La psicosomatica

da | Apr 12, 2000 | Articoli pregressi, Quirino Zangrilli

Il presente lavoro è comparso sul n° 27-28 del Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi

Nel mio libro “La vita: involucro vuoto” ho dedicato un vasto capitolo alla trattazione sistematica della concezione micropsicoanalitica della psicosomatica; rimando colà il gentile auditorio per un eventuale approfondimento teorico mentre oggi, data la brevità del tempo a disposizione, vorrei tentare di individuare il filone teorico-metodologico in cui si situa la visione micropsicoanalitica della psicosomatica e verificare sul campo, servendomi anche di materiale clinico, la fondatezza delle teorizzazioni della nostra scuola.
La psicosomatica nasce verso la fine del IXX secolo in relazione ad un profondo mutamento di paradigma nella rappresentazione del mondo che si è venuto a produrre nella coscienza umana: il passaggio dalla dimensione fisica newtoniana, il mondo degli oggetti, a quella della relatività speciale, il mondo degli eventi.
Dalla concezione dell’uomo come macchina biologica predeterminata costituita da componenti la cui minima alterazione viene considerata un’anomalia di funzionamento rispetto all’espletamento di un programma dato, considerato come immutabile, si è passati gradualmente ad una visione olistica della realtà, che viene considerata animata da un dinamismo senza sosta, giacché le particelle sub-atomiche che costituiscono gli atomi di cui siamo fatti, vengono oggigiorno considerate come strutture dinamiche, cioè come eventi, piuttosto che come oggetti.
Il termine stesso di “psicosomatica”, introdotto nel 1818 dall’internista e psichiatra Heinroth, anche se di uso ormai consolidato, non è stato una soluzione felice: contiene al suo interno un dualismo inesistente mentre l’ipotesi stessa che sta alla base della medicina psicosomatica è quella dell’unità funzionale e sinergica di soma e psiche.
Gli studiosi che progressivamente ebbero la capacità di liberarsi del pregiudizio (e probabilmente non è un caso che Silvio Fanti esponesse il “pregiudizio”, come “sindrome paranoide universale”, proprio nel capitolo dedicato alla psicosomatica della sua opera fondamentale “La micropsicoanalisi”) 1 iniziarono a riconoscere l’incontestabile evidenza di una sinergia evidente e di un rapporto causa-effetto bidirezionale tra psiche e soma.

Tanto per citarne i più eclatanti e storicamente significativi:
1) – il decesso woodoo di individui condannati mediante mezzi magici, studiato dal fisiologo Walter B. Cannon 2.
2) – Le osservazioni sullo stress di Wolff. 3
3) – La più precoce mortalità degli affetti da nevrosi messi in luce da Hermann. 4
4) – La diversa risposta immunitaria alla situazione di trapianto d’organo in relazione ai processi di elaborazione psichica studiata da Castelnuovo Tedesco 5 e approfondita in senso micropsicoanalitico da Nicola Peluffo. 6
5) – Lo studio predittivo sul carcinoma della cervice uterina condotto da Schmale e Iker sulla sensazione soggettiva di essere privi di difese e senza speranze che ha dato dei risultati assolutamente impressionanti. 7
6) – L’esperienza delle situazioni limite:
a) La diversa risposta alle inumane situazioni dei campi di sterminio di individui con
struttura psichica diversa.
b) le performances psico-fisiche dei grandi recordman che hanno sfidato i pregiudizi della fisiologia medica. A tale proposito vorrei portarvi a conoscenza delle dichiarazioni del grande recordman mondiale di apnea in assetto costante e variabile Umberto Pelizzari:
“Spesso mi sono soffermato un po’ sul fondo, al termine delle discese in apnea oltre i cento metri, e mi sono concentrato esclusivamente sul mio cuore. Ebbene è incredibile, ma avverto una pulsazione cardiaca ogni 7-8 secondi. I medici della mia equipe sorridono quando riporto loro queste impressioni e sostengono che è impossibile che in un uomo la frequenza cardiaca si riduca a nove pulsazioni al minuto. Staremo a vedere. Sono convinto che, appena sarà realizzata l’impermeabilizzazione oltre i cento metri di un holter (lo strumento utilizzato per la registrazione di un normale elettrocardiogramma), anche questo fenomeno potrà essere verificato.” 8
Per inciso, ritengo probabile che presto a ridere sarà Umberto Pelizzari: solo negli ultimi anni sono stati tracciati decine di “limiti fisiologici invalicabili”, dalla rarefazione di ossigeno alle grandi altitudini, alle sollecitazioni bariche delle profondità marine, tutti ovviamente infranti. E che sia un problema di difese psichiche che si esprimono nel soma ne è ben conscio lo stesso Pelizzari: “Potremmo allora chiederci perchè un giovane intraprenda una disciplina così difficile e dura; come possa trovare stimoli e piacere in un’attività che di per sé è una sofferenza. In realtà, l’apnea è una scoperta graduale del proprio Io, una ricerca interiore che, se condotta in una certa direzione, cancella completamente l’aspetto doloroso connaturato al “trattenere il fiato”, lasciando spazio a sensazioni ed emozioni forti e bellissime.
