Psicosomatica micropsicoanalitica,

da | Gen 12, 1990 | Articoli pregressi, Quirino Zangrilli

“Tutto ciò che tu sei o vivi si risolve in un essere dalle mille facce e in una vita dai mille aspetti” 1
(G. Groddeck, La natura guarisce il medico cura)

Sono passati più di settantacinque anni da questa affermazione dell’iniziatore della medicina psicosomatica eppure, se dovessimo descrivere l’idea che l’essere umano comunemente ha di sé, ci avvicineremmo a quella di un immutabile monolito fermo alla dimensione fisica newtoniana, basata sulla distinzione netta tra pieno e vuoto, tra materia e spazio, una sorta di macchina biologica predeterminata, statica, fatta di componenti la cui minima alterazione viene considerata una anomalia di funzionamento rispetto all’espletamento di un programma dato, considerato come immutabile.
La fisica moderna che prende le mosse, probabilmente non a caso, nello stesso anno (1913) in cui Groddeck dava alle stampe il suo Nasamecu, con la pubblicazione da parte di A. Einstein della teoria della relatività speciale, abolisce i concetti di spazio e tempo assoluti, arriva a rendere equivalenti spazio ed energia ed implica il fatto che le particelle subatomiche devono essere intese come strutture dinamiche, cioè come eventi piuttosto che come oggetti. La fisica moderna, purtroppo, non viene insegnata nelle facoltà italiane di medicina ed i futuri medici strutturano il loro punto di vista sulla fenomenologia dell’esistenza su concetti premoderni. Mancando alla medicina attuale un punto di vista che consenta di accettare l’inaccettabile, e cioè che energia e materia sono solo epifenomeni transitori di una trama continua che è il vuoto, ci si trova costretti, sotto la spinta dell’osservazione dei dati empirici, a collegare apparati e fenomeni fino a ieri ritenuti rigidamente separati (vedi la moderna “Psiconeuroendocrinoimmunologia”) senza però avere un sistema di spiegazione unificante delle interazioni tra il polo psichico e quello somatico dell’essere umano.
In altri termini la medicina, soprattutto quella occidentale, si ferma ad un approccio meccanicistico, ad una concezione del corpo come macchina (insieme di componenti materiali), esattamente come la fisica classica si fondava sulla concezione newtoniana dell’universo come sistema meccanico.
Per poter parlare della visione micropsicoanalitica della psicosomatica è indispensabile rifarsi a grandi linee al modello metapsicologico formulato da Silvio Fanti. Come è noto per Fanti la base di ogni fenomeno è il continuum infinito del vuoto costellato di energia elementare. A partire dal Dinamismo neutro del vuoto (Dnv), l’Istinto di tentativo (Ide), l’attualizzatore, innesca il materiale energetico sul quale la pulsione di morte-di vita modulerà i fenomeni: lo psichico e l’organico, la vita e la morte, in accordo con il principio di costanza del vuoto secondo il quale ogni insieme di tentativi ed entità tende intrinsecamente a ristabilire la completezza del vuoto costitutivo. Poiché la discontinuità energetica è incompatibile con la continuità del vuoto e la sua immutabilità, il ritorno al vuoto provoca costantemente, una reazione di fuga dal vuoto che si esprime di nuovo nella spinta all’organizzazione energetica, dunque nella discontinuità. Ciò implica che un ritorno al vuoto (avvicinamento) è indispensabile per un rinnovamento della coordinazione energetica. Fanti parla esplicitamente di incessante rimaneggiamento delle entità psicomateriali e psicobiologiche. Per la micropsicoanalisi l’essenza del reale è questa incessante oscillazione tra continuo e discontinuo. In altri termini il trauma sembra essere l’attivazione stocastica dei granuli energetici (per sovraccarica tensionale) e l’Ide è un dispositivo di regolazione della tensione che dà origine a strutture che tendono a mantenersi per ripetizione. La vita (intesa come mantenimento per ripetizione di forme e strutture) e lo stato di salute sono la risultante di un equilibrio dinamico-oscillatorio tra azione (pulsione di morte – ritorno al vuoto) e reazione (fuga dal vuoto – pulsione di vita). Esse sono assicurate da una plasticità dell’Es che, servendosi indifferentemente del polo psichico e di quello somatico (condizionato in questo dal terreno, inteso come integrale degli innumerevoli tentativi filogenetici), modula gli assalti dell’energia ideica e del sistema co-pulsionale.
