L’argomento attuale della guerra: riflessioni a partire dai contributi della tradizione psicoanalitica
Roberto Cutajar
Viviano oggi in un contesto internazionale in cui la guerra è tornata ad essere la notizia del giorno. Dopo le immani tragedie che l’uomo ha vissuto nel secolo scorso, l’invasione della Russia di alcuni territori dell’Ucraina ci ha messo dinnanzi, praticamente in modo inaspettato e forse sorprendente, ad uno scenario, appunto quello della guerra, come non avremmo mai creduto potesse accadere. I filosofi ci ammoniscono ciclicamente che ‘il male’ è sempre pronto ad emergere nelle vicende storiche dell’uomo, quale uno dei prezzi che periodicamente siamo costretti a pagare in conseguenza della nostra libertà (Safranski R., 1997). Ma anche la psicoanalisi non ha fatto mancare il suo contributo seminale alla comprensione del fenomeno umano della guerra. I grandi maestri fondatori delle due tradizioni teoriche della psicoanalisi Sigmund Freud ed Harry Stack Sullivan sono stati testimoni delle due maggiori tragedie del novecento, la prima e la seconda guerra mondiale Sullivan, mentre la morte del novembre del 1939 ha risparmiato a Freud l’esperienza della seconda. Come è noto, i due Autori hanno analizzato il fenomeno dai due punti di vista opposti, pulsionale il primo ove l’odio e la sua conseguenza, la guerra, è l’espressione di una componente ineluttabile in ragione del patrimonio istintuale dell’uomo (Freud S.: 1915, 1932), il secondo, quale conseguenza delle distorsioni introdotte nella crescita umana dell’individuo e del suo gruppo da esperienze familiari e sociali contrarie alla piena realizzazione dell’individuo umano (Sullivan H.S.: 1947, 1950). Freud espresse il suo pessimismo rispetto alle possibilità di limitare le guerre, più ottimista il secondo, che arrivò a formulare alcune proposte concrete per la comunità internazionale a partire dal contributo della psicoanalisi (Sullivan H.S., 1948). Nel presente intervento l’Autore riprende, anche tenendo presente Autori recenti (Fornari F., 1988), le argomentazioni collegate a questo duplice punto di vista della tradizione, e collegandole al contesto storico attuale della guerra, ne vaglia la validità e lo spazio euristico per una rinnovata comprensione della guerra, nel contesto di un contributo psicoanalitico.
Miti, stereotipi e realtà nella violenza sessuale femminile
Giancarlo Di Renzo
La psicologia, l’antropologia, la medicina ed ogni disciplina dello scibile umano hanno da sempre cercato di fornire spiegazioni per capire un fenomeno che pare avere la stessa età dell’uomo. In effetti, il tema della violenza sessuale è stato codificato nella cultura greco-cristiana attraverso simboli mitologici che hanno a lungo influenzato il nostro modo di pensare. Avvalendosi del contributo di altre discipline come la psicologia e la sociologia, il contributo ha lo scopo di evidenziare l’entità mondiale e transgenerazionale della violenza sessuale e di fornire alcuni strumenti di lettura delle conseguenze che essa comporta per le vittime, utili a coloro che sono deputati a prendersene cura.
La pulsione coesiva-divisiva in relazione alla violenza e alla crudeltà
Levas Kovarskis
Partendo da una prospettiva antropocentrica, essenzialmente psicoanalitica, è corretto affermare l’esistenza di una pulsione bipolare responsabile del comportamento coesivo e divisivo nei gruppi. Sebbene gli aspetti esperenziali, i sentimenti e le dinamiche ideative di questa pulsione non siano state molto studiate, è possibile osservarli sia nella vita sociale che nella clinica. Nella presentazione l’autore riflette su un aspetto specifico del polo negativo di questa pulsione: la crudeltà. La crudeltà, che spesso va a braccetto con la violenza, è spesso collegata all’aumento della cosiddetta aggressività fredda, diminuzione di empatia, paura e disumanizzazione. Tutto ciò è interconnesso con una dinamica psichica probabilmente determinata da componenti neuro-fisiologiche.