A questo livello si arriva per gradi, col tempo, solo se si impara a fare apnea con la testa più che con il fisico, con la forza della mente piuttosto che con quella dei muscoli. (…) Non ci sono infatti ricette particolari. Ci si deve solo allenare.
E molto. Non solo fisicamente, soprattutto mentalmente.”
Tornando al tema odierno è purtroppo in questo campo poco fruttuoso rivolgersi al Maestro: evidentemente oberato dall’immane compito di difendere la psicoanalisi dagli attacchi forsennati cui venne sottoposta fin dal suo esordio, Sigmund Freud probabilmente ritenne di non dare ulteriore scandalo andando a scuotere ulteriormente le fondamenta dell’organicismo medico: nel 1923 il Maestro scrisse a Viktor von Weizsäcker dicendosi pienamente consapevole dell’esistenza di fattori psicogeni nelle malattie aggiungendo però che avrebbe preferito vedere i suoi allievi limitarsi, a scopo di apprendistato, alla ricerca nel campo delle nevrosi.
Se si ricerca nell’Opera Omnia di Freud gli unici riferimenti a materiale che oggigiorno definiremmo come inerente alla psicosomatica li troviamo a proposito dell’epilessia e dei disturbi psicogeni della vista. Scrivendo dell’epilessia Freud è già assolutamente certo di un passaggio diretto psiche-soma e prefigura tutto lo svolgersi successivo dell’elaborazione psicosomatica: “…La “reazione epilettica” come possiamo definire questo quadro nel suo insieme, si pone senza dubbio al servizio della nevrosi, la cui essenza consiste nell’eliminare per via somatica masse di eccitamento che il soggetto non riesce a padroneggiare psichicamente”. 9
Un chiarimento ulteriore viene portato da Otto Fenichel che conia il termine di “nevrosi d’organo” che mostra preferire a quello di “disturbo psicosomatico”. La nevrosi d’organo viene definita come un tipo di disturbo funzionale di natura fisica, che consiste in cambiamenti fisiologici causati dall’uso inappropriato, erotogenetico, della funzione in questione. Quindi per Fenichel, ed ovviamente anche per Freud che però continua a definirle “disturbi nevrotici”, le nevrosi d’organo e le nevrosi di conversione sono completamente differenti: nelle nevrosi di conversione, il sintomo ha uno specifico significato inconscio ed è l’espressione di una fantasia attraverso il linguaggio simbolico del corpo; nelle nevrosi d’organo, il cambiamento della funzione non ha nessun significato inconscio. 10
Nondimeno sarà per noi confortante individuare un filo rosso che lega le posizioni di Freud al riguardo e la strategica ridefinizione micropsicoanalitica di es operata da Silvio Fanti. Vorrei sollecitare l’indulgenza dell’uditorio se riscontrerà un’eccessiva semplificazione di posizioni che meriterebbero ben altro approfondimento ma il tempo, come si sa, è tiranno.
