XXIII VALCAMONICA SYMPOSIUM 2009 : “PRODURRE STORIA DALLA PREISTORIA”
Introduzione
La micropsicoanalisi si costituisce come Metodologia scientifica agli inizi degli anni ’50, organizzandosi in parallelo con la microbiologia e la microfisica: in effetti, si basa sul tentativo di scomposizione del dato psichico fin nei più minuscoli ed impercettibili dettagli, laddove si concentra l’affetto e si mantiene immutabile ed intatta la struttura conflittuale nevrotica, origine di molta sofferenza intrapsichica. In senso molto lato, possiamo usare la definizione di nevrosi in termini di: ”disordine intrapsichico dovuto alla distribuzione casuale su oggetti inconsci di cariche energetiche in continua interazione di attrazione-repulsione di natura affettiva e rappresentazionale”. Al contrario, quello che caratterizza l’aspetto cognitivo dei comportamenti, è un insieme organizzato di schemi operativi e di funzionamenti finalizzati all’adattamento, che riposano su sistemi di connessioni logiche e stabilizzate. Per questo motivo, in un’ottica generale, possiamo affermare che il concetto di un’ipotetica salute mentale risulta da un buon equilibrio tra le attività espletate dai due sistemi, che agiscono in sinergia e complementarietà.
Occorre pertanto definire il concetto di struttura, nei termini di: “gruppi di elementi o di oggetti presi non nella loro singolarità bensì nel loro insieme e uniti da legami che li pongono in relazione reciproca”. Di conseguenza, possiamo definire il sistema Inconscio come una struttura che possiede un’elevata concentrazione di molecole psichiche (rappresentazioni e affetti) trattenute tra loro non da legami di logica e coerenza ma da relazioni di semplice contiguità, contatto e somiglianza: in quest’ottica, l’Inconscio si costituisce per aggregazione casuale di insiemi caotici e polimorfi.
Questo dualismo tra sistemi psichici coerenti e incoerenti si prospetta fin dalle origini del processo di civilizzazione del Sapiens. Da una parte, infatti, le incisioni rupestri costituiscono un primordiale codice legislativo che prescrive le norme comportamentali da adottare ai fini della conquista di sesso, cibo e territorio (Anati). L’Arte Rupestre si delinea dunque come un complesso sistema di regole, di leggi e di costanti incise nella roccia che tentano di mantenere un precario equilibrio tra il Sapiens e il suo Dio/natura (Religione e Morale), tra il Sapiens e il suo Clan (Politica e Sociologia) e tra il Sapiens e Se stesso (Psicologia, Arte ed Estetica).
D’altro canto, come scrive E. Anati in “Delirio e allucinazione collettiva: considerazioni per un’analisi antropologica” (1): «L’arte preistorica e tribale, nel corso di millenni, rivela una massa immensa di opere che possono essere definite in termini di “costruzione intellettuale senza rapporti con il mondo reale”, ossia che rispondono alla definizione di delirio. Maschere tribali, dal bacino del Congo in Africa centrale al Sud-est asiatico, a Bali, alla Colombia Britannica, all’Amazzonia, rappresentano esseri fantastici, mai esistiti in natura se non nella immaginazione di chi li ha prodotti, mostri, spiriti benefici e malefici. Ogni immagine ha una sua storia e questa risponde alla definizione data per allucinazione: “Percezione, da parte di un soggetto sveglio, di fenomeni di realtà inesistenti”. Se poi osserviamo le opere di arte preistorica, in particolare dell’arte rupestre, incontriamo personaggi metà animali e metà umani, uomini-uccello, uomini-bisonte o uomini-canguro, incontriamo personaggi-farfalla, personaggi-tubero o personaggi-fiore, personaggi con due teste o con dodici braccia, ma anche personaggi-vento e personaggi-luna. Sovente tali esseri immaginari sono associati in scene o composizioni, che descrivono eventi, episodi, miracoli, realtà che nella limitazione delle nostre facoltà definiamo inesistenti. L’homo sapiens, ha avuto l’esigenza di produrre e di vivere tali stati d’animo».
Questo mio lavoro si pone come tentativo di spiegazione proprio di tali esigenze.
- 1°: La “quaestĭo”di Bernardo di Chiaravalle.
