Sommario
L’ereditarietà in micropsicoanalisi
Noi micropsicoanalisti abbiamo dato un circoscritto valore causale agli eventi infantili, in relazione alla nostra definizione di Immagine che vede l’ontogenesi individuale come epifenomeno in cui si attualizzano a caso una o l’altra delle sue sfaccettature, trasmesse filogeneticamente.
Anche noi tuttavia inseriamo un dato di realtà “storica” considerando la trasmissione filogenetica in correlazione ai traumi. Così, Nicola Peluffo nel 1986, ipotizzava che: “… esistano accadimenti traumatici i quali sia perché mettano in moto la coazione a ripetere, sia perché formino delle strutture che funzionano come relais a uscita obbligata, determinano una risposta ontogenetica alle stimolazioni interno-esterne, che tende a ricostruire la forma (nel senso di organizzazione di una struttura) di uno o più accadimenti catastrofici filogenetici (atavici ed ancestrali)… Si tratta della fissazione all’immagine di catastrofi che tendono ad essere ricostruite (psicoanalisi) o a riapparire perché inserite nel codice energetico dell’istinto di tentativo (micropsicoanalisi) nell’ontogenesi, in una forma (sia fantasmatica che comportamentale) il più simile possibile a quella originaria, costringendo così l’essere umano a costruire delle difese che contrastano tale tendenza e lo obbligano a un equilibrio precario.”1
A questa definizione di filogenesi ancestrale se ne associa un’altra che vede il trauma reale come un accadimento occorso non nella preistoria dell’umanità, ma in quella familiare: tale accadimento, afferma Peluffo “…richiede più generazioni per essere abreagito…e quindi continua a sussistere lungo la corrente delle onde generazionali, come esigenza dell’es”.2
Accanto ai traumi generazionali si situano quelli intrauterini, ben specificati da Silvio Fanti nella definizione di stadio iniziatico ed in particolare in quella di sinapsi feto-materna: “Le proiezioni-identificazioni aggressive-sessuali della madre vincolano quelle che il feto utilizza per formare il suo es-io-super-io”.3
Più che su un unico evento, si insiste sull’ipotesi della comparsa di microtraumi ripetuti, a partire dalla vita fetale ridando valore agli eventi perturbatori esterni, anche se nel concetto di sinapsi feto-materna è difficile considerare il polo materno come “esterno” a quello fetale. Tuttavia ritroviamo in numerosi scritti micropsicoanalitici il riferimento a traumi intrauterini come dato esplicativo della presenza di certe fissazioni, intese come cicatrici psichiche la cui origine sarebbe appunto traumatica.
Come si può notare la definizione di eredità filo-ontogenetica comporta una descrizione del trauma come di un evento extrapsichico, ossia proveniente dalla realtà esterna, che coinvolge il soggetto modificandone la dinamica psichica.
Si è creata una certa deriva concettuale che da quello di trauma si sposta verso il concetto di filogenesi lasciando a volte vago il nucleo portante dell’ereditarietà, ovvero lasciando intendere a tratti che si erediti un patrimonio di immagini (nel senso iconografico del termine), a tratti che il nucleo filogenetico sia energetico, a tratti che le due cose siano sovrapponibili.
Cercherò di orientarmi riprendendo un lavoro di Daniel Lysek e Pierre Codoni, scritto nel 1986. I due autori distinguono i supporti strutturali ed i supporti dinamici nell’eredità psichica. Quelli strutturali sono composti da complessi rimossi di rappresentazioni e affetti, intesi come le impressioni che la motricità co-pulsionale lascia di se stessa nella trama energetica dell’es.