Ecco un breve riassunto delle principali scuole di pensiero della psicosomatica:
• Alexander, French e Pollock limitano il campo della psicosomatica ad un certo numero di malattie in cui sia evidente l’associazione a certe tipologie caratteriali o costellazioni emozionali. In parole povere i pazienti che sviluppano le cosiddette malattie psicosomatiche propriamente dette avrebbero delle stigmate di personalità ben definite. 11
• Harold Wolff e collaboratori mettono in dubbio la specificità del conflitto di personalità asserendo l’esistenza di una risposta funzionale dell’individuo: sarebbero gli avvenimenti dell’esistenza e non già il profilo psicologico ad influire sulle risposte patologiche dell’individuo, cioè individui che siano stati colpiti da disgrazie difficilmenti sopportabili corrono maggiori rischi di ammalarsi. 12
. Credo che basti l’osservazione delle differenti reazioni al medesimo stress, studiate nei campi di concentramento, per indebolire sostanzialmente questo punto di vista e tornare a concentrarsi sulle caratteristiche individuali.
E veniamo dunque alla scuola parigina di P. Marty che, partendo dall’osservazione della povertà di elaborazione psichica dei malati psicosomatici, ascrive la comparsa di una malattia psicosomatica ad un fallimento dei processi di mentalizzazione (elaborazione psichica dell’emozione attraverso il pensiero, sia nel suo aspetto intellettuale cosciente, sia in quello immaginativo del fantasma).
Per certi aspetti noi siamo vicini a tali teorizzazioni laddove si mette in risalto la possibile vicariazione dell’elaborazione dallo psichico al somatico, ma con la ridefinizione di es fatta da Silvio Fanti e con l’introduzione del concetto fondamentale di “terreno” ci svincoliamo completamente da una tipizzazione del tipo di malattia situando sia la scelta del disturbo che le modalità di elaborazione psichica o somatica nelle caratteristiche di terreno dell’individuo.
Lo stesso Fanti non formula una teoria definita della psicosomatica ma, affrontando l’argomento ne “La micropsicoanalisi” 13 fornisce, nello spirito pionieristico del libro, molteplici e fecondi spunti di riflessione.
E’ soprattutto la scuola italiana che si sofferma sull’argomento e ciò mi permette di dare un quadro dell’attuale visione micropsicoanalitica della psicosomatica citando il contributo dei singoli ricercatori.
Partiamo, ovviamente dalla ridefinizione del concetto di es fatta da Silvio Fanti:

es:
cerniera prepsichica e presomatica
tra l’energia ideica
e la motricità pulsionale
che hanno come perno
il principio di costanza del vuoto 14

Fanti utilizza i termini “cerniera” e “perno”; vediamone in dettaglio il significato:

– cerniera: sistema di collegamento di due organi o strutture…
– perno: organo…che serve a realizzare l’accoppiamento rotoidale 15

E’ evidente che il fondatore della micropsicoanalisi pensasse ad un meccanismo di selezione dei tentativi (pensiamo ad esempio ad una porta rotante che ora permette il passaggio in una direzione, ora nell’altra) e contemporaneamente ad un sistema di giunzione tra lo psichico ed il somatico.
Daniel Lysek, ce ne fornisce una preziosa delucidazione: “L’es si definisce come la cerniera tra lo strutturale ed il pulsionale o, più precisamente, come l’insieme dei punti in cui una struttura energetica ingenera una forza pulsionale, che provoca a sua volta un movimento nell’energia. Esso forma la matrice cellulare nella quale lo psichismo si organizza progressivamente, per mobilizzazione co-pulsionale dell’energia, e inoltre interagisce con il somatico”. 16
E’ probabilmente l’intensità della spinta co-pulsionale o la sua reiterazione che imprime in modo più o meno indelebile (alterazione funzionale o alterazione organica) la sua traccia.