In «Arte e Bellezza nell’Estetica Medievale» (2), nel secondo capitolo dedicato “Alla sensibilità estetica medievale”, Umberto Eco riporta un interessantissimo brano tratto dalla «Apologia ad Guillelmum abbatem» del pensatore rigorista Bernardo di Chiaravalle (cfr. testo originale per esteso in nota 3):
«Del resto, che cosa fa nei chiostri, dove i frati stanno leggendo l’Officio, quella ridicola mostruosità, quella specie di strana formosità deforme e deformità formosa? Che cosa vi stanno a fare le immonde scimmie? O i feroci leoni? O i mostruosi centauri? O i semiuomini? O le maculate tigri? O i soldati nella pugna? O i cacciatori con le tube? Si possono vedere molti corpi sotto un’unica testa e viceversa molte teste sopra un unico corpo. Da una parte si scorge un quadrupede con coda di serpente, dall’altra un pesce con testa di quadrupede. Lì una bestia ha l’aspetto del cavallo e trascina posteriormente una mezza capra, qui un animale cornuto ha il posteriore di cavallo. Insomma appare dappertutto una così grande e così strana varietà di forme eterogenee, che si prova più gusto a leggere i marmi che i codici e a occupare l’intera giornata ammirando a una a una queste immagini che meditando la legge di Dio. O Signore, se non ci vergogniamo di queste bamboccerie, perché almeno non ci rincresce delle spese?» (PL 182, coll.915-916,tr.it.p.213)
L’interrogativo che si pone il pensatore medievale intorno al 1150 dell’era moderna non è un semplice esercizio di mistica scolastica: benché tesa a contrastare il fascino pernicioso delle sculture marmoree, da cui si emana un diletto talmente intenso da stornare l’animo del fedele dalla pietà e dalla concentrazione nella preghiera, la preoccupazione di Bernardo non è solamente morale e la condanna che ne scaturisce non colpisce soltanto il lusso e l’impiego di mezzi figurativi nella decorazione delle chiese. Si percepisce nell’accurata descrizione delle immagini scolpite nel marmo un effetto “perturbante”(4) che travalica completamente l’esperienza estetica ed evidenzia l’inquietudine di un turbamento profondo e nascosto, l’angoscia di un pericolo celato che sarebbe dovuto rimanere segreto e che è invece affiorato nel pensiero cosciente tramite un lapsus quasi blasfemo: «ut magis legere libeat in marmoribus quam in codicibus (si prova più gusto a leggere i marmi che i codici)». Non si tratta infatti del contrasto classico e consolidato tra l’attrattiva delle gioie terrene e la pace raggiunta nell’ascesi e nella gioia spirituale, cui ogni religioso è temprato da anni di disciplina e sacrificio. Sembra quasi un conflitto tra una sollecitazione più intensa dell’altra, ma entrambe di origine soprannaturale, una disarmonia metafisica che invade i rigorosi confini delle categorie trascendentali, creando un effetto di drammatico scompiglio ed incertezza nelle profondità dello psichismo stesso.
- 2°: Le Informazioni dell’Arte Rupestre
L’Arte Rupestre di Twyfelfontei nella Namibia è tra le più antiche, le pitture rupestri che vi sono state ritrovate risalgono all’inizio del Paleolitico superiore, situabili tra 40 e 35 mila anni fa. Tra di esse si annoverano molteplici figure di cavalli ottopodi psicopompi, che centinaia e centinaia di secoli dopo saranno ripresi e raccontati dai Greci, sotto la forma di Centauri, metà uomini e metà cavalli. Così come di sirene, di tritoni e di arpie narrava Platone nel mito di Atlantide, ma oggi i Paleontologi ci hanno svelato tutti gli animali dipinti in maniera “seminaturalistica” sulle pareti delle caverne del rio Martìn, in Tenuel (España), dove serpenti, uccelli, pesci,vortici piumati e ibridi ornitomorfi e altri esseri sovrannaturali sono rappresentati con infinita fantasia, in cui si coniugano esperienze iniziatiche, estasi e trance, alterazioni d’origine allucinogena e fenomeni psicopatologici, in un insieme di tracce, conoscenze, pratiche e vissuti che contribuiscono a organizzare, formulare e trasmettere l’ideologia sciamanica tramite l’immagine rupestre. In Val Camonica, molti dei ricercatori del CCSP si sono soffermati a studiare le metamorfosi di teriantropi, di teriocefali, di quadrumani alati e di altre rappresentazioni antropo-zoomorfe, che per decine di migliaia di anni hanno caratterizzato il modello sciamanistico che ha governato il pianeta intero, in una commistione continua tra esperienze mistiche e allucinatorie, tra il passaggio ritualizzato dal mondo dei vivi al mondo dei sogni, tra dimensione cosmologica e percezione dello spazio, tra immagine funeraria e trance orgiastica (5).
In un’ottica puramente psicoanalitica, possiamo ipotizzare che quanto più l’Io si è organizzato e complessificato, tanto più si è allontanato da fenomeni di tipo sciamanico, rimuovendo l’esperienza di contatto diretto col sacro: le tecniche di alterazione degli stati di coscienza – con o senza uso di allucinogeni, con o senza digiuni o altre deprivazioni sensoriali-; il valore della musica, del canto e della danza – soprattutto sulla cadenza del tamburo-; l’uscita volontaria e controllata dell’anima dal corpo per il viaggio nell’altro mondo; la visione di animali spirituali, fantastici, mutanti o antropo-zoomorfi; la dissociazione mentale controllata con manifestazioni epilettoidi, tutte queste tecniche sono state allontanate dalla coscienza e, in apparenza, dimenticate. Tuttavia, come scrive E. Anati in : “La Religione delle origini” (6): «lo sciamanismo si situa alle radici dell’esperienza sacrale dell’Homo Sapiens».