Non siamo quindi al livello dei contenuti dell’inconscio, bensì ad una soglia ben precedente dell’organizzazione psicoenergetica. Ovulo e spermatozoo veicolerebbero le tracce energetiche di esperienze co-pulsionali delle linee ancestrali materna e paterna, che costituiscono la “base proiettiva delle nostre identificazioni primarie, condizionano la rimozione ontogenetica nella sua totalità e determinano le strutturazioni rappresentazionali – affettive del nostro sviluppo aggressivo – sessuale.L’insieme energeticamente organizzato delle rappresentazioni e degli affetti filo e ontogenetici è chiamato Immagine. ” 4
Quando entra in gioco l’Immagine siamo già giunti al livello dell’Inconscio e qui ci aspettiamo che gli insiemi rappresentazionali – affettivi acquisiscano altre connotazioni, sempre più vicine alla sfera iconica e sensoriale.
Esistono poi, seguendo i due autori, dei supporti dinamici dell’eredità psichica, ovvero: “degli schemi co-pulsionali fisssati nell’es-inconscio durante l’ontogenesi di un genitore, nonno o antenato, e trasmessi a partire dalla fecondazione. ” (ibidem) sono schemi riguardanti fonte, oggetto, meta e destini co-pulsionali, esperienze di soddisfacimento o frustrazione, desideri, meccanismi di difesa e fantasmi.
Rispetto a questi ultimi, e seguendo la definizione che del fantasma da il Dizionario (“Messa in scena rappresentazionale affettiva a strutturazione aggressivo sessuale edipica del conflitto psichico”) 5, noto che siamo nuovamente al livello dei contenuti dell’Inconscio; l’ipotesi che vi sia una ereditarietà trasmessa dall’es inconscio ontogenetico di un avo mi sembra evocare le teorie lamarckiane, ma devo tuttavia richiamare l’attenzione sulla nostra specifica impostazione energetica che ci libera dai tramiti biologici dell’ereditarietà, anche se poi ci è difficile rinunciare ad un supporto somatico, quali ovulo e spermatozoo.
Quel che più mi preme è ribadire, come fanno Codoni e Lysek, il carattere primario dell’eredità psichica così concepita. Da questa soglia di strutturazione si formano successivamente dei derivati filogenetici dell’inconscio che fondono desideri e meccanismi di difesa della linea ancestrale materna e paterna, definendo infine gli aspetti ultimi delle formazioni psichiche ereditarie.
Nuovamente sottolineo che anche a questo livello ciò che si eredita non è un contenuto psichico, paragonabile al colore degli occhi, bensì una propensione all’uso di certi meccanismi e una familiarità all’espressione psicobiologica di certi desideri.
Allora si può comprendere che quando parliamo di trasmissione filogenetica, noi ci poniamo in un modo radicalmente diverso da quello inteso, ad esempio, dal Freud di “Totem e Tabù”, anche se il nostro discorso non è in contraddizione con quello.
Mi sembra di poter affermare che la vera trasmissione non concerne l’elemento traumatico, neanche nei suoi aspetti comportamentali, bensì la traccia che esso ha lasciato, sotto forma di cicatrice psicobiologica, nello psichismo di un soggetto; questa traccia tende a mantenersi stabile e percorre l’onda generazionale fino a quando la sua energia non si sia esaurita. Così concordo con Pierluigi Bolmida, quando afferma che: “Non esistono caratteristiche psichiche pre-fissate o pre-determinate dall’ereditarietà. Al contrario, esistono generiche tracce di adattamento co-pulsionale a situazioni ambientali di estrema varianza, tracce che tendono a riprodursi, per inerzia, sempre eguali a se stesse. Le caratteristiche psichiche, gli osservabili manifesti, altro non sono che il risultato delle modalità di risoluzione tensionale ereditate…. Sostengo che ciò che si trasmette ereditariamente non siano né predisposizioni degenerative né specifiche modalità strutturali di comportamento, bensì un modulo primario geneticamente organizzato, capace di assicurare un equilibrio, sia pur relativo e temporaneo…” 6
La realtà psichica e il concetto di cultura
Da un punto di vista concettuale noi micropsicoanalisti abbiamo tutti i dati che ci permettono una definizione piuttosto raffinata di “realtà psichica”, anche se in diversi lavori lo statuto di tale realtà diviene più sfumato, fino a coincidere con dati concreti, quali un evento occorso nella filogenesi della specie o del soggetto, oppure nella sua ontogenesi intrauterina.