Definizione di “femminicidio morale” tratta dall’osservazione delle conseguenze di una violenza ordinaria su due bambine
Francois Jeanparis
La trattazione parte da due casi clinici. Uno, che riguarda una celebrità, Waris Dirie, modella internazionale, originaria della Somalia, che nel libro “Fiore del deserto”, descrive una violenza ordinaria, normale per il suo Paese, subita da bambina. L’altro caso riguarda un paziente in psicoanalisi da tempo, che ha subito, allo stesso modo, violenze intrafamiliari che definisce “normali”, poiché mai denunciate al di fuori della cerchia familiare.
Le conseguenze, invece, non sono né semplici né ordinarie, sono catastrofiche per l’intera vita della persona e pregiudicano interi aspetti della personalità delle due donne. Propongo di qualificare gli atti subiti come “femminicidio morale parziale”, per stigmatizzare il livello insopportabile delle conseguenze degli atti subiti.
L’essere umano tra violenza mortifera e aggressività costruttiva
Daniel Lysek
L’inconscio di tutti gli esseri umani alimenta pulsioni aggressive. Alcune persone le manifestano attraverso una violenza distruttiva o esercitando un possesso paralizzante sull’altro.
Tuttavia, la maggior parte delle persone ha relazioni migliori. La psiche dispone, infatti, di meccanismi che consentono di attenuare la naturale distruttività dell’essere umano. Idealmente, la trasforma in espressioni socialmente o culturalmente accettabili, evitando in tal modo una manifestazione violenta. In altre parole, questa tendenza distruttiva viene deviata verso un’attività costruttiva.
Questo è un processo simile alla sublimazione delle pulsioni sessuali, descritta da Freud. Infatti, sebbene sia meno conosciuta, la sublimazione dell’aggressività esiste. Questo meccanismo inconscio è molto utile, perché le violente spinte aggressive hanno sempre effetti deleteri. Se vengono represse, tendono a creare sintomi nevrotici. Se si esprimono, avvelenano i rapporti sociali o familiari.
La sublimazione è quindi un destino ideale per una pulsione aggressiva. Ma certe strutture psichiche non permettono di elaborare mentalmente le spinte aggressive. Il soggetto non riesce pertanto a sublimarle.
Tuttavia, il lavoro analitico può portare a una riorganizzazione delle dinamiche inconsce del soggetto. Questo spesso apre la strada alla sublimazione. In questo caso, l’aggressività ha la possibilità di diventare costruttiva.
Al di là del senso di colpa: la disposizione alla violenza
Bruna Marzi
La trattazione della violenza nelle relazioni di coppia è prevalentemente incentrata sulle caratteristiche del soggetto che perpetra un comportamento aggressivo, umiliante e svalutante nei confronti del partner che lo subisce. Si parla di narcisisti patologici con componenti perverse, a loro volta vittime di violenza durante l’infanzia o testimoni di relazioni aggressive e che, a causa di questi traumi, si sono identificati con l’aggressore.
Sembra molto più complesso capire cosa accade ad una persona che subisce l’aggressività e il maltrattamento all’interno di una relazione amorosa, amicale o professionale. Si oscilla tra le motivazioni socio culturali, quelle traumatiche infantili e il senso di colpa che indurrebbe nel soggetto il bisogno di espiare.
Alcuni autori hanno accennato al masochismo erogeno, ipotizzando che il soggetto maltrattato goda della sua stessa sofferenza. Altri hanno rifiutato categoricamente questa ipotesi considerandola offensiva della vittima.
Attraverso una riesamina del concetto freudiano di masochismo primario verranno esposte le interazioni con il narcisismo e le ipotesi sull’origine psicobiologica della regressione, talvolta anche solo transitoria, ad una relazione che non prevede il pieno riconoscimento dell’oggetto.
Mentre il narcisista perverso non accede spontaneamente ai servizi di aiuto, il lavoro analitico può essere fondamentale per aiutare la vittima ad uscire dalla “nostalgia” di una relazione che non include l’alterità.
Dipendenza affettiva e familiare: tra stalking e femminicidio.
