Sommario
Introduzione
Vorrei presentare alcune riflessioni che conduco da anni intorno al tema della cultura e dei suoi riflessi sullo psichismo individuale. Questo tema per me comporta una attenta analisi di concetti limitrofi, quali quello di trasmissione filogenetica, di trauma, ed infine di realtà psichica.
Mi interessa definire una linea di confine che tracci i contorni della causalità psichica indicandomi con la maggior chiarezza possibile quale sia la natura delle interazioni tra l’ontogenesi, o la vita di una persona e la filogenesi o la vita di un’insieme di persone. La linea di confine di cui parlo comporta la possibilità di comprendere le interazioni tra gli aspetti strutturali dello psichismo, ovvero la dimensione rappresentazionale affettiva dell’Immagine e gli aspetti dinamici, ovvero la dimensione energetico pulsionale.
E’ all’interno di questi ragionamenti che cerco di muovermi utilizzando dei materiali tratti dal lavoro clinico ma anche dalle ricerche antropologiche. Questi ultimi mi hanno sempre affascinato poiché sembrano contenere in modo a volte molto poetico e profondamente umano la stessa complessità che ritrovo ogni giorno nel materiale di seduta delle persone con cui lavoro.
Tuttavia, lo studio che ho condotto di certe popolazioni quali i Cuna di Panamà, l’analisi delle rappresentazioni del corpo nel pensiero greco arcaico, la raccolta di materiali etnografici tradizionali, come le ninna nanne, la ricerca sulle pittografie paleolitiche, mi hanno posto di fronte ad elementi dello psichismo umano che non sono sovrapponibili immediatamente a quelli che ritrovo nel lavoro con gli analizzati.
Questi materiali si assemblano e si trasmettono attraverso un processo di lenta selezione e di continui rimaneggiamenti, che poco hanno a vedere con un’idea semplice di ereditarietà di contenuti psichici, ma conservano intatto nel tempo il loro carattere evocativo. Mi sono sempre chiesta come e perché.
Cercherò dunque di mostrare che una certa definizione di cultura, situata al confine tra quella di filogenesi e quella di realtà psichica, può servire anche allo psicoanalista impegnato a comprendere le sovradeterminazioni messe in luce dalla ricerca clinica.
La cultura in Freud
L’origine collettiva, quindi culturale dei contenuti dell’inconscio trova nella descrizione del fantasma psichico, una formulazione così innovativa da modificare l’intero impianto psicoanalitico che da questo momento cessa, se così si può dire, di cercare il fatto traumatico nella realtà contingente o nell’infanzia, e si volta verso il mondo interno.
Freud aveva inizialmente individuato l’origine della nevrosi in un evento della storia del soggetto la cui patogenicità sarebbe derivata dalla mancata abreazione dell’affetto connesso all’evento stesso; la genesi del conflitto era rintracciata nel fallimento dell’elaborazione psichica della perturbazione. Siamo agli albori della psicoanalisi ed il carattere traumatico di certe esperienze é individuato in contenuti sessuali, più precisamente in un atto di seduzione infantile.
Per Freud tuttavia non erano le esperienze ad avere effetto traumatico, ma il loro rivivere come ricordo, dopo che il soggetto avesse varcato la soglia della maturità sessuale: “…Quasi tutti i sintomi erano sorti come residui – “sedimenti” si potrebbe dire – di esperienze cariche di affetto, che perciò più tardi abbiamo chiamato “traumi psichici”, e la loro singolarità trovava spiegazione nel rapporto con la scena traumatica che li aveva causati. Essi erano, per usare un termine tecnico, determinati dalle scene di cui rappresentavano i residui mnestici, e non era più necessario descriverli come produzioni arbitrarie o enigmatiche della nevrosi… Il sintomo non era sempre il residuo di un’unica esperienza, perlopiù avevano cooperato a determinarlo moltissimi traumi ripetuti, spesso assai simili… I nostri malati isterici soffrono di reminiscenze. I loro sintomi sono residui e simboli mnestici di determinate esperienze (traumatiche).Un confronto con altri simboli mnestici in altri campi ci porterà forse a una comprensione più profonda di questo simbolismo. Anche le opere d’arte e i monumenti di cui adorniamo le nostre grandi città sono simboli mnestici di questo genere”. 1
Tuttavia ben presto Freud trascura di accentuare il dato contingente nell’eziologia del trauma a favore dell’idea che la realtà esterna tragga la sua forza dall’agire di fantasmi inconsci. Si fa strada una definizione precisa di realtà psichica che assume un valore causale ben più significativo della ipotesi relativa alla seduzione ed ai traumi infantili.
Certi fantasmi hanno la stessa forza delle “reminiscenze” di cui avrebbe sofferto l’isterico, e: ”… possiedono una realtà psichica in contrasto con quella materiale, e noi giungiamo a poco a poco a capire che nel mondo delle nevrosi la realtà psichica é quella dominante“. 2
Il fantasma è considerato una sorta di canovaccio inconscio, costruito con rappresentazioni ed affetti, nel quale il soggetto organizza le proprie “variazioni sul tema”. Tuttavia la realtà psichica di cui parla Freud non è confinata nella dinamica psichica individuale, infatti il concetto di fantasma inconscio subito si arricchisce di una specificazione che lo aggancia alla realtà storica del genere umano.
