Gli aforismi del Maestro Sigmund Freud

Edipo

Aforismi

Se l’Edipo re riesce a scuotere l’uomo moderno non meno dei greci suoi contemporanei, la spiegazione può trovarsi soltanto nel fatto che l’effetto della tragedia greca non si basa sul contrasto fra destino e volontà umana, bensì va ricercato nella peculiarità del materiale in cui tale contrasto si presenta. Deve esistere nel nostro intimo una voce pronta a riconoscere la forza coattiva del destino di Edipo, mentre siamo in grado di rifiutare come puramente arbitrarie le costruzioni che figurano in L’avola [di Grillparzer (1817)] o in altre tragedie fataliste. E realmente, nella storia del re Edipo è contenuto un momento determinante di questo tipo. Il suo destino ci commuove soltanto perché sarebbe potuto diventare anche il nostro, perché prima della nostra nascita l’oracolo ha decretato la medesima maledizione per noi e per lui. Forse a noi tutti era dato in sorte di rivolgere il primo impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza contro il padre: i nostri sogni ce ne danno la convinzione. Il re Edipo, che ha ucciso suo padre Laio e sposato sua madre Giocasta, è soltanto l’appagamento di un desiderio della nostra infanzia. Ma, più fortunati di lui, siamo riusciti in seguito – nella misura in cui non siamo diventati psiconevrotici – a staccare i nostri impulsi sessuali da nostra madre, a dimenticare la nostra gelosia nei confronti di nostro padre. Davanti alla persona in cui si è adempiuto quel desiderio primordiale dell’infanzia, indietreggiamo inorriditi, con tutta la forza della rimozione che questi desideri hanno subito da allora nel nostro intimo. Portando alla luce nella sua analisi la colpa di Edipo, il poeta ci costringe a prendere conoscenza del nostro intimo, nel quale quegli impulsi, anche se repressi, sono pur sempre presenti. La contrapposizione con cui il coro ci lascia:

…mirate
Lui che sapeva gli enimmi famosi, il più grande tra gli uomini,
Edipo, a cui nessuno nel tempo felice si volse
Senza un invido sguardo… verso che gorghi d’orrore
E di dolore discenda…

esprime un monito che tocca noi stessi e il nostro orgoglio, noi che dagli anni dell’infanzia siamo diventati ai nostri occhi così saggi e potenti. Come Edipo, viviamo inconsapevoli dei desideri, offensivi per la morale, che ci sono stati imposti dalla natura e dopo la loro rivelazione noi tutti vorremmo distogliere lo sguardo dalle scene della nostra infanzia

 L’interpretazione dei sogni, 1900 (Il materiale e le fonti del Sogno/D. Sogni tipici/I sogni della morte di persone care), Opere, Vol. 3,


Nei suoi rapporti col padre e con la madre Hans conferma nel modo più lampante e palpabile tutto quanto ho sostenuto sia nell’Interpretazione dei sogni che nei Tre saggisulle relazioni sessuali che legano i figli ai genitori. Hans è veramente un piccolo Edipo, che vorrebbe togliere di mezzo, sopprimere il padre per essere solo con la bella madre, per dormire con lei. Questo desiderio era nato durante le vacanze estive, quando l’alternarsi di presenza e assenza del padre aveva richiamato l’attenzione del bambino sulla circostanza da cui dipendeva l’ambita intimità con la madre. Tale desiderio si contentava allora di tradursi nella speranza che il padre sarebbe “partito”, speranza cui successivamente la paura di essere morso da un cavallo bianco poté direttamente collegarsi, grazie a un’impressione accidentale provata in occasione della partenza di un’altra persona. Più tardi, probabilmente solo a Vienna, dove non c’era più da far conto sulla partenza del padre, il desiderio si era ampliato fino ad assumere il seguente contenuto: il padre avrebbe dovuto partire per sempre, essere “morto”. La paura provata di fronte al padre, che derivava da questo desiderio di morte rivolto contro di lui ed era quindi normalmente spiegabile, costituì il maggior ostacolo dell’analisi finché non venne chiarita durante la consultazione nel mio studio [cap.

Analisi della Fobia di un bambino di cinque anni (caso clinico del piccolo Hans), 1908, Opere Vol. 5


Ma fra le imagines che si sono formate in un’infanzia di cui di solito si è perduto il ricordo, nessuna è più importante, per il giovane o per l’uomo adulto, di quella del proprio padre. Una necessità organica ha introdotto in questo rapporto col padre un’ambivalenza emotiva di cui possiamo ravvisare la manifestazione più impressionante nel mito greco del re Edipo. Il bambino deve amare e ammirare suo padre, che vede come la più forte, la migliore e la più saggia delle creature; in fin dei conti Dio stesso non è altro che un’esaltazione di questa immagine paterna, così come essa si presenta nella vita psichica infantile. Ma tosto si fa innanzi l’altro aspetto di questa relazione affettiva. Nel padre si vede anche l’essere che nel suo strapotere disturba la nostra vita pulsionale, egli diventa il modello che non vogliamo più solo imitare, ma anche togliere di mezzo, per poter prendere il suo posto. Ora l’impulso affettuoso e quello ostile verso il padre continuano a sussistere l’uno accanto all’altro, spesso per tutta la vita, senza che l’uno possa eliminare l’altro. In questa coesistenza degli opposti risiede il carattere di quella che chiamiamo un’ambivalenza emotiva.