Siamo pienamente freudiani nella nostra concezione della realtà, poiché già Freud aveva affermato il primato della realtà psichica su quella materiale, intendendo con ciò designare sia il desiderio inconscio, sia i fantasmi.
Credo che la metapsicologia micropsicoanalitica, volta a definire la genesi energetica delle organizzazioni psicobiologiche, ci permetta di esprimere un altro aspetto della realtà psichica.
Vorrei descriverlo in analogia alla teoria della duplice natura della luce, la quale –come sappiamo- può essere osservata sia come onda di un campo elettromagnetico sia come flusso di particelle, i fotoni. Quando però la luce è colta, o misurata, in uno dei suoi aspetti, l’altro non può essere osservato. In altre parole se effettuiamo un esperimento per rilevare l’aspetto ondulatorio della luce non possiamo rilevarne la natura corpuscolare e viceversa, le due rappresentazioni/descrizioni sono mutuamente esclusive.
Similmente mi sembra che quando noi mettiamo in evidenza l’aspetto energetico della organizzazione psicobiologica, l’elemento materiale della stessa passa in secondo piano, e viceversa. Così la realtà può essere percepita nella sua trama di fondo, oppure nell’agire dei suoi dati concreti, ma occorre tenere presente che esse sono le due facce del medesimo dinamismo e che dunque non esiste un fatto materiale isolato dal suo dinamismo; l’importante è non confonderli.
“Liberatami” quindi del fardello della realtà esterna a favore di quella psichica, posso introdurre il tema relativo ad una possibile definizione di cultura da un punto di vista psicoanalitico e micropsicoanalitico.
Anticipo subito che per cultura non intendo uno o più dati concreti, quali ad esempio, le forme di allevamento infantile o i residui di pratiche totemiche, e nemmeno dati di ordine psico-antropologico, quali il pensiero magico, la teoria dell’orda primitiva, ecc.
Nel cercare il punto di incontro tra realtà storica e nascita del fantasma, Freud ed i pionieri della disciplina, Reik, Roheim, Rank, hanno spesso paragonato il pensiero dei selvaggi a quello dei nevrotici seguendo un modello evoluzionistico che tra l’altro prevedeva l’utilizzo clinico dei materiali etnografici, i quali venivano interpretati in analogia a quanto si faceva con i sogni o gli altri materiali di seduta.
Sul versante antropologico, il termine cultura è quasi sempre utilizzato dagli antropologi per descrivere certi aspetti della vita sociale, quali le pratiche tradizionali, gli usi, le parentele, gli apparati mitico-rituali; aspetti fondamentali dell’identità di un popolo o di un’etnia ma che poco spazio lasciano alle dinamiche psichiche del soggetto.
Recentemente l’antropologia si è confrontata con temi diversi, quali, ad esempio, la trasmissione dei traumi, la memoria collettiva, l’agire sociale dei fantasmi psichici. Questi interrogativi avvicinano il sapere antropologico a quello psicoanalitico.7
Il concetto di cultura ha per me una profonda valenza psicodinamica: intendo la cultura come una sedimentazione di esperienze pulsionali, le quali lasciano le loro tracce nella dinamica psichica degli investimenti-disinvestimenti.
Parlando di pulsione, devo soffermarmi sui suoi rappresentanti psichici, ovvero le rappresentazioni.
Se teniamo a mente le definizioni di rappresentazione, fornite da S. Fanti nel Dizionario, dobbiamo ricordare che questa è essenzialmente una traccia mnestica investita, e a sua volta, la traccia mnestica non è altro che un vissuto pulsionale onto o filogenentico memorizzato. 8
Siamo lontani da elementi che riguardino il contenuto inconscio, sia esso pensato come rimosso, o come fantasma originario, eccetera.