Gioia Marzi in un originale studio sulle oscillazioni psiche-soma in soggetti psicotici nel corso di terapia psicofarmacologica, ricorda come i soggetti psicotici ben difficilmente presentino patologie somatiche, mettendo questo dato in relazione ad un irrigidimento della plasticità di cerniera dell’es che, per così dire, viene bloccata sul polo psichico: “…la plasticità di cerniera nello psicotico è molto ridotta…: come dire che la via somatica è impercorribile e che tutta la tensione imbocca la strada psichica. Di qui le sortite psicopatologiche”. 17
Personalmente ho ipotizzato che la sindrome maligna da neurolettici possa essere ascritta proprio ad un catastrofico riversamento della tensione nel soma dovuta al blocco esercitato dal neurolettico sulla cerniera dell’es: in parole povere, se si toglie al soggetto la difesa psichica senza aver operato una ricostruzione del suo terreno psicosomatico è possibile un pericoloso effetto rebound che interessi il soma con conseguenza anche mortali. 18
In un approccio più classico (rottura dell’omeostasi tra psiche e soma) Edoardo Maragliano mette anch’egli l’accento su un irrigidimento del meccanismo di smistamento ed elaborazione della tensione proprio dell’es. 19
Già nel 1981 Nicola Peluffo aveva chiarito in modo cristallino la relazione psiche-soma: “…all’interno dell’es valgono delle leggi molto semplici ma definitive, che sono le stesse attraverso le quali il soma ha costruito i suoi mezzi di difesa ed adattamento. Voglio dire che così come nel soma esistono delle formazioni che regolano il rapporto dell’organismo con sé stesso e con l’ambiente, il binomio rigetto-facilitazione ne è una, nella psiche ne esistono delle corrispondenti che funzionano allo stesso modo. In un primo tempo pensavo che le formazioni psichiche fossero solo un riflesso di quelle somatiche, ora invece mi sono reso conto che la relazione esiste perché entrambe provengono dalla stessa spinta e sono due facce diverse dello stesso fenomeno. Ecco perché, se ci si pone dal punto di vista della spinta, si può arrivare a dire che con la parola es si definisce lo strumento di regolazione che decide se i meccanismi di regolazione della materia vivente abbiano una maggiore o minore convenienza (dal punto di vista economico) a prendere la via somatica o quella psichica”. 20
Gli studi sulla psicosomatica di Peluffo imperniati sull’ipotesi di una funzione vicariante psiche-soma sono già del resto espliciti nel suo libro del 1976 “Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione”. In quel testo l’Autore cerca di dare una spiegazione all’unica eccezione alla regola di istocompatibilità self-non self esistente in natura, rappresentata dallo stato di gravidanza, formulando l’ipotesi, ormai suffragata da circa un trentennio di verifiche, che la reazione immunitaria diretta verso il feto portatore di antigeni non-self venga vicariata da un’intensa dinamica psichica che si verifica all’interno dell’unità materno-fetale, spesso contraddistinta dallo strutturarsi di fantasmi di invasione o di fagocitamento reciproco. 21
Ho personalmente verificato la concretezza di tale ipotesi riscontrando nel caso di un’analisi condotta con successo totale in un caso di schizofrenia ebefrenica l’assoluta corrispondenza tra i deliri del soggetto psicotico e le dinamiche fantasmatiche della madre durante la gestazione dello stesso.
In sintesi il giovane aveva sviluppato un delirio di onnipotenza imperniato sull’idea delirante di poter rimodellare il suo corpo, in particolare poter allungare a piacimento gli arti. La madre del soggetto rivelò che, durante la gravidanza , tormentata da vissuti di invasione a strutturazione filogenetica (fu possibile riscontrarli in molte altre donne della famiglia), era tormentata dall’idea che il figlio non avesse né gambe né braccia.
E’ assolutamente evidente il rapporto diretto tra fantasmatica materna nel corso della gestazione ed i contenuti del delirio di rimodellamento corporeo del giovane espressione del tentativo, retto dalla coazione a ripetere, di riguadagnare un ruolo attivo per retroazione onnipotente e magica nell’evento traumatico.
Sappiamo che il meccanismo più efficiente di cui dispone l’uomo per smaltire i picchi tensionali è rappresentato dal sogno: secondo Peluffo, in una situazione di surplus tensionale, il sogno funziona da valvola di scarico al sintomo organico riversando una parte dell’energetica dell’es che attiva il sintomo sulla strada dell’attività cardinale onirica: “L’attività onirica si accompagna a quella organica, che è parte del terreno, e quindi nell’ontogenesi la seconda e la prima funzionano sinergicamente e si completano. Anzi, io sono del parere che sovente il sogno diventi la valvola di scarico dell’eccesso di tensione cellulare, cioè d’organo e di funzione. In questo caso il sogno assicura in modo diretto la continuazione delle funzioni vitali dell’entità psicobiologica nella quale si manifesta”. 22
Anche tale ipotesi è stata ampiamente verificata e suffragata dallo studio di innumerevoli soggetti in analisi. Avvalendomi di un potente database da anni informatizzo una serie di dati relativi allo svolgimento del lavoro analitico. Mettendo in relazione la comparsa o meno del sogno nel compartimento preconscio – conscio con l’eventuale presenza o assenza di impegno somatico si può verificare che l’ingresso del sogno nella dinamica vitale dell’individuo corrisponda ad una attenuazione o scomparsa dei sintomi somatici.