Il dato reale, non più individuato nella storia personale, è dislocato nel passato dell’umanità. Per Freud infatti esistono alcuni fantasmi originari, come la castrazione, la madre fallica, il genitore combinato, la scena primaria, trasmessi in quanto tracce di avvenimenti traumatici da un passato preistorico in cui avevano avuto uno statuto di accadimento concreto.
Nell’attualità della vita, gli scenari fantasmatici agirebbero come un mito d’origine fornendo al bambino una risposta alle grandi inquietudini circa la nascita, la distinzione tra i sessi, il sorgere della sessualità e così via: “Reputo che queste fantasie primarie – così vorrei chiamarle, senza dubbio insieme ad alcune altre – siano un patrimonio filogenetico. In esse l’individuo, scavalcando la propria esperienza, attinge all’esperienza della preistoria, là dove la propria storia è troppo rudimentale. Mi sembra assolutamente plausibile che tutto quanto oggi ci viene raccontato nell’analisi come fantasia – la seduzione di bambini, l’accendersi del desiderio sessuale osservando i rapporti tra i genitori, la minaccia dell’evirazione (o meglio, l’evirazione stessa), sia stato una volta realtà nei primordi della famiglia umana, e che il bambino, con la sua fantasia, abbia semplicemente colmato le lacune della verità individuale con la verità preistorica. Ripetutamente ci è venuto il sospetto che la psicologia delle nevrosi ci abbia conservato, più che tutte le altre fonti, antiche testimonianze dell’evoluzione umana”. 3
Il fantasma passa di generazione in generazione senza essere riconosciuto e al suo interno il soggetto elabora in una forma mascherata il proprio conflitto psichico.
Caratteristica di tale scenario è quella di veicolare solo ciò che non ha potuto essere trasmesso per via simbolica, non ha potuto essere pensato.
E’ interessante notare la torsione epistemologica compiuta da Freud il quale nello stesso momento in cui abbandona la realtà del trauma infantile e quindi la teoria della seduzione, attribuisce il medesimo statuto di realtà al trauma filogenetico. Ne consegue una nuova concezione dell’inconscio inteso come memoria rappresentazionale affettiva di eventi preistorici ed una nuova concezione di conflitto, inteso come attualizzazione di un passato remoto non più congruente con i fatti della vita.
Così la realtà del trauma fatta uscire dalla ”porta” dell’esperienza infantile, a vantaggio della presenza di un conflitto tra i desideri inconsci del bambino ed i nascenti sistemi difensivi, rientra dalla “finestra” della filogenesi dove viene situato il dato perturbatore.
Sono convinta che questo attributo di realtà abbia condizionato il pensiero psicoanalitico, sospeso tra la ricerca di un fatto oggettivo nella genesi del conflitto psichico e il riconoscimento di conflitti di base che condizionerebbero l’ontogenesi e la filogenesi. La scoperta successiva della dualità pulsionale e della polarizzazione tra Eros e Thanatos, non fu sufficiente a fermare la ricerca di fattori causali che ha permeato il pensiero psicoanalitico successivo. 4
© Manuela Tartari
Note:
1 S. Freud, “Cinque conferenze sulla psicoanalisi”, (1909), OSF, vol. VI, pag. 133-135.
2 S. Freud, “Introduzione alla psicoanalisi”, (1915-17), OSF, vol VIII. , pag. 524.
3 S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, (1915) Opere complete, Boringhieri, Torino, 1976,pag. 526.
4 AAVV, Le psychisme à l’épreuve des générations. Clinique du fantôme (1995), tr. it. Lo psichismo alla prova delle generazioni. Clinica del fantasma, Borla, Roma, 1997.
Psicoterapeuta, antropologa formatasi presso ‘Ecole del Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, membro didatta dell’Istituto italiano di Micropsicoanalisi. Ha collaborato per anni alle ricerche e alla didattica delle cattedre di psicologia sociale e psicologia dinamica, quando Nicola Peluffo insegnava alla Facoltà di Psicologia dell’Università di Torino. Da più di vent’anni ha ricoperto incarichi di consulenza e collaborazione presso alcune ASL piemontesi per la psicoterapia infantile e il lavoro in ambito evolutivo. Oggi è consulente tecnico del Giudice presso i Tribunali di Torino. Tra le diverse pubblicazioni si ricorda: “Metamorfosi del corpo”, in: La terra e il fuoco, a cura della stessa autrice, ed. Meltemi, Roma 1996; “Dall’oggetto inconscio all’oggetto transizionale”, in Quaderni di Psicoterapia Infantile, diretti da C. Brutti, Borla, Roma 1997; “Antropologia e metapsicologia. Un confronto freudiano tra efficacia simbolica e elaborazione primaria”, in Etnosistemi, n° 7, anno VII, 2000; “L’immagine del corpo in adolescenza”, in Bollettino dell’Istituto italiano di Micropsicoanalisi, n° 36, 2006: “Controtransfetr e stati deliranti”, in Tabù, delirio e alucinazione, ed. Alpes. Roma, 2010; “La creatività tra psicoanalisi e antropologia”, in Creatività e clinica, ed. Alpes. Roma, 2013. La dott.ssa Tartari si è spenta in Torino nel 2020.