Sempre collocandoci all’interno di una dimensione rigorosamente freudiana, possiamo tranquillamente affermare che, come ogni esperienza primaria rimossa, la spiritualità sciamanica conserva in sé la tendenza a riproporsi immutata all’attenzione dell’Io, superando la barriera di inibizione e tabù che si è venuta a costruire intorno ad essa: è proprio nel ripresentarsi di questa dinamica di oscillazione conflittuale, che Bernardo di Chiaravalle (il rappresentante di ogni Essere Umano) appare evidentemente perturbato dal carattere demoniaco, sacrilego e onnipotente del messaggio rinchiuso nella pietra sacra (marmo) e pertanto diventa facile preda di una Coazione a Ripetere Filogenetica, in cui la recente Fede nel Cristo, che potremmo per brevità definire di natura fenotipica, risulta fortemente scossa dagli elementi pulsionali primordiali e genotipici sprigionati dai petrogrammi marmorei.
- 3: Blemmi, Panozi, Sciapodi e Cinocefali. (7)
Il termine “engramma”, fu usato per la prima volta dal neurologo tedesco Richard Semon che nel 1904 lo usò nel suo libro «Die Mneme» (8) per riferirsi alla rappresentazione neurale di una memoria. Per l’Autore, ciascun evento esperienziale agisce sulla materia cerebrale lasciando su di essa una traccia; l’engramma diventa così, simbolo e immagine in cui si riconoscono una carica energetica e una esperienza emotiva che rimangono impresse nella memoria cellulare come segno persistente. L’engramma descrive per Semon un cambiamento permanente nel Sistema Nervoso Centrale, e tale cambiamento equivale al formarsi di una traccia mnestica che conserva stabilmente gli effetti di una determinata esperienza nel tempo.
In questo senso, i “Blemmi” (esseri acefali con occhi e bocca sul ventre o sul torace), i “Panozi” (popolo dalle enormi orecchie, lunghe come quelle del coniglio o dell’asino, comprese quelle di Mida, re dei Frigi), gli “Sciapodi” o monocoloi (μονο-κωλοι — “una gamba” in greco, esseri mitologici dotati di una sola gamba e di un solo enorme piede, che si supponeva abitassero l’India), tutti rigorosamente rappresentati nell’Arte Rupestre tramite pitture o incisioni (9), si sono mantenuti inalterati nelle fantasie e nei sogni contemporanei: basti pensare all’immensa produzione fumettistica o filmografica attuale, che li assume come protagonisti e li ripropone all’attenzione di un grande Pubblico. Cambia il supporto, che da litico si fa elettronico, e cambia il numero dei destinatari, che da poche migliaia si demoltiplicano in qualche miliardo, ma il messaggio permane immutabile nello scorrere dei millenni (10).
Occorre riservare un’attenzione più particolareggiata ai “cinocefali” (dal greco antico κυνοκ-φαλος che significa testa di cane, designando in tal modo esseri mitici dal corpo d’uomo e dalla testa di canide, di dimensioni variabili da umane a gigantesche), che furono tra i primi petrogrammi ad apparire nel Paleolitico, subito dopo che il Sapiens smise di raffigurare solamente animali e si accinse a rappresentare sé stesso, il proprio Clan e i rituali sciamanici che ne regolavano l’esistenza : E.Anati ne ha repertoriati migliaia e alcuni fra essi costituiscono dei veri e propri capolavori figurativi. Anche i Cinocefali sono quindi l’espressione di altrettanti “engrammi”, ossia di tracce mnestiche che, organizzatesi come petrogrammi nell’Arte Rupestre preistorica, continuano ancora oggi a popolare non solo la moderna filmografia e l’immaginario contemporaneo, ma si pongono come “regolatori”di azioni e pensieri estremamente diffusi nel comportamento moderno.
Come esemplificazione pratica basti pensare alla “Licantropia” (il licantropo è un cinocefalo) in Clinica psichiatrica, dove essa assume i caratteri di una patologia mentale gravissima, in cui i malati esprimono il bisogno di cibarsi di carne cruda, talvolta umana, e bere sangue; o in Criminologia, dove si riportano numerosi esempi di assassini psicopatici che hanno dilaniato i corpi delle proprie vittime coi denti e ne hanno addirittura mangiato il cuore. In una dimensione “non patologica”, è sufficiente sfogliare il catalogo di uno qualsiasi delle centinaia di migliaia di “tatoo”sparsi per il pianeta , per prendere atto della permanenza costante dei Cinocefali tra gli umani contemporanei.