Alla luce di tali dati, tra l’altro, dato che non concepiamo più il sogno nella sola, pur corretta, accezione freudiana di realizzazione mascherata di un desiderio infantile, bensì come espressione di un tentativo di costruzione di un’insieme sufficientemente stabile (servomeccanismo) atto allo smaltimento privilegiato della tensione psico-biologica, ritengo che il conservarsi o meno del sogno nel compartimento preconscio-conscio non abbia solo a che vedere con i meccanismi di censura bensì sia influenzato dal grado di successo nell’assolvere la funzione di scarico tensionale.
Un’altro fondamentale contributo dato da Nicola Peluffo alla costruzione di una psicosomatica micropsicoanalitica consiste nella formulazione del concetto di “immagine della perdita”. L’Autore sostiene che l’agire somatico (ivi compreso lo stato di malattia) è una delle modalità di mantenimento della relazione con l’immagine dell’oggetto perduto: l’investimento narcisistico su una zona erogena permette di allucinare una situazione passata. 23
I riscontri clinici a tale ipotesi sono innumerevoli: oggi mi limiterò all’esposizione di un caso abbastanza eclatante non fosse altro per la gravità dell’impegno somatico.
Trattasi di una giovane donna di 35 anni che giunge alla mia osservazione in uno stato di marasma psicosomatico caratterizzato da una condotta anoressica che l’ha ridotta ad uno stato precachettico. Non si tratta di una forma pura di anoressia (rifiuto totale del cibo associato a scomparsa del ciclo mestruale retta da nuclei di fissazione iniziatico-orali) ma di quella forma, sempre più frequente ai giorni nostri e mascherata-rafforzata dai modelli ideologico-culturali dominanti, di rifiuto del cibo animale, soprattutto se visto nella sua essenza (l’orrore per la bistecca). Io credo che tale forma endemica diremo non-maligna di condotta alimentare sia retta da nuclei di fissazione a cavallo tra l’oralità e l’analità in uno psichismo cioè non più fusionale ma in cui si è fatta strada una iniziale relazione d’oggetto di tipo particolare: relazione con un oggetto altamente idealizzato, verso cui vengono concentrate spinte incestuose intense, che presenta le caratteristiche psichiche dell’ossessività. In parole povere spesso una bambina figlia di una madre forte, con habitus mascolino e di un padre che non si lascia avvicinare-toccare per motivi di difesa ossessiva al servizio di una speculare spinta incestuosa di tipo Edipo II.
Effettivamente in questo soggetto si alternano le difese proprie di una nevrosi ossessiva caratterizzata da un inviolabile tabù del toccare, a gravi malattie organiche. L’investimento sul piano somatico si è concentrato da più di un decennio sulla colonna vertebrale: l’analizzata ha subito ben tre interventi chirurgici sulla colonna: il primo per un’ernia del disco intervertebrale i successivi per complicanze infettive sulla vertebra operata. Residua una vasta e preoccupante lacuna di riassorbimento osseo associata a dolori intensissimi soprattutto al mattino (i medici che la seguono propendono per un nuovo intervento). Da anni i rapporti sessuali sono praticamente assenti sia per l’incontro (diremo economico) con un partner portatore anch’egli di una grave nevrosi ossessiva (potenza della coazione a ripetere!), sia per i dolori alla schiena che, nell’eseguire il rapporto sessuale si fanno lancinanti.
Tutta l’attenzione vitale della giovane è sequestrata da questo buco che non guarisce, questa ferita che non rimargina.
La dimensione psicodinamica del caso è ovviamente ben più complessa di quanto sia possibile descrivere: come spesso accade in casi gravi è ben prefigurata da una lunga storia genealogica che qui ometteremo.
Vorrei solo riportarvi il materiale della seduta che fa da sugello al lavoro di scioglimento degli investimenti incestuosi sull’imago paterna.
Premetteremo che il padre dell’analizzata era scomparso prematuramente dopo una lunga malattia neoplastica invalidante.