Se si accetta questo punto di vista ci si renderà conto che le strutture, per mantenere un certo livello di coesione, devono costantemente assicurarsi una porta aperta al vuoto da cui trarre l’energia che ne alimenta il mantenimento e la spinta all’organizzazione energetico-copulsionale. Per questo il conseguimento di uno stato di benessere inteso come “assenza di anomalie” che il moderno modello biomedico sembra incessantemente ricercare, non solo è illusorio, ma non può che essere casuale, parziale e temporaneo. La medicina orientale, almeno in questo, sembra essere più saggia. Per la medicina cinese, ad esempio, il mantenimento e la rottura dell’equilibrio sono intesi come evenienza costante e naturale che si verifica incessantemente lungo il ciclo dell’esistenza, come parti di un continuo, aspetti di uno stesso processo di fluttuazione in cui il singolo organismo si modifica continuamente in relazione ai cambiamenti dell’ambiente in cui vive.
Una psicosomatica micropsicoanalitica non può che partire da una relativizzazione del fenomeno malattia. Per esempio è interessante costatare che spesso notevoli mutamenti nella vita di una persona avvengono dopo uno stato di malattia più o meno serio, come se il lavoro della pulsione di morte sincrono alla malattia determinasse la reazione pulsionale vitale che fornisce l’energia necessaria per la nuova organizzazione energetica.
Il fenomeno non va inteso come un rapporto di causa-effetto ma come l’affacciarsi a livello somatico o psichico di un tentativo di aggiustamento (ricerca di un nuovo, transitorio, equilibrio) che è sempre antecedente a qualsiasi strutturazione psichica o materiale.
Vorrei soffermare ora la mia attenzione sul fenomeno della fissazione. La micropsicoanalisi porta ad averne una visione essenzialmente energetica che la situa in un contesto pre-psichico e pre-somatico. Essa può essere descritta come una fusione traumatica per eccesso tensionale di sfaccettature iconiche che rimangono, per così dire, bloccate a costituire una traccia (attrattore energetico): il prisma iconico si irrigidisce in corrispondenza di alcune immagini che tendono a ripresentarsi. Questo stesso metro di spiegazione che solitamente si usa per il piano psichico si può usare per quello somatico e dare, tra l’altro, una spiegazione convincente del fenomeno del “luogo di minore resistenza” o della meiopragia d’organo o di apparato. Il fenomeno, di così frequente evidenza in medicina, non trova ancora convincenti spiegazioni biologiche e dubito che ne troverà di genetiche.
La ripetizione di malattie che colpiscono stesse parti, regioni od organi dell’organismo di vari discendenti è la risultante dell’azione di attrazione di fissazioni filogenetiche che agendo sul piano somatico fanno di alcuni punti fonte e meta di un investimento co-pulsionale continuo. Così come il sintomo psichico è pur sempre una difesa contro l’allagamento tensionale, così il sintomo somatico può costituire una valvola di scarico (vincolamento) vicariante o sostitutiva. E’ il terreno dell’individuo che determina la scelta della via psichica o somatica.
Un contributo fondamentale alla costruzione di una psicosomatica micropsicoanalitica è stato elaborato da Nicola Peluffo e compendiato nei lavori “Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione” ed “Immagine e fotografia”. L’Autore sostiene che l’agire somatico (dunque anche gli stati di malattia) è una delle modalità di mantenimento della relazione con l’immagine dell’oggetto perduto: l’investimento narcisistico su una zona erogena permette di allucinare una situazione passata. Scopo del sintomo è quello di mantenere un contatto con un oggetto di cui si teme-desidera la perdita.
Il processo canceroso, così “estremista” nelle sue manifestazioni, a parer mio, ne fornisce l’esempio più manifesto. Ciò che particolarmente colpisce nel comportamento delle cellule neoplastiche è la spiccata autarchia che manifestano. Sul piano biologico la cellula neoplastica, per molti versi perfettamente normale, soffre di un guasto dei meccanismi che regolano la proliferazione. In genere l’innesto della crescita è regolato molto accuratamente da meccanismi di retro-inibizione che sono in grado di interrompere il flusso di segnali dalla membrana, sulla quale operano i fattori di crescita (segnali peptidici o micromolecolari extracellulari), al nucleo. La cellula tumorale si comporta come un interruttore bloccato sulla posizione di accensione e si svincola dalla strategia globale dell’organismo. La cellula si autostimola in continuazione (alcune arrivano a prodursi autonomamente i fattori di crescita che solitamente sono esogeni) e prolifera indipendentemente dal controllo extracellulare. In altri termini la cellula tumorale è una cellula che non si rassegna a morire: il cancro è un tentativo di immortalità cellulare. Luciano Zardi evidenzia come ci siano delle basi comuni tra rimarginazione delle ferite e cancerogenesi. 2
