Sommario
Gli aforismi del Maestro Sigmund Freud
Castrazione
Quando il maschietto rivolge per la prima volta la sua curiosità verso l’enigma della vita sessuale è dominato dall’interesse per il proprio organo genitale. Egli trova questa parte del suo corpo troppo preziosa e troppo importante perché possa pensare che in altre persone, alle quali si sente così simile, manchi. Dato che non può indovinare che esiste anche un altro tipo di formazione genitale, di pari valore, deve ricorrere alla supposizione che tutte le persone, comprese le donne, posseggano un membro simile al suo. Questo preconcetto s’instaura così solidamente nel giovane investigatore che non viene distrutto neppure dalle sue prime osservazioni di genitali di piccole bambine. La percezione gli dice – è vero – che c’è qualcosa di diverso da quello che c’è in lui, ma egli non è in grado di confessare a sé stesso che il contenuto della percezione è che non riesce a trovare un membro nella bambina. Che il membro possa mancare gli sembra un’idea sconvolgente, insopportabile, e perciò egli opta per una soluzione di compromesso: il membro c’è anche nella bambina, soltanto che è molto piccolo; in seguito crescerà. Quando in successive osservazioni l’attesa non pare realizzarsi, gli si presenta un’altra via d’uscita. Il membro c’era anche nella bambina piccola, ma è stato tagliato e al suo posto è rimasta una ferita. Questo progresso della teoria utilizza ormai alcune esperienze personali di carattere penoso: il bambino ha nel frattempo udito la minaccia che gli si toglierà il prezioso organo se continua a mostrare un interesse troppo evidente per esso. Sotto l’influsso di questa minaccia di evirazione egli ora muta la sua concezione dell’organo genitale femminile; d’ora in poi tremerà per la propria virilità, ma disprezzerà altresì le infelici creature sulle quali secondo lui è già stata eseguita la temibile punizione.
Un ricordo d’infanzia di Leonardo, 1910, terzo paragrafo, Opere Vol. 6
Sappiamo dall’analisi di molte donne nevrotiche che esse attraversano uno stadio primitivo in cui invidiano ai fratelli il segno della virilità e si sentono svantaggiate e minorate a causa della mancanza di esso (o meglio della sua riduzione). Noi includiamo questa “invidia del pene” nel “complesso di evirazione”. Se si intende per “virilità” anche la volontà di essere un uomo, allora si addice a questo comportamento la denominazione di “protesta virile”, che Alfred Adler ha coniato intendendo così proclamare che questo fattore è il principale apportatore di nevrosi. In questa fase le bambine spesso non fanno alcun mistero della loro invidia né della conseguente ostilità contro i privilegiati fratelli: tentano anche di orinare in piedi come i fratelli per sostenere la loro pretesa parità.
Contributi alla psicologia della vita amorosa – Terzo contributo. Il tabù della verginità (1910-17), Opere, Vol. 6
Del tutto diversi sono gli effetti del complesso di evirazione nella donna: la bambina riconosce come un fatto la sua castrazione e con ciò anche la superiorità del maschio e la propria inferiorità, ma oppone anche resistenza a questa realtà assai sgradita. Da questo atteggiamento contraddittorio derivano tre direzioni di sviluppo. La prima conduce all’abbandono totale della sessualità: la bimba, sgomentata dal confronto col maschio, non si contenta più della sua clitoride, rinuncia alla sua attività fallica e in genere alla sessualità, nonché a buona parte della sua mascolinità in altri campi. La seconda direzione si attiene fermamente, lungo una linea di caparbia autoaffermazione, alla virilità minacciata; la speranza di riuscire ancora a ottenere un pene rimane desta incredibilmente a lungo, assurge a scopo della vita, e la fantasia di essere, malgrado tutto, un uomo spesso informa di sé lunghi periodi della vita. Anche questo “complesso di virilità” della donna può sfociare nella scelta di un oggetto manifestamente omosessuale. Solo un terzo sviluppo assai contorto sbocca nella normale strutturazione finale della femminilità, ove il padre è assunto come oggetto ed è pertanto trovata la forma femminile del complesso edipico. Il complesso edipico è dunque nella femmina il risultato finale di una più lunga evoluzione. Lungi dal venir distrutto dall’influsso dell’evirazione, ne costituisce al contrario il prodotto; elude le forti influenze avverse che nel maschio agiscono sul complesso in modo distruttivo, e le elude in misura tale che troppo spesso la femmina non riesce a superarlo. Perciò anche le conseguenze culturali del suo dissolvimento sono esigue e meno importanti. Non c’è pericolo di sbagliare affermando che questa differenza nella reciproca relazione tra complesso edipico e complesso di evirazione impronta di sé il carattere della donna come essere sociale.