Sono livelli differenti ma credo che esista una possibile ambiguità nei termini utilizzati, come ad esempio quelli che riguardano le esperienze, le rappresentazioni, le immagini; questi termini infatti lasciano supporre che la trasmissione filogenetica sia una eredità di esperienze reali, di rappresentazioni consce, di immagini iconiche.
Questo fa si che quando ci occupiamo di cultura, siamo portati a pensare ai contenuti, ad esempio a vedere in certi miti o rituali, la manifestazione di derivati dell’inconscio, in analogia ai sogni o a certi grandi sistemi patologici, come il delirio, o l’irrazionalismo magico.
Non credo che il cuore della trasmissione filogenetica o transgenerazionale risieda nei contenuti trasmessi, sotto forma di rappresentazioni ed affetti che passerebbero da una generazione all’altra a causa della rimozione e della fissazione. Mi sembra più importante un altro aspetto che riguarda appunto le modalità di investimento pulsionale, ed in definitiva i sistemi difensivi, i quali si trasferiscono da una generazione all’altra pur nel variare dei contenuti rappresentazionali-affettivi.
Sulla base di tali modalità trasmesse e dunque sufficientemente costanti, si determina un patrimonio filogenetico di Immagini (intese come forme psichiche).
Ora le modalità di investimento-disinvestimento coincidono con i meccanismi di difesa, visti nella loro accezione più profonda; in altre parole, ci si deve occupare dell’aspetto dinamico e non topico della circolazione di informazioni tra un gruppo e i suoi membri.
Da un punto di vista dinamico, si può dire che – seguendo le linee del conflitto psichico – i soggetti utilizzano i meccanismi efficienti dell’inconscio, e i sistemi difensivi, per elaborare un proprio codice espressivo. Quest’ultimo diviene la risultante delle interazioni tra nuclei rimossi. In altre parole, le pratiche culturali, come pure i rituali, eccetera, sono l’elemento percebile (conscio) che sottintende un insieme preconscio, il quale veicola le interazioni tra tracce filogenetiche e lo psichismo del soggetto.
Qui siamo al livello di ciò che caratterizza lo psichismo della nostra specie di Homo sapiens sapiens, così come si è strutturato a partire da 100.000 anni or sono. Ricordo che molti studiosi fanno risalire a questa data, e a questa specie, il possesso di una lingua e che dunque si può ipotizzare una lingua originaria comune ai popoli che iniziarono il loro cammino verso il resto del mondo, rapidamente sostituita da molteplici specializzazioni e varianti.9
Questo dato mi consente di ribadire una matrice comune alla psiche umana: la condivisione di eventi e l’elaborazione di risposte analoghe, simili fissazioni, stessi traumi: credo sia questo il punto di partenza della nostra filogenesi specie specifica, così come essa si è evoluta da quella dell’Homo Erectus da cui deriviamo, di assai più lunga durata. Questa è la cultura che abbiamo tutti in comune: quella del Sapiens Sapiens, mentre “le” culture sono successive specificazioni locali.
Se però ci vogliamo interrogare sulle differenze culturali tra un’etnia e l’altra, tra le diverse epoche storiche, dobbiamo risalire fino all’inconscio, al preconscio ed alla strutturazione difensiva.
Le differenti culture umane possono essere pensate come contenitori collettivi di particolari oggetti preconsci, come li intende Codoni: certi eventi aggressivo-sessuali provenienti dal proprio corpo, ma anche dall’ambiente, riattivano, per proiezione-identificazione, un gruppo di rappresentazioni-affetti rimossi. Tale patrimonio che si struttura in entità differenti a seconda delle fissazioni e rimozioni filogenetiche del gruppo di riferimento, verrebbe adattato da ogni nuovo essere umano, secondo il proprio destino pulsionale. Abbiamo così i germi della permanenza culturale e delle trasformazioni individuali.
