(tratto da:”GOBUSTAN Azerbaijan” di Emmanuel Anati, Edizioni del Centro 2001).
Donne nude e grasse, con cinture o fasce attorno alla vita, e uomini dai corpi slanciati, con un corto gonnellino, sono rappresentati per lo più in sequenze ripetitive, in allineamenti, accompagnati da ideogrammi e oggetti che presumibilmente li contraddistinguono. Alcune di queste figure hanno in mano un caratteristico oggetto, probabilmente un utensile o un emblema.
Dall’analisi delle superfici rocciose si è potuto constatare che questo primo orizzonte di Djafarsade ha almeno cinque fasi distinte con caratteristiche specifiche e sovrapposizioni che ci aiutano nello stabilire una loro cronologia relativa. Djafarsade attribuisce ai millenni VIII-VI a.C. questi complessi, alcuni dei quali hanno dimensioni in grandezza pressoché naturale (R. Djafargulu, 1994). In termini semplificati le varie fasi dell’orizzonte I hanno le seguenti caratteristiche:
I/A. Figure femminili in profilo di dimensioni modeste, con marcata steatopigia e seni esagerati.
I/B. Figure antropomorfe schematiche di profilo di cospicue dimensioni. Possono anche superare un metro di altezza.
I/C. Grandi figure frontali. Le più grandi raggiungono due metri di altezza.
Questi personaggi, maschili e femminili, hanno sovente un oggetto sulla spalla. Vi sono anche figure di imbarcazioni che probabilmente sono altrettanto antiche: esse sembrano indicare una sorta di epica traversata del mare o di un grande corso d’acqua.
I/D. Figure umane con l’arco e la freccia e aggiunta di arco e freccia in mano alle figure precedenti. Questo nuovo strumento di caccia appare come un’acquisizione che diventa un attributo determinante. Le immagini precedenti, prive di un simile elemento, dovevano essere considerate incomplete dai loro fruitori e furono perciò “perfezionate” mediante la sua aggiunta.
Lo stile si fa più schematico, inciso più superficialmente, e meno curato. Le figure sono solitamente più piccole della fase precedente.
I/E. Figure in prevalenza femminili con decorazioni, tatuaggi ed elementi di abbigliamento. Spesso di grande eleganza, ritratte in una attualizzazione ermetica, sono a volte accompagnate da immagini di imbarcazioni: ciò farebbe pensare alla persistenza dello stesso mito dì origine delle fasi precedenti e quindi ad una continuità della tradizione.
L’orizzonte I è quindi caratterizzato dalle figure femminili, che appaiono prevalentemente all’inizio e alla fine, mentre nelle fasi intermedie uomini e donne appaiono egualmente rappresentati.
Le imbarcazioni potrebbero comparire fin dall’inizio, ma tale ipotesi deve essere ancora comprovata. Quello che è stato considerato come un singolo orizzonte appare piuttosto come una successione di stili che copre più periodi. Le figure antropomorfe costituiscono il tema dominante, mentre le imbarcazioni sembrano raccontare la “storia” di antenati mitici, protagonisti di un’epica traversata del mare.
Analisi comparative di stile e di tipologia sono consistenti nel darci un orientamento cronologico: esse sembrano indicare una straordinaria multi-millenaria persistenza del tema della figura femminile steatopigica, una sorta di madre primordiale che accompagna il genere umano dal pieno Paleolitico superiore al Neolitico. Le fasi più antiche hanno chiari raffronti con le figurine del Paleolitico superiore europeo ed asiatico, in particolare con le cosiddette “veneri” attribuite alla cultura aurignaziana, alcune delle quali hanno oltre 30.000 anni (Z. A. Abramova, 1990). Ma non tutto questo orizzonte sembra riferibile al Paleolitico: le fasi più tarde mostrano similitudini con le figure antropomorfe epipaleolitiche del Totes Gebirge in Austria, (E. Anati, 1979, pp. 148-149), e con gli affreschi di Çatal Hüyük in Anatolia, riferibili al proto-Neolitico e al Neolitico antico (J. Mellaart, 1967, figg. 56, 61, 62; tav. XIII), le cui datazioni al C14 non calibrato vanno dal 6.200 al 5.800 a.C. Alcune figure mostrano anche qualche coincidenza stilistica con l’orizzonte III dell’arte rupestre in Anatolia (E. Anati, 1972a, p. 46). Sorprendenti paragoni, di eguale livello stilistico, archeologico e concettuale, sono presenti nel periodo Hunting-and-Pastoral della Penisola Arabica (E. Anati, 1972b, p. 46; 1974a, p. 157). Concetti figurativi analoghi, in complessi di soggetti simili, si riscontrano in varie località più lontane, ad esempio in una fase delle pitture rupestri del Levante spagnolo (A. Beltrán, 1968, pp. 41-segg.), o, in formule e dimensioni diverse, in Alto Egitto, in quello che Winkler chiama complesso degli Early Oasis Dwellers (H. A. Winkler, 1939, II, pp. 27-30). Questi vari casi menzionati non hanno necessariamente relazioni dirette tra loro, ma sono espressioni di gruppi umani in condizioni economiche e culturali simili e mostrano la presenza di modelli diffusi nello spazio e nel tempo. In molti casi tali immagini sembrano riferirsi ad esseri mitici, patriarchi e matrone, connessi con le mitostorie tribali. La matrice concettuale del mito di origine e della grande migrazione ha la diffusione di un archetipo.