Sessualità femminile, 1931, Opere Vol. 11
Se si indaga abbastanza a fondo nella nevrosi di una donna, non di rado ci si imbatte nel desiderio rimosso di possedere un pene come quello dell’uomo. Un insuccesso, una sfortuna accidentale, o addirittura dovuta – come accade abbastanza spesso – a una disposizione fortemente virile, ha riattivato, nella donna, questo desiderio infantile (che chiamiamo “invidia del pene” considerandolo un aspetto del complesso di evirazione) e, attraverso il riflusso della libido, ha fatto di tale desiderio il veicolo principale dei sintomi nevrotici. Nel caso di altre donne la presenza di questo desiderio del pene non può essere dimostrata in alcun modo; il suo posto è preso dal desiderio di un bambino, e la frustrazione di tale desiderio nella vita può poi scatenare la nevrosi. È come se queste donne avessero capito che la natura ha dato alla donna il bambino al posto di quell’altra cosa che non ha potuto loro concedere (anche se una motivazione come questa è impossibile). In altre donne ancora si scopre che nell’infanzia furono presenti entrambi i desideri, e che a un certo punto uno fu sostituito dall’altro. In un primo tempo esse volevano avere un pene come l’uomo, e in seguito, sempre nell’età infantile, al posto di questo desiderio comparve quello di avere un bambino. Non si può sottrarsi all’impressione che di questa molteplicità di esiti siano responsabili determinati fattori accidentali della vita infantile (la presenza o la mancanza di fratelli, o l’esperienza della nascita di un nuovo bambino in un momento favorevole della vita), talché in definitiva il desiderio del pene si identificherebbe con quello del bambino.
Trasformazioni puslionali, particolarmente dell’erotismo anale (1915), Opere, Vol. 8
Un simbolo onirico particolarmente degno di nota è la caduta o l’estrazione di denti. Certamente esso significa innanzitutto l’evirazione, quale punizione per l’onanismo.
Introduzione alla psicoanalisi (1915-17) – Lezione 10. Il simbolismo nel sogno, Opere, Vol. 8
Tra gli avvenimenti che ricorrono continuamente e non sembrano mancare quasi mai nella storia giovanile dei nevrotici, alcuni sono di particolare importanza e pertanto anche degni, ritengo, di esser posti in maggior rilievo rispetto ad altri. Quali campioni di questa specie vi enumererò: l’osservazione del rapporto sessuale tra i genitori, la seduzione da parte di una persona adulta, e la minaccia di evirazione. Sarebbe un grave errore supporre che a essi non vada mai attribuita una realtà materiale; al contrario, questa è spesso dimostrabile senz’ombra di dubbio, se si svolgono indagini presso congiunti più anziani.
Introduzione alla psicoanalisi (1915-17) – Lezione 23. Le vie per la formazione dei sintomi. Opere, Vol. 8
L’interpretazione di singole creazioni mitologiche non è stata tentata spesso da parte nostra, ma per la testa mozzata e orripilante della Medusa tale interpretazione è ovvia.
Decapitare = evirare. Il terrore della Medusa è dunque terrore dell’evirazione legato alla vista di qualcosa. Da numerose analisi apprendiamo che ciò si verifica quando a un bambino, il quale fino a quel momento non voleva credere alla minaccia dell’evirazione, capita di vedere un genitale femminile. Si tratta verosimilmente del genitale circondato da peli di una donna adulta, essenzialmente di quello della madre.
Se i capelli della testa di Medusa compaiono così spesso nelle raffigurazioni artistiche sotto forma di serpenti, ciò è dovuto ancora una volta al complesso di evirazione; va notato che, per quanto suscitino in sé un effetto spaventevole, i serpenti servono in realtà a mitigare l’orrore, poiché sostituiscono il pene, dalla cui mancanza è nato l’orrore. La regola tecnica secondo cui la moltiplicazione dei simboli del pene significa evirazione, è qui confermata.