Questi dati, unitamente all’infinità varietà di esseri fantastici di natura antropofagica espressi nelle fantasie collettive di ogni tempo e luogo, ci illustrano puntualmente e concretamente quale sia stata l’origine prima e la funzione dello Sciamanesimo: regolare dapprima, tramite la ritualizzazione, rimuovere in seguito, tramite il tabù, il cannibalismo umano. Infatti, non solo sono stati ritrovati innumerevoli resti di atti cannibalici in siti abitativi dell’uomo di Neandertal (si tratta di ossa umane con segni di macellazione trovate in numerose località europee, specialmente in Croazia e Francia), ma, secondo gli Antropologi, tutti gli svariati ritrovamenti indicano che la pratica di cannibalismo fosse comune e molto diffusa anche nell’ Homo Sapiens arcaico, durante il Paleolitico superiore, dapprima sotto forma endogamica ed in seguito spostata su pratiche esogamiche. Calcolando in modo molto grossolano, possiamo legittimamente ipotizzare che solo lo 0,033% del Tempo Complessivo necessario al compiersi del processo di ominizzazione – ossia i centomila anni necessari allo sviluppo del Sapiens raffrontati ai tre milioni di anni che intercorrono tra il primo Australopithecus e il Neandertal -, sia trascorso tentando di allontanare dall’agire quotidiano l’impulso cannibalico, e questo misero 0,033% sia a sua volta costellato da infinite eccezioni, reali, rituali, magiche o solo desiderate.
Si prefigura in tal modo il lungo processo tramite il quale gli “engrammi originali”, ossia le tracce mnestiche derivanti dall’intensità e la ripetizione delle esperienze di soddisfacimento delle spinte cannibaliche, organizzatesi durante il processo di umanizzazione, si siano conservate immutate all’interno dello psichismo profondo umano, generando un continuo e costante “ritorno del rimosso” sotto forma di allucinazioni collettive o deliri individuali. In ogni caso, sia sotto la forma di fantasia generalizzata, sia sotto la forma di condotta psicopatica, sia sotto l’aspetto di delirio sistematizzato, occorre non dimenticare che il principale mutaforme protagonista di ogni trasformazione teriantropica era e resta, immutabile, lo sciamanesimo e la sua complessa ed articolata ritualità arcaica e ancestrale.
A fini esplicativi, aggiungo che la nozione puramente neurofisiologica ormai un po’ desueta e superata di “engramma” è stata ripresa ed elaborata in modo più raffinato all’interno della teoria micropsicoanalitica, tramite il concetto di “Immagine filogenetica”, dove si evidenzia l’esistenza di un insieme di tracce mnestiche geneticamente organizzate che coordinano e pianificano memorie di comandi motori e delle relative sequenze affettive e rappresentazionali ad esse associate, che sono attivate in blocco e in modo automatico dalla stimolazione delle varie situazioni interne o ambientali. In parole più semplici, si constata l’esistenza di un sotto-insieme di memorie rudimentali ed arcaiche che agiscono indipendentemente dalla memoria principale e della volontà del soggetto, che, in particolari circostanze, si trova ad agire condotte o formulare semplici pensieri in modo automatico, senza che in pratica vi sia bisogno di idearli, controllarli o adattarli durante il loro svolgimento.
- 4° L’organizzarsi della Physica Curiosa, sive mirabilia naturae et artis (11)
Contemporaneamente al primo manifestarsi della coscienza del rapporto tra l’individuo e gli altri esseri umani, il Clan d’appartenenza, gli animali e il resto della natura, deve essere sorta anche la consapevolezza del mistero, e dell’importanza pratica del fatto che la vita abbia origine da un corpo femminile. Tale scoperta è concomitante con l’origine dei mostri di pietra e la loro apparizione su blocchi istoriati: sembrerebbe infatti che il punto centrale sia l’associazione della donna con il potere di donare e di sostenere la vita.
La più antica rappresentazione delle parti del corpo femminile, ovvero i seni, i glutei, il ventre e la vulva , rappresentata da pittogrammi triangolari o dai classici segni “à batônnet”, risale al tempo in cui i popoli, come dimostra la Roccia del Grande Fallo (12) , pur avendo ben chiari i meccanismi di accoppiamento-fecondazione-riproduzione , ancora non avevano capito chiaramente il processo biologico della gravidanza: dovettero pertanto dotarsi di una divinità che fosse l’estensione macrocosmica del corpo femminile. Si tratta di una Creatrice Universale, dispensatrice della vita e della nascita. A queste parti del corpo femminile fu attribuito il potere miracoloso della procreazione e vi furono associati vortici, croci e una varietà di segni quadrangolari ,come simboli di dinamismo nella natura che assicura la nascita di ogni creatura e muove la ruota del tempo ciclico dalla morte alla vita. La Dea fu collegata alle madri molto giovani nelle forme di animali, quali la giovenca, l’orsa, la cerva, e, nel Paleolitico Superiore, come bisonte femmina o giumenta. La continuità di tali immagini nella tarda preistoria e perfino in epoca storica si può spiegare non solo con l’immutabilità di simboli, collegati alla nascita e alla maternità, fortemente radicati nella cultura sciamanica, ma anche come memoria profonda assorbita da un sistema matrilineare, in un’epoca in cui la paternità era difficile da stabilire. Sembrerebbe dunque che la prima commistione tra figure animali e figure umane si sia ingenerata proprio nel tentativo di rappresentare e venerare il processo gravidico tramite raffigurazioni teriantropiche, fortemente sovradeterminate da valenze cannibaliche, necessità alimentari, desideri scoptofilici, spinte aggressivo – sessuali, tutte sincretizzate in un coacervo di pratiche sciamaniche, come dimostrano le stupende incisioni ritrovate nella Grotta di Pech-Merle (Francia), risalenti al Periodo Magdaleniano.
