Sommario
Questo mio scritto è nato da alcune riflessioni stimolate dall’interessante articolo di Bruna Marzi: “La paura del lupo”.
Il rapporto con l’oggetto fobico, è sempre un rapporto ambivalente, di fascinazione. Freud in “Totem e Tabù”, rispetto alla fobia dei cavalli del piccolo Hans, scrive: “L’odio derivante dalla rivalità per la madre non può espandersi liberamente nella vita psichica del bambino, deve lottare contro la tenerezza e l’ammirazione da sempre esistenti per la stessa persona che è oggetto di odio, il bambino si trova un atteggiamento emotivo ambiguo, ambivalente nei confronti del padre e in questo conflitto di ambivalenza si procura un sollievo spostando i suoi sentimenti di ostilità e di paura su un surrogato della figura paterna. (…) Il conflitto prosegue piuttosto sull’oggetto di spostamento, l’ambivalenza invade questo oggetto. È innegabile che il piccolo Hans provi non soltanto paura, ma anche rispetto ed interesse per i cavalli. Non appena la sua paura si è attenuata, egli stesso si identifica con l’animale prima temuto. Galoppa come un cavallo e morde a sua volta il padre. In questo stadio della risoluzione della fobia non esita a identificare i genitori con altri grossi animali.” 1
Lo spostamento di un conflitto su un oggetto fobico è una soluzione abbastanza comune nell’infanzia. Come i grandi animali, la strega, l’uomo nero (l’orco delle fiabe) sono oggetti persecutori universali che popolano i sogni e le fantasie dei bambini spesso indipendentemente dagli intenti pedagogici dei genitori.
Oggetti persecutori dotati, però, di grande fascinazione e che, come nel caso della strega e dell’uomo nero, possiedono un controaltare assolutamente buono: la befana e babbo natale.
La brutta strega che mangia i bambini, con il naso adunco e vestita di stracci ha la sua gemella nella befana che regala dolci ai bambini; l’uomo nero (o il ladro, versione moderna di questa paura) che entra nelle case di notte per rapire i piccoli, ha il suo corrispettivo in babbo natale che passa dal camino, con un grosso sacco, per portare doni.
In questo mio scritto vorrei soffermarmi sull’immagine della strega, la madre cattiva per eccellenza, oggetto fantastico sul quale, nel rapporto madre-figlio, vengono proiettati le angosce e i sentimenti aggressivi insiti nella relazione.
L’analisi di due favole, Biancaneve e Hansel e Gretel, mi aiuteranno ad illustrare quanto questa immagine sia sovradeterminata e quanto si presti ad incarnare i conflitti relativi alle varie fasi di sviluppo libidico-aggressive.
Biancaneve
La favola ha inizio con la regina che, pungendosi un dito con l’ago di ricamo e rimirando le gocce di sangue cadute sulla neve del davanzale della finestra, esprime il desiderio di avere una figlia con la pelle bianca come la neve, le guance rosse come il sangue e i capelli neri come l’ebano della finestra.
È un bell’esempio di creazione di una fantasia del bambino ideale: fantasia che spesso accompagna la donna in gravidanza, essa ha origini narcisistiche ed è funzionale al benessere psichico della gestante e all’accettazione dello stato gravidico.
N. Peluffo in “Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione”, ipotizza che le alterne vicende somatiche della dinamica feto-materna, trattenere – espellere stimolino, a livello psichico, una parallela dinamica ambivalente. La reazione immunitaria di rigetto è elaborata attraverso fantasmi di invasione mentre fantasie narcisistiche appoggiano il polo trattenere. 2
Queste fantasie sono centrate sul desiderio inconscio di rigestare un figlio-sé stessa che placa le angosce di perdita – castrazione e ricostruisce la monade onnipotente madre – bambino del periodo iniziatico-orale.
La fantasia del bambino ideale è la parte visibile, la rielaborazione conscia di questa intensa dinamica psichica.
Ritorniamo alla favola di Biancaneve: la madre naturale scompare, entra in scena Grimilde, la matrigna, ma passa un lungo periodo di tempo in cui nulla succede, tra le righe si capisce che Biancaneve cresce.
La crisi avviene quando Biancaneve si distanzia dalla regina, cresce e si separa, Grimilde non riesce ad elaborare il lutto per la perdita dell’oggetto narcisistico figlio – pene ed a passare ad un attaccamento di tipo oggettuale, è significativo che nella favola sia proprio un oggetto narcisistico per eccellenza, lo specchio, a dare via al conflitto.
Biancaneve non è più l’oggetto narcisistico della madre – matrigna, è un individuo separato. Grimilde non lo può tollerare, la piccola non è più un suo prolungamento narcisistico onnipotente. La mancata elaborazione del processo di separazione dovuta alla nascita, sia quella reale che quella psichica del figlio, innesca intense angosce di perdita, il figlio può diventare un persecutore, il rivale che depriva.
Bettelheim (Il mondo incantato) considera questa favola una bella illustrazione della riattivazione nei genitori delle dinamiche edipiche nella relazione con il figlio: l’Edipo II per Fanti.
Io credo che Biancaneve sia un’azzeccata metafora dell’edipo femminile, in particolare della relazione conflittuale ambivalente madre-figlia nell’edipo precoce.