Prefazione a “Il metodo psicoanalitico” di Raymonde de Saussure (1922) – La testa di Medusa. Opere, Vol. 9
Il maschio certamente si accorge della differenza tra uomini e donne, ma non ha dapprima occasione di porla in riferimento con una diversità dei loro genitali. Gli viene naturale supporre un genitale simile al suo in tutti gli altri esseri viventi, uomini e animali, anzi sappiamo che cerca qualcosa di analogo al suo membro anche nelle cose inanimate. Questa parte del corpo facile da eccitare, mutevole, così ricca di sensazioni, occupa in alto grado l’interesse del maschio e pone sempre nuovi compiti alla sua pulsione di ricerca. Aspira a vederla anche in altre persone per paragonarla con la sua; si comporta come se avesse sentore che tal membro potrebbe e dovrebbe essere più grande; la forza propulsiva che questa parte virile dispiegherà più tardi, nella pubertà, si manifesta in questo periodo essenzialmente come spinta alla ricerca, come curiosità sessuale. Molte delle esibizioni e delle aggressioni effettuate dal bambino, e che in più tarda età sarebbero senza esitazione giudicate manifestazioni di concupiscenza, si dimostrano all’analisi esperimenti intrapresi al servizio dell’esplorazione sessuale.
Nel corso di queste indagini il bambino viene a scoprire che il pene non è in effetto posseduto da tutti gli esseri simili a lui. L’avvio è dato dalla vista casuale dei genitali di una sorellina o di una compagna di giochi. Bambini sagaci, già prima, osservando il modo di orinare delle bambine, poiché vedono un’altra posizione e sentono un altro rumore, formulano il sospetto che qui ci sia qualcosa di diverso, e perciò cercano di appurare i fatti ripetendo tali osservazioni. È noto come reagiscono alla prima impressione della mancanza del pene. Rinnegano i fatti, credono di vedere un membro, mascherano la contraddizione fra osservazione e pregiudizio dicendo a se stessi che è ancora piccolo e che tra poco crescerà, giungono poi lentamente alla conclusione, di grande significato affettivo, che quantomeno c’è stato e poi è stato tolto. La mancanza del pene è intesa come risultato di un’evirazione e il bambino si trova ora dinanzi al compito di fare i conti con l’evirazione riguardante la propria persona. Gli ulteriori sviluppi sono troppo generalmente noti perché sia necessario ripeterli qui. Mi sembra peraltro che il significato del complesso di evirazione assume il suo giusto valore soltanto prendendo in considerazione la sua origine nella fase del primato fallico.
L’organizzazione genitale infantile (un’interpolazione nella teoria sessuale) (1923), Opere, Vol 9
Quando il bambino (di sesso maschile) rivolge il proprio interesse al genitale, uno dei modi in cui esprime tale interesse è rappresentato dalla frequente manipolazione del genitale stesso; egli si rende conto poi che gli adulti non approvano questo suo comportamento. Più o meno chiaramente, più o meno brutalmente, compare la minaccia che lo si voglia privare di questa parte per lui preziosissima del suo corpo. Perlopiù la minaccia di evirazione proviene da donne, che sovente cercano di rafforzare la propria autorità richiamandosi al prestigio del padre o del dottore, che – a quanto assicurano – eseguirà il castigo. Qualche volta queste stesse donne recano alla minaccia una simbolica attenuazione annunciando non tanto l’asportazione del genitale, in verità passivo, bensì quella della mano attivamente colpevole. Spessissimo accade anzi che il maschietto non sia colpito dalla minaccia di evirazione perché gioca manualmente col suo pene, ma perché bagna ogni notte il letto e non riesce a tenersi pulito. Le persone che hanno cura di lui si comportano come se questa incontinenza notturna fosse conseguenza e prova del fatto ch’egli si occupa troppo del suo pene [vedi Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi, in OSF, vol. 10], e in ciò hanno probabilmente ragione. Comunque l’enuresi notturna prolungata può essere assimilata alla polluzione dell’adulto, può essere cioè interpretata quale espressione di quello stesso eccitamento dei genitali che in quest’epoca ha spinto il bambino a masturbarsi.
Sono convinto che l’organizzazione genitale fallica del bambino crolli dinanzi a questa minaccia di evirazione. Non subito tuttavia, e non prima che si aggiungano altri influssi. Il bimbo, in effetti, da principio non presta fede e non si sottomette alla minaccia. La psicoanalisi ha dato nuovo valore a due esperienze che a nessun bambino vengono risparmiate e che dovrebbero in verità prepararlo alla perdita di parti corporee a cui tiene moltissimo: queste esperienze sono la sottrazione, dapprima temporanea e poi definitiva, del petto materno, e la separazione, ogni giorno impostagli, dal proprio contenuto intestinale. Eppure non si è mai notato che queste esperienze abbiano effetto alcuno in occasione della minaccia di evirazione. Solo dopo aver fatto una nuova esperienza, il bambino comincia a prendere in considerazione la possibilità di un’evirazione: e anche ora con titubanza, controvoglia, e non senza cercare di diminuire la portata della propria osservazione.
Il tramonto del complesso edipico (1924), Opere, Vol. 10