La giovane all’inizio della seduta parla della scomparsa prematura di un caro amico di università:
“Quando Carlo è morto non me lo aspettavo e non sono stata capace di andare a fargli visita (la stessa cosa era accaduta per il padre: si era allontanata da casa proprio in concomitanza con la sua rapida agonia e vi aveva fatto ritorno solo al suo decesso). Anna (la compagna del giovane scomparso) si portava dietro l’ombra di tutti i morti. Aveva qualcosa nelle dita, come non avesse i polpastrelli: non riusciva a toccare (ecco la modalità proiettiva di avvicinamento alla presa di coscienza) Sto come per entrare nel fondo di un imbuto, in qualcosa che mi prende. Tutto si allontana e si allunga; papà aveva come un buco che lo mangiava tutto e non si poteva mai chiudere, non guariva mai.” (è questa la faccetta rappresentazionale-affettiva che per identificazione patologica ha dato i connotati alla sua malattia ma, per ora, ben celata dalla difesa proiettiva, l’analizzata non coglie il nesso evidente)
Nella seconda ora di seduta la signora spontaneamente decide di osservare una foto del padre (come è noto in micropsicoanalisi è possibile utilizzare, in fasi avanzate del lavoro, il supporto tecnico dello studio iconografico).
Si sofferma inizialmente ad osservare i capelli del padre prendendo coscienza di una cosa che aveva sempre diniegato: che presentassero i segni iniziali ma evidenti di una canizie. A tale riguardo c’è da riferire il particolare interessante che tutti i partners che l’analizzata aveva avuto erano prevalentemente dei mori che poi a distanza di anni sviluppavano una canizie marcata assolutamente imprevedibile, come del resto era accaduto a lei.
Ascoltiamola:
“In tutte le persone che guardo devo sempre riconoscere qualcosa tra la nuca e il collo. Come il grigio-acciaio della racchetta da tennis di mio padre. Non vedo proprio nessun altro (fissazione esclusiva all’oggetto incestuoso). (1° ingrandimento): Questi iniziali capelli bianchi sono andati avanti, come immagino che possa essere ora. E’ strano mi sembra una persona senza odore, come il ricordo di un’immagine più che una persona, di una cosa ferma che non può avere nessun odore. C’è qualche capello bianco…ecco, ora mi sembra di ricordare che toccassi il lobo dell’orecchio.
(2° ingrandimento): All’attaccatura dei capelli vicino le orecchie c’è come un pezzettino più lucido, come una cicatrice, un neo bianco. C’è come forfora nei capelli…cazzo! ma sono quei quadratini bianchi che vedo! (l’analizzata soffriva di tormentose visioni ossessive, in particolare a volte vedeva come dei riquadri di dettagli della persona enormemente ingranditi che le davano un senso di repulsione. Non si sottolineerà mai abbastanza quanto sia grave la nevrosi ossessiva da situarsi ai confini con il delirio e dunque la rottura del principio di realtà). Ma la cosa più importante è che io non lo riconosco: ho un’altra immagine nella mente. C’è un’ombra in questa foto, penso sia l’ombra di mamma, un’ombra rotonda. Lui ha come un buco nella pancia e non se ne è accorto (in effetti anni dopo lo sventurato genitore avrà una serie di terribili piaghe da decubito tanto profonde da poter essere definite dei veri e propri buchi).
Ed io…è come avessi un’altra faccia: come mi si sono fatti i capelli grigi mi si è attaccata un’altra faccia. Mi sembra di essere un’altra. Mi sono come trasformata in un’altra persona, non me lo spiego.”