Gioia Marzi – Alessia Zeppieri
Mentre ci apprestavamo a riportare i dati di ben sedimentati lavori sulla violenza interpersonale e familiare, un evento di grande tragicità ci ha investiti da vicino: una nostra collega, la psichiatra di Pisa Barbara Capovani, è stata massacrata e uccisa da un paziente alla fine di un turno di ospedale. Dei rischi di tali gravissimi eventi ci parla in questo stesso convegno, il collega Scaratti. Per noi si aggiungono qui giusto le riflessioni più profonde e amare sull’irruzione del primario nel secondario e sulla componente di genere.
Designazioni rigide e dicotomiche (quali vittima/carnefice, folle/sano) risultano poco rappresentative della circolarità da cui si innescano dinamiche violente. Il presente lavoro nasce dall’idea di indagare ciò che consente la genesi, l’attivazione e anche il mantenimento della violenza nei sistemi familiari, che si ritrova poi nelle ripetizioni delle relazioni interpersonali e che può anche portare a rotture psicotiche senza ritorno. Tale nucleo di genesi-attivazione e mantenimento di dinamiche violente può talvolta rappresentare l’unico modo per stare in relazione in sistemi in cui la componente narcisistica attraversa le generazioni.
Una violenza per esistere – Riflessioni cliniche
Alessandro Mura
Il tema della violenza familiare ci porta verso un panorama assai vasto di dimensioni e offre una serie di prospettive non semplici da mettere a fuoco. Questo contributo vuole sottolineare la difficolta dello psicoanalista che spesso deve districarsi nelle dinamiche complesse che agiscono all’interno del sistema, specialmente quando ci si occupa della violenza che si esprime a livello familiare.
Il tema della violenza è strutturalmente legato al concetto di aggressività. Viene quindi spontaneo porsi nell’ottica della riflessione sul ruolo della psicoanalisi, quale strumento di indagine e di cura, nel tentativo di comprendere e al tempo stesso fornire delle soluzioni alternative agli esiti derivanti dalle tante espressioni dell’aggressività, e dalla sofferenza da essa generata.
Il caso clinico presentato ci porta nel mondo della post-adolescenza, sempre ricco di tante sfaccettature. Una giovane donna di circa 20 anni, si interroga dolorosamente su quale sia il suo posto nel mondo. La richiesta di chiarimento, intesa a chiarire le dinamiche aggressive familiari, si estende ben presto non solo al gruppo dei pari, degli amici, ma anche al mondo più ampio delle relazioni sociali e professionali verso le quali si sta gradualmente affacciando.
Una iniziale ipotesi diagnostica per una personalità ad alto rischio di Disturbo del Comportamento Alimentare rivela un sottofondo che porta l’indagine oltre l’esperienza personale, coinvolgendo le relazioni tra l’analizzata e la sua famiglia, i suoi amici e gli altri personaggi sociali. Alcune condizioni cliniche agganciate ad una storia personale di abuso di sostanze, ad episodi di violenza sia fisica sia psicologica, forniscono lo spunto per una riflessione circa la posizione dello psicoanalista di fronte alla richiesta di aiuto di una persona che tenta di trovare un senso al proprio percorso di vita.
Il processo vita-morte nelle dinamiche di sviluppo psichico: riflessioni cliniche.
Silvio Palombo – Francesco D’Amico
Prendendo come punto di riferimento l’opera di S. Freud “Al di là del principio di piacere”, intendiamo impostare questo lavoro concentrandoci sulla pulsione di morte, introducendo il concetto di godimento che si differenzia da quello di piacere. La ricerca del godimento è intesa come qualcosa di specifico dell’essere umano, poiché caratterizzato dall’instabilità, estraneo al puro e semplice senso di piacere dell’animale. L’essere umano è caratterizzato da una spinta distruttiva che lo porta a godere, inconsciamente, di qualcosa che lo fa soffrire. Prendiamo come esempio predominante nella psicoanalisi il sintomo, una manifestazione dell’inconscio in cui il godimento, il contrasto piacere-dispiacere, morte-vita è presente. Partendo da questi spunti teorici, ci muoveremo sul concetto micropsicoanalitico di pulsione di morte-vita e proseguiremo trattando il caso clinico di un soggetto dipendente da alcol e sostanze. In questo esempio clinico sarà possibile evidenziare anche un’ulteriore tematica, quella del divorzio, dal momento che affronteremo le dinamiche aggressive riguardanti la separazione della coppia genitoriale del paziente. Il nostro intervento si muoverà da un lato sugli aspetti pulsionali inconsci, dall’altro su come le dinamiche aggressive intra-familiari possano generare un impatto determinante sulle sorti evolutive del soggetto.