Effettivamente vi è una spiccata similarità tra la composizione del tessuto di granulazione di una ferita durante la rimarginazione e lo stroma dei tumori. Dvorak, addirittura, definisce i tumori delle “ferite che non rimarginano”. 3
Il processo tumorale può essere considerato alla stregua di un tentativo a polarità somatica di ricostruire un’immagine di completezza pretraumatica in una situazione psicosomatica globale dell’individuo, che impedisce il distacco da un oggetto e l’elaborazione della perdita. La tipizzazione psichica dei soggetti con affezioni neoplastiche e la spiccata familiarità delle forme che non dipendono da induzioni esterne (radiazioni, agenti chimici, etc.) effettivamente mostra soggetti con relazioni affettive di tipo simbiotico che prima dello sviluppo della malattia, o il suo appalesarsi clinico, abbiano esperito una situazione importante di perdita (psichica o somatica) importante. Il soggetto canceroso è dotato di una attività particolarmente potente della pulsione di morte, che rimane essenzialmente una modalità di ritorno alla continuità del vuoto costitutivo. Probabilmente, nel processo di strutturazione dell’organizzazione energetica e psicomateriale che si svolge nel crogiuolo dell’Es, il reticolo co-pulsionale di questi individui si struttura, per condizionamento filogenetico, in modo imperfetto, non riuscendo ad assicurare né un contatto efficace con la realtà (reperimento di oggetti co-pulsionali esterni) né un’appagante scarica dei livelli tensionali.
Sono persone che vivono in un continuo stato di sovratensione pulsionale cui non rimane che mettere in atto, in situazioni traumatiche, il reperimento di un oggetto co-pulsionale somatico su cui vincolare la propria sessuo-aggressività. In “Immagine e fotografia” N. Peluffo spinge ancor più in profondità le sue teorizzazioni psicosomatiche scandagliando le reazioni psichiche e le fluttuazioni omeostatiche che si verificano nel ricevente in occasione di un trapianto d’organo. Come è noto il modello biomedico riduce il fenomeno al solo livello di tolleranza immunitaria. Peluffo, al contrario sottolinea che “così come per la donna incinta per ciò che riguarda l’embrione, anche per chi riceve un trapianto è necessario un investimento narcisistico sull’immagine dell’organo trapiantato e questo diventa più facile se l’immagine del donatore non procura angoscia”. 4
In altri termini l’Autore suggerisce che accanto alla tolleranza immunitaria debba stabilirsi una tolleranza psichica che integri l’immagine dell’organo donato (per come questa viene vissuta dal trapiantato) nell’organizzazione immaginaria dell’io. Un recente caso clinico pubblicato il 13 giugno 1990 sul n° 118 de “Il Medico d’Italia” conferma tale ipotesi.
In Inghilterra un ragazzo di undici anni affetto da leucemia riceve dal padre un trapianto di midollo che attecchisce malgrado l’insorgenza di una Gvn (Host versus Graft disease) di grado lieve. Viene dimostrato, con opportune metodiche, che il sistema emopoietico del figlio viene interamente ripopolato di cellule paterne. A distanza di 17 anni il padre sviluppa un linfoma linfocitico a cellule T e si procede al trapianto di midollo, questa volta prelevato dal figlio. Un trapianto autologo, come lo stesso articolista evidenzia “essendosi per un processo di inserimento globale trasferito in toto nel midollo del figlio”. Il dato interessante è che, contrariamente alle aspettative, anche in questo caso viene a manifestarsi una reazione immunitaria verso il trapianto; una reazione che, in base alle interpretazioni basate sui soli dati immunitari sarebbe da ritenersi praticamente impossibile ma che appare scontata e prevedibile seguendo il modello micropsicoanalitico di Nicola Peluffo.
A questo punto possiamo evidenziare i punti cardine di una concezione micropsicoanalitica della psicosomatica:

1 – Il trauma è sempre pre-psichico e pre-somatico e consiste essenzialmente nella separazione tra la continuità del vuoto e la discontinuità dell’organizzazione energetica, che, in accordo con le polarità filogenetiche del terreno, intraprende la soluzione somatica o psichica del conflitto.

2 – Esiste una certa interscambiabilità tra la modalità somatica e quella psichica di elaborare la conflittualità di base. Essa dipende dall’elasticità dell’es dovuta all’entità dello scontro ideico-co-pulsionale ed alla rigidità dello schermo iconico nei confronti del vuoto. E’ un fattore questo da tenere in massimo conto quando si seguono i tentativi messi in atto dalle persone di comporre i conflitti profondi: un esempio drammatico ed eloquente è espresso dalla “sindrome maligna da neurolettici” che costituisce una rara (0,5-1,4% dei pazienti) ma temibile complicanza ad alta mortalità (20-30% dei casi) in soggetti trattati con farmaci antipsicotici.
La sintomatologia clinica è caratterizzata da ipertermia intrattabile, rigidità muscolare, alterazione dello stato di coscienza, sintomatologia neurovegetativa imponente. L’interpretazione micropsicoanalitica della forma morbosa che ritengo giusto formulare è quella di una eliminazione “selvaggia” delle difese produttive dello psicotico con riversamento, per traslazione psicosomatica, del conflitto a livello del soma. La terapia consiste essenzialmente nella sospensione del trattamento antipsicotico, reidratazione e trattamento disintossicante aspecifico: si permette cioè al soggetto di tornare ad utilizzare l’unica via di risoluzione del conflitto che al momento gli è permessa, quella a polarità psichica. Per alcune persone la psicosi sembra essere l’unica modalità di esistenza possibile.

3 – Alcune malattie somatiche sono il rappresentante simbolico-organico di oggetti perduti di cui non sia stato possibile elaborare la perdita.

4 – Malattie croniche ad andamento ciclico possono costituire lo stigma di appartenenza dell’individuo al gruppo familiare e rappresentano l’essenza della continuità: spesso compaiono in sincronia con tentativi di libertà del soggetto che acquisendo una maggiore individualità psichica ed esistenziale risarcisce il proprio bisogno di continuità sviluppando una forma patologica familiare.

5 – Alcune malattie somatiche svolgono il ruolo di valvola di scarico (vincolamento sull’organo fonte-meta di investimento co-pulsionale) dello stato tensionale determinato dal conflitto energetico di base.

NOTE:

1 – G. Groddeck, La natura guarisce il medico cura, Celuc Libri, Milano, 1982.
2 – L. Zardi, Una crescita che non si arresta, Doctor, anno VII, n¡ 8.
3 – H.P. Dvorak, New England J. Med., 315, 1650, 1986.
4 – N. Peluffo, Immagine e fotografia, Borla, Roma, 1984.