Desidero inoltre mettere ben in evidenza il fatto che , nella raffigurazione di alcune Veneri Paleolitiche come le Veneri dei Balzi Rossi e quelle di Savignano, compaiano acconciature e copricapo “pendenti” estremamente complessi, che immediatamente rimandano alla percezione di lunghe orecchie e quasi certamente sono queste le immagini che verranno recuperate in età greco – latina ed in seguito medioevale per alimentare le fantasie dei sopracitati “Panozi”. Analogamente, nella Scultura, mezzo privilegiato con cui la Dea-Madre fu rappresentata con più frequenza, le varie parti del corpo non venivano realizzate con precisione uniforme: «Le statuette femminili, scolpite in osso, pietra o avorio di mammut, erano nude ed in posa naturale. Molte di queste erano chiaramente obese, ed a differenza delle rarissime raffigurazioni maschili magdaleniane, non portavano maschere e non avevano sembianze di animali. Il seno, la pancia e la vagina, ricevevano maggiore attenzione dall’artista, mentre il volto, le braccia e le gambe erano soltanto abbozzate, a volte mancanti del tutto» (13). Tali scelte stilistiche erano sicuramente attribuibili al culto, il cui scopo era di idolatrare, esaltare e accentuare gli elementi indispensabili al concepimento e alla maternità, tuttavia la rassomiglianza di alcune Veneri Paleolitiche (Lascoux, Pech Merle, Altamira) con le creature che millenni di anni dopo saranno definite come “Blemmi” è impressionante.
5°§: Genesi del Trauma
L’abortività umana è una delle più elevate tra tutte le Specie viventi che hanno popolato e popolano il Pianeta; ancora oggi, benché i progressi della Medicina abbiano ridotto a qualche percentuale di punto il tasso di mortalità embrionale e fetale nei Paesi industrializzati, si calcola che, nel mondo, l’apoptosi del tessuto trofoblastico colpisca circa i due terzi degli innesti umani; a questi aborti spontanei vanno aggiunte innumerevoli alterazioni cromosomiche, le anomalie genetiche e svariate forme di mosaicismi. A tali aberrazioni citogenetiche si sovrappone in seguito il pericolo di una vasta gamma di malattie infettive, che spaziano dalla toxoplasmosi alla sifilide, dalla rosolia al citomegalo-virus, tutte malattie attualmente molto diffuse. Poi, nelle aree civilizzate, bisogna aggiungere gli effetti nefasti causati dall’uso di farmaci, alcool e sostanze psicotrope, mentre in quelle sottosviluppate si moltiplicano i rischi derivanti dalle carenze alimentari e dalle infezioni sessuali; un capitolo a parte è costituito dagli incidenti traumatici, per lo più stradali nel mondo evoluto, più legati a urti, cadute, percosse o abusi nella parte più povera. Quindi, subentrano i traumi da parto, legati a parto prolungato, gravidanza post-termine, diametro pelvico stretto, errori di manovra nell’estrazione, che possono originare molteplici lesioni al nascituro: la più frequente e conosciuta è la neurotmesi (lesione di fibre nervose che provoca una paralisi di un arto), ancora oggi diffusissima in Africa, e questo spiegherebbe la moltitudine di Zoppi che da sempre hanno affollato il Pianeta.
Questo parziale elenco di patologie gravidiche è necessario per rendersi ben conto che il mondo intra-uterino , lungi dal costituire un ambiente paradisiaco, si delinea come un universo altamente traumatico, in costante equilibrio tra i delicati processi psicobiologici che regolano le dinamiche di Rigetto e di Facilitazione (14); in tal senso, l’Essere Umano è testualmente un sopravissuto di un’interminabile sequenza di scontri biologici e lotte intra psichiche che si sono svolte tra l’Organismo materno e l’embrione/feto.
Spetta alla Micropsicoanalisi il merito scientifico di aver delucidato come ogni essere umano, da sempre, abbia conservato negli strati più profondi dello Psichismo le tracce, sia pur rudimentali e frammentarie, degli eventi e delle esperienze che hanno caratterizzato la propria gestazione. Come ha scritto N.Peluffo, lo stato di disequilibrio somato-psichico costituito dalla gestazione, induce nella madre la comparsa di sogni e fantasie di invasione batterica, quali rappresentazioni psichiche del processo somatico, cioè “della reazione immunitaria”. Inoltre nell’involucro costituito dall’unità materno – fetale, vi sarebbe un incontro, un dialogo, una interazione, tra i vissuti psichici della madre, inconsci, preconsci e consci, che vengono a costituire dei fantasmi-stimolo che evocano, nel nascituro, l’insorgenza di fantasmi-risposta, presenti nella loro potenzialità ereditaria.
