificandosi ma rispetto ad alcune parole rimarranno importanti vestigia emotive. Detto per inciso si manterranno sempre anche nell’adulto. Ecco perché la parola mamma non equivarrà mai alla parola madre: il significato affettivo è qualitativamente e quantitativamente differente.
Un altro esempio può illustrare questo concetto. Una brava scolara di prima elementare legge ad alta voce e in modo scorrevole una storia. L’argomento della lettura riguarda le tigri. Non fa errori tranne per uno costantemente ripetuto: legge Tigger (Tigro, un personaggio dei libri di Winny Pooh) invece di Tiger (tigre).
Si può immaginare moltissimi motivi per cui la piccola possa cercare di non pensare alla pericolosa e feroce tigre e preferisca “addomesticarla” e renderla innocua tramutandola in Tigger (Tigro): il peluche divertente dei libri di Pooh.
Vorrei concludere con un esempio preso dalla mia esperienza personale: si tratta di un errore di scrittura di una bimba di sette anni, brava a scuola con una bella grafia e una buona capacità di scrittura.
Vedo la bambina a dicembre e con l’approssimarsi del Natale disegna un albero di Natale con i doni, pregustando cosi la festa futura. A lato del disegno scrive una breve dedica a Babbo Natale ma commette per due volte le stesso errore: scrive “Cara Babbo Natale”.
Perché questo errore?
Esistono due principali misteri che sollecitano la curiosità dei bambini: Babbo Natale, e come nascono i bambini. Anzi si può pensare che il segreto di Babbo Natale funga spesso da schermo emotivo ad alcune fantasie relative alla nascita dei bambini (ad esempio il desiderio di sapere, vedere e nel contempo la paura rispetto ad una curiosità punita).
In quel periodo la madre aveva scoperto da poco di essere rimasta incinta, non voleva ancora avvertire la bambina pensando di darle la notizia più avanti. I familiari stretti ne erano a conoscenza. Probabilmente la bambina ne aveva avuto sentore: nella seduta successiva, infatti, mi parlerà della sua nuova passione per le piante: piantava semi seguendo lo sviluppo delle piantine, aveva allestito un piccolo vivaio in cui provava varie sperimentazioni.
I genitori non avevano mai affrontato il discorso di come nascono i bambini, probabilmente loro o i nonni avevano dato alla bambina una spiegazione tradizionale.
In realtà la nuova passione per la botanica spiegava bene quale idea la bambina si era fatta rispetto al concepimento e alla gestazione. La mamma aveva una sorpresa – segreto, nascosta così come sono celati nel sacco i dono di Babbo Natale. Babbo Natale è femmina, è la donna che procrea i bambini, ma in questo processo anche il papà (il babbo) ha un ruolo, anche se un po’ oscuro. Ecco che da questo punto di vista l’errore assume un significato: quest’anno arriva proprio: Cara Babbo Natale.
© Daniela Marenco
Bibliografia:
– C. Cornoldi, L. Miato, A. Molin, S. Poli: La prevenzione e il trattamento delle difficoltà di lettura e scrittura , O.S., 1985, Firenze.
– S. Freud (1901): Psicopatologia della vita quotidiana, Borighieri, 1970, Torino.
– E. H. Hutten (1976): Einstein e Freud, la creatività nella scienza, Armando, 1976, Roma.
– J. Piaget (1926): La rappresentazione del mondo nel fanciullo, Boringhieri, 1987, Torino.
Daniela Marenco è nata a Torino nel 1957, laureata in Pedagogia nel 1982 e in Psicologia nel 1988, si è da sempre occupata di psicoanalisi infantile. Dopo aver attuato il suo iter formativo, nel 1999 è diventata membro titolare della Società Internazionale di Micropsicoanalisi, nonché dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi. Dopo aver lavorato per oltre cinque anni come psicologa volontaria presso il Reparto di Neuropsichiatria Infantile della Clinica Universitaria “Regina Margherita” di Torino, da più di dieci anni è psicologa convenzionata presso il servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale S: Croce e Carle di Cuneo, svolgendo attività di psicodiagnosi e psicoterapia con bambini ed adolescenti. Coautrice di numerose comunicazioni a convegni di Neuropsichiatria Infantile, ha pubblicato vari articoli sul Bollettino Italiano di Micropsicoanalisi riguardanti il lavoro psicoanalitico (in particolare il lavoro micropsicoanalitico) e psicoterapico con bambini ed adolescenti. Nel 2000 ha pubblicato nella collana di Micropsicoanalisi diretta da Nicola Peluffo, il libro “I percorsi dell’Immagine in adolescenza” Edizioni Borla.