Dentro di noi: la psicoanalisi e le radici del Male nell’Essere umano
Luciano Peirone
All’interno dell’Essere umano, nelle sue profondità nascoste alla quotidiana e condivisa percezione, si annidano – costantemente a rischio di slatentizzazione – i fantasmi inconsci che del Male di nutrono. Il Male non è solo una formidabile costruzione simbolico-metaforica: è anche una concreta e pratica realtà operativa continuamente alimentata dal perenne fuoco di emozioni e “affetti”. Basta un “nulla” per farlo attivare ed esplodere.
Le parole-chiave, senza ombra di dubbio, sono le seguenti: aggressività-aggressione, distruttività, violenza, odio, guerra, terrorismo. Queste sono le svariate aree dove il fighting (inter-individuale, di coppia, familiare, gruppale, sociale, inter-nazionale) svela il senso profondo del Male (inteso quale disagio oppure malessere oppure malattia, in un crescendo di gravità psico-socio-esistenziale).
Il presente lavoro si basa su decenni di attenta osservazione-riflessione clinica come pure di intervento in termini di psicologia della salute: esso si inserisce nel filone psicoanalitico Klein-Fornari (opportunamente revisionato) e nelle relative digressioni sociologiche.
Al di là di tanti innegabili problemi materiali e di tante innegabili sovrastrutture ideologiche (tutti oggettivi fattori afferenti a svariate differenti discipline conoscitive) il focus delle “malefiche” aberrazioni comportamentali risiede nella ineffabile soggettiva realtà dell’Inconscio. Meccanismi (sostanzialmente “difensivi” ma poi, quasi inevitabilmente, “di attacco”) come la scissione e la paranoia sono i fondamenti del “gettare fuori di noi il Male”. In ultima analisi è proprio la psicoanalisi ad avere “l’ultima parola”: vox clamans purtroppo tanto potente in campo diagnostico quanto limitata in campo terapeutico-preventivo e socio-politico.
Eridologia (la scienza dell’aggressività) e polemologia (la scienza dei conflitti) sono in grado di conoscere, ma la loro (sostanziale) pratica impotenza emerge soprattutto di fronte alla prospettiva macroscopica dei problemi. La guerra – quale punto massimo del Male offensivo, un Male potentissimo in quanto altamente organizzato sotto il profilo delle gerarchie sociali e delle capacità tecnologiche – convoglia ed esalta, nell’annegamento psicologico delle masse, quanto di negativo l’Essere umano sappia produrre.
L’odio (un gelido e iper-controllato sentimento) e i suoi correlati emozionali negativi costantemente minacciano (e pervadono?) la personalità: Thánatos si dispiega in tutta la sua (infinita?) potenza, mentre Érōs viene quasi inesorabilmente schiacciato. Il tutto risulta però sempre ben ancorato alle (sostanzialmente irrealistiche ed illusorie) rappresentazioni fantasmatiche (il Mondo Interno Cattivo) che “invadono e conquistano” la psiche, sino a generare l’homo necans.
Il “Warum Krieg?” (in tutti i sensi inteso) echeggia, troppo spesso inascoltato.
La soluzione risiede nella Cultura?
Da eroi a vittime: professioni sanitarie e aggressività sociale
Giuseppe Scaratti
I contesti socio-organizzativi attuali stanno sempre più diventando scenari che generano e in cui si manifestano espressioni di aggressività a più livelli. Le trasformazioni professionali e organizzative, avvenute nel mondo del lavoro attraverso i cambiamenti socio-economici, tecnologici e sociali, hanno profondamente influito sui sistemi produttivi di beni e servizi, in particolare sanitari e socio assistenziali, chiamandoli a una profonda riconfigurazione del proprio mandato e organizzazione del lavoro. La pandemia e la condizione permanente di crisi che stiamo attraversando hanno accentuato gli elementi di incertezza, fatica e disagio, di contraddizioni e tensioni che riguardano soggetti, gruppi sociali, comunità, dinamiche organizzative e istituzionali.