Osservando questa dinamica, la ricerca micropsicoanalitica ha evidenziato anche come uno dei principali meccanismi di regolazione degli squilibrî somato-psichici che si producono nella relazione madre/feto sia l’attività onirica: nei momenti ipercritici di massima tensione, il sogno si profila come mezzo privilegiato per diseccitare entrambi gli organismi e riportare i due protagonisti della vicenda a uno stato di relativa quiete. Non solo il feto sogna, ma l’attività onirica fetale si mantiene e perdura al di là della nascita, mantenendo nel lattante il suo potere di sedazione.
Questo tipo particolare di sogno, denominato “sonno sismico”, si modifica gradualmente e, con la maturazione del Sistema nervoso, si trasforma nelle fasi REM-NREM, comunemente note. Porzioni sempre più ristrette di sonno sismico, tuttavia, persistono durante la vita di veglia del lattante, come meccanismo di regolazione della tensione nei momenti di criticità quotidiana, alimentando e sostenendo quella che, in gergo tecnico, viene definita “allucinazione primaria”. Sottolineo che si tratta di un processo di riequilibrio del sistema, necessario al neonato per ridurre la quantità di eccitazioni spiacevoli e dolorose presenti in una qualunque situazione di stress, e pertanto automatismo in sé fisiologico e non patologico. A questo proposito, la Micropsicoanalisi ha messo in evidenza la relazione proporzionale tra andamento gravidico e necessità di produrre e sviluppare allucinazioni, nel senso che quanto più critico sia stato il decorso della gravidanza tanto più elevata si profilerà l’esigenza di ricorrere all’allucinazione per sopravvivere.
Come scrive N.Peluffo: «In un’ottica cellulare, l’allucinazione primaria è un tentativo di ripetizione basato su un rudimento di memoria cellulare che si manifesta attraverso i canali sensoriali interessati ai sistemi di cellule che la presenza di uno stimolo ha posto in stato di eccitazione. L’allucinazione così intesa è una forma molto primitiva di difesa che si pone al confine tra psiche e soma e tende ad eliminare uno stato di difficoltà persistente» (15).
Tenendo conto di tutte queste informazioni, se s’ipotizzano quali possano essere state le condizioni della gravidanza e del parto presso le popolazioni del Sapiens Preistorico e dell’intensità dei traumatismi ad essi connessi, si capisce immediatamente da dove derivi l’esigenza di vivere e produrre degli stati di allucinazione.
Questo però spiega soltanto la ‘quantità’, ossia “ la massa immensa “ come la descrive Anati, di alterazioni percettive presenti nei blocchi istoriati. Per capirne la ‘qualità’, ossia il significato, occorre avventurarsi in dimensioni ancor più microscopiche.
6°§: Chimere e microtraumatismi
In un originale e molto interessante Comunicazione presentata al Convegno di Capo d’Orlando 2008 (16), G. Marzi ha illustrato gli effetti del microchimerismo fetale nello psichismo di soggetti adulti:
«Il temine chimera, nel significato originario, e trascurando altre estensioni figurate,significa etimologicamente CAPRA. (un elemento semplice ed essenziale della vita dell’uomo preistorico).Nella mitologia antica, le chimere sono figure fantastiche composte di parti di esseri diversi: leoni, capre, serpenti ecc. Chimere interspecie uomo-altri animali sono pure note : sirene, centauri, minotauri, Scilla e la celebre Sfinge. In realtà, come sempre accade per i miti antichi, essi contengono per condensazione le angosce reali o fantasmatiche dell’uomo, stretto fra la fragilità del suo corpo, le forze preponderanti della natura e il principio totipotente che avverte in sé. I biologi moderni partendo dal concetto di mescolamento di parti di animali diversi, hanno chiamato microchimerismo la presenza di cellule con patrimonio genetico diverso da quelle del resto dell’organismo che le ospita. Fino agli anni “90 era noto il trasferimento di cellule dalla madre al feto (microchimerismo materno), ma la loro persistenza sembrava possibile in bambini affetti da immunodeficienza, il ché faceva pensare che un sistema immunitario sano rapidamente eliminasse le cellule aliene. Successivamente però è stata evidenziata, non senza sorpresa, la persistenza di cellule materne in individui adulti in buona salute e di cellule con DNA maschile in donne che avevano avuto figli maschi a decenni di distanza dal parto. Come spiegare questo fenomeno di microchimerismo a lungo temine? La maggior parte delle cellule vive un