Nel corso della fanciullezza ci si appresta a un mutamento in questo rapporto col padre, la cui importanza non sarà mai sottolineata abbastanza. Il fanciullo comincia a uscire dalla stanza dei bambini, ad affacciarsi al mondo reale; a questo punto scopre delle cose che scalzano la sua originaria ammirazione per il padre e determinano il suo distacco da questo suo primo ideale. Egli scopre che suo padre non è l’essere più potente, più saggio e più ricco della terra, comincia a diventare scontento di lui, impara a criticarlo e a valutare la sua posizione sociale; poi, di solito, fa pagare cara al padre la delusione che egli gli ha procurato: tutto ciò che nella nuova generazione appare denso di promesse, ma anche tutto ciò che essa ha di urtante è determinato da questo distacco dal padre.

In questa fase del suo sviluppo ha luogo l’incontro del ragazzo con gli insegnanti. A questo punto possiamo capire il nostro comportamento verso i nostri professori del ginnasio. Questi uomini, che pure non furono tutti dei padri, diventarono per noi i sostituti del padre. È perciò che ci sono apparsi così maturi, così irraggiungibilmente adulti, anche se in realtà erano ancora molto giovani. Abbiamo trasferito su di loro il rispetto e le attese che nei nostri anni infantili avevamo nutrito per il padre onnisciente, e poi abbiamo cominciato a trattarli come trattavamo, a casa, i nostri padri. Abbiamo assunto nei loro confronti lo stesso rapporto ambivalente che avevamo acquisito in famiglia, e in virtù di questo atteggiamento abbiamo lottato con loro, come ci eravamo abituati a lottare con i nostri padri carnali.

Psicologia del ginnasiale, 1914, Opere  Vol. 7


È del tutto indubbio che nel complesso edipico si può vedere una delle più importanti fonti del senso di colpa da cui i nevrotici sono tanto spesso afflitti. Ma dirò di più: in uno studio sugli esordi della religione e della moralità umana, che ho pubblicato nel 1913 con il titolo Totem e tabù, ho avanzato la supposizione che all’inizio della sua storia l’umanità in genere abbia derivato il suo senso di colpa, radice ultima della religione e della morale, dal complesso edipico. Mi piacerebbe dirvi di più su questo argomento, ma è meglio che ci rinunci. È difficile staccarsi da questo tema quando si è cominciato a occuparsene; e noi dobbiamo far ritorno alla psicologia individuale.

Che cosa si può dunque scoprire del complesso edipico mediante l’osservazione diretta del bambino, all’epoca della scelta oggettuale che precede il periodo di latenza? Ebbene, si vede facilmente che il maschietto vuole avere la madre soltanto per sé, avverte come incomoda la presenza del padre, si adira se questi si permette segni di tenerezza verso la madre e manifesta la sua contentezza quando il padre parte per un viaggio o è assente. Spesso dà diretta espressione verbale ai suoi sentimenti, promette alla madre che la sposerà. Si penserà che ciò è poca cosa in confronto alle imprese di Edipo, ma di fatto è già abbastanza, in germe è la stessa cosa. L’osservazione viene spesso offuscata dalla circostanza che in altre occasioni lo stesso bambino manifesta contemporaneamente una grande affezione per il padre; tuttavia, simili atteggiamenti emotivi opposti  o per dire meglio, “ambivalenti”  – che nell’adulto porterebbero al conflitto, nel bambino sono del tutto compatibili tra loro per un lungo periodo, così come più tardi trovano posto permanentemente l’uno accanto all’altro nell’inconscio.

Introduzione alla psicoanalisi / Lezione 21. Sviluppo della libido e organizzazioni della sessualità,  1915-17, Opere Vol.  8


Il complesso edipico, di cui ho riconosciuto gradualmente il carattere ubiquitario, mi ha fornito una vasta gamma di suggerimenti. Se la scelta, o meglio la crudele invenzione del tema mitologico era sempre apparsa enigmatica, così come lo era l’effetto sconvolgente della sua raffigurazione poetica, nonché l’essenza della tragedia del fato in genere, ebbene tutto ciò poteva essere spiegato nel modo seguente: nella tragedia di Edipo era stata colta, nella pienezza del suo significato affettivo, una legge generale dell’accadere psichico. Fato e oracolo non erano altro che materializzazioni di una necessità interiore. Il fatto che l’eroe si fosse macchiato di una colpa senza saperlo né volerlo fu inteso come l’esatta espressione della natura inconscia delle sue tendenze criminali. Inteso così il significato di questa tragedia del fato, bastò pochissimo per giungere al chiarimento di quella grande tragedia del carattere che è l’Amleto,  un’opera che da trecento anni tutti ammiravano senza che nessuno fosse mai riuscito a indicarne il significato né a penetrare i moventi del poeta. Era ben singolare che questo nevrotico creato dal poeta fallisse miseramente di fronte al complesso edipico, al modo stesso di tanti suoi simili nella vita reale; Amleto, infatti, era stato posto dinanzi al compito di vendicare su una terza persona i due fatti che costituiscono il contenuto essenziale del complesso edipico, ma un oscuro senso di colpa gli aveva paralizzato il braccio impedendogli di compiere la sua vendetta. L’Amleto fu scritto da Shakespeare poco dopo la morte del padre.

Autobiografia, 1924,  Opere Vol. 10