La comprensione dell’impatto generato da tali fenomeni coinvolge e mobilita plurali ambiti di sapere e conoscenza, divenendo più acuto e sfidante quando in gioco sono manifestazioni di violenza e aggressività nelle più svariate forme e gradi di intensità.
Il contributo dell’approccio psicoanalitico nell’evidenziare le radici psicodinamiche delle configurazioni sociali ha beneficiato di numerosi studi e lavori, all’interno dei quali faremo particolare riferimento alle analisi di Freud in Totem e tabù e Psicologia delle masse e analisi dell’Io, agli studi di Bion sulle dinamiche di gruppo, e al lavoro di Elliot Jaques su processi psicologici inconsci che supportano il rapporto tra lavoro, creatività e giustizia sociale.
Le riflessioni proposte prendono spunto da un percorso di consulenza e formazione realizzato all’interno di una ASST della regione Lombardia, alle prese con gravi accadimenti occorsi all’interno del Servizio relativi alla gestione dell’aggressività verso gli operatori da parte di alcuni pazienti.
L’esposizione a minacce di morte, urla e insulti, irruzioni nel servizio, pedinamenti di operatori, ha generato comprensibili paure e dinamiche di evitamento/espulsione, producendo una situazione di impasse (disincanto/impotenza/rinuncia/evitamento), divenuta oggetto di riflessione ed elaborazione comune per una sostenibile presa in carico dei pazienti.
Il contributo si sofferma sulle chiavi di lettura e interpretazione che hanno consentito l’elaborazione dell’incombente aggressività e sostenuto la riconfigurazione del proprio oggetto di lavoro come compito (im)possibile. Dinamiche di vita e di morte si intrecciano nella narrazione dei servizi, e la loro trama dipende da intrecci non totalmente controllabili, ma rispetto ai quali possiamo esercitare quantomeno il contributo della nostra autorship costruttiva.
Endometriosi, mioma, fibrosi policistica come possibili conseguenze della violenza
Nadezhda Teplova
Il tema dei disturbi riproduttivi, il significato e le conseguenze per lo stato psico-emotivo dell’individuo non possono essere sottovalutati. Recentemente sono stati sviluppati trattamenti ormonali, FIV e metodi di maternità surrogata. La scienza sta cercando di conquistare la natura nel tentativo di soddisfare il desiderio umano di procreazione.
Alessandra Guerrieri sostiene che “…dal punto di vista psicologico, l’esperienza dell’abuso sessuale può determinare uno shock nella percezione di sé, provocando sentimenti di rabbia verso se stessi, bassa autostima, tristezza e paura. Non è raro che all’abuso seguano depressione, sintomi d’ansia e instabilità emotiva, predisponendo la donna a stati disfunzionali e a situazioni di ulteriore disagio nella vita quotidiana e nelle relazioni con gli altri…”
La micropsicoanalisi suggerisce che corpo e psiche siano strettamente collegate. L’esperienza psicoanalitica può aiutare a ridurre e in alcuni casi ad eliminare l’impulso a ripetere le esperienze traumatiche favorendo la reintegrazione dei soggetti nei contesti sociali.
Le conseguenze psicopatologiche della violenza assistita
Quirino Zangrilli
Il trauma psichico ed il funzionamento della mente infantile sono alle basi della comprensione delle conseguenze nella mente dell’adulto della violenza a cui assiste il bambino durante l’infanzia.
Si richiamano gli studi sul funzionamento metacomunicativo del “doppio legame” di Bateson per mostrare come il bambino non possa mentalizzare e processare il trauma.
Vengono passati in rassegna sia i meccanismi difensivi nevrotici, rimozione e identificazione con l’aggressore, che quelli propri della psicosi, come il diniego e la scissione. Dopo un doveroso richiamo ai meccanismi biologici ormonali messi in campo nella reazione da stress, si illustra il problema del Segreto familiare e della cosiddetta Obbedienza differita.