E’ questo il meccanismo di elaborazione patologica del lutto per identificazione allo scomparso: diniego della perdita, assenza di elaborazione del distacco, ricostruzione dell’oggetto quando va bene assumendone le stigmate comportamentali, spesso, purtroppo ricreandone i sintomi. A tale riguardo ritengo che in questa luce vada rivisto l’interessante studio condotto da Rees e Lutkins che esaminarono in una piccola località del Galles ben 903 persone che avevano perduto di recente un parente confrontate ad un gruppo di controllo di 878 persone che non avevano subito lutti. Durante l’anno successivo al decesso la mortalità nel gruppo in esame è risultata ben sette volte maggiore di quella del gruppo di controllo. 24
Ma seguiamo ancora l’elaborazione della nostra giovane signora che le consentirà la demolizione della sindrome psicosomatica:
“Enzo (così chiameremo il suo partner attuale) è l’unica cosa che riconosco che c’era prima che ci fossi io: se muore lui rimango completamente sola. Almeno avessi fatto un bambino con lui, poteva anche morire! Era l’unico che potesse mettermi qualcosa nella pancia (l’uomo che era incanutito, cioè il fantasma del padre). Aspetto che diventi vecchio, vecchio, vecchio…la barba un po’ lunga. Lui mi ha visto ed è cambiato qualcosa dentro di me…il buco. Immaginavo come delle bocche che ti mangiano, qualcosa che ti cammina dentro. Una cosa che ti mangia dentro è come una cosa che ti cresce dentro. I capelli grigi mi fanno venire in mente il funerale di mio padre. Penso che da quando ho questi capelli bianchi sono diventata un’altra…ma chi?…mio Dio, non è possibile: mio padre?”
Nella seduta successiva al termine della seconda ora le ripropongo il materiale della seduta precedente relativo ai capelli bianchi: ecco le associazioni prodotte;
“Questa mi sembra una parte che io non volevo toccare: se non tocchi le cose non muoiono. Se le hai toccate muoiono. Penso che le cose che io tocco poi muoiono: Carla aveva le dita in quel modo, così Carlo non moriva…i miei fidanzati che toccano le corde della chitarra…papà che tocca le corde della racchetta, il segno delle corde sui pollici. Davide (così chiameremo uno dei precedenti fidanzati) mi ha stretto, come non riuscisse a controllarsi, una cosa che va per i fatti suoi, troppo più forte di noi…questo dito con il segno delle corde…i pollici sono come i piselli degli uomini. Una cosa troppo forte…qualcosa che mi è arrivata dentro, nella pancia…forse è qualcosa che mi mette paura dopo che l’ho fatto: ma quello è mio padre, non può avermi fatto niente! E’ che uno se lo immagina. Ho paura che lui mi faccia qualcosa. Ho paura a non farcela a tenermi quell’affare dentro che cresce: non ce l’ho un buco così grande. Per entrarti dentro una cosa così grande ti mangia e ti fa un buco…”
Non credo che ci sia bisogno di ulteriori commenti. Una TAC che la signora volle fare al termine della prima tranche di micropsicoanalisi evidenziò una totale scomparsa della lacuna ossea, la sintomatologia era ridotta dell’80 per cento.
Tutto questo senza il minimo lavoro diretto sui sintomi.
A proposito del tabù del toccare ritengo che la costruzione di gravi malattie somatiche sia la trasposizione sul soma della stessa dinamica difensiva dagli impulsi incestuosi: la malattia diventa un buco nero che succhia la vita della persona, un tormentoso ma rassicurante sacchetto di celophan che la isola dal mondo. Daniela Marenco studiando i rapporti tra emicrania e tabù del toccare è ancora più esplicita: “…l’attacco emicranico isola il soggetto bloccando la sua mobilità e vietandole di ricevere stimoli ed in particolar modo le impedisce di effettuare movimenti reali o metaforici in obbedienza al tabù del toccare e quindi al tabù del vuoto. In questo senso la malattia diventa il rappresentante della sinapsi feto-materna e dei suoi sostituti ontogenetici successivi (per esempio fissazioni alle Immagini della famiglia) costruiti sulla base di un terreno psicobiologico che ne favorisce l’insorgere”. 25
Infine la possibilità di vicarianza psiche-soma nello smaltimento del surplus pulsionale risulta evidente anche nel caso delle cosiddette “voglie” in gravidanza. Manuela Tartari ritiene che le voglie siano un tentativo a prevalenza psichica di contrastare una spinta espulsiva che si presenta come stimolo ad espellere oralmente il feto. In presenza di soggetti portatori di importanti nuclei di fissazione orale, la risposta difensiva, parimenti orale, diviene il desiderio di mangiarlo, continuare a trattenerlo come cibo. In tale modo, con lo spostamento difensivo sull’immagine del cibo che la donna può effettivamente mangiare, il conflitto si attenua e la crisi di rigetto può essere contrastata. Allo stesso modo, l’investimento sul cibo desiderato può diventare un rappresentante del desiderio incestuoso e allora il fallimento del meccanismo, dunque, l’aborto, diventa la conseguenza di un tabù infranto, l’aver mangiato il frutto proibito. Tartari rileva che alcune analizzate riferiscono di aver avuto le contrazioni abortive dopo aver finalmente mangiato ciò che avevano tanto desiderato. In generale, le voglie fanno leva sulla sensorialità: gusto, olfatto, vista, sensazioni propriocettive di pienezza e perciò sono piuttosto vicine alle rappresentazioni del conflitto somatopsichico, anzi, ne divengono una rappresentazione. 26

NOTE:

1 – Silvio Fanti, La Micropsicoanalisi (Roma: Borla editore, 1983).