Grimilde è fissata ad un nucleo narcisistico orale, Biancaneve replica cedendo ad angosce persecutorie iniziatico – orali. Non saranno i nastri del corsetto od il pettine, oggetti simbolo della vanità femminile dell’epoca, a perdere la ragazza ma una mela avvelenata. Un oggetto che invade il corpo e distrugge internamente: un persecutore d stampo iniziatico-orale.
M. Klein rispetto all’edipo femminile scrive: “La bambina piccola ha un desiderio sadico, che si origina nei primi stadi del complesso di edipo, di depredare il corpo della madre di ciò che contiene, cioè il pene paterno, delle feci, dei bambini, e di distruggere la madre stessa. Questo desiderio fa nascere nella bambina l’angoscia che la madre la depredi a sua volta di quanto è contenuto nel suo corpo (specialmente bambini) e che distrugge o mutili il corpo”. 3
L’angoscia di castrazione nell’edipo femminile si poggia più che nell’edipo maschile sull’angoscia di annientamento tipica dello stadio iniziatico-orale. Il persecutore che incarna questa angoscia, la matrigna – strega, possiede entrambe le valenze: la madre edipica invidiata che possiede il padre e la capacità di dargli bambini, la madre cannibalica che distrugge inglobando in sé.
Hansel e Gretel
La dinamica divorare – essere divorato, inglobare in sé – essere inglobato è il tema di questa favola.
Hansel e Gretel attaccano voracemente la casetta di marzapane, la divorano, attaccano e divorano il simbolo per eccellenza del corpo materno, e per questo vengono imprigionati nella casa e rischiano di essere divorati dalla strega.
Hansel sarà chiuso in una stia, luogo piccolo ed angusto, nutrito abbondantemente, ma il rischio di rimanere in questa situazione di stasi è la perdita completa del sé, l’annichilimento.
Sarà Gretel, rinunciando ad una posizione orale passiva ed individuandosi attraverso la progettazione di astuzie (la sostituzione del dito grassoccio del fratello con un ossicino, lo stratagemma che indurrà la strega ad arrampicarsi sul forno) a sconfiggere la strega.
Bettelheim commenta: “Soltanto quando i pericoli insiti nel rimanere fissati all’oralità primitiva con le sue propensioni distruttive sono riconosciute, si apre la strada ad uno stadio superiore di sviluppo. Allora salta fuori che la madre buona e gratificante era nascosta in fondo a quella cattiva, distruttiva, perché ci sono tesori da conquistare: i bambini ereditano i gioielli della strega, che diventano preziosi per loro dopo il ritorno a casa”. 4
Sempre Bettelheim sottolinea l’importanza della narrazione delle favole: essa ha un valore catartico, ma non solo. La fiaba non solo dà una rappresentazione ai vari conflitti interni del bambino, vincola le angosce su degli oggetti persecutori fantastici (streghe, orchi, ecc.) che nel racconto vengono regolarmente sconfitti, ma suggerisce anche delle soluzioni.
Quale è la soluzione di Biancaneve?
Biancaneve dovrà sedimentare il suo conflitto nella bara di cristallo, solo allora arriverà il principe, la sveglierà e la porterà lontano. La soluzione è abbandonare il conflitto geloso e mortifero con la madre, trovare un altro regno, un altro uomo a cui dare potenziali bambini.
Rinunciare all’oggetto ed anche alla situazione legati al conflitto edipico: la spinta femminile all’esogamia, forse?
© Daniela Marenco
Note:
1 Freud, “Totem e tabù” (1912-139, in “Freud opere”, vol.VII, pag. 133-136, Boringhieri, Torino, 1976.
2 Vedi N. Peluffo “Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione” BOOK STORE, Torino, 1977 e i bellissimi articoli di Quirino Zangrilli sulla vita intrauterina.
3 M. Klein (1929), Situazioni d’angoscia infantile espresse in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo, in Scritti 1921-1958, Boringhieri, 1983 Torino.
4 B. Bettelheim (1975), Il mondo incantato, pag.158, Feltrinelli, 1980 Milano.
Daniela Marenco è nata a Torino nel 1957, laureata in Pedagogia nel 1982 e in Psicologia nel 1988, si è da sempre occupata di psicoanalisi infantile. Dopo aver attuato il suo iter formativo, nel 1999 è diventata membro titolare della Società Internazionale di Micropsicoanalisi, nonché dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi. Dopo aver lavorato per oltre cinque anni come psicologa volontaria presso il Reparto di Neuropsichiatria Infantile della Clinica Universitaria “Regina Margherita” di Torino, da più di dieci anni è psicologa convenzionata presso il servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale S: Croce e Carle di Cuneo, svolgendo attività di psicodiagnosi e psicoterapia con bambini ed adolescenti. Coautrice di numerose comunicazioni a convegni di Neuropsichiatria Infantile, ha pubblicato vari articoli sul Bollettino Italiano di Micropsicoanalisi riguardanti il lavoro psicoanalitico (in particolare il lavoro micropsicoanalitico) e psicoterapico con bambini ed adolescenti. Nel 2000 ha pubblicato nella collana di Micropsicoanalisi diretta da Nicola Peluffo, il libro “I percorsi dell’Immagine in adolescenza” Edizioni Borla.