periodo limitato: solo le cellule staminali , che hanno la capacità di differenziarsi in diversi tessuti, possono dividersi indefinitamente. Si deve pensare, dunque , che le colonie di microchimere siano derivate da una migrazione di staminali durante la gestazione. La grande attenzione dei biologi a questi fenomeni è dettata dalle implicazioni. Dato che la gravidanza può dar luogo a questi passaggi di cellule dall’ospite all’ospitato e viceversa, consideriamo cosa può succedere nella poliabortività patologica, quando un figlio sopravvive a 2-3 aborti spontanei della madre o quando è superstite di numerosi fratelli non nati o morti nell’immediato post natale. Quello che noi sperimentiamo sempre come senso di colpa del sopravvissuto potrebbe avere anche un supporto biologico e, per il tramite dei complessi fenomeni legati alla presenza delle microchimere, avere sue proprie espressività somatiche. E non si può parlare di Immagine solo in senso metapsicologico se microchimere della madre, dei fratelli e forse anche della nonna materna coabitano con il soggetto durante la vita prenatale (e anche dopo) e non si esclude che possano avere un ruolo, in particolare sul sistema immunitario, nelle vicende dello stadio iniziatico. Questo, infatti, è quanto emerge dagli studi in corso:
-il microchimerismo è possibile non solo nella trasmissione bidirezionale madre-feto, ma anche fra gemelli all’interno dell’utero; e dato che è noto che alcuni gemelli vanno persi prima di essersi individuati, potrebbe esserci un microchimerismo da “gemello scomparso”. Anche se non è stato ancora dimostrato, non si può, alla luce delle attuali conoscenze, escludere un microchimerismo da fratelli, per le gravidanze precedenti; e , perché no, dagli aborti ripetuti specie se di gravidanze sufficientemente avanzate. Dato che la riproduzione umana ha un alto tasso di fallimenti, con frequenti aborti spontanei, questa prospettiva apre all’idea di vite prenatali in cui la relazione madre-figlio potrebbe comprendere inferenze di moltitudini di parenti. Le nonne per esempio., Infatti, dato che le donne possono ospitare diverse generazioni, provenienti sia dalla propria madre sia da uno o più dei propri figli, quali possono essere le conseguenze?»
L’intervento di G. Marzi prosegue illustrando i sogni di una sua giovane paziente, prima sopravvissuta di una serie di vicende gravidiche molto travagliate, portatrice di una forma allucinosica non grave, che si sentiva perseguitata da maschere terrificanti che le comparivano durante il sonno; in questo senso, l’Autrice illustra magistralmente come l’attività onirica svolga, oggi come decine di migliaia di anni fa, lo stesso compito di costruire una situazione, sia pur spaventosa, che funga da contenitore delle spinte proiettive primarie, ovvero dei tentativi di “eiezione” dei residui traumatici dell’esperienza intra-uterina, al fine di dare un corpo esterno al persecutore, liberando in tal modo il sistema psico-biologico dall’eccesso di tensione che lo minaccia dall’interno, esponendolo a reali pericoli di morte.
Ecco, nell’intersecarsi multidisciplinare di una varietà di conoscenze, il dischiudersi di una prima, vera, interpretazione al contempo biologica e psicologica del segreto inscritto nei bestiarî di pietra e nei rituali sciamanici che ne regolano l’uso:
«Tentativi di eiezione di tracce traumatiche che vengono proiettate sotto forma di paure imprecisate e non definibili, che solo in un secondo tempo saranno elaborate in immagini spaventose (oggetto fobico) o rassicuranti (oggetto contro-fobico) e quindi materializzate visivamente su blocchi di pietra, al fine di esaurire la spinta continua di una tensione interna mai risolta e costantemente pericolosa».
Paura e Ansia sono dunque le condizioni affettive primarie di riferimento, filogenetica mente programmate, che tramite la reazione neuro-vegetativa, non solo collegano la psiche al soma ma ricongiungono l’Uomo all’Animale, coinvolgendo l’intera organizzazione psico-biologica in una risposta coerente, riconoscibile e quindi potenzialmente gestibile. Si costruiscono pertanto rappresentazioni intrinsecamente minacciose collocate all’esterno come risposta difensiva all’accumulo di tensioni interne, originatesi durante le varie fasi della gestazione e del parto. Questo equivale a definire la costruzione di tutto l’Apparato psichico come un grande meccanismo di trasformazione dell’energia del Trauma in Complesso.