2 – Cannon W. B., Bodily changes in pain, hunger, fear and rage (New York: Appleton, 1915).
3 – Wolff H.F., Stress and Disease (Springfield: Thomas, 1953).
4 – Hermann P., La mortalité dans les troubles psychiques (Paris: Médecine & Hygiène, 1974).
5 – Castelnuovo Tedesco P., Ego vicissitudes in response to replacement or loss of body parts (The psychoanalitic Qurterly, vol. XVII, 1978).
6 – Nicola Peluffo, Immagine e fotografia (Roma: Borla, 1984).
7 – Schmale R.H. e Iker H., The psychological setting of uterine cervical cancer (Annals of New York Acad. Sci 125:807, 1966).
8 – Umberto Pelizzari, “I medici sorridono”, Umberto Pellzzari, web site
(http://www.softntt.it/pelizzari/index.htm)
9 – Freud S., Dostoevskij e il parricidio in “Opere” (Torino: Boringhieri).
10 – Fenichel O., “Nevrosi organiche,” in Trattato di psicoanalisi, delle nevrosi e delle psicosi (Roma: Astrolabio, 1960).
11 – Alexander F., La médecine psychosomatique, ses principes et ses applications (Parigi: Payot, 1952).
– Alexander F., French T.M., Pollock G.H., Psychosomatic specificity. Experimental study and results
(Chicago-Londra: Univ. Chicago Press, 1968).
12 – Wolff H.F., Stress and Disease (Springfield: Thomas, 1953).
13 – Silvio Fanti, La Micropsicoanalisi (Op. cit.)
14 – Fanti, Codoni, Lysek, Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi (Roma: Borla, 1984).
15 – Devoto G, Oli G.C., Vocabolario della lingua italiana (Milano: Le Monnier – Ed. CDE, 1979).
16 – Lysek D., “Una riflessione micropsicoanalitica sulla nozione di inconscio”, Bollettino dell’Istituto Italiano di micropsicoanalisi, Torino, n° 20, 1996.
17 – Marzi G., “Ipotesi micropsicoanalitica sull’uso del farmaco”, Bollettino dell’Istituto Italiano di micropsicoanalisi, Torino, n° 11, 1991.
18 – Zangrilli Q., La vita: involucro vuoto (Roma: Borla, 1994).
19 – Maragliano E., “Depressione – Immunità – Tumori”, Bollettino dell’Istituto Italiano di micropsicoanalisi, Torino, n° 10, 1991.
20 – Peluffo N., Considerazioni sull’es come meccanismo di regolazione e sue relazioni con l’immagine (in “Il conflitto madre-figlio”) (Torino: Book Store, 1981).
21 – Peluffo N., Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione (Torino: Books’ Store, 1976).
22 – Peluffo N., La trasformazione onirica della tensione somatica, Bollettino dell’Istituto Italiano di micropsicoanalisi, Torino, n° 11, 1991.
23 – Peluffo N., Immagine e fotografia (Roma: Borla, 1984).
24 – Rees W. D. e Lutkins S. G., Mortality of bereavement (Londra: Brit. Med. J.: 13:16, 1967).
25 – Marenco D., La sindrome emicranica come trasformazione somatica del tabù del toccare, Bollettino dell’Istituto Italiano di micropsicoanalisi, Torino, n° 9, 1990.
26 – Tartari M., Studio micropsicoanalitico di alcune componenti orali della relazione intrauterina: voglie durante la gravidanza, In “ Il conflitto madre-figlio” a cura di N. Peluffo (Torino: Book’s Store, 1981).