Il conflitto psichico relativo al ritorno del rimosso è gestito da sistemi difensivi che si organizzano come minimo comune multiplo difensivo di un certo gruppo umano.
Questa idea di cultura in quanto sistema difensivo collettivo, non è nuova, anzi, fonda gli studi etnopsicoanalitici più seri.10
Io cerco solo di approfondirla, poiché mi sembra che ci permetta di evitare la confusione tra contenuti culturali e contenuti inconsci.
La mia ipotesi è che esistano insiemi difensivi, che in ultima analisi sono dei nuclei rappresentazionali-affettivi specializzati, stabilizzati all’interno di un dato gruppo umano, i quali possono venire riattivati nell’ontogenesi degli individui al fine di arginare i conflitti psichici.
Questi insiemi difensivi culturali caratterizzano in un senso o nell’altro certe etnie; avremo così delle culture a forte impronta iniziatico – anale, altre a forte impronta orale-depressiva, nel senso che queste culture condividono un patrimonio di difese relative a quelle specifiche fissazioni. All’interno di ciascuna cultura, ogni individuo elabora in modo specifico i propri conflitti in armonia o discordanza dal proprio patrimonio etnico.
© Manuela Tartari
Note:
1 N. Peluffo, « L’interiorizzazione delle perturbazioni catastrofiche », Bollettino dell’IIM, n°3, 1986.
2 N. Peluffo, « La situazione », Bollettino dell’IIM, n°6, 1988.
3 S.Fanti, con la collaborazione di P. Codoni e D. Lysek, Dizionario di psicoanalisi e microspicoanalisi”, Borla, Roma, 1984, def. N°346.
4 P. Codoni, D. Lysek, “l’eredità psichica”, Bollettino dell’IIM, n° 2, 1986.
5 Op. Cit., def. n° 229.
6 PL. Bolmida, ” Sull’eredità ideica”, Bollettino dell’IIM, n°14, 1993.
7 Cfr. AAVV, Anthropologie psichanalytique , L’Homme», n°149, 1999.
8 S.Fanti, con la collaborazione di P. Codoni e D. Lysek, Dizionario di psicoanalisi e microspicoanalisi”, Borla, Roma, 1984, def. N°131.
9 Cfr. Le lingue del mondo, in: “Le Scienze. Quaderni”, n°108, 1999.
10 Cfr. G. Dévéreux, «Ethnopsychanalyse Complementariste», Paris, Flammario, 1972.
Psicoterapeuta, antropologa formatasi presso ‘Ecole del Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, membro didatta dell’Istituto italiano di Micropsicoanalisi. Ha collaborato per anni alle ricerche e alla didattica delle cattedre di psicologia sociale e psicologia dinamica, quando Nicola Peluffo insegnava alla Facoltà di Psicologia dell’Università di Torino. Da più di vent’anni ha ricoperto incarichi di consulenza e collaborazione presso alcune ASL piemontesi per la psicoterapia infantile e il lavoro in ambito evolutivo. Oggi è consulente tecnico del Giudice presso i Tribunali di Torino. Tra le diverse pubblicazioni si ricorda: “Metamorfosi del corpo”, in: La terra e il fuoco, a cura della stessa autrice, ed. Meltemi, Roma 1996; “Dall’oggetto inconscio all’oggetto transizionale”, in Quaderni di Psicoterapia Infantile, diretti da C. Brutti, Borla, Roma 1997; “Antropologia e metapsicologia. Un confronto freudiano tra efficacia simbolica e elaborazione primaria”, in Etnosistemi, n° 7, anno VII, 2000; “L’immagine del corpo in adolescenza”, in Bollettino dell’Istituto italiano di Micropsicoanalisi, n° 36, 2006: “Controtransfetr e stati deliranti”, in Tabù, delirio e alucinazione, ed. Alpes. Roma, 2010; “La creatività tra psicoanalisi e antropologia”, in Creatività e clinica, ed. Alpes. Roma, 2013. La dott.ssa Tartari si è spenta in Torino nel 2020.