In conclusione, possiamo quindi affermare che se si mette in risalto l’esistenza di una memoria cellulare come residuo di memoria rudimentale, predisposta ad inviare messaggi ed informazioni codificate (forse tramite i mediatori chimici), messaggi a loro volta in grado di connettersi ed interferire con l’organizzazione delle varie memorie principali (memoria a breve e lungo termine, anterograda e retrograda, preconscia e inconscia) e capaci di esprimersi mediante immagini soggiacenti non direttamente riconducibili sotto il controllo del Sistema Percezione-Coscienza e dell’Esperienza, non si può che giungere alla conclusione del persistere di un insieme di rappresentazioni e affetti geneticamente organizzato che si ripete immutato per tutto il susseguirsi delle generazioni, i cui cambiamenti e variazioni evolutive non sarebbero altro che epifenomeni discontinui, temporanei e assolutamente relativi.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
(1) Anati, E.: «Delirio e allucinazione collettiva: considerazioni per un’analisi antropologica», in: “Scienza&Psicoanalisi”, rivista multimediale diretta da Q. Zangrilli
(2) Eco, U.: «Arte e Bellezza nell’Estetica Medievale», Ed. Bompiani,p.12, Milano 1987
(3) «Ceterum in claustris, coram legentibus fratribus, quid facit illa ridicula mostruositas, mira quaedam deformis formositas ac formosa deformitas? Quid ibi immundae simiae? Quid feri leones? Quid monstruosi centauri? Quid semihomines?Quid maculosae tigrides? Quid milites pugnantes? Quid venatores tubicinantes?Videas sub uno capite multa corpora, et rursus in uno corpore capia multa: Cernitur hinc in quadrupede cauda serpentis, illinc in pisce caput quadrupedis: Ibi bestia praefert equum, capram sterius: Tam multa denique, taque mira diversarum formarum apparet ubique varietas, ut magis legere libeat in marmoribus quam in codicibus, totumque diem occupare singula ista mirando, quam in lege Dei meditando. Proh Deo! Si non pudet ineptiarum, cur vel non piget expensarum? »
(4) Freud, S.: «Il Perturbante», in: O.S.F. Vol. IX, Ed. Boringhieri, Torino, 1976
(5) Anati, E.: «Sciamanismo e Mito», Bollettino del Centro Camuno di Studi Preistorici, Dirett. E.Anati, Ed. del Centro, Capo di Ponte, 2001-2002
(6) Anati, E.: «La Religione delle Origini», Bollettino del Centro Camuno di Studi Preistorici, Dirett. E. Anati. Ed. del Centro, Capo di Ponte, 2001-2002
(7) Anche se palese, mi sembra doveroso specificare come l’incontro con tali creature sia scaturito dalla lettura di: Eco, U.: «Baudolino» Ed. Bompiani, Milano, 2000
(8) Schacer, D: «Forgotten Ideas, Neglected Pioneers: Richard Semon and the Story of Memory. » Philadelphia 2001: Psychology Press. ISBN 1-84169-052-X.
(9) Esseri acefali, mostri con orecchie smisurate e umanoidi con una gamba sola, insieme a cinocefali, ciclopi, arpie, sirene e centauri, son tutti “pitoti” (pupazzi in dialetto bresciano) camuni rigorosamente repertoriati da E. Anati e i suoi collaboratori:
Anati, E.: «Capire l’Arte Rupestre» Ed. Del Centro, CCSP, Capo di Ponte, 2007
(10) Per una totale comprensione dei “monocoloi” o esseri unigiambici, si rimanda all’esaustivo lavoro di: Peluffo , N.: «Esteriorizzazioni grafiche preistoriche e sogni attuali» in: L’Arte rupestre nel quadro del Patrimonio Culturale dell’Umanità , pre atti del XXII Valcamonica Symposium 2007, Darfo Boario Terme,18/24/maggio/2007.
(11) Brusatin,M.: «Arte della meraviglia», Einaudi, Editore,Torino 1986
(12) La roccia del Grande Fallo, Paspardo , Comunicazione di Emmanuel Anati
(13) Campbell J.: «Mitologia Primitiva. Le maschere di Dio», Arnoldo Mondadori Editore, 1990 (14) Peluffo N.: «Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione», Ed. Book’Store, Torino 1976 (15) Peluffo N.: «Esteriorizzazioni grafiche preistoriche e sogni attuali» ,op.cit.
(16) Marzi G.: «Effetti del microchimerismo fetale nello psichismo di soggetti adulti», Convegno di Capo d’Orlando 2008
Pier Luigi Bolmida, Specialista in Psicologia Clinica e Patologica, Università Paris V, Formatore in Psicodiagnosi presso le A.A/S.S./L.L. della Regione Piemonte
Nel 1976, in occasione del suo Dottorato di ricerca, partecipa come rorschachista all’équipe della Clinica S.Anne de Paris diretta dal Prof.Pichot alla messa a punto dei Sali di Litio per la cura delle Depressioni Unipolari
Viene nominato nel 1984 presso le U.S.L. di Torino come Formatore Responsabile di tutte le Équipes per la diagnosi dei disturbi mentali e tossicodipendenze
Nel 1986 introduce ufficialmente l’uso del Test di Rorschach in Psichiatria forense, dove verrà regolarmente utilizzato nei casi di separazione legale, abusi e violenze su Adulti e Minori, e nella valutazione precoce del pericolo di Tossicomania in soggetti pre-adolescenti e adolescenti.
Il Dott. Bolmida si è spento a Torino nel dicembre 2020