Il primo orizzonte stilistico di Djafarsade, sembra dunque comprendere una gamma di fasi diverse, le più antiche delle quali trovano paragoni in espressioni dell’arte delle fasi più antiche del Paleolitico superiore. Il modello primario è riferibile ai Cacciatori-Raccoglitori Arcaici, continua nella transizione tra Cacciatori-Raccoglitori Arcaici ed Evoluti, e nelle fasi dei Cacciatori-Raccoglitori Evoluti, fino all’inizio di un’economia di produzione, quando ancora la caccia e la raccolta occupavano una parte fondamentale delle risorse di sussistenza.
Uno dei problemi fondamentali da risolvere concerne la data d’inizio: a quando risalgono le più antiche figure del Gobustan? E chi erano i loro autori, da dove venivano? Pur avendo qualche indizio dai paragoni menzionati, allo stato attuale delle ricerche non è ancora possibile trovare una risposta. Essa potrebbe essere nei numerosi giacimenti non ancora indagati nei ripari sotto roccia. Quali che siano le risposte, s’intravedono gli elementi di una grande avventura umana pertinente alle origini dell’Europa.
L’analisi archeologica accurata del Gobustan, con scavi ai piedi delle rocce istoriate, rilevamenti sistematici e analisi tecniche delle stesse incisioni rupestri, potrebbe permettere precisazioni cronologiche e culturali di ampia portata.
Per il momento, in base alle attuali conoscenze, la datazione proposta da Djafarsade per questo orizzonte sembra restrittiva. La durata appare assai più prolungata nel tempo e l’inizio assai più antico di quanto finora ipotizzato.
L’orizzonte seguente, caratterizzato dalle grandi figure zoomorfe, potrebbe intercalarsi tra le prime fasi di questo complesso. L’apparizione di imbarcazioni, come pure dell’arco e della freccia, potrebbe rivelarsi più antica di quanto finora ritenuto. Se si confermassero paleolitiche, come sembra, sarebbero tra le prime figure conosciute con simili soggetti.
Indubbiamente l’Azerbaijan ha giocato un ruolo fondamentale come luogo di passaggio alle porte d’Europa. Questo primo orizzonte della sequenza stratigrafica dell’arte rupestre del Gobustan è enigmatico anche per le sue singolari caratteristiche stilistiche e tematiche. Esso costituisce un capitolo nuovo per lo studio dell’arte rupestre. Si direbbe trattarsi di un prototipo concettuale dal quale si sono sviluppati altri tipi di arte preistorica, sia mobiliare, sia immobiliare. L’ipotesi che possano esservi relazioni concettuali e cronologiche con le statuette delle “veneri” pone quesiti sulla eventuale dinamica delle associazioni.
Cosa ha originato cosa? E perché?
© Emmanuel Anati
Emmanuel ANATI è Professore ordinario di Paletmologia all’Università di Lecce e Direttore del Centro Camuno di Studi Preistorici. Nato a Firenze nel 1930, ha compiuto i suoi studi di archeologia e preistoria all’Università di Gerusalemme (B.A., 1953 e M.A., 1955). Si è specializzato in antropologia e scienze sociali all’Università di Harvard, Cambridge, Mass., USA (A.M., 1959) e in etmologia a Parigi, Sorbona (1955-58) dove ha conseguito un dottorato in Lettere (1960). Ha proseguito la sua formazione post-doctoral nelle scienze umane alle Università di Londra e di Oxford (1960-62) con una Borsa di Ricerca della American Philosophical Society. I suoi principali interessi scientifici riguardano l’arte e le religioni delle culture preistoriche e tribali. Ha svolto ricerche in Europa, nel Vicino Oriente, in India, Tanzania, Malawi, Messico. Australia e in altri Paesi. Le sue ricerche in Valcamonica, dove ha fondato e dirige il Centro Camuno di Studi Preistorici, hanno portato l’arte rupestre di questa valle alpina all’inserimento, come primo titolo italiano, nella “Lista del Patrimonio Culturale Mondiale” dell’UNESCO. In Valcamonica ha inoltre istituito una scuola di perfezionamento in arte preistorica; è tuttora l’unico istituto nel quale ci si può specializzare in detta disciplina. Dal 1980 dirige la Missione Archeologica Italiana nel Sinai e nel deserto del Negev dove ha scoperto e studiato la montagna sacra di Har Karkom, che identifica con il Monte Sinai della Bibbia. Eccezionali scoperte archeologiche rivalutano l’epopea biblica dell’esodo e ripropongono in nuova chiave la problematica dell’inizio del monoteismo e le origini della concettualità giudeo-cristiana.
Anati ha insegnato e tenuto corsi in università ed istituti superiori di ricerca, oltre che in Italia, anche in Francia, Inghilterra, Israele, Stati Uniti e Canada. Ha compiuto missioni di ricerca, spedizioni e consulenze per conto dell’UNESCO e di vari Governi, in tutti i continenti.E’ ampiamente riconosciuto che le sue ricerche hanno ridimensionato la conoscenza dell’arte preistorica proponendo una visione globale mai precedentemente conseguita. Ha organizzato congressi e seminari internazionali sull’arte preistorica e tribale progettato e realizzato grandi mostre. Nel 1980 ha fondato, con François Leblanc (ICOMOS) e Raj Isar (UNESCO) il CAR-ICOMOS, Comitato Internazionale per l’arte rupestre, che ha poi presieduto fino al 1990. Come Presidente del CAR ha stimolato un movimento internazionale attorno a questa disciplina, sviluppando un’ampia cooperazione, coinvolgendo studiosi di oltre 80 Paesi. Dal 1992 è Presidente dell’IDAPEE. Institut Des Arts Préhistoriques et Ethmologiques, Parigi.
Ha scritto e pubblicato oltre 70 volumi e numerose monografie presso prestigiosi editori in Europa e in America. Opere di Anati sono state pubblicate